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Tra sacro e profano: l'iconografia della cortigiana nel Rinascimento veneziano

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO

SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

Tra sacro e profano:

l’iconografia della cortigiana nel Rinascimento veneziano

IL RELATORE

IL CANDIDATO

Professor Vincenzo Farinella

Maria Chiara Troia

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i

INDICE

Introduzione ... I

I. Un viaggio nelle origini della cortigiana rinascimentale ... 1

1. La cortigiana una donna libera e indipendente ... 1

2. L’origine etimologica del vocabolo “cortigiana” ... 4

3. L’avvio alla professione della cortigiana ... 7

4. La dimensione quotidiana della cortigiana onesta ... 8

II. L’immagine letteraria della cortigiana ... 13

1. La cortigiana come soggetto letterario: l’educazione venale e l’arte dell’inganno ... 14

2. La cortigiana come “puttana rispettabile” ... 16

III. Le cortigiane poetesse: Veronica Franco e Gaspara Stampa ... 23

1. LE RIME DI VERONICA FRANCO: …quanto di grazioso e di gentile esprime in me di parlar vostro il suono ... 24

2. L’AMARA E DOLCE POESIA DI GASPARA STAMPA: …udranno i gridi miei Amore o Morte ... 33

IV. Gli attributi iconografici delle cortigiane ... 43

1. La cortigiana di “nobili vesti” ed emblema di Vanitas ... 43

2. La cortigiana in concerto: la seducente arte della musica ... 50

3. Lo splendore della cortigiana veneziana ... 55

4. L’intimo sguardo della cortigiana nei ritratti di Tintoretto, Palma il Vecchio e Paris Bordon ... 61

5. La vita pubblica della cortigiana: confronti con possibili fonti visive dell’epoca ... 68

V. La cortigiana “idealizzata” nelle vesti di Venere, Diana e Flora... 76

1. La cortigiana come dea della caccia ... 76

2. La cortigiana: dea dell’amore ... 84

3. La cortigiana come Flora meretrix ... 93

VI. I miti di Danae e Leda: i più adatti al ruolo della cortigiana ... 98

1. Il mito di Danae: L’alter ego delle cortigiane ... 98

2. Il mito di Leda: La cortigiane nel suo boudoir ... 105

Conclusioni ... 117

(3)
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ii

INDICE DELLE FIGURE

CAPITOLO II:

(Fig. 1) Ludovico Pozzoserrato, Cortigiane e gentiluomini, Collezione privata, Augsburg.

 (Fig. 2) Artista anonimo, copia da Giulio Romano, dal “Volume Toscanini”, Collezione privata, Geneva.

CAPITOLO III:

(Fig. 1) Artista anonimo, Frontespizio con il ritratto di Veronica Franco, Terze Rime, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia.

(Fig. 2) Artista anonimo, Frontespizio delle Rime di Gaspara Stampa, Biblioteca Angelica, Roma.

CAPITOLO IV:

(Fig. 1) Johann Sadeler I, una casa di malaffare, Accademia Carrara, Gabinetto Disegni e Stampe, Bergamo.

(Fig. 2) Domenico Tintoretto, Ritratto di Cortigiana, Collezione privata, Venezia.

(Fig. 3) Giacomo Franco, Gentildonna Matrona da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 4) Giacomo Franco, Una che si acconcia con due specchi, da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

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(Fig. 5) Jacopo Palma il Giovane, Gli svaghi del figliol prodigo, Gallerie dell’Accademia, Venezia.

 (Fig. 6)Paris Bordon, Donne veneziane alla toletta, National Galleries of Scotland, Edimburgo.

(Fig. 7) Bernardino Licinio, Cortigiana allo specchio, Collezione Salamon, Sant’Alessio (Pavia).

 (Fig. 8)Bernardino Licinio, Donna alla spinetta fra un uomo e una vecchia, Collezione reale inglese, Hampton Court.

(Fig. 9) Parrasio Micheli, Cortigiana che suona il liuto, Szépmuvészeti Muzeum, Budapest.

(Fig. 10) Giacomo Franco, Gentildonna che suona il Lauto da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 11) Paolo Piazza, Ritratto di cortigiana con liuto, Collezione privata, Washington.

(Fig. 12) Bernardo Strozzi, Figura di musicista con viola da gamba, Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda.

(Fig. 13) Pietro Bertelli, Cortigiana veneziana che indossa sotto la veste le braghe

maschili con gli alti zoccoli dalla raccolta “Diversarum Nationum Habitus”, Gabinetto

Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 14) Giacomo Franco, illustrazione del “fresco in gondola”, da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

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ii

(Fig. 15) Giacomo Franco, La novizia in gondola da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 16) Giacomo Franco, Cortigiana famosa da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 17) Johann Sadeler I, Crapula et Lascivia, Bodleian Library, Oxford.

(Fig. 18 a) Paris Bordon, Dama con cagnolino, Collezione privata, Bari.

(Fig. 18 b) Giacomo Franco, Cortigiana famosa da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 19) Paris Bordon, Ritratto di donna in velluto rosso, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid.

(Fig. 20) Jacopo Tintoretto, Ritratto di Veronica Franco, Worcester Art Museum, Worcester.

(Fig. 21) Artista anonimo, Frontespizio con il ritratto di Veronica Franco, Terze Rime, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia.

(Fig. 22) Bartolomeo Gamba, Veronica Franco, da Alcuni ritratti di donne illustri delle province veneziane, Tipografia di Alvisopoli, Venezia.

(Fig. 23) Artista anonimo, Ritratto di Veronica Franco, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University, Connecticut.

(Fig. 24) Jacopo Palma il Vecchio, Donna in abito verde, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

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(Fig. 25) Jacopo Palma il Vecchio, Ritratto femminile detto La Cortigiana, Museo Poldi Pezzoli, Milano.

(Fig. 26) Paris Bordon, Cortigiana, Gosford House, Conte di Wemyss (?), Aberlady.

(Fig. 27) Domenico Tintoretto, Signora che mostra il suo seno, Museo del Prado, Madrid.

(Fig. 28) Lodovico Toeput detto il Pozzoserrato, Concerto in villa, Museo Civico, Treviso.

(Fig. 29 a) Giacomo Franco, Gentildonna che suona il lauto da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 29 b) Il Pozzoserrato, Concerto in villa, Museo Civico, Treviso.

(Fig. 30) Giacomo Franco, Le feste o balli da “Habiti d'Huomeni et Donne venetiane”, Metropolitan Museum of Art, New York.

(Fig. 31) Benedetto Caliari, Giardino di villa veneta, Accademia Carrara, Bergamo.

(Fig. 32 a, b, c) Cesare Vecellio, Habiti antichi et moderni di tutto il mondo, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

CAPITOLO V:

(Fig. 1) Giacomo Franco, Diana acconcia alla venetiana da “Habiti delle donne venetiane intagliate in rame Nuovamente da Giacomo Franco”, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr, Venezia.

(Fig. 2) Jacopo Palma il Vecchio, il bagno di Diana e delle sue ninfe, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

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ii

(Fig. 3) Palma il Vecchio, particolare da il bagno di Diana e delle sue ninfe, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

(Fig. 4 a) Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, National Gallery of Scotland, Edimburgo.

(Fig. 4 b) Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

(Fig. 4 c) Tiziano Vecellio, particolare da Diana e Callisto, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

(Fig. 4 d) particolare da Tiziano Vecellio, Diana e Callisto, National Gallery of Scotland, Edimburgo.

(Fig. 5 a) Paolo Veronese, Atteone scopre Diana e le sue ninfe al bagno, Museum of Fine Arts, Boston.

(Fig. 5 b) Paolo Veronese, particolare da Atteone scopre Diana e le sue ninfe al bagno, Museum of Fine Arts, Boston.

(Fig. 6) Paolo Veronese, Giove e Io, Museum of Fine Arts, Boston.

(Fig. 7) Paolo Veronese, Un giovane tra Virtù e Vizio, Rijksmuseum, Amsterdam.

(Fig. 8) Tiziano Vecellio, Diana e Atteone, National Gallery of Scotland, Edimburgo.

(Fig. 9) Jacopo Palma il Vecchio, Venere e Cupido, The Fitzwilliam Museum, Cambridge.

(Fig. 10) Tiziano Vecellio, Venere con organista e cupido, Staatliche Museen, Berlino.

(Fig. 11) Paris Bordon, Venere, Marte e Cupido, Galleria Doria Pamphili, Roma.

(Fig. 12) Paris Bordon, Due innamorati in veste di Marte e Venere incoronati da una

Vittoria, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

(Fig. 13) Paolo Veronese, Venere allo specchio, Joslyn Art Museum Omaha (NE).

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ii

(Fig. 15) Jacopo Tintoretto, Venere, Vulcano e Marte, Alte Pinakothek, Monaco.

(Fig. 16) Paolo Veronese, Marte e Venere, Galleria Sabauda, Torino.

(Fig. 17) Paolo Veronese, Marte e Venere, National Gallery of Scotland, Edimburgo.

(Fig. 18) Tiziano Vecellio, Flora, Galleria degli Uffizi, Firenze.

(Fig. 19) Jacopo Palma il Vecchio, Ritratto di donna detta “Flora”, National Gallery, Londra.

(Fig. 20) Benvenuto Cellini, Ninfa di Fontainebleau, Parigi, Museo del Louvre, Parigi.

(Fig. 21) Jacopo Tintoretto, Flora, Museo del Prado, Madrid.

(Fig. 22) Paris Bordon, Flora, Dipartimento di pittura del Museo del Louvre, Parigi.

CAPITOLO VI:

(Fig. 1) Tiziano Vecellio, Danae e la pioggia d’oro, Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli.

(Fig. 2) Attribuito a Tiziano, Ritratto di una giovinetta, Museo di Capodimonte, Napoli.

(Fig. 3) Leone Leoni, Cortigiana come Danae, Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Medaglie, Parigi.

(Fig. 4) Tiziano e bottega, Danae e la pioggia d’oro, Museo del Prado, Madrid.

(Fig. 5) Tiziano Vecellio, Danae e la pioggia d’oro, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

(Fig. 6) Jacopo Tintoretto, Danae e la pioggia d’oro, Musée des Beaux Arts, Lione.

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ii

(Fig. 8) Hendrick Goltzius, Danae, Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles.

(Fig. 9) Francesco Melzi (?) da Leonardo da Vinci, Leda e il cigno, Galleria degli Uffizi, Firenze.

(Fig. 10) Leda e il cigno in Xandra di Cristoforo Landino, Biblioteca Apostolica Vaticana (Cod. Vat. Lat. 3366), Roma.

(Fig. 11) Leda in Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, Venezia.

(Fig. 12) Paolo Veronese, Leda e il cigno, Museo Fesch di Ajaccio, Francia.

(Fig. 13) Marcantonio Raimondi, Leda e il cigno, British Museum, Dipartimento di Stampe e Disegni, Londra.

( Fig. 14) Tiziano Vecellio, Leda, il cigno e cupido, Galleria Sabauda, Torino.

(11)

I

INTRODUZIONE

Come corte alcuna, (…) non può aver splendore in sé, né allegria senza donne, né cortegiano alcun essere aggraziato, piacevole o ardito,

né far mai opera leggiadra di cavalleria, se non mosso dalla pratica e dall’amore e piacer di donne, cosa ancora il ragionar del cortegiano è sempre imperfettissimo,

se le donne, interponendovisi, non danno lor parte di quella grazia, con la quale fanno perfetta ed adornano la cortigiania.1

La presente ricerca ha per oggetto lo studio dell’iconografia delle cortigiane veneziane nel Cinquecento, e più precisamente il loro legame con alcuni miti dell’antichità.

Considerando il caso specifico di questa categoria femminile, la loro istruzione nell’arte musicale e letteraria per cui sapevano suonare, cantare e, alcune di loro, avevano una certa abilità nel comporre rime poetiche, appare evidente che la cortigiana è tra i primi esempi di donna moderna: esse partecipavano attivamente alla vita sociale di corte tra balli, banchetti e circoli intellettuali d’élite. Basti pensare che alcuni tra gli studiosi hanno identificato nella cortigiana rinascimentale una donna sia economicamente che intellettualmente indipendente, tra le prime ad aver raggiunto una tale libertà nel XVI secolo, seppur legate comunque all’ambito del meretricio.

Uno di questi, Paul Larivaille, scrive: “Si potrebbe affermare che le cortigiane sono

coloro che principalmente beneficiano del cambiamento di mentalità che durante il Rinascimento prende l’avvio. Fino a un certo punto, forse, sono perfino le avanguardie dell’emancipazione femminile che si va timidamente delineando”.2

Tuttavia, il termine cortigiana non viene legato al termine “meretrice”: ciò che avviene è un notevole passaggio semantico per cui la cortigiana dai modi raffinati e di cultura fu definita con l’oggettivo di “onesta”, distinguendosi dalla comune prostituta di strada. Inoltre, questo vocabolo necessitava una distinzione gerarchica perché le cortigiane non erano alla pari delle semplici prostitute da bordello: vi erano le cortigiane “oneste” e, a debita distanza, le cortigiane “da lume”, come avremo modo di approfondire nel primo capitolo di questa ricerca.

1 Baldassare Castiglione, Il Cortegiano, Editore Aldo Manuzio, Venezia, 1528, p. 172.

2 Paul Larivaille, La vita quotidiana delle cortigiane nell’Italia del Rinascimento, Edizione BUR, Milano,

(12)

II

Nel contesto rinascimentale veneziano le “cortigiane oneste” avevano conquistato una dimensione rilevante sia in ambito letterario che in quello artistico.

Per quanto concerne il panorama letterario, la cortigiana aveva un grande protagonismo ma aveva assunto connotazioni negative per cui erano spesso oggetto di satire e sonetti ingiuriosi riguardanti la sua prominente venalità e la sua abilità nell’arte dell’inganno, tant’è che venivano spesso definite “puttane” in molti poemetti dell’epoca.

In riferimento alle arti visive, gli artisti, oltre a frequentare queste donne, le ritraevano e le facevano posare regolarmente come modelle per opere d’arte di soggetto profano o mitologico. Esse, infatti, si facevano ritrarre in modo del tutto analogo alle nobildonne veneziane, mostrandosi in abiti eleganti e pregiati, con un filo di perle intorno al collo (nonostante fosse loro vietato) e distinte da un fazzoletto o una sciarpa gialla, attributo dell’appartenenza al mondo della prostituzione sin dal XIV secolo e solitamente a seno scopertooppure in scene mitologiche, celandosi nelle vesti di dee e in particolare Diana, Venere, Flora, Danae e Leda,3 come vedremo nei tre capitoli conclusivi.

Come era vista la città di Venezia nel Cinquecento ce lo descrive un rimatore veneziano in questo sonetto di metà secolo:

Parmi Vinegia esser fatta un bordello poiché girar non posso in alcun lato ch’io non sia voce chiamato

da qualche landra drieto al bel cancello.4

Venezia, quindi, veniva descritta come “un bordello” proprio per l’alta concentrazione di prostitute e la denominazione di “luogo delle delizie”, essendo il suo porto un grande centro di scambi commerciali per cui molti stranieri transitavano per le vie veneziane in cerca anche di svago e intrattenimento.5 Nel Cinquecento, infatti, Venezia era una città la cui dimensione pubblica era ampiamente valorizzata con feste sia religiose che civili, spettacoli teatrali, regate e tornei: tali divertimenti pubblici venivano organizzati per i frequenti visitatori illustri che vi soggiornavano.6

3 Giovanni Scarabello (a cura di), Il gioco dell’amore – Le Cortigiane di Venezia da Trecento al

Settecento, Berenice, Milano, 1990, pp. 84-5.

4 Vittorio Rossi, in “Giornale Storico della Letteratura Italiana”, vol. XX-VI, 1895. Il sonetto riportato è

di Andrea Michieli detto Squarzola o Strazzola.

5 Paul Larivalle, op. cit., p. 65. 6

(13)

III

Pare infatti che proprio durante il Cinquecento il numero delle cortigiane e delle comuni prostitute sia aumentato notevolmente, come leggiamo da questo documento del 1543:

Sono accresciute in tanto excessivo numero le meretrici in questa nostra città, quale postposta ogni erubesentia et vergogna, publicamente vano per le strade et chiese, et altrove sì ben ornate et vestite, che molte volte le nobele et cittadine nostre per non essere differente del vestire da le ditte sono non solum da li forestieri ma da li habitanti non conosciute le bone dale triste, con cativo et malissimo esempio di quelle che li stanno in stantia et che le vedono et con non poca susuratione et scandalo de ogni uno.7

La ricerca qui presentata è suddivisa in sei capitoli. Nel primo capitolo, intitolato “Un viaggio nelle origini della cortigiana rinascimentale”, ci occuperemo anzitutto di come sia nata questa figura femminile e di come sia riuscita ad avviarsi a tale carriera nella società cinquecentesca veneziana e non solo. Ci occuperemo, anche, di individuare tutte le possibili derivazioni etimologiche che sono state associate al termine “cortigiana”, dato che tutt’ora se ne discute. Vedremo, infatti, più da vicino le abitudini che avevano queste donne e come si dedicavano alla cura della persona, al vestiario e alla vita religiosa. Nel secondo capitolo, “L’immagine letteraria della cortigiana”, affronteremo invece la ricezione di questa figura attraverso il panorama letterario, concentrando la nostra attenzione sulla fruizione che di questa veniva fatta dai loro contemporanei. Come abbiamo detto in precedenza, l’analisi della cortigiana come soggetto letterario ha evidenziato la sua parte più abietta, peccaminosa, e moralmente indegna, trascurando le sue virtù intellettuali e musicali, degne di lode e ammirazione.

Il terzo capitolo, “Le cortigiane poetesse: Veronica Franco e Gaspara Stampa”, consisterà in una serie di analisi testuali di alcuni componimenti esemplari di queste due celebri rimatrici in modo da capirne lo spessore nell’arte della poesia.

L’indagine sarà condotta sulla base di una scelta selettiva che possa consentire al lettore di individuare le due personalità poetiche, considerandole sia come donne cortigiane di mestiere che come illustri poetesse. Vedremo, poi, l’impatto che esse ebbero nei secoli successivi attraverso la loro fortuna critica e in particolare tra Ottocento e Novecento. Nel quarto capitolo, “Gli attributi iconografici delle cortigiane”, ci occuperemo, invece, di identificare la figura della cortigiana in alcuni ritratti di artisti sia noti che meno noti.

7 Rita Casagrande di Villaviera, Le cortigiane veneziane del Cinquecento, Longanesi, Milano, 1968, pp.

(14)

IV

In particolare focalizzeremo l’analisi sulle caratteristiche sia formali che contenutistiche giungendo ad un tentativo di sistematizzazione tassonomica degli elementi distintivi che permettono di identificare un possibile ritratto di cortigiana.

Come vedremo, questa classificazione è stata compiuta sulla base di oggetti iconografici specifici quali lo specchio, un particolare genere di acconciatura, la rilevanza dei seni, i fili di perle, stoffe di colore giallo, la presenza di strumenti musicali, di mezzane al suo seguito e di figure ferine come il cagnolino, la scimmia o un satiro, simboli più o meno evidenti di lascivia. Nel quinto capitolo, intitolato “La cortigiana idealizzata nelle vesti di Diana, Venere e Flora”, concentreremo la nostra attenzione sulla rappresentazione mitologica in riferimento ad alcuni dipinti, celebri e non, che potrebbero celare ritratti di cortigiane. Queste divinità, infatti, sono state fonte d’ispirazione per i pittori veneziani nella rappresentazione di bellissimi nudi femminili in pose molto sensuali.

Con il termine “idealizzata” intendo fare riferimento ad un certo tipo di elevazione che prevedeva di dare rilievo alla spiccata bellezza di questa figura e alla capacità seduttiva di ammaliare chiunque posasse lo sguardo su di lei. Nel sesto e ultimo capitolo, “I miti di Danae e Leda: i più adatti al ruolo della cortigiana”, affronteremo nuovamente la questione della possibilità di riconoscere la cortigiana nei dipinti di stampo mitologico più spiccatamente erotici. Per quanto riguarda l’iconografia della Danae non abbiamo riscontrato grandi difficoltà, dato che questo personaggio, rappresentava la donna che si fa corrompere facilmente dal denaro: da qui, infatti, la figura femminile di Danae iniziò ad essere vista come alter ego delle cortigiane.

Diverso è il caso della regina di Sparta Leda: l’iconografia veneziana non ha prodotto un gran numero di opere, e, probabilmente il motivo è che non riscosse molto successo tra i pittori veneziani, anche se gli esempi che verranno mostrati, si presentano in una chiave erotica tale da ricordare la celebre raccolta del Rinascimento italiano che illustra in modo esplicito una serie di posizioni sessuali: I Modi di Marcantonio Raimondi e Giulio Romano. Tuttavia, in queste opere d’arte la relazione tra la possibile allusione alla cortigiania e la reale constatazione che si nasconda un significato cortigianesco è tutt’ora problematico e poco discusso dagli studiosi, e proprio per questo ho trovato molto interessante questo complesso argomento. I risultati a cui siamo giunti al termine dell’indagine iconografica qui proposta, hanno portato a stimolanti argomentazioni che hanno consentito un riesame più approfondito di questa figura muliebre non solo sul piano letterario, ambito ampiamente studiato, ma anche sul piano visivo, più trascurato per la mancanza di materiale e di ipotesi convincenti da parte degli storici dell’arte.

(15)

1

CAPITOLO I

Un viaggio nelle origini della cortigiana rinascimentale

Le donne son venute in eccellenza di ciascun‟arte, ove hanno posto cura; E qualunque all‟istoria abbia avvertenza, ne sente ancor la fama non oscura. Se „l mondo n‟è gran tempo stato senza, non però sempre il mal influsso dura; E forse ascosi han lor debiti onori l‟invidia o il non saper degli scrittori.1

1. La cortigiana: una donna libera e indipendente

I primi passi verso la codificazione di un’identità femminile si possono rintracciare nel Rinascimento, che favorì una certa valorizzazione della condizione muliebre nella vita culturale dell’epoca. La donna infatti iniziò ad essere vista da altre prospettive e non più solo come una conquista dell’uomo, grazie al costituirsi della figura della cortigiana nell’ambito del meretricio. Queste donne cominciarono ad assumere una parte attiva all’interno della società dai primi anni del Cinquecento contrariamente alla marginalità in cui erano state relegate nei periodi precedenti.

Nel XVI secolo l’istruzione della propria prole iniziò ad avere una rilevanza tale che alle figlie di famiglia aristocratica fu permessa la condivisione dei precettori insieme ai fratelli, avendo anche accesso ad una biblioteca per la propria formazione letteraria mentre le figlie di ceto sociale inferiore venivano educate in convento.

Ciò permise una modesta espansione dell’alfabetizzazione femminile, costituendo un importante inizio per l’istruzione muliebre.2 La donna nella società dell’età moderna era proiettata in primis a sposarsi e avere figli. La formazione di una buona moglie non solo prevedeva la capacità di gestire l’ambiente domestico e il nucleo familiare ma anche l’arte del ricamo, del cucito e infine imparare a leggere e scrivere.

La moglie, infatti, attraverso il matrimonio acquisiva protezione e un’identità sociale: le si richiedeva di essere per il marito una donna ubbidiente, di buone maniere, gradevole compagnia e impeccabile agli occhi della società.

1 Ludovico Ariosto, Orlando furioso (1516), Giovanni Pirotta, Milano, 1818, p. 202.

2 Sara F. Mattews-Grieco e Sabina Brevaglieri (a cura di), Educazione e istruzione in Monaca, Moglie,

Serva, Cortigiana: Vita e immagine delle donne tra Rinascimento e Controriforma, Morgana Edizioni, Firenze, 2001, p. 53.

(16)

2

Introdursi nella società cinquecentesca come cortigiana significava invece la possibilità di sottrarsi al fatto di contrarre matrimonio o diventare monaca.

Le donne del Rinascimento potevano avviarsi al successo sia sul piano professionale che sociale acquistando il titolo di cortigiana.3

Esse però dovevano abbinare alla pratica amatoria comportamenti raffinati e interessi culturali, o almeno una parvenza di essi, in modo da sottrarsi alla promiscuità sociale a cui erano soggette le prostitute nel bordello.4

La cortigiana aveva maggiore libertà delle donne per bene non solo per il raggiunto benessere economico, ma anche perché non soggetta alle limitazioni che prevedeva il matrimonio, talvolta una prigione più severa del convento.

La donna era vista come figlia, sposa, madre oppure monaca e grazie al nuovo clima rinascimentale anche come lavoratrice, religiosa mistica e cortigiana, abile nelle arti, nelle lettere e nello spettacolo.5 Storicamente la cortigiana occupava una dimensione pubblica al contrario delle donne per bene che erano escluse dalla partecipazione diretta nella società.6 Molti tra gli studiosi ritennero che il protagonismo della cortigiana nel Cinquecento sia stato connesso al fiorire della civiltà rinascimentale, tant’è che venne considerata una sorta di età dell’oro delle cortigiane.

In un periodo della storia così raffinato si richiedeva una cortigiana molto diversa dalla meretrice rozza ed analfabeta. Questa particolare figura nacque in un ambiente elegante e confortevole favorendone un’immagine di grazia e signorilità.

La vita da cortigiana le permetteva di gestire liberamente il proprio tempo e lo spazio da dedicare alla propria cultura, ciò che veniva negato alle nobildonne.

Nella raccolta di novelle La lucerna di Francesco Pona si afferma che “l‟esser libera è

la miglior gemma che possegga la meretrice, nella quale ha in compendio quanto desidera. E questo sol privilegio fa parer a lei anco onorata l‟infamia, perciochè né all‟impero de‟ mariti né all‟arbitrio de‟ genitori vivono le cortigiane soggette; onde il recarsi agli amanti in seno non le mette in pericolo di essere per interesse di onore uccise.7 Le cortigiane proprio per il fatto che non dovevano sottostare ad alcun tipo di

ingerenza maschile si collocavano al di là delle regole condivise in società nei riguardi

3 Paolo Pucci, Camilla da Pisa, la perfetta moglie?: tentativi di affermazione personale di una cortigiana

del Rinascimento, pubblicato da American Association of Teachers Italian, Italica, Vol. 88, Winter 2011, p. 565.

4

Ibidem.

5 Sara F. Mattews-Grieco e Sabina Brevaglieri (a cura di), op. cit., p. 54.

6 Tiziana Plebani, Storia di Venezia città delle donne: guida ai tempi, luoghi e presenze femminili,

Marsilio Editore, Venezia, 2008, pp. 95-6.

7

(17)

3

delle donne. L’indipendenza che si era conquistata la cortigiana non è quella delle donne in generale ma è stato un traguardo sempre e solo individuale.

Bisogna dunque fare attenzione a non generalizzare parlando della condizione muliebre di quest’epoca poiché non tutte le donne potevano raggiungere una tale libertà e un’indipendenza di questo genere come è accaduto per le cortigiane.

Paul Larivaille scrive: “Le cortigiane più intelligenti occupavano nella società un posto

che era rimasto vuoto; e gli uomini del tempo con molta ipocrisia, magnificarono questo ruolo che lasciava le proprie mogli libere di essere soltanto madri”. 8

Oltre agli aspetti negativi derivanti dalla professione di “meretrix” (dal latino “merēre” che significa guadagnare: la donna che trae guadagno con il proprio corpo), un termine che richiamava un vissuto d’infamia e di miseria, la cortigiana aveva anche dei vantaggi in ambito socio-culturale e non solo economici.

Le cortigiane in particolare avevano accesso al sapere letterario in modo più ampio rispetto alle altre donne perché la letteratura era ritenuta un sapere profano che poteva distogliere dai loro doveri per cui esse potevano dedicarsi solo alla lettura di operette religiose e morali per essere istruite come figlie e mogli ubbidienti.

Pur esercitando anch’esse la prostituzione, le cortigiane si distinguevano non solo per i cospicui guadagni e i loro patroni influenti ma soprattutto perché queste donne venivano istruite nelle arti, sapevano suonare, danzare, abili nella conversazione e nel canto.9 Alcune di loro non offrivano solo un’istruzione letteraria e linguistica ma si dedicavano persino all’arte della poesia, vantando grandi facoltà inventive e doti intellettuali tali da essere riconosciute come illustri poetesse. Per tali motivazioni il personaggio della cortigiana è ritenuto tra i primi esempi di donna moderna, come già riferito nella parte introduttiva della ricerca, ed è in quest’ottica che l’emancipazione culturale femminile viene ritenuta il simbolo della condizione prestigiosa assunta esclusivamente dalla cortigiana.10 La donna cortigiana faceva parte del contesto culturale dell’epoca, era anch’essa figlia del Rinascimento, e perciò, veniva accettata, rispettata e stimata dagli strati più alti della società veneziana.

8

Paul Larivaille, La vita quotidiana delle cortigiane nell‟Italia del Rinascimento, Edizione BUR, Milano, 1983, p. 46.

9 Sara F. Mattews-Grieco e Sabina Brevaglieri (a cura di), op. cit., pp. 86-7.

10 Antonio Barzaghi, Donne o Cortigiane? La prostituzione a Venezia – documenti di costume dal XVI al

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4

Gran parte degli studiosi dell’Ottocento e del Novecento, che si sono occupati di queste cortigiane letterate, non sono riusciti a valutare la loro produzione letteraria senza tenere conto della posizione sociale alla quale appartenevano.

Per questa ragione l’istruzione femminile e il costituirsi delle prime poetesse di famiglia nobile venivano frequentemente associate al malcostume.

La donna di cultura, infatti, veniva identificata con la figura della cortigiana.11

Negli studi critici recenti su questo argomento, l’indipendenza e la cultura che poteva vantare una cortigiana, non essendo sotto alcuna tutela maschile, rafforzava ancor di più questo stereotipo della donna intellettuale non casta.

In particolare, la cortigiana sia colta che raffinata, essendo stata indagata mediante un approccio neostoricistico, veniva vista come la rappresentante del pessimo influsso che ha la cultura sulle donne.12 La cortigiana nel Cinquecento aveva una specifica funzione sociale: quella di amica o compagna di piaceri intellettuali e non solo esclusivamente sessuali. Molte di esse, conosciute per la loro bellezza e il talento poetico, godevano di grande fama e ammirazione e a Venezia vi erano celebri cortigiane letterate.

Gli studi intrapresi su questa categoria di donna sono stati rivalutati appieno nel secolo scorso, considerandone anche l’aspetto intraprendente e l’abilità di essere promotrici di se stesse. La cortigiana riuscì a dare alla società in cui viveva ciò che le era richiesto ritagliandosi un ruolo significativo in un’epoca che ne aveva voluta la nascita.

Le norme di comportamento femminile, quali imparare a danzare, a suonare uno o più strumenti e leggere versi, erano alcune delle sue varie virtù. 13

Vediamo adesso in maniera più approfondita chi erano queste donne, come venivano formate e poi avviate a tale mestiere.

2. L’origine etimologica del vocabolo “cortigiana”

Verso la fine del XV secolo, la parola “cortigiana” entrò a far parte dell’uso comune per indicare questa particolare categoria femminile. Un paragone con queste donne è stato visto nel termine hetaera (dal maschile hetaeros, nel senso di compagno): termine che fu applicato a donne come Aspasia, Diotima, Thais e Frine, le quali riuscirono a conquistare Pericle, Socrate, Prassitele e Alessandro grazie alla loro bellezza e alla loro

11 Ibidem.

12 Marcella Diberti Leigh, Veronica Franco – Donna, poetessa e cortigiana del Rinascimento, Priuli &

Verlucca Editori, Ivrea, 1988, pp. 9-12.

13

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5

intelligenza.14 Come osserviamo da una pagina del diario Johann Burchard, Maestro di Cerimonie alla corte papale, al termine cortigiane veniva aggiunto “di compagnia”: “A sera fu data una cena nell‟appartamento nel Palazzo Apostolico del duca Valentino

(Cesare Borgia) con cinquanta rispettabili prostitute, chiamate cortigiane di compagnia”.15 Queste “etere” erano note per le loro spiccate abilità nelle arti come la musica e la danza e avevano anche doti intellettuali, caratteristiche simili alle cortigiane rinascimentali. Le cortigiane erano accettate come qualcosa di molto diverso dalle semplici “puttane” come lo erano le etere nell’antica Grecia, ben volute da governanti, artisti e scrittori.16 Il Rinascimento italiano vide la nascita di donne simili poiché esse erano le compagne e le amanti dei cortigiani, da cui poi derivò la parola al femminile “cortigiana”. È evidente che, in parte, questo nome fu coniato in base a questa associazione ma non è l’unica proposta. L’origine del vocabolo, infatti, è stata molto discussa: alcuni la fanno risalire alla parola cortesia nel senso di disponibilità da cui appunto donna di cortesia, altri tendono a farlo derivare dal concetto di corte e di cortigiano, come abbiamo già riferito, altri ancora alla curia che vantava un grande numero di presenze femminili intorno alla corte papale, soprattutto durante il pontificato di Alessandro VI Borgia (1431-1503).17 Di fatto, proprio all’interno della Curia romana gli intellettuali aumentavano sempre di più tant’è che per tali riunioni fu richiesta la presenza di donne colte che dovevano avere precisi requisiti quali bellezza, eleganza e intelligenza. Nel Rinascimento, ancora legato ad una cultura neo-pagana, la bellezza fisica era vista come divina e non come qualcosa di negativo così come il piacere carnale.18 Il culto della bellezza e dell’amore, esaltati dalla filosofia, dall’arte e dalla letteratura faceva sì che anche la sensualità venisse guardata con rispetto e devozione tant’è che ad alcune cortigiane piaceva molto farsi ritrarre come fossero dee,19

come avremo modo di approfondire nei capitoli prettamente iconografici e mitologici di questa ricerca. Alle cortigiane, infatti, fu data una così degna istruzione che alcune tra loro divennero poetesse di tutto rispetto, grazie alla loro abilità nel saper conversare e interagire con altri intellettuali di calibro elevato.

14 Georgina Masson, Cortigiane italiane del Rinascimento - Passioni d‟amore e intrighi politici delle

affascinanti “donne di piacere” del Cinquecento: un‟epoca fastosa di arte e bellezza nella sfrenata lussuria delle corti di dogi, principi e papi, Newton Compton Editori, Roma, 1981, p. 15.

15

Ivi, p. 22.

16 Ivi, p. 24.

17 Paul Larivaille, pp. 60-4. 18 Georgina Masson, op. cit., p. 18. 19

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6

Tornando all’origine etimologica connessa alla Curia papale, l’altra associazione che fu proposta era dovuta alla nuova sensibilità culturale dei curialis, per cui queste donne furono definite col nome di curiales, termine che fu tradotto in “cortigiana”.

All’epoca questa traduzione non era ritenuta una stranezza dato che la curia designava la corte e il curialis era il cortigiano. Le cortigiane partecipavano attivamente alle riunioni dei letterati e non erano solamente eleganti ornamenti: esse rivestirono un ruolo rilevante nel dialogo in rima ed in prosa e non furono più solo protagoniste di storie scritte nei libri. L’interesse per una discreta conoscenza letteraria e lo sviluppo delle capacità poetiche deriva dall’amore sincero che queste donne avevano per la cultura. Tuttavia, non molto tardi, queste riunioni si trasformarono da luoghi culturali a luoghi in cui le cortigiane instaurarono anche rapporti economici con gli uomini, i fruitori di tale commercio sessuale.20 La qualifica di cortigiana era riferita inizialmente alle dame di corte che possedevano una raffinata cultura umanistica e vantavano una cerchia di uomini di elevato stato sociale. Nel celebre libro Il Cortegiano,21 il Castiglione non rivolse più lo stesso vocabolo per intendere la compagna del gentiluomo di corte ma utilizzò un’altra definizione ossia quella di dama di palazzo.

Questo slittamento semantico ebbe inizio già prima della pubblicazione del Cortegiano: dalla fine del XV secolo la parola cortigiana non indicava più le dame di corte ma una categoria superiore rispetto alla semplice prostituta o meretrice.

Di queste categoria vi erano due tipologie: la più bassa era quella delle cortigiane da

lume o da candela perché pare che esse ponessero delle candele sul davanzale facendosi

riconoscere, mentre all’apice della gerarchia vi erano le cortigiane honeste.22

L’accostamento del termine honesta potrebbe sembrare un ossimoro, ma all’epoca non era sentita come una contraddizione. Per gli uomini del Cinquecento non aveva a che fare con la “castità” ma identificava “una donna di raffinata educazione e di qualità

intellettuali che concedeva i propri favori in un rapporto di reciproco rispetto e stima”.23 Grazie al ruolo sociale che le fu concesso, esse furono introdotte nei circoli letterari più influenti del tempo e vennero chiamate “cortigiane honeste”.24

20

Paul Larivaille, op. cit., pp. 60-2.

21 Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, Editore Aldo Manuzio, Venezia, 1528. 22 Marcella Diberti Leigh, op. cit., pp. 13-5.

23 S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Utet, Torino, 2007, vol. III. 24

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7

Il mutamento radicale nel percepire questa figura di donna nella società rinascimentale è riscontrabile nel fatto che avvenne anche un cambio di denominazione: da meretrice a cortigiana. Come afferma infatti Arturo Graf: “Il Rinascimento chiama (…) con nome

onorifico la donna che il secolo precedente chiamava con nome d‟infamia”.25

Il cambiamento del nome, però, comportò una profonda modifica nelle idee e nel costume di questo nuovo personaggio femminile.

In particolare l’appellativo di meretrix implicava biasimo e sventura mentre il costituirsi di questa aristocrazia entro la classe delle prostitute aveva tutt’altro significato.

Infatti, il titolo di cortigiana era ambito e non era ritenuto negativamente per una donna, anzi era considerato degna di lode proprio per le loro buone maniere e la loro cultura, ciò che mancava alla comune prostituta.26

3. L’avvio alla professione della cortigiana

Per quanto riguarda la sua formazione, il più delle volte la cortigiana veniva istruita alla professione da un apprendistato informale che, nella maggior parte dei casi, iniziava all’età di tredici anni. Una volta anziana la cortigiana poteva a sua volta istruire la figlia e interessarsi ai profitti dell’attività ma non era la sola: talvolta anche il padre, i fratelli e gli zii avevano accesso a parte dei guadagni.

Nell’avviare tale carriera la giovane, oltre a saper cantare, suonare e danzare, doveva possedere abiti raffinati e permettersi di pagare l’affitto di un adeguato alloggio.27

Secondo l’usanza consolidata nel mondo della prostituzione di alto bordo, la cortigiana poteva legarsi allo stesso tempo a uno o più amici fissi che provvedevano a fornirla, oltre che dei mezzi di sussistenza giornaliera, di regali necessari alla trasformazione del guardaroba, così come della loro dimora per poterne dare l’immagine di una dama della nobiltà.28 Per di più, queste donne non solo potevano servirsi di questi protettori ma potevano affidarsi ad un’altra donna del mestiere, la quale poteva persino chiedere alla nuova cortigiana una parte del suo profitto.29

25

Arturo Graf, Attraverso il cinquecento, Editore E. Loescher, Torino, 1888.

26 Antonio Barzaghi, op. cit., p. 40.

27 Sara F. Mattews-Grieco e Sabina Brevaglieri, op. cit., p. 86. 28 Paolo Pucci, op. cit., p. 567.

29

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La possibilità di avere un potente protettore era vantaggioso per entrambi: da un lato assicurava alla cortigiana benessere, notorietà e gioielli e dall’altro il protettore ne traeva a sua volta prestigio per cui la cortigiana godeva di un particolare status sociale.30 Per questa ragione far circolare la propria favorita per le strade della città sulla propria carrozza, identificabile dallo stemma araldico, significava permettersi di mantenerla, un altro elemento essenziale dell’uomo facoltoso, vecchio o giovane che fosse.31

Essendo rispettate e ammirate, le cortigiane arrivate al successo avevano il prestigio di potersi permettere appartamenti in affitto nei quartieri più frequentati.

A Venezia infatti le cortigiane abitavano nei sontuosi palazzi che si affacciavano sul Canal Grande e vivevano tra soffitti decorati a stucco, cuoio dorato o arabescato lungo le parti inferiori delle pareti e persino arazzi o drappi di seta nella parte rimanente. 32 Come se ciò non bastasse, esse dormivano in letti intarsiati o dipinti, talvolta con scene mitologiche o letterarie, sormontati da baldacchini di raso o di damasco.33

Molti personaggi altolocati, intellettuali ma non solo, si riunivano nelle loro abitazioni e quindi erano considerati dei veri e propri luoghi di ritrovo, sia culturali che di piacere. Una curiosità è che, essendo Venezia crocevia tra l’occidente e l’oriente, le cortigiane ebbero il privilegio di avere nelle proprie abitazioni non solo cani e gatti di varie razze, ma anche scimmie e una varietà di volatili esotici.34

Un ambiente esotico e una collezione di animali appartenevano al corredo commerciale delle cortigiane perché, essendo oggetti di un certo valore, esse venivano circondate da un’aura di ricchezza e di fascino non indifferente.35

Come sappiamo era il denaro a far sì che una donna da semplice prostituta si innalzasse al rango di cortigiana onesta.

4. La dimensione quotidiana della cortigiana onesta

Alla cura della persona la cortigiana dedicava gran parte del tempo e una certa costanza, non diversamente dalle donne di buona società e forse anche di più.

Erano frequenti i bagni in acque profumate, il talco per il corpo e la lavanda per le mani, e si prestava molta attenzione anche a tenere puliti i denti, lavandoli più volte al giorno.

30 Ibidem. 31

Ibidem.

32 Paul Larivaille, op. cit., p.107. 33 Ivi, p. 108.

34 Ibidem. 35

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9

La cortigiana, più di una nobildonna, doveva vantare una bellezza raffinata e piacente allo stesso tempo. Un’altra caratteristica era quella di schiarirsi i capelli di biondo, consuetudine che era di moda, in particolare a Venezia.

Alcuni studiosi ritennero che le dame, sia cortigiane che non, si sottoponessero ad una serie di trattamenti per mantenere quel colore cangiante che fu anche definito biondo

veneziano. Di queste particolari soluzioni schiarenti ne conosciamo una che indicava la

preparazione di una miscela di vino bianco e olio d’oliva da cospargere sui capelli, seguita poi da una lunga esposizione al sole.36 L’acconciatura era costituita da capelli raccolti da cui si lasciavano cadere dei gruppi di riccioli sulle orecchie.37

Per quanto riguarda l’ abbigliamento, esse prediligevano stoffe rare e riccamente ornate mostrando una somma eleganza e un lusso ostentato.

Esse usavano biancherie raffinate e profumate, vesti di seta, di velluto, di drappo d’oro, pellicce e guanti. Secondo la moda veneziana di metà secolo, le cortigiane indossavano una veste costituita da un aderente corpetto, un’ampia scollatura e una gonna arricciata in pieghe sciolte.38 Non meno lussuosi erano gli elementi d’ornamento che esse esibivano come preziose collane, pendenti e diademi come si potrà osservare dai ritratti di cortigiane nei capitoli successivi.39 Ad esempio, un curioso dettaglio del costume veneziano riguardava l’uso degli zoccoli per poter camminare senza sporcarsi nelle strade fangose. Questi particolari oggetti divennero prodotti di lusso e se ne fecero di broccato, dorati, gemmati e con un’alta suola.40 Le leggi suntuarie, quelle norme che servivano a reprimere l’ostentazione del lusso delle classi dominanti, comparvero sul finire del XIII secolo e nel Cinquecento erano diffuse in tutto il territorio italiano. Più che per una difesa del costume, esse erano state create per motivi economici che prevedevano di evitare lo sperpero del denaro e il mantenimento di una condotta morale appropriata.41 Tale compendio di leggi offriva anche un’immagine della vita civile e del progressivo evolversi della moda. Tuttavia furono molte le leggi ma poche le condanne e ciò significa che le infrazioni erano tollerate, in particolare a Venezia, denominata spesso città delle delizie.42

36 Paul Larivaille, pp. 108-10.

37 Giovanni Scarabello (a cura di), Il gioco dell‟amore – Le Cortigiane di Venezia dal Trecento al

Settecento, Berenice, Milano, 1990, p. 99.

38

Ivi, p. 100.

39 Paul Larivaille, pp. 111-2. 40 Antonio Barzaghi, op. cit., p. 100. 41 Antonio Barzaghi, p. 137. 42

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10

Questi decreti suntuari non riguardavano solo il costume ma anche la mobilia e le manifestazioni della vita cittadina, pubblica e privata.

In particolare a Venezia, le difficoltà di imporre l’osservazione di queste leggi fecero sì che il Senato creasse un apposito organo formato da tre provveditori che erano incaricati di regolamentare le spese suntuarie. Nonostante ciò, essi non riuscirono a reprimere il lusso sia degli ambienti aristocratici che in quelli delle cortigiane.43

Anche per il vestiario non vi era grande differenza tra le cortigiane e le dame veneziane e anche i provveditori ammisero la quasi impossibilità di distinguere le donne per bene dalle cortigiane. In molte zone d’Italia, infatti, si imposero alcuni segni distintivi per la categoria delle prostitute quali veli e stoffe di colore giallo.

La città di Venezia infatti era più tollerante verso questa categoria sociale, tant’è che alcune leggi riguardanti gli ornamenti preziosi come i gioielli valevano per tutte le donne. Ad esempio la regolamentazione riguardante il valore massimo dei beni di lusso è molto precisa: il decreto, emanato nel 1535 dai provveditori veneziani, prevedeva che le cuffie in filo d’oro o d’argento non dovessero superare i dieci ducati, che le perle dovessero far parte di un solo filo da portare al collo, senza superare i 200 ducati mentre le catenine d’oro non dovessero superare i 40.44

La descrizione del valore consentito di tali ornamenti dava l’idea delle fortune che le veneziane esibissero ancor prima della pubblicazione del decreto suntuario.45 Un altro decreto veneziano del 1542, indirizzato alle prostitute, affermava che “alcuna meretrice in questa terra habitante non possi

vestir, né in alcuna parte della persona portar oro, argento et seda, eccetto che le scuffie, qual siano di seda pura. Non possino portar cadenelle, perle, né anelli con pietra o senza pietra, né alle orecchie o dove escogitar si possi (…)”.46 Quest’ordinanza

fu più severa nella forma che nella pratica, visto che Venezia era più tollerante rispetto ad altre città, e il costume della cortigiana veneziana rimase bene o male lo stesso delle nobildonne veneziane. Un’altra moda che troviamo diffusa in tutta la penisola italiana fu quella di indossare abiti maschili: calzoni di velluto, una camicia lavorata d’oro e di seta e le scarpe di velluto. Benché questa moda fosse rigorosamente vietata dalla Chiesa e dalle autorità locali, tale divieto non bastò a impedirne l’uso e la diffusione.

43 Paul Larivaille, op. cit., p. 113. 44 Ibidem.

45 Ivi, p. 114. 46

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11

A Venezia, secondo l’interpretazione che ne dava il Senato, il travestirsi da uomo era considerato un raffinato sistema di adescamento a causa delle numerose cortigiane che lo utilizzavano e da questo ampio uso si costituì questa consuetudine.47

In connessione a questo, alcuni hanno ipotizzato che il travestimento con abiti maschili potesse essere un modo adottato dalle cortigiane che non potevano permettersi abiti lussuosi e alla moda oppure un ulteriore sistema di trasgressione rispetto alle regole di costume femminili convenzionali, come interpretava il Senato veneziano.48

In verità non era un’usanza comune solo delle cortigiane: nella commedia La Calandria del Cardinal Bibbiena una sposa romana si travestì da uomo per poter raggiungere il suo innamorato oppure nelle Sei Giornate dell’Aretino la protagonista mostrava di avere un debole per gli abiti maschili.49 In particolare, la cortigiana veniva considerata anche un mezzo per salvaguardare il nucleo familiare delle giovani donne vergini, la cui castità sarebbe stata messa a rischio a causa degli uomini che erano alla ricerca di rapporti di piacere.50 L’intera giornata di una cortigiana era improntata alla mondanità: andava a messa, alle feste, ai banchetti e dava sfoggio della propria ricchezza e grazia.

Nel Cinquecento esistevano le “Convertite”, delle case per prostitute pentite nelle quali alcune di esse si ritiravano, stanche di tale professione e prendevano i voti, mentre altre riuscivano a sposarsi sottoponendosi ad un periodo di penitenza.

Inoltre al momento della loro morte una parte dei loro beni veniva devoluto proprio a queste case per convertite.51 La cortigiana aveva anche una sua sensibilità religiosa, credeva in Dio, dedicava alcuni momenti della giornata alla preghiera e faceva i digiuni in occasione delle grandi festività religiose. Con quest’affermazione non voglio dire che la fede religiosa delle cortigiane fosse pura devozione: frequentare la Chiesa per queste donne era anche un’occasione per farsi vedere in pubblico più che una via di salvezza.52

Per di più sappiamo che vi erano delle prescrizioni riguardo le disposizioni a non recarsi in Chiesa quando l’afflusso di fedeli era maggiore.

Questo perché le cortigiane non dovevano disturbare gli uomini in preghiera o essere motivo di scandalo a causa della loro sfrontata condotta.53

47 Ivi, p. 119. 48 Ibidem. 49

Ibidem.

50 Paul Larivaille, op. cit., p. 240.

51 Sara F. Mattews-Grieco e Sabina Brevaglieri (a cura di), op. cit., pp. 85-6. 52 Paul Larivaille, pp. 206-8.

53

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In conclusione, il ruolo rivestito dalla cortigiana nel Cinquecento ha fatto riflettere gli studiosi sul fatto che queste donne colte, raffinate, e, alcune tra queste anche scrittrici di versi poetici, potessero costituire la prima espressione di una figura femminile libera. È vero che comunque queste donne facevano “un tristo mestiere” ma erano anche altro: non possiamo, quindi, limitarci ad un giudizio di tipo morale senza considerare questa figura nel suo complesso, considerandone qualità e doti intellettuali.

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CAPITOLO II

L’immagine letteraria della cortigiana

Più minacciosa della folgore, più orrenda del terremoto, più velenosa della serpe, perché è cosa troppo chiara e manifesta che l‟amor delle cortigiane

non cagiona altro che miseria e infelicità per fine de‟ suoi piaceri.

54

(Fig. 1) Ludovico Pozzoserrato, Cortigiane e gentiluomini, 1575 ca., Augsburg, Collezione privata.

Nel capitolo precedente abbiamo visto come la donna cortigiana fosse vista nella società rinascimentale e quali fossero le sue abitudini e la sua formazione culturale.

Adesso analizzeremo la figura della cortigiana tramite lo specchio letterario per capire come fosse ben diversa la sua rappresentazione.

54 Tomaso Garzoni, La Piazza universale di tutte le professioni del mondo, Editore Giovanni Battista

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1. La cortigiana come soggetto letterario: l’educazione venale e l’arte dell’inganno

La cortigiania nel Rinascimento italiano è stato un fenomeno di notevole rilevanza anche nel contesto storico-letterario. Nel Cinquecento, infatti, iniziarono a circolare a Venezia vari sonetti in cui gli autori sottolineavano l’innata avidità di queste donne nei confronti dei gentiluomini. Si tratta, in realtà, di satire che mostravano una ribellione collettiva verso le cortigiane proprio per il fatto di essere delle donne libere, spavalde e sicure di sé. Di seguito riporto un esempio tratto da La Carovana (1573), una raccolta di sonetti e canzoni in veneziano con all’interno un intero capitolo in versi indirizzato alle cortigiane:

Chi le vede stima di trovarsi al cospetto di una signora, ma non sa che gli ornamenti sono presi a prestito e nel caso le avvicinasse

In cao de otto di sé roman chiari con puoca sanità, manco denari…

Ste vacche (…), ghe n‟ho viste de grasse,

e sontuose, vegnir in pochi dì magre, e strazose…55

Nel contesto veneziano si diffuse questo ricco filone letterario definito “alla bulesca”: si trattava di composizioni di canzoni, poemetti e commediole che facevano emergere per lo più un’immagine della cortigiana ossessionata dal denaro, avida e furba nella sua arte di svuotare le tasche degli uomini.56 Questi testi in vernacolo veneziano avevano come protagonisti la prostituta e poi uno o più “buli” ossia i bravi intesi sia come clienti che come sfruttatori delle meretrici di rango basso e medio-basso.57

Le situazioni che emergono da questi testi sono sempre le solite: la donna cortigiana che rifiuta i pretendenti non benestanti, le risse tra due o più rivali in amore e i giuramenti di non volerne più sapere di queste donne.58

55 Antonio Barzaghi, Donne o Cortigiane? La prostituzione a Venezia – documenti di costume dal XVI

al XVIII secolo, Bertani Editore, 1980, p. 44.

56 Giorgio Padoan, Rinascimento in controluce – Poeti, pittori, cortigiane e teatranti sul palcoscenico

rinascimentale, Longo Editore, Ravenna, 1994, p. 181.

57 Ibidem. 58

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Il ritratto che viene fuori è sicuramente stereotipato, anche se, in alcuni punti non privo di tratti realistici. La cortigiana, infatti, aveva la possibilità di poter scegliere i propri clienti al contrario delle comuni meretrici.

Un’opera che fa parte di questo filone è l’anonima commedia intitolata La Bulesca che, pare, sia stata recitata nel 1514 da una Compagnia della Calza che, in alcune occasioni di festività e banchetti privati, faceva intervenire le meretrici escludendo altre donne.59 Quest’opera illustrava chiaramente alcuni episodi di vita popolare come le scenate fatte dai “bravi” davanti alle case delle prostitute o le lunghe soste nelle osterie.60

In questo caso, quindi, riesce a emergere un ritratto più umano della meretrice: una delle protagoniste si innamora di un cliente ricco e sogna una prospettiva di vita migliore, senza sottostare più allo sfruttamento del suo protettore e vivere in quel bordello.61 Un esempio di maggiore rilevanza letteraria e artistica, nata sulla scia della letteratura alla “Bulesca”, fu la commedia in un atto il Parlamento, scritta intorno agli anni venti del Cinquecento dal drammaturgo Angelo Beolco detto il Ruzante.62

Tra i protagonisti di quest’opera troviamo una donna che, in assenza del marito, si era data alla prostituzione. La donna, di nome Gnua, aveva ben compreso il valore della roba e il fatto che di un uomo conta ciò che è in grado di offrire economicamente. Al ritorno del marito, Gnua si rifiuta di tornare ad una vita di stenti: “Non sai che si

deve mangiare ogni giorno? Se mi bastasse un pasto all‟anno tu potresti parlare. Ma bisogna che mangi ogni giorno. Ascolta, Ruzante: se sapessi che tu mi potessi mantenere ti vorrei bene io, intendi? Ma quando penso che sei pover uomo, non ti posso vedere. Non che voglia male a te, ma voglio male alla tua miseria”.63

L’immagine che emerge, anche in questo caso, è quella della prostituta disonesta, avida di denaro, ossessionata dagli uomini che hanno le tasche piene.64

Nella maggior parte dei casi la cortigiana era spesso associata al “mal del secolo” ossia la sifilide, malattia che ispirò anche la produzione di componimenti alla bulesca.

Esemplari di questo filone letterario sono L‟Ariosto in purga per il mal francese e I sette

dolori del mal franzese.65

59 Ibidem.

60 Giorgio Padoan, op. cit., pp. 181-2. 61 Ibidem. 62 Ivi, p. 183. 63 Ibidem. 64 Ibidem. 65 Ivi, p. 185.

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Entrambe le opere contengono poemetti denigratori che, oltre all’avidità, alla superbia e all’arte ingannatrice delle cortigiane, sottolineavano il destino che le attendeva alla fine della carriera ossia il mal francese, la miseria ed infine l’ospedale.66

2. La cortigiana come “puttana rispettabile”

Fin qui abbiamo visto come la letteratura “alla bulesca” parli per lo più di prostitute di basso o medio-basso rango, adesso vedremo invece un altro filone letterario che tratta di prostitute di elevato stato sociale. Benché queste donne fossero prostitute socialmente superiori, venivano usate spesso nei loro confronti i termini di “puttana” e “cortigiana” come fossero sinonimi.67 Come sappiamo, infatti, tra questi due vocaboli vi era molta differenza: queste cortigiane, definite “honestae” oppure “honorate”, avevano raggiunto un diverso grado di agiatezza, acquisito modi signorili e possedevano anche una cultura intellettuale tale da tener viva una conversazione alla pari con i letterati più influenti.68 Il fatto che le cortigiane amassero frequentare sia gli artisti, da cui erano ricercate come modelle, in particolare per i ritratti di nudo, che i letterati, lo affermava Ludovico Dolce nel Dialogo della pittura di metà Cinquecento:69 ARET. Devesi adunque elegger la

forma più perfetta, imitando parte la natura. Il che faceva Apelle, il quale ritrasse la sua tanto celebrata Venere che usciva dal mare (di cui disse Ovidio che, se Apelle non l‟avesse dipinta, ella sarebbe sempre stata sommersa fra le onde) da Frine, famosissima cortigiana della sua età.70 I letterati erano per loro uno strumento utile per confrontarsi sul piano culturale e farsi conoscere negli ambienti più prestigiosi.

Di fatto, sia gli artisti che i letterati divennero ben presto clienti/amanti e il potere che esse acquisirono, tramite questi ricchi e nobili protettori, ebbe un notevole riflesso sulla rappresentazione letteraria. Tuttavia, i temi satirici e disprezzanti non vennero eliminati dai testi. Ad esempio nelle Sei Giornate (ovvero Ragionamenti), opera celebre di Pietro Aretino, scritta nel 1534,71 si ritrovano molte delle tematiche connesse alla figura della cortigiana.

66 Ibidem. 67 Ivi, p. 188. 68 Ivi, p. 189.

69 Ludovico Dolce, Dialogo della pittura di Lodovico Dolce intitolato l'Aretino: Nel quale si ragiona

della dignità di essa pittura, e di tutte le parti necessarie, che a perfetto pittore si acconvengono: con esempi di pittori antichi, e moderni: e nel fine si fa menzione delle vitù, e delle opere del divin Tiziano (Venezia, 1557), M. Nestenus e F. Moücke, Firenze, 1735.

70 Ludovico Dolce, op. cit., p. 192. 71

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In particolare nel Ragionamento del Zoppino l’Aretino rimprovera le cortigiane per la loro natura di prostitute, giocando su pseudo-etimologie: egli usa il termine “puttana” come sinonimo di cortigiana arrivando in seguito a definirla “cortese dell’ano”.72 Un poeta di quegli stessi anni, Maffio Venier, nei suoi versi denunciò chiaramente il suo disprezzo per la nota cortigiana Veronica Franco, rivolgendole l’epiteto ingiurioso della meretrice: “Veronica, ver unica puttana…”.73

Non mi soffermo qui sulla Franco perché sarà oggetto di approfondimento nel capitolo successivo dove tratterò nello specifico il filone poetico delle cortigiane letterate. Tornando al versante letterario generale sulla cortigiana, abbiamo visto che i motivi di satira erano quelli che si consolidarono tant’è che ne emersero di nuovi.

Anzitutto, l’ostentazione del lusso in cui vivevano fece sì che il contemporaneo Niccolò Franco, in una Pistola a le puttane, sottolineasse in modo ironico il merito di aver introdotto una certa eleganza nella tavola: esse introdussero “le suntuose vivande e gli

apparecchi de i cibi delicatissimi sopra i mantili ed i ricchi tappeti”.74

Come ricorda Michel de Montaigne in uno dei suoi Giornali di viaggio, a Venezia vi erano almeno centocinquanta cortigiane che “vivevano come principesse”.75

I toni ironici derivavano anche dalla mania di grandezza che avevano queste donne. Ad esempio l’Aretino, sempre nel Ragionamento del Zoppino, si faceva beffe delle arie di nobiltà che si dava la cortigiana romana Tullia d’Aragona: “… costei avea di virtù

principio grande, considerò che Roma è terra di donne, e massime ch‟ella sapea l‟usanza della Corte: e così l‟ha fatta cortigiana (…) e così molti la corteggian per nobilitarsi. Sicchè vedete dove queste sporche metton le case, facendosi nobili, e dove conducon le grandezze.76 Un’altra cortigiana di nome Lucrezia (detta Madrema-non-vole), celebre per essere stata fatta rapire da Giovanni dalle Bande Nere, a quanto dice

l’Aretino, era solita firmarsi come “Lucrezia Porzia, patrizia romana”.77

Come vedremo nei due capitoli che illustrano l’iconografia della cortigiana, anche nella pittura veneziana questa figura era talvolta ritratta come dea del mondo classico.78

72

Ivi, p. 32.

73 Giorgio Padoan, op. cit., p. 190.

74 Niccolò Franco, Le pistole vulgari, Venezia, Gardano, 1539, p. 223.

75 Cfr. Journal de voyage de Michel de Montaigne en Italie per la Suisse et l‟Allemagne en 1580 et

1581, editore C. Dèdèyan, Parigi, 1946, p. 173.

76

Alessandro Luzio, Un‟avventura della Tullia d‟Aragona in “Rivista Stor. Mantovana”, I, 1885, pