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eBook per la Scuola | Giancarlo Pontiggia, Maria Cristina Grandi | Bibliotheca Latina 3 | Principato

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Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi

Bibliotheca

Latina

Storia e testi

(3)
(4)

3

Giancarlo Pontiggia

Maria Cristina Grandi

PRINCIPATO

Bibliotheca

Latina

Storia e testi

della letteratura latina

Dalla prima età imperiale

ai regni romano-barbarici

(5)

Direzione editoriale: Franco Menin

Progetto graico e copertina: Giuseppina Vailati Canta Ricerca iconograica: Fabio Rossi

Impaginazione: he Good Company, Uicio Graico Principato

Immagine di copertina: Busto di Adriano (Bristish Museum)

L’impostazione e la struttura generale dell’opera sono il risultato di un’elaborazione comune. In particolare, a Giancarlo Pontiggia si devono i capitoli 1, 2.2, 2.4, 4, 6, 11, 12, 13.4, 16, 17, 18, 19, 20 (con relative sezioni antologiche) e le sezioni antologiche dei capitoli 10, 18.9, 19.4; a Maria Cristina Grandi i capitoli 2, 3, 4.5, 5, 8, 13, 14, 15 (con relative sezioni antologiche), le sezioni antologiche dei capitoli 7 e 9, nonché l’introduzione e il commento a T87-92 e T94-95. A Gianluca Pasqual, che gli autori ringraziano per la preziosa collaborazione, si devono inine i capitoli 7, 9, 10, 18.9, 19.4.

I materiali reperibili nel sito www.principato.it o allegati all’edizione digitale sono messi a disposizione per un uso esclusivamente didattico.

All’atto della pubblicazione la casa editrice ha provveduto a controllare la correttezza degli indirizzi web ai quali si rimanda nel volume; non si assume alcuna responsabilità sulle variazioni che siano potute o possano intervenire successivamente.

Per le riproduzioni di testi e immagini appartenenti a terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizio-ne degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attri-buzione nei riferimenti.

ISBN 978-88-416-2214-8 (Bibliotheca Latina 3 + versione digitale) ISBN 978-88-6706-180-8 (sola versione digitale)

Prima edizione: aprile 2014 Ristampe

2019 2018 2017 2016 2015 2014 VI V IV III II I * Printed in Italy

© 2014 – Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo efettuata, com-presa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere efettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro paga-mento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.

Le riproduzioni per inalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quel-lo personale, possono essere efettuate a seguito di speciica autorizzazione rilasciata da EDISER (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clea-redi.org e sito web www.cleaautorizzazioni@clea-redi.org.

Casa Editrice G. Principato S.p.A. Via G.B. Fauché 10 – 20154 Milano http://www.principato.it

e-mail: info@principato.it

Stampa: SEBEGRAF – Arese (MI)

La casa editrice attua procedure ido-nee ad assicurare la qualità nel proces-so di progettazione, realizzazione e distribuzione dei prodotti editoriali.

(6)

1

L’età giulio-claudia

1 Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

2 La poesia nell’età giulio-claudia

3 Saperi specialistici e cultura enciclopedica

nella prima età imperiale

4 Seneca

(7)

Cronologia

14- 37

Principato di Tiberio.

14- 16

Germanico combatte tra il Reno e l’Elba, per domare un’insur-rezione delle popola-zioni locali.

14- 19

Germanico è inviato in Oriente per il rior-dinamento delle pro-vince. Sua misteriosa morte in Antiochia, nell’ottobre del 19.

23

Muore Druso, figlio di Tiberio.

27

Tiberio si ritira a Ca-pri, lasciando il pote-re nelle mani del ppote-re- pre-fetto del pretorio Elio Seiano.

31

Seiano ottiene il con-solato insieme a Ti-berio. Accusato di slealtà e di congiura, viene giustiziato.

37

Tiberio muore a Ca-pri.

37- 41

Principato di Caligo-la, figlio di Germani-co.

38

Caligola provvede a stabilire nuovi ordinamen-ti dinasordinamen-tici in Oriente, favorendo ovunque la diffusione di un culto imperiale assimilato a quello del Sole.

40

L’imposizione di una statua dell’imperato-re nel tempio di Ge-rusalemme scatena gravi torbidi in tutta la Giudea.

41

Caligola, inviso al-l’ambiente conserva-tore senatorio, è uc-ciso da un ufficiale della coorte pretoria-na. 41- 54 Principato di Claudio, fratello di Germani-co. 43 Conquista di gran parte della Britannia.

49

Fatta uccidere la mo-glie Messalina, Clau-dio sposa Agrippina, figlia di Germanico, adottando suo figlio Nerone.

54- 68

Principato di Nerone.

54- 59

Nerone governa sot-to la guida di Agrip-pina, di Seneca e del prefetto del pretorio Afranio Burro.

55

Assassinio di Britan-nico, figlio di Claudio e di Messalina.

59

Assassinio di Agrippi-na.

62

Morte di Afranio Bur-ro, forse avvelenato. Seneca si ritira dal-l’attività politica. 64 Incendio di Roma e prima persecuzione dei cristiani. 65

Fallita congiura guidata da Pisone, nella quale si trovano coinvolti anche Seneca e Lucano, entrambi costretti al suicidio.

66

Vespasiano è inviato in Palestina per reprimere una rivolta di Ebrei. Ha inizio la guerra giudaica, che si protrarrà fino al 73.

67

Nerone si reca in Grecia, proclamando-ne la libertà.

68

Truppe si ribellano in Gallia, in Spagna, in Afri-ca e in Lusitania. Galba è proclamato

imperatore dai pretoriani. Nerone si uccide il 9 giugno.

(8)

Gli eventi: dal principato di Tiberio

a quello di Nerone (14-68 d.C.)

Nell’agosto del 14 d.C. moriva, all’età di 77 anni, Ottaviano Augusto. Già da dieci aveva designato erede del suo potere il figliastro Tiberio, forse l’uomo che meno avreb-be desiderato come successore, ma sul quale aveva dovuto ripiegare per mancanza di alternative. Dai suoi tre matrimoni Augusto aveva infatti avuto soltanto una figlia, Giulia, dapprima concessa in matrimonio a Vipsanio Agrippa e in seguito allo stesso Tiberio. Da Giulia e Vipsanio erano nati Lucio e Gaio, entrambi morti in giovane età. Giovanissimo, nel 23, era morto anche l’altro nipote Marcello, figlio della sorella Ot-tavia. Restavano i due figliastri Druso e Tiberio, nati dalle prime nozze della moglie Livia con Tiberio Claudio Nerone, discendente dell’antica e illustre famiglia dei Clau-dii. Ma Druso, il prediletto, morì durante una spedizione germanica nel 9 a.C.

Nel 14 Tiberio aveva cinquantasei anni, e aveva trascorso la maggior parte della sua vita combattendo lungo i confini dell’impero. Era un uomo chiuso, introverso, scontroso; di idee conservatrici e di tendenze filosenatorie, non aveva mai guardato con favore al principato, pur senza esercitare opposizione nei confronti di Augusto. Nell’assumere il potere, rinunciò a molti dei titoli di cui si era fregiato il predecesso-re, rifiutando gli onori divini. Erano i segni della sua perplessità nei confronti di un ruolo, quello del princeps, che faticava ad accettare ma che sentiva ormai inevitabile. Forse si illudeva di poter restaurare la res publica esercitando l’autorità del principa-to: operazione opposta a quella di Augusto, che aveva salvaguardato le forme repub-blicane per imporre una struttura monarchica e assolutistica. La contraddizione era del resto già scritta nel suo doppio nome di Giulio e di Claudio: Tiberio discendeva infatti dai Claudii, che avevano combattuto a Filippi dalla parte di Bruto, ed erano stati fino all’ultimo nemici dell’auctoritas imperiale; ma era stato ufficialmente adot-tato dagli Iulii, che avevano fondato il principato nelle figure di Cesare e di Ottavia-no. Per una strana fatalità, fu proprio Tiberio a fornire alla storia la prima immagine dell’imperatore capriccioso, crudele e ambiguo che caratterizzerà la dinastia giulio-claudia. Tacito, che scrive un secolo dopo, lo dipinge in bellissime e fosche pagine come un uomo cupo e sospettoso, insincero ed ipocrita [T101]. Ma Tacito era un no-stalgico repubblicano: l’esitazione di Tiberio nell’accettare il principato, gli onori che aveva voluto riservare all’antica nobilitas apparvero allo storico simulati. Sul ricordo di Tiberio pesavano troppe dicerie avverse, fra cui l’accusa di aver fatto avvelenare il nipote Germanico, che fra il 14 e il 16 aveva combattuto in Germania sconfiggendo Arminio e vendicando la disfatta di Teutoburgo (9 d.C.). Figlio di Druso e di Anto-nia minore, Germanico (per il quale cfr. anche 2.2) era divenuto popolarissimo fra i soldati, sostenendo, come il nonno Marco Antonio, idee filoellenizzanti e assoluti-stiche che Tiberio non poteva condividere.

Problemi di successione Tiberio

1. 1

Storia e storiograia

dell’età giulio-claudia

1

(9)

1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

«Tutto il regno di Tiberio fu una lunga battaglia intesa a mantenere al principa-to il suo carattere civile: sia nei rapporti coi magistrati e coi privati, sia nella vita pri-vata, Tiberio non si stancò mai di insistere sul fatto che egli era un princeps alla ma-niera antica, che non era né un dominus né un dio» (Mazzarino). Ma quarant’anni di principato augusteo avevano disabituato all’esercizio della libertà, favorito l’asce-sa di nuovi ceti sociali e introdotto un nuovo immaginario politico. Il carattere chiu-so di Tiberio, l’opposizione ideologica del partito di Germanico, che intendeva por-tare a compimento la trasformazione della res publica in monarchia assoluta, incom-prensioni ed equivoci con la stessa nobiltà senatoria, fecero precipitare gli eventi. Fe-rito nell’orgoglio e disgustato dal servilismo dei cortigiani, Tiberio si ritirò a Capri, dove visse stabilmente dal 27, lasciando il potere nelle mani di Elio Seiano, prefetto del pretorio ambizioso e senza scrupoli, uno dei tanti uomini nuovi che probabil-mente Tiberio disprezzava, ma di cui non poteva fare a meno: con Seiano si aprì un’era di processi e di condanne, di rancori e di odii che non dovevano più placarsi. Denunciato per aver ordito una congiura contro il princeps, Seiano cadde in disgra-zia e fu condannato a morte nel 31 (sulla sua figura si leggano le pagine di Velleio Pa-tercolo e di Valerio Massimo, scritte rispettivamente prima e dopo la rovina politica [T1]). Nello stesso anno o forse già nel 30, a Gerusalemme, in una lontana provincia dell’impero, veniva crocifisso Gesù.

Il principato di Tiberio (14-37 d.C.) si concludeva in un clima di sospetti, di con-giure, di illegalità. Il senato, che Tiberio avrebbe voluto restaurare nel prestigio, ap-pariva impotente e umiliato. Il potere si fondava sempre più sull’elemento militare, e in particolare sulla coorte pretoria, un corpo armato fedele al princeps e perenne-mente stanziato nei pressi di Roma. Più volte venne applicata la lex maiestatis, al fi-ne di colpire gli oppositori più intransigenti. Molti furono costretti al suicidio o fat-ti uccidere: fra quesfat-ti lo storico Cremuzio Cordo (cfr. 1.2).

Gli anni di Tiberio erano stati drammatici e avevano rivelato l’ambiguità e la fragi-lità dell’istituto imperiale, che ufficialmente continuava ad essere una sorta di magi-stratura suprema, una potestas eccezionale atta a salvaguardare le forme dell’antica re-pubblica. Augusto era stato abilissimo nel conservare gli equilibri; Tiberio, grande mi-litare ma privo di virtù politiche, costretto ad assumere un ruolo che non sentiva

pro-Gemma Claudia. Vien-na, Kunsthistorisches Museum.

Sulla gemma si trovano effigiate due coppie: l’imperatore Claudio e la sua quarta moglie Agrippina Minore sulla sinistra; Germanico e Agrippina Mag-giore sulla destra. Le figure emergono da quattro cornucopie, simboli dell’ab-bondanza. Al centro l’aquila imperiale, con le ali spiegate, che guarda nella di-rezione dell’imperatore. Ai lati, in bas-so, delle armi: si riconoscono elmi, scudi di forme diverse, una corazza.

(10)

1.1Gli eventi: dal principato di Tiberio a quello di Nerone (14-68 d.C.)

prio, aveva finito per disgustare tutti, dal ceto senatorio che intendeva favorire a colo-ro che sostenevano la definitiva conversione del principato in monarchia ellenistica.

Fu Caligola, nel suo brevissimo principato (37-41 d.C.), ad operare con energia questa conversione. Discendente di Marco Antonio (che volle riabilitare, cancellan-do l’anniversario di Azio) e figlio del colto e amato Germanico, aveva da loro eredi-tato il modello assolutistico di una monarchia orientale fondata su un principio so-vrannaturale: il sovrano era l’incarnazione vivente di un nume, una figura sacra e in-tangibile cui dovevano essere riconosciuti onori divini già in vita e non solo post mor-tem. Tiberio, al contrario, si era sempre battuto per riaffermare i princìpi etici della tradizione romana, fondati sulla virtus e sul merito; e quando aveva permesso l’apo-teosi di Augusto, l’aveva giustificata con i grandi benefici offerti all’umanità.1

Coerentemente al suo progetto, Caligola impose fastosi cerimoniali di tipo orien-tale alla corte, mortificando di proposito il ceto senatorio e cercando consensi nel proletariato urbano e nelle province orientali, ai quali volle presentarsi come il con-tinuatore di Alessandro Magno.2

In spregio a Tiberio, richiamò con un’amnistia tutti coloro che erano stati con-dannati ed esiliati per aver sostenuto il partito di Germanico, favorendo la divulga-zione degli scritti di coloro che a Tiberio si erano opposti, fra i quali lo stesso Cre-muzio Cordo. Per ingraziarsi il popolo, organizzò spettacoli e ludi magnifici, ac-compagnati dall’elargizione di grandi somme. Una congiura di palazzo sostenuta da pretoriani, senatori e cavalieri, alleati di fronte alle sempre più allarmanti stravagan-ze del principe, lo tolse di mezzo ancora giovanissimo (sulla figura di Caligola, cfr. le pagine di Svetonio [T105; T106; T107]; sul mito di Alessandro Magno si legga Cur-zio Rufo [T4]).

Il potere passò a Claudio (41-54 d.C.), uno zio di Caligola rimasto fino allora ai margini della vita politica, dedito agli studi eruditi, storici ed antiquari,3

probabil-mente considerato innocuo e imbelle. La tradizione storiografica lo rappresenta suc-cube delle ultime mogli, Messalina e Agrippina Minore. Seneca, nell’Apokolokynto-sis (cfr. 4.5), lo descrive come un vecchio sciocco, beone e sanguinario, ironizzando sulle sue velleità letterarie. Vero è che nessuno dei quattro prìncipi succeduti ad Au-gusto si salvò dalle accuse dei posteri e degli stessi contemporanei.

Caligola

Claudio

1.Rivolgendosi al senato, in un celebre discorso riferito da Tacito, Tiberio aveva dichiarato: «Se-natori, io non sono che un mortale, i doveri che assolvo sono quelli di un uomo e a me basta tenere il posto più alto: voi me ne siete testimoni, e io voglio che lo ricordino i posteri, i quali renderanno alla mia memoria un onore più che sufficiente se mi giudicheranno degno dei miei avi, sollecito del-le fortune vostre, forte nei pericoli, impavido contro del-le offese, quando è in gioco il bene dello Sta-to» (Tacito, Annales IV, 38, 1).

2.Svetonio ricorda il suo proposito di trasferire la capitale dell’impero ad Alessandria (Cal. 49, 2); in un altro passo, rivela che Caligola si mostrava a volte con indosso la corazza di Alessandro (Cal. 52, 3).

3.Nutrito è il corpus di opere che gli viene attribuito dalle fonti antiche: due libri sulle guerre civi-li successive all’assassinio di Cesare; quarantun civi-libri sulla storia del principato; otto civi-libri di memo-rie; venti libri sugli Etruschi; otto sui Cartaginesi; un opuscolo in difesa di Cicerone, che il figlio di Asinio Gallo aveva denigrato in uno scritto; un libro di argomento ortografico, nel quale pro-poneva di introdurre tre nuove lettere nell’alfabeto latino. Amò profondamente Cicerone e Livio, che era stato suo maestro nella prima giovinezza, e di cui imitò scopertamente lo stile, come di-mostra il discorso tenuto in senato nel 48 (e a noi noto grazie alla Tavola Claudiana scoperta a Lione nel 1528), esemplato su quello che Livio fa pronunciare a Canuleio all’inizio del libro IV delle sue Storie.

(11)

1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

Claudio cercò di mediare tra le esigenze del princeps e quelle del senato, richia-mandosi alle direttive politiche di Augusto: da una parte restaurò i valori tradizio-nali della cultura romana, espellendo da Roma gli astrologi e le comunità ebraiche; d’altro canto rafforzò la coorte pretoria, posta al servizio personale del princeps, e af-fidò l’amministrazione pubblica nelle mani di influenti liberti.

L’operazione era in atto fin dall’epoca di Augusto, e tendeva a diminuire il reale potere delle famiglie senatorie: la macchina statale era ormai sotto il controllo di una potente burocrazia imperiale che esercitava le sue funzioni all’interno della domus imperiale.

Secondo la tradizione Claudio fu avvelenato dalla moglie Agrippina, desiderosa di favorire l’ascesa al potere del figlio Nerone, che all’epoca aveva solo diciassette an-ni. Anche questo era un segno dell’orientalizzazione della vita politica romana: sem-pre più il palazzo del principe richiamava l’atmosfera delle corti ellenistiche, domi-nate da scandali, congiure e rivalità, caratterizzate da un pericoloso intersecarsi di vi-ta privavi-ta e di vivi-ta pubblica.

Il principato di Nerone (54-68 d.C.) sintetizza in modo tragico il conflitto di po-teri e di interessi che si era sviluppato negli ultimi cinquant’anni. Secondo le fonti antiche, egli si adeguò nei primi anni del regno a una politica filosenatoria e conci-liatrice, sotto la guida del filosofo Seneca (cfr. in particolare 4.1-2) e del prefetto del pretorio Afranio Burro. Più tardi fece prevalere una politica di tipo assolutistico, col-tivando il progetto di una monarchia orientalizzante che già era stato di Caligola. Il punto di rottura va collocato intorno al 58, quando Nerone impose provvedimenti economici sfavorevoli al ceto senatorio. Dopo essersi liberato della madre Agrippi-na (59 d.C.) e della tutela di Seneca (intorno al 62), si abbandonò a ogni genere di bizzarrie e di eccessi.

Nel 65 fu scoperta una congiura che avrebbe dovuto concludersi con l’assassinio di Nerone e il passaggio del potere a Gaio Calpurnio Pisone. L’epurazione coinvolse anche Seneca e il giovane poeta Lucano, costretti entrambi a uccidersi. Nel 66 la stes-sa sorte toccò a Petronio, il probabile autore del Satyricon (cfr. capp. 4 e 5, ONLINE

). Le stravaganze e le crudeltà di Nerone provocarono reazio-ni sempre più ostili in ogreazio-ni fascia sociale: l’insurrezione dei legionari nelle province e la ribellione dei pretoriani lo lasciarono privo di ogni difesa. Si suicidò nel 68 d.C., all’età di trentun anni.

Personalità dispotica ed egocentrica, Nerone mirò a trasformare la città di Roma in una sorta di metropoli orientale, esercitando la sua influenza non solo nell’ambi-to della politica ma anche in quello della cultura (si veda, per quesnell’ambi-to aspetnell’ambi-to, 2.1).

Storici e biograi di tendenza senatoria

Tra Livio e Tacito fiorisce un ampio numero di storici, molti dei quali si dedica-rono alla trattazione degli avvenimenti contemporanei e delle guerre civili, ritenute a ragione la causa prima dei rivolgimenti istituzionali in atto. La storiografia era sta-ta, con l’oratoria, tradizionale appannaggio dei membri del senato: mentre l’oratoria, ormai svuotata del suo significato originario, era rapidamente degenerata in età au-gustea nelle forme ludiche e spettacolari delle declamationes, la storiografia continuò a restare la forma privilegiata di espressione della nobilitas. Non stupisce, dato il per-Nerone

DOCUMENTI eTESTIMONIANZE

1. 2

Una storiografia di opposizione

(12)

1.2Storici e biografi di tendenza senatoria

manente conflitto tra princeps e senato, che tale storiografia assuma presto un ruolo di dichiarata opposizione al principato, svolto peraltro in forme caute e limitato al-l’esaltazione nostalgica della libertas repubblicana e dei suoi rappresentanti più esem-plari (Cicerone, Catone Uticense, Bruto e Cassio). La reazione dei prìncipi si mani-festò tuttavia con notevole asprezza, come testimoniano gli episodi di Tito Labieno e di Cremuzio Cordo, le cui opere furono pubblicamente bruciate.

Di Labieno, storico e oratore di età augustea, si è già parlato nel volume precedente (cfr. 1.3). Suo padre era probabilmente quel Labieno che al tempo delle guerre civi-li si era schierato a favore di Pompeo contro Cesare. Il figcivi-lio si era fatta in età augu-stea fama di personaggio aggressivo e animoso, tanto da meritarsi l’appellativo di Ra-bienus. Egli stesso doveva essere tuttavia consapevole dei limiti imposti dal principa-to alla libertà di parola: era infatti soliprincipa-to leggere pubblicamente la sua opera sprincipa-torica omettendone quelle parti che, diceva con tono provocatorio, si sarebbero potute co-noscere solo post mortem.

Nel 12 d.C. i suoi libri furono bruciati per intervento del princeps: res nova et inu-sitata, come ebbe a commentare Seneca Padre (Contr. X, praef. 5), il nostro maggior testimone dei fatti. Labieno, che aveva più volte condannato la svolta istituzionale di Augusto in nome della libertas, preferì rinchiudersi nella tomba di famiglia e lasciarsi morire.

Una sorte analoga doveva toccare tredici anni dopo a uno dei più illustri rappre-sentanti del senato, lo storico Cremuzio Cordo, accusato di lesa maestà da due clien-ti di Elio Seiano.

Cordo era autore di Annales, nei quali aveva esaltato le figure di Bruto e di Cas-sio, definito «l’ultimo dei Romani». L’opera venne ufficialmente messa al rogo; Cor-do si lasciò morire di fame, creanCor-do con il suo gesto il mito di una figura nobile e se-vera che sprezza la vita per difendere la propria dignità: il suo ricordo «vive e vivrà – scrisse Seneca filosofo negli anni del principato di Caligola – finché avrà qualche importanza conoscere il mondo romano, finché ci sarà qualcuno che vorrà rifarsi al-le imprese degli antichi, e sapere che cosa sia un vero Romano, un uomo fiero, men-tre tutti piegavano il collo e lo porgevano al giogo di Seiano, un uomo libero di spi-rito, d’animo e di mano» (Consolatio ad Marciam 1, 3).

Gli Annales furono tuttavia messi in salvo e fatti circolare clandestinamente, per essere di nuovo pubblicati, non sappiamo se in forma integrale o sottoposti a censu-ra, durante il principato di Caligola. Dell’opecensu-ra, alla quale si ispirò Tacito, ci è giun-to un frammengiun-to di giun-tono drammatico e patetico sulla morte di Cicerone.

Meno evidenti sono gli aspetti politici dell’opera di Fenestella, storico e poeta vis-suto negli anni del principato di Augusto e di Tiberio. Compose almeno 22 libri di Annales, intrecciando al racconto dei fatti storici notizie erudite di carattere lingui-stico, letterario e antiquario. Dipese anche da questo la vasta diffusione dell’opera, che fu più tardi compendiata in un’epitome, anch’essa perduta. Dei suoi Annali re-stano trenta frammenti.

Si è già parlato (cfr. vol. II, 1.8) di Seneca Padre, autore di una fortunata opera sul-l’oratoria dei declamatori (Oratorum et rhetorum sententiae divisiones colores). Seneca fu anche storico, autore di una storia di Roma ab initio bellorum civilium, nella quale partiva dall’episodio dei Gracchi per giungere fino alla morte di Tiberio. Seneca ve-deva nel passaggio dalla repubblica al principato l’inizio di un’ineluttabile decadenza. In uno dei due frammenti dell’opera che ci sono pervenuti, e che doveva appartenere Tito Labieno

Cremuzio Cordo

Fenestella

(13)

1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

al proemio, l’autore attingeva alla tradizionale concezione organicistica della storia dei popoli, paragonata al ciclo vitale di un singolo individuo. La storia romana veniva di-stinta in cinque età: il regno di Romolo (l’infanzia); gli altri re (puerizia); la ribellio-ne e il periodo protorepubblicano (adolescenza); l’epoca gloriosa della repubblica fi-no alle guerre civili (maturità); dalle guerre civili fifi-no alla formazione del principato (vecchiaia), quando, incapace di reggersi da sola, Roma aveva sentito la necessità di appoggiarsi ad un princeps. A Seneca il corso degli avvenimenti appariva dunque fa-tale e irrimediabile; ma la decadenza istituzionale e civile era ai suoi occhi la conse-guenza di un infiacchimento morale: dalla decadenza dei costumi era derivata la ro-vina politica di Roma. Seneca era consapevole del nuovo clima di censura e di autori-tarismo, al quale si era adattato come al minore dei mali: per timore di un intervento repressivo, decise di non pubblicare l’opera, che apparve solo dopo la sua morte.

Alla storiografia d’opposizione appartengono anche le storie di Servilio Noniano, personaggio influente dell’aristocrazia senatoria, celebrato dai contemporanei per l’ingegno e la dignità dei costumi. Il poeta satirico Persio «lo amò come un padre», secondo l’indicazione della Vita Persi di Probo (cfr. 2.6.1): doveva dunque essere le-gato, come Persio, all’ambiente della filosofia stoica. Fu console nel 35; morì nel 59. Quintiliano (Inst. or. X, 1, 102) lo definisce «uomo di chiaro ingegno e concettoso, ma meno sobrio di quanto non richieda l’austerità della storia».

Più positivo il giudizio che nello stesso passo Quintiliano riserva ad Aufidio Basso, vir optimus secondo la definizione di Seneca (Ep. ad Luc. 30, 1), seguace della filoso-fia epicurea, morto in tarda età durante il principato di Nerone. Aufidio Basso narrò in uno stile concisamente sallustiano la storia contemporanea, prendendo le mosse dal-l’epoca di Cesare: così almeno sembrerebbe, dal momento che ci è stato tramandato un frammento relativo alla morte di Cicerone. L’opera doveva concludersi verosimil-mente all’epoca del principato di Claudio. Trattò in particolare delle guerre germani-che (Bella Germaniae) condotte da Druso, Tiberio e Germanico, non sappiamo se in un’opera monografica a parte o all’interno delle medesime Historiae. Tacito, che lo lo-da nel Dialogus de oratoribus (cap. 23), lo consultò spesso per i suoi Annales.

Notevole rilievo acquista nel corso del I secolo d.C. la biografia elogiativa, legata originariamente all’uso della laudatio funebris, e che assume ora, nell’ambiente sena-torio d’opposizione, una evidente coloritura politica. Appartiene a questo filone la vita di Catone Uticense scritta da Trasea Peto, perduta come tutte le altre di cui sia-mo a conoscenza. Per aver dedicato due biografie rispettivamente a Trasea Peto e ad Elvidio Prisco, entrambi vittime della repressione imperiale, furono mandati a mor-te in età domizianea Aruleno Rustico ed Erennio Senecione (cfr. 6.1), a riprova del significato politico che tali vite rivestivano. A questo indirizzo va ricondotto, ben-ché soltanto in parte, l’Agricola di Tacito (cfr. 11.3).

Le Historiae di Velleio Patercolo

Nessuna delle opere di tendenza senatoria del I secolo ci è pervenuta; restano in-vece, anche se non in forma integrale, le Historiae propagandistiche di Velleio Pater-colo, significativamente un homo novus, nelle quali il principato di Tiberio viene esal-tato come una nuova età dell’oro.

Gaio Velleio Patercolo era nato negli ultimi decenni del I secolo a.C. da una fa-Servilio Noniano

Aufidio Basso

Biografie

1. 3

(14)

1.3Le Historiae di Velleio Patercolo

miglia originaria della Campania. Come il padre e il nonno, sceglie la carriera mili-tare, prestando inizialmente servizio con il grado di tribuno in Tracia e in Macedo-nia. Fra l’1 e il 4 d.C. accompagna in Grecia e in Oriente Gaio Cesare, nipote e figlio adottivo di Augusto. Dal 4 al 12 segue Tiberio nelle campagne di Germania, Pan-nonia e Dalmazia, dapprima con il titolo di praefectus equitum, in seguito con quel-lo di legatus Augusti. Non appena eletto imperatore, nel 14 d.C., Tiberio gli conferi-sce la pretura per l’anno successivo. È ancora vivo nel 30, quando dedica la sua ope-ra storica all’amico Marco Vinicio (anch’egli una creatuope-ra politica di Tiberio), in oc-casione del suo consolato.

Le Historiae ad Marcum Vinicium (ma il titolo originale è sconosciuto) sono il pri-mo compendio di storia universale in lingua latina che ci sia pervenuto. Narrano, in due libri, gli eventi storici più salienti dalla mitica guerra troiana fino all’età di Tibe-rio. Il I libro, che ci è giunto gravemente mutilo nella parte iniziale e in quella centra-le, giunge fino al 146, l’anno della distruzione di Cartagine e di Corinto, che Velleio (sulla scia di altri storici precedenti) identifica con l’avvio della decadenza morale in Roma; il II libro prosegue fino all’età contemporanea, concentrandosi sulle figure pro-digiose di Cesare, Ottaviano Augusto e Tiberio, ritenuti i salvatori e i custodi della res publica. La qualifica di «storia universale» è autorizzata dai frettolosi e disorganici accenni iniziali alle civiltà antiche (Fenici, Medi, Assiri) e al mondo greco.

Diversamente da Livio, che nella prefazione alle sue Storie confessa apertamente di essere attratto più dal glorioso ed eroico passato di Roma che dal suo triste e cor-rotto presente, Velleio liquida sbrigativamente le età più lontane, verso le quali ma-nifesta un tiepido interesse. Tale scelta non può essere esclusivamente ricondotta al canone della brevità e della concisione, a cui pure lo storico accenna più volte nel cor-so della trattazione, ma a una precisa scelta ideologica e politica, che implica l’esalta-zione del presente e dei mutamenti politico-istituzionali recentemente occorsi.

L’intera storia del mondo disegnata sommariamente da Velleio sembra correre pre-cipitosamente verso un unico traguardo: l’affermazione della felicità presente, assicu-rata prima da Ottaviano Augusto, l’uomo che ha salvato ad Azio il destino del mon-do civile, poi da Tiberio, con il quale si può dire ormai iniziata una nuova età dell’oro.

Velleio è un funzionario devoto all’impero, un soldato che ha combattuto alle frontiere e ha servito con zelo e lealtà il suo generale. Dall’anonimità del suo raccon-to sraccon-torico, gli unici episodi che emergono con vivacità sono quelli di cui è staraccon-to per-sonalmente testimone, e di cui va giustamente orgoglioso. Sa di dover tutto a Tibe-rio; e sa che il principato sta mutando il corso della storia, favorendo l’ascesa di nuo-vi ceti sociali fino ad allora emarginati dalla gestione del potere.

L’encomio del prefetto del pretorio Elio Seiano [T1], non ancora caduto in di-sgrazia presso Tiberio, non rivela solo uno zelo eccessivo nel voler compiacere chi co-manda ma anche un deliberato programma politico: da Cesare ad Ottaviano a Ti-berio, i prìncipi dimostrano di preferire forze nuove ed emergenti, spesso provenienti dai municipi italici e dalle province, ai tradizionali rappresentanti delle grande fa-miglie senatorie romane. Seiano, come nel suo piccolo lo stesso Velleio (e come lo stesso dedicatario dell’opera, Marco Vinicio), è uno di questi uomini nuovi che è giun-to al culmine del potere grazie alla volontà del principe e non al prestigio familiare.

La storia di Velleio è una storia di grandi personaggi. Gli eventi, generalmente, vengono appena accennati, quasi costituissero soltanto un fondale da cui far emer-gere le singole figure. Anche in Livio gli individui giganteggiano: ma epicamente. In L’opera Scarso interesse per il passato L’esaltazione del presente Un funzionario devoto all’impero Elogio dei novi homines Verso il panegirico o l’exemplum morale

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1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

Velleio prevale ora l’intento encomiastico, ora l’exemplum inquadrato, come accadrà di lì a poco nell’opera di Valerio Massimo, in uno schema retorico e morale.

L’aspetto più originale del libro è sicuramente la presenza, nel corso della narra-zione, di excursus letterari: non era mai accaduto, fin allora, che uno scrittore latino sentisse l’esigenza di legare la storia politica a quella culturale. Velleio lo fa in modo sistematico e continuo, affrontando di scorcio anche un tema che avrebbe goduto di vasta fortuna nel corso del secolo: la decadenza dell’oratoria (I, 16-18). Come nella vita di ogni essere animato, sostiene lo storico, la storia di un genere letterario è ine-vitabilmente destinata a raggiungere un culmine e a decadere: «è naturale che giun-ga a perfezione ciò che è stato coltivato con grande impegno; è difficile che perduri uno stato di perfezione, e per natura ciò che non può perfezionarsi regredisce» (I, 17, 6). Non il mutamento politico-istituzionale, dunque, ma l’impossibilità di resta-re al culmine della perfezione raggiunta è la causa dell’inaridimento dell’eloquenza, secondo uno schema interpretativo ricavato dalla storia naturale a cui faceva ricorso, negli stessi anni, anche Seneca Padre (cfr. 1.2).

Lo stile narrativo delle Historiae non è omogeneo: in alcuni passi prevale la fret-ta; in altri il linguaggio si fa più elevato e più forte l’impegno retorico. La ricerca di concettosità, la predilezione per i procedimenti antitetici, l’andamento desultorio e irregolare dello stile, l’uso di schemi retorici tipici delle scuole di declamazione sono i segni del nuovo gusto ormai predominante nella prima età imperiale.

I Factorum et dictorum memorabilium libri

di Valerio Massimo

Di Valerio Massimo possediamo scarse notizie, tutte desunte dalla sua opera, i Fac-torum et dicFac-torum memorabilium libri novem («Fatti e detti memorabili») compo-sti in età tiberiana. Di modeste condizioni, si pose sotto la protezione di Sesto Pom-peo, autorevole personaggio della corte imperiale, proconsole nella provincia d’Asia nel 27. Secondo un uso ellenizzante già diffuso in Roma dai tempi di Ennio, Valerio Massimo accompagnò il suo protettore in Asia Minore, avendo modo durante il viag-gio di visitare la città di Atene.

L’opera, dedicata a Tiberio, fu certamente pubblicata dopo il 31, anno in cui fu condannato a morte Elio Seiano, il potente ministro del principe. A Seiano si allu-de, infatti, nella parte conclusiva dell’ultimo libro, fra gli esempi di facta scelerata, in un capitolo che ha tutta l’aria di essere stato aggiunto a lavoro compiuto, forse nel-l’imminenza della pubblicazione [T1 ]. Qui, come in altri passi, e in particola-re nella dedica pparticola-remessa all’opera [T2], Tiberio viene esaltato come auctor ac tutela

nostrae incolumitatis, cioè «il supremo difensore della nostra incolumità, colui che ha salvato la pace del mondo» (IX, 11, ext. 4).

Divisa in nove libri, di cui il primo giunto mutilo (ma è probabile ne esistesse un decimo non pervenuto), destinata prevalentemente alle scuole di retorica, l’opera appare come un vasto repertorio di exempla «memorabili», una sorta di rassegna di vizi e di virtù, illustrati attraverso personaggi ed episodi della storia romana e stra-niera [T2]. Gli oratori erano spesso soliti sostenere le loro argomentazioni con esem-pi storici convincenti, e nelle scuole di retorica venivano approntati dei repertori fa-cilmente sfruttabili in tutte le occasioni. L’opera di Valerio Massimo doveva venire La vita Gli excursus letterari Lo stile

1. 4

L’opera TESTI Destinazione e ordinamento del-l’opera

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1.5Le Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo

incontro a tale esigenza: ogni libro comprendeva infatti una serie di rubriche orga-nizzate a loro volta in brevi paragrafi e divise generalmente in due sezioni, una de-dicata agli esempi romani (exempla domestica), l’altra agli esempi stranieri (exempla externa). Manca completamente ogni tentativo di ordinamento cronologico dei fat-ti; la storia si frantuma in una serie di aneddoti disseminati in 94 rubriche di carat-tere morale: sulla mitezza, sulla clemenza, sulla crudeltà, sulla fedeltà, sulla pudici-zia, sulla felicità, sulla riconoscenza, sull’ingratitudine [T3], ecc. Il passaggio da un episodio all’altro è spesso estrinseco: quello che conta è la dimostrazione, l’incasel-lamento dell’episodio nella sua rubrica, spesso preceduto o concluso da una senten-za, da una riflessione, da un commento morale che lo incornicia e lo rende esem-plare.

Valerio Massimo non è propriamente uno storico: storici sono soltanto i materia-li di base che utimateria-lizza. Il suo intento è modesto, come onestamente dichiara nell’in-troduzione [T2]: raccogliere esempi memorabili sparsi in opere di grandi autori, spes-so difficilmente consultabili. I valori morali a cui si adegua spes-sono quelli del mos ma-iorum, riletti in modo acritico ed enfatico alla luce di momenti paradigmatici della storia universale. Le vicende romane, che occupano lo spazio maggiore dell’opera (636 exempla contro 320), si riducono a un ampio repertorio di fatti ormai destitui-ti della loro valenza storiografica: il compito di Valerio è semplicemente quello di or-dinarli e di classificarli in rubriche ad uso dei lettori, e in particolare dei retori, che potevano così contare su un ampio prontuario di aneddoti da utilizzare nei loro di-scorsi.

Lo stile, spesso riccamente elaborato e segnato da capricciose diseguaglianze, ri-vela la sua derivazione scolastica e retorica: ricerca di forme elaborate e spesso arti-ficiose, uso frequente di figure (parallelismi, esclamazioni, interrogazioni, antitesi, apostrofi, personificazioni, allegorie) e di un lessico prezioso che non disdegna neo-logismi e poetismi, con un gusto spiccato per giochi di parole e conclusioni ad ef-fetto.

Le Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo

Nulla, tranne il nome, conosciamo di Quinto Curzio Rufo, autore di un’opera in-titolata Historiae Alexandri Magni in dieci libri, giuntaci mutila dei primi due e del proemio. Altre lacune si trovano sparse nei libri successivi, in particolare tra la fine del V e l’inizio del VI libro e nella sezione del libro X dove si narravano i fatti appe-na precedenti la morte di Alessandro.

Sulla scorta di un passo dell’opera (X, 9, 3-6), peraltro variamente interpretato, si ritiene che l’autore abbia composto le Historiae nell’età di Caligola, portandole a clusione nei primi mesi del principato di Claudio. La datazione troverebbe una con-ferma nel dibattito sorto proprio in quel periodo intorno alla figura di Alessandro, proposto ufficialmente da Caligola come il più alto modello di sovrano, additato al contrario dagli esponenti del ceto senatorio come il massimo esempio di tirannide: questa, fra l’altro, era anche l’opinione di Seneca (cfr. T26 ONLINE).

All’epoca di Curzio Rufo la letteratura, storiografica o romanzata, su Alessan-dro era ormai cospicua. Lo stesso AlessanAlessan-dro, spinto dall’ardente desiderio di glo-ria e di immortalità, aveva dato incarico ad Eumene di Cardia e a Diodoto di Eri-Non è uno storico

Lo stile

1. 5

Gli «storici di Alessandro»

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1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

tre di raccogliere i diari delle sue imprese con il titolo di Effemeridi. In veste uffi-ciale fu al seguito della spedizione macedone in Oriente anche lo storico Calliste-ne di Olinto, autore delle celebri Gesta di Alessandro. Dopo l’improvvisa morte, la figura di Alessandro andò sempre più assumendo contorni favolosi, offrendo ma-teria a un gran numero di opere: la più nota fu quella di Clitarco, che narrava le ge-sta di Alessandro dall’ascesa al trono fino alla scomparsa. Tensione drammatica, concitazione patetica, sovrabbondanza retorica, sottolineatura degli elementi eso-tici e avventurosi caratterizzò questo filone di narrazioni sostanzialmente fanta-stiche. Più seri e documentati furono invece i resoconti prodotti dai generali di Alessandro, fra cui Aristobùlo e Tolomeo, quest’ultimo citato, insieme a Clitarco, nell’opera di Curzio Rufo.

Di certo su Alessandro si intrecciava ormai, in età imperiale, una rete a tal punto fitta di narrazioni e di aneddoti, che la sua figura aveva ormai ampiamente trapassa-to la sfera strapassa-toriografica per sconfinare in quella del romanzo e per alimentare con do-vizia di exempla le esercitazioni delle scuole di retorica (in Valerio Massimo, signifi-cativamente, Alessandro è presente nelle rubriche «amicizia», «ira», «clemenza», «superbia» e «brama di gloria»). Ed è proprio di questa vasta, molteplice e con-traddittoria tradizione che appaiono nutrite le Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo.

L’opera narra la vita e le imprese di Alessandro Magno dall’ascesa al trono (336 a.C.) fino alla morte (323 a.C.). Stante la dispersione dei primi due libri, il racconto ha per noi inizio nella primavera del 333: Alessandro ha già da tempo abbandonato la Macedonia e si appresta all’immane scontro con l’imperatore persiano Dario, che viene gravemente sconfitto ad Isso ed è costretto alla fuga, mentre i familiari cadono prigionieri dei Macedoni (libro III). Alessandro espugna con una battaglia navale Tiro, assediata per sette mesi, e s’inoltra in terra d’Egitto, facendo tappa all’oasi di Giove Ammone, dove i sacerdoti si affrettano a riconoscerne l’origine divina [T4]. Dopo aver fondato Alessandria, si reca di nuovo in Mesopotamia (libro IV). Ri-prende la marcia inarrestabile dell’esercito macedone attraverso Babilonia, Susa, Per-sepoli ed Ecbàtana; Dario cade vittima di una cospirazione guidata da Besso, satra-po della Battriana (libro V). Mentre satra-pone fine alle ultime resistenze persiane, Ales-sandro deve reprimere una congiura interna. Cresce il malcontento di quanti biasi-mano il progressivo abbandono dei costumi macedoni e vorrebbero ritornare in pa-tria (libri VI-VII). Alessandro, durante un convito, uccide l’amico Clito, che aveva osato parlargli con temeraria franchezza. In un’altra occasione, pretende che i suoi uomini si genuflettano come dinanzi a un dio. Dopo aver sconfitto il satrapo Os-siarte, si invaghisce della figlia Rossane e decide immediatamente di sposarla. Re-pressa nel sangue una nuova congiura, marcia verso la favolosa India, dove sottomette i prìncipi locali (libro VIII). Nuove conquiste e nuove fondazioni. Anche i soldati si ribellano, e obbligano Alessandro a tornare indietro: il re riesce a convincerli a pro-cedere fino all’Oceano, sulle cui rive un’improvvisa marea decima la spedizione. Il li-bro si chiude sull’immagine dell’esercito di Alessandro trasformato in corteo bac-chico (libro IX). Aumentano le stravaganze, le collere brutali, le crudeltà; la sua ar-mata non ha ormai più nulla dell’aspetto originario; Alessandro rientra infine in Ba-bilonia, dove improvvisamente si ammala e muore. Si apre la lotta per la successione. Il corpo di Alessandro, imbalsamato, viene condotto a Menfi e infine ad Alessandria (libro X).

Il contenuto del-l’opera

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1.5Le Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo

Con l’opera di Curzio Rufo la storiografia latina fa il suo ingresso nei territori fi-no ad ora poco esplorati del romanzo esotico e avventuroso. Protagonista fi-non è più il popolo romano o uno dei suoi rappresentanti ma un eroe macedone che si inoltra gradualmente nelle regioni ignote di un mondo barbaro e remoto, completamente diverso da quello noto agli occidentali. Curzio Rufo sa appagare la curiosità dei let-tori senza cadere nel gusto sfrenato dei mirabilia, conservando almeno nelle inten-zioni il distacco e l’imparzialità dello storico che valuta le proprie fonti: in un passo del libro IX (5, 21), ad esempio, denuncia «la credulità di quelli che compilavano le antiche storie»; in un altro (IX, 1, 34), dichiara di trascrivere più cose di quante in realtà non ne creda (Equidem plura transcribo quam credo). D’altro canto è la mate-ria stessa, ricca di colpi di scena e di eventi mirabolanti, a richiedere nuovi equilibri narrativi rispetto alla tradizionale storiografia romana di argomento politico e na-zionale. Il racconto, sempre mosso e piacevole, ricco di excursus etno-geografici (di derivazione erodotea), di discorsi (sia diretti sia indiretti), di epistole, di accurate e pittoriche descrizioni di paesaggi, di vivaci ritratti umani, obbedisce al canone elle-nistico della varietà. Il modello prevalente è quello della storiografia mimetica e drammatica di età ellenistica, che si proponeva di suscitare nel lettore forti emozio-ni e un senso drammatico degli avveemozio-nimenti, da cui l’autore trae sovente spunti di ca-rattere moraleggiante sui destini degli uomini e sul potere della Fortuna.

Al centro degli avvenimenti campeggia la figura epico-romanzesca di Alessandro, straordinario nei vizi come nelle virtù, e dunque generoso e crudele, spietato e cle-mente, energico e insieme incapace di tenere a freno le proprie passioni. L’autore trac-cia verso la fine dell’opera una valutazione complessiva della sua figura (X, 5, 26-36), sottolineando quelle che ai suoi occhi appaiono le maggiori colpe di Alessandro: «eguagliarsi agli dèi e pretendere gli onori divini; prestar fede agli oracoli che sug-gerivano tali propositi e adirarsi, più di quanto era giusto, con quelli che rifiutavano di venerarlo; cambiare il suo costume per un abbigliamento straniero, imitare le usan-ze dei popoli vinti che, prima della vittoria, aveva disprezzato». Una valutazione che risente profondamente della mentalità romana, fondata sui concetti di modus e di identità nazionale, mentre in Alessandro prevalevano «la mescolanza, l’ibridamen-to, la trasgressione dei confini e la negazione del limite» (Centanni).

Lo stile di Curzio Rufo è nel complesso piano e scorrevole. La sintassi richiama da vicino quella di Livio, che è anche il modello dichiarato dei numerosi discorsi, par-ticolarmente elaborati sul piano retorico. Rispetto alla prosa di Livio, Curzio pre-senta tuttavia un ritmo più rapido e nervoso e una evidente propensione per frasi ad effetto, clausole ritmiche, formule sentenziose.

Le Historiae di Curzio Rufo andarono presto ad alimentare il fascinoso imma-ginario sul sovrano macedone, influenzando direttamente il Romanzo di Alessan-dro, un’opera in lingua greca composta fra il III e il IV secolo ed erroneamente at-tribuita allo storico ellenistico Callistene. Il Romanzo di Alessandro, di cui sono pervenute varie e complesse redazioni, circolò con grande fortuna sia in Oriente che in Occidente nei secoli del tardo impero e per tutta l’età medievale. Nel IV se-colo ne fu anche tratta una versione latina intitolata Historia Alexandri Magni, di cui fu autore Giulio Valerio Polemio. Dal Romanzo di Alessandro, dalla versione di Giulio Valerio e dalle Historiae di Curzio Rufo dipende la ricca fioritura me-dievale di romans antiques dedicati alla figura, ormai sempre più anacronistica e fa-volosa, di Alessandro. Lo stile La figura di Ales sandro Il romanzo di Ales sandro Fra storiografia e romanzo

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1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

Cultura e principato nell’età Giulio-Claudia

G. Boissier, L’opposizione sotto i Cesari, Milano 1937; • A. Passe-rini, Le coorti pretorie, Roma 1939; • M.A. Levi, Nerone e i suoi tempi, Milano 1949; • C. Wirszubski, Libertas. Il concetto politi-co di libertà a Roma tra Repubblica e Impero, Bari 1957; • A. Gar-zetti, L’impero da Tiberio agli Antonini, Bologna 1960; • O. Mur-ray, The Quinquennium Neronis and the Stoics, «Historia», 1963; • H. Bardon, Les empereurs et les lettres latines d’Auguste à Hadrien, Paris 1968; • P. A. Brunt, Stoicism and the Principate, «Papers of the British School at Rome», 1975; • J. M. André, La philosophie à Rome, Paris 1977; • J. P. Sullivan, Literature and Ideology in the Neronian Age, Ithaca-New York 1984; • P. V. Co-va, Lo stoico imperfetto, Napoli 1978; • M. Citroni, Produzione letteraria e forme del potere. Gli scrittori latini nel I secolo dell’im-pero, in AA.VV., Storia di Roma, II/3, Torino 1992, pp. 383-490; • I. Lana,Il principato di Nerone, in Storia della civiltà letteraria greca e latina, Torino 1998, vol. II, pp. 818-833; • M. Pani, La corte dei Cesari fra Augusto e Nerone, Roma-Bari 2003.

Storici minori

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Velleio Patercolo

C. Stegmann de Pritzwald, BT1933 (Stoccarda

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Studi

Edizioni critiche

Bibliografia

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Valerio Massimo

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Curzio Rufo

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Ales-sandro Magno, a cura di J. E. Atkinson, trad. di V. Antelami (vol. I) e T. Gargiulo (vol. II), Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori editore, Milano 1998-2000 (con ricca bibliografia e vasto apparato di note).

G. Baraldi, Zanichelli, Bologna 1955-1956; • A. Giacone, UTET, Torino 1977 (poi TEA, Milano 1989).

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Il processo e la morte di Cremuzio Cordo nei racconti di Seneca e di Tacito

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T1Elogio di Seiano, homo novus

Elogio di Seiano, homo novus

HistoriaeII, 127-128

Nell’encomio del princeps, fin dalla prima età imperiale, è previsto anche un ritratto elogiativo dei suoi più alti consiglieri. Elio Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio, era l’uomo più potente in Roma all’epoca in cui Velleio scrive: solo un anno dopo (31 d.C.), caduto in disgrazia, sarebbe stato condannato e ucciso.

Velleio introduce la figura di Seiano rammentando illustri precedenti: Gaio Lelio con l’Africano; Lelio

sapienscon l’Emiliano; Agrippa e Statilio Tauro con Ottaviano. Il confronto con i grandi esempi del pas-sato è un topos ricorrente della letteratura romana: ma qui sentiamo, come di lì a poco nei Fatti e detti me‐

morabilidi Valerio Massimo, che l’autore sta ubbidendo a un puro schema retorico, spinto innanzitutto dal piacere di incasellare ogni avvenimento all’interno di un repertorio di nomi e di gesta già preordinati. Sul piano storico-culturale, questo ritratto ci interessa non solo perché testimonia l’affermarsi di uno spirito adulatorio nella storiografia romana, ma anche perché segnala l’importanza che stanno acquisen-do nuovi ceti sociali all’interno della corte imperiale: Velleio trasforma infatti tutta la seconda parte del-l’elogio di Seiano in un elogio dell’homo novus, che diventerà un vero e proprio topos della letteratura pa-negiristica successiva.

[127, 1]Raro eminentes viri non magnis adiutoribus ad gubernandam fortunam suam usi sunt, ut duo Scipiones duobus Laeliis,1quos per omnia aequaverunt sibi, ut divus Au-gustus M. Agrippa et proxime ab eo Statilio Tauro,2quibus novitas familiae haut obsti-tit quominus ad multiplicis consulatus triumphosque et complura eveherentur sacerdo-tia. [2] Etenim magna negotia magnis adiutoribus egent interestque rei publicae quod usu necessarium est, dignitate eminere utilitatemque auctoritate muniri. [3] Sub his exemplis Ti. Caesar Seianum Aelium, principe equestris ordinis patre natum, materno vero genere clarissimas veteresque et insignes honoribus complexum familias, habentem consularis fratres, consobrinos, avunculum, ipsum vero laboris ac fidei capacissimum, sufficiente etiam vigori animi compage corporis, singularem principalium onerum

adiu-[127, 1]È cosa rara che i personaggi eminenti non ricorrano ad insigni collaboratori a tutela delle proprie sorti, come fecero i due Scipioni con i due Lelii,1ponendoli in tutto alla loro

pa-ri, e come fece il divo Augusto con Marco Agrippa e subito dopo con Statilio Tauro,2persone

alle quali la mancanza di tradizioni familiari non impedì di essere chiamate a molteplici conso-lati, a trionfi, a varie cariche sacerdotali. [2] I grandi impegni esigono infatti grandi coadiutori; ed è interesse dello stato che spicchi anche per dignità esteriore chi svolge compiti indispensa-bili, e che una posizione autorevole sia di presidio alla sua opera preziosa. [3] Seguendo questi esempi, Tiberio Cesare ebbe ed ha tuttora, come ineguagliabile aiutante delle funzioni impe-riali in ogni campo, Elio Seiano, nato da un eminente personaggio del ceto equestre, e per par-te di madre legato ad illustri e antiche famiglie insigni per cariche pubbliche, con frapar-telli, cugi-ni e uno zio materno di rango consolare, ricchissimo egli stesso di zelo e di lealtà, ed anche

do-1.Laeliis:Gaio Lelio, console nel 190, fu amico e confidente di Scipione Africano, il vincitore di Zama. Più noto il secondo Lelio, detto sapiens per il severo studio

della filosofia: della sua amicizia con Sci-pione Emiliano parla Cicerone in diversi luoghi, e in particolare nel trattato che porta il suo nome (Laelius de amicitia).

2.M. Agrippa... Statilio Tauro:Vipsanio Agrippa fu tra i grandi protagonisti ed esecutori della politica di Augusto: alla sua abilità strategica il futuro princeps

do-Velleio Patercolo

(21)

1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

torem in omnia habuit atque habet, [4] virum severitatis laetissimae, hilaritatis priscae, actu otiosis simillimum, nihil sibi vindicantem eoque adsequentem omnia, semperque infra aliorum aestimationes se metientem, vultu vitaque tranquillum, animo exsomnem. [128, 1]In huius virtutum aestimatione iam pridem iudicia civitatis cum iudiciis prin-cipis certant; neque novus hic mos senatus populique Romani est putandi, quod opti-mum sit, esse nobilissiopti-mum. Nam et illi qui ante bellum Punicum abhinc annos trecen-tos Ti. Coruncanium,3hominem novum, cum aliis omnibus honoribus tum pontifica-tu etiam maximo ad principale expontifica-tulere fastigium, et qui equestri loco napontifica-tum Sp. Carvi-lium et mox M. Catonem, [2] novum etiam Tusculo urbis inquilinum, Mummiumque Achaicum in consulatus, censuras et triumphos provexere, et qui C. Marium [3] igno-tae originis usque ad sextum consulatum sine dubitatione Romani nominis habuere principem, et qui M. Tullio tantum tribuere, ut paene adsentatione sua quibus vellet principatus conciliaret, quique nihil Asinio Pollioni negaverunt, quod nobilissimis sum-mo cum sudore consequendum foret, profecto hoc senserunt, in cuiuscumque anisum-mo virtus inesset, ei plurimum esse tribuendum. [4] Haec naturalis exempli imitatio ad ex-periendum Seianum Caesarem, ad iuvanda vero onera principis Seianum propulit sena-tumque et populum Romanum eo perduxit, ut, quod usu optimum intellegit, id in tu-telam securitatis suae libenter advocet.

tato di una complessione fisica rispondente al vigore dello spirito: [4] uomo di una serietà se-rena, di una giocondità d’altri tempi, simile nel gestire a persona estranea agli affari, alieno dal-l’avanzare pretese, e per questo capace di ottenere tutto, uso a giudicare se stesso al di sotto del-la stima tributatagli dagli altri, calmo nell’espressione del volto e neldel-la vita, insonne nell’animo. [128, 1]Già da tempo l’apprezzamento della cittadinanza per le virtù di Seiano procede di pa-ri passo con la stima che ne ha il ppa-rincipe; e non è cosa nuova per il senato ed il popolo romano considerare tanto più nobile un uomo, quanto più eccelle per le sue qualità. Infatti coloro che trecento anni fa, anteriormente alla prima guerra punica, innalzarono ai fastigi più alti Tito Ti-berio Coruncanio,3un uomo nuovo, non solo con tutte le cariche politiche, ma anche con il

pontificato massimo; coloro che elevarono al consolato, alla censura, ai trionfi Spurio Carvilio, di rango equestre, e poi Marco Catone, [2] anche lui uomo nuovo emigrato da Tusculo a Ro-ma, e Mummio Acaico; e coloro che fino al sesto consolato considerarono senza esitare Caio Mario, [3] uomo di bassi natali, come l’esponente più alto del nome romano; e coloro che tan-to creditan-to accordarono a Marco Tullio da far sì che egli quasi potesse, con il suo appoggio, pro-curare le più alte dignità a chi voleva; e coloro che ad Asinio Pollione nulla negarono di ciò che anche i più nobili avrebbero conseguito a prezzo di molti sforzi, tutti costoro pensarono che se nell’animo di qualsivoglia uomo c’è il merito, bisogna dargliene il più pieno riconoscimento. [4] La spontanea imitazione di questi esempi mosse Tiberio a mettere alla prova Seiano, mosse Se-iano ad alleviare il peso gravante sulle spalle del principe, e convinse il senato ed il popolo ro-mano a chiamare di buon grado alla difesa della propria sicurezza l’uomo che per esperienza ave-vano conosciuto come ottimo.

vette la vittoria di Azio (31 a.C.), alla quale contribuì anche Statilio Tauro co-mandando le forze di terra durante la battaglia.

3.Ti. Coruncanium:comincia la serie degli homines novi del passato: Tiberio

Coruncanio fu il primo plebeo ad essere nominato console (nel 280) e pontefice massimo (nel 254). Seguono personaggi assai noti della storia romana: Spurio Carvilio ebbe ragione dei Sanniti nel 293; Mummio sconfisse la lega Achea nel

146, e per questo fu detto Acaico; Mario è il grande generale che si impose durante la guerra giugurtina, vestendo per sei vol-te il consolato tra il 107 e il 100 a.C. Per Catone il Vecchio, Cicerone e Asinio Pollione si vedano i volumi precedenti.

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Seiano, come si è già detto, cade in disgrazia l’anno successivo alla pubblicazione dell’opera di Velleio, nel 31 d.C. I Fatti e detti memorabili di Valerio Massimo registrano con perfetta puntualità il mutamento d’opi-nione negli ambienti della corte: Seiano, a cui Valerio Massimo allude senza neppure fare il nome, diviene im-mediatamente un mostro efferato e crudele. Forse lo era davvero, ma lascia sgomenti la disinvoltura con la qua-le gli uomini di cultura romani si prestavano a scrivere quello che la corte imperiaqua-le desiderava qua-leggere. Val la pena di osservare che la vicenda di Seiano non solo viene subito trasformata in exemplum (introdotta nella se-zione dei facta scelerata) ma viene trattata secondo schemi puramente retorici, come testimonia lo stile enfa-tico e la digressione sui grandi lutti della storia patria: la conquista gallica di Roma nel 390 a.C. dopo la scon-fitta presso il fiumicello Allia, che aprì la strada agli uomini di Brenno; la strage dei trecento Fabii al Creme-ra (477 a.C.) duCreme-rante la guerCreme-ra contro gli Etruschi di Veio e Fidene; le disfatte al TCreme-rasimeno (217 a.C.) e a Can-ne (216 a.C.), seguite dall’orrenda morte dei due fratelli Publio e GCan-neo ScipioCan-ne in Spagna (212 a.C.) duran-te la seconda guerra punica; l’inevitabile riferimento (la crux indica una lacuna del duran-testo) alle guerre civili. La cronaca politica, ormai, non viene neppure discussa: diviene subito materia per declamationes scolastiche.

Rispetto allo sdegno esclamativo e retorico di Valerio Massimo, la pagina di Tacito su Seiano (modellata sul ritratto sallustiano di Catilina) risulta potente, sinistra e drammatica. Qui non sono tanto i calcoli insi-nuanti di un uomo ambizioso e immorale ad emergere, quanto la degenerazione del sistema politico: Seiano non è un mostro, una figura patologica, ma un uomo omogeneo a un sistema fondato sulla dittatura e sul so-spetto. In Velleio e in Valerio Massimo prevale il conformismo; in Tacito l’intelligenza morale e la passione li-bertaria.

Sugli effetti provocati dalla caduta di Seiano, si leggano anche i potenti e bellissimi versi contenuti nella sa-tira X (vv. 56-107) di Giovenale.

Ma a che insistere su questi fatti o perché indugiarvi, quando vedo che tutti i delitti sono stati supe-rati in gravità dalla premeditazione di un solo parricidio? A bollarlo sono indotto, dunque, con ogni impeto dell’animo e con ogni sdegno, da un sentimento di pietà più che d’ira. Chi, infatti, estintasi la lealtà dell’amicizia, potrebbe con espressioni adeguate gettare nell’abisso della dovuta esecrazione chi ha tentato di seppellire in cruente tenebre il genere umano? Tu, certamente reso più tracotante e cru-dele dall’efferatezza della barbarie, hai potuto prendere le briglie dell’impero romano, tenute nella sua salutare destra dal nostro principe e padre? O il mondo sarebbe rimasto in piedi, se tu avessi attuato il tuo folle progetto? Con i pazzi propositi della tua insania avresti voluto resuscitare e superare la presa di Roma da parte dei Galli e la strage dei trecento dell’inclita famiglia presso il Crèmera lordo del loro sangue e la giornata dell’Allia e l’eccidio degli Scipioni in Ispagna e il lago Trasimeno e Canne e † stil-lanti del sangue delle guerre civili. Ma furono ben svegli gli occhi degli dèi, le stelle conservarono il lo-ro potere, gli altari, i pulvinari, i templi fulo-rono plo-rotetti dalla presenza dei numi e nessuna divinità di quelle che avrebbero dovuto vegliare a difesa dell’augusta persona del principe e della patria si lasciò ad-dormentare; e, più degli altri, il supremo difensore della nostra incolumità provvide a che i suoi eccel-lentissimi meriti non rovinassero in una con la distruzione totale del mondo. Così la pace trionfa sicu-ra, vigono le leggi, viene integralmente rispettata la continuità dei doveri privati e pubblici. Chi, vio-lando le leggi dell’amicizia, tentò di sovvertire questo stato di cose, calpestato con tutta la sua stirpe dal-le forze del popolo romano, sconta anche presso gli inferi, se pure vi è stato ricevuto, dal-le pene che ha me-ritato.

[Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili IX, 11, Ext. 4, trad. di R. Faranda, UTET, Torino 1971]

Nato a Vulsinio da Seio Strabone, cavaliere romano, dopo essere stato nella prima gioventù al ségui-to di Gaio Cesare, nipote del divo Augusségui-to, non senza sospetségui-to di essersi prostituiségui-to per denaro al ric-co e prodigo Apicio, ric-con vari acric-corgimenti s’impose poi talmente a Tiberio, da renderlo nei suoi riguardi fiducioso e aperto, mentre agli altri era impenetrabile (adeo ut obscurum adversum alios sibi uni

incau-T1Elogio di Seiano, homo novus

[a] [a]

[b]

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1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

tum intectumque efficeret); e vi riuscì non tanto per abilità propria (infatti fu poi vinto colle sue medesi-me arti), quanto per ira degli dèi contro Roma, a cui la sua prosperità e la sua caduta furono parimedesi-menti funeste. Ebbe corpo robusto, animo audace; dissimulatore per sé, abile nell’infamare altri; adulatore in-sieme e orgoglioso; nelle apparenze esteriori modesto, nell’intimo sfrenatamente avido di potere, per ot-tenerlo ostentava talora una fastosa larghezza, più spesso attività e vigilanza: che non sono meno dan-nose di quella, allorché si adoperano per conquistare il potere.

Alla prefettura del pretorio, che prima aveva importanza limitata, egli accrebbe autorità col riunire in un campo unico le coorti distribuite qua e là per Roma, in modo che ricevessero gli ordini tutte in-sieme, e col loro numero e colla forza e colla vista reciproca inspirassero a sé fiducia e agli altri timore. Egli adduceva come pretesto che i soldati non tenuti sotto gli occhi diventano sfrenati; che, se capita un improvviso pericolo, tutti insieme possono fronteggiarlo meglio; e che se il loro campo fosse collocato a distanza dalle attrattive della città, la disciplina sarebbe stata più rigorosa. Quando l’accampamento fu terminato, incominciò ad insinuarsi pian piano nell’animo dei soldati, avvicinandoli, chiamandoli a no-me, e a scegliere personalmente i centurioni ed i tribuni. Né si asteneva dal circuire i senatori, per otte-nere a favore dei suoi protetti cariche o governi provinciali; e Tiberio lo assecondava, con tanta acquie-scenza da proclamarlo associato alle proprie fatiche non solo in conversazioni private, ma davanti al se-nato e al popolo, e da tollerare che statue di lui venissero onorate nei teatri e nelle piazze e persino nei quartieri generali delle legioni.

[Tacito, Annali IV, 1-2, a cura di A. Arici, cit.]

Gemma dinastica detta «Gran-de Cammeo di Francia»: al cen-tro l’imperatore Tiberio come Giove; accanto a lui la madre Livia e altri membri della fami-glia Giulio-Claudia (I sec. d.C.). Parigi, Bibliothèque Nationale.

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T2Ragioni dell’opera e dedica a Tiberio

I fatti e, insieme, i detti memorabili dei Romani e dei popoli stranieri, che altri scrittori tratta-rono in maniera troppo estesa perché potessero essere rapidamente conosciuti, volli trasceglie-re dagli autori illustri e disportrasceglie-re ordinatamente,1per evitare, a chi volesse compulsare tali

fon-ti, la fatica di una lunga ricerca. Né mi sono fatto prendere dalla bramosia di abbracciare tutti i fatti: in realtà chi potrebbe mai condensare in pochi rotoli2le imprese di ogni tempo o chi, in

senno, oserebbe sperare di riferire la serie delle imprese patrie o straniere, descritte in uno stile affascinante, con maggior cura o con felicità di espressione superiore a quella dei classici? Te, dunque, o Cesare, nelle cui mani il consenso degli uomini e degli dèi volle che fosse riposta la suprema direzione del mare e della terra, sicuro presidio della patria, chiamo a sostegno di que-sta mia opera; te, dalla cui divina preveggenza sono incoraggiate le virtù che saranno materia del mio libro e ben severamente puniti i vizi: ché, se gli antichi oratori ben cominciarono da Giove Ottimo Massimo, se i poeti illustri presero le mosse da qualche nume, tanto più

giusta-1.electa... digerere:sono qui espresse le due fasi del lavoro di Valerio Massimo: eligere, cioè trascegliere i passi dai vari autori letti; digerere, cioè esporli in uno schema ordinato, raggruppandoli sotto

varie rubriche.

2.modico... numero:i rotoli di perga-mena non potevano contenere testi molto lunghi. Si ricordi il famoso disti-co di Marziale (XIV, 190): Pellibus

exi-guis artatur Livius ingens/ quem mea non totum bibliotheca capit («In poche pergamene è condensato l’immenso Li-vio, che la mia biblioteca non riesce a contenere per intero»).

Ragioni dell’opera e dedica a Tiberio

Factorum et dictorum memorabilium libri, praef.

Nell’esordio della sua opera, Valerio Massimo dichiara con modestia e onestà i limiti e gli scopi del suo lavoro: costituire un ricco repertorio di fatti e di detti memorabili, in modo da alleviare il compito di una lunga e faticosa ricerca a coloro che ne avessero bisogno (retori, conferenzieri, oratori). Il fine moralistico degli exempla raccolti (esortare alle virtutes, censurare i vitia) viene abilmente collegato alla figura del prin-cipe, il vecchio Tiberio, enfaticamente invocato (sul modello delle protasi epiche, nelle quali il poeta si ap-pellava alle Muse o a una divinità) come un nume in terra, reggitore del mondo, salus patriae, garante del-la moralità pubblica e privata.

Urbis Romae exterarumque gentium facta simul ac dicta memoratu digna, quae apud alios latius diffusa sunt quam ut breviter cognosci possint, ab inlustribus electa auctori-bus digerere1constitui, ut documenta sumere volentibus longae inquisitionis labor ab-sit. Nec mihi cuncta conplectendi cupido incessit: quis enim omnis aevi gesta modico voluminum numero2conprehenderit, aut quis compos mentis domesticae peregrinae-que historiae seriem felici superiorum stilo conditam vel adtentiore cura vel praestan-tiore facundia traditurum se speraverit? Te igitur huic coepto, penes quem hominum deorumque consensus maris ac terrae regimen esse voluit, certissima salus patriae, Cae-sar, invoco, cuius caelesti providentia virtutes, de quibus dicturus sum, benignissime fo-ventur, vitia severissime vindicantur; nam si prisci oratores ab Iove optimo maximo be-ne orsi sunt, si excellentissimi vates a numibe-ne aliquo principia traxerunt, mea parvitas eo

Valerio Massimo

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1.Storia e storiografia dell’età giulio-claudia

iustius ad favorem tuum decucurrerit, quo cetera divinitas opinione colligitur, tua prae-senti fide paterno avitoque sideri3par videtur, quorum eximio fulgore multum caeri-moniis nostris inclitae claritatis accessit: reliquos enim deos accepimus, Caesares dedi-mus. Et quoniam initium a cultu deorum petere in animo est, de condicione eius sum-matim disseram.

mente la mia modesta persona correrà a mettersi sotto la tua protezione, quanto le altre divini-tà sono immaginate solo col pensiero, mentre la tua, per attuale testimonianza, sembra pari al-l’astro del padre e dell’avo,3per il cui eccezionale splendore molta luce di gloria si è aggiunta

al-le nostre cerimonie: gli altri dèi li abbiamo accettati da altri, i Cesari li creiamo noi. E poiché ho in animo di prender le mosse dal culto divino, tratterò sommariamente delle norme che lo re-golano.

3. paterno... sideri:allusione ad

Otta-viano Augusto e a Giulio Cesare, en- trambi divinizzati e assunti in cielo co-me astri. Si veda anche Virgilio, Aen. VIII, 681 (vol. II,

T31).

Clamoroso esempio di ingratitudine

Factorum et dictorum memorabilium libriV, 3, 4

Dopo aver affrontato il tema della clemenza, il quinto libro dei Facta et dicta memorabilia prosegue con due rubriche di tema fra loro opposto, la prima dedicata alla riconoscenza, la seconda all’ingratitudine. Tra gli esempi di ingratitudine tratti dalla storia romana, risalta il famoso episodio della morte di Cicerone, già magistralmente narrato da Livio.

A Valerio Massimo non interessano gli aspetti politici dell’episodio. La sua attenzione è esclusivamen-te concentrata sul valore esemplare dell’aneddoto: per questo senesclusivamen-te la necessità di chiarire che Popilio era

T3

A sinistra, la cosiddetta «Spada di Tiberio»; sopra, parti-colare della decorazione del fodero: Germanico offre la Vittoria a Tiberio, seduto in trono come Giove. Accanto, Marte Ultore e la Vittoria di Augusto. Dopo il 16 d.C. Londra, British Museum.

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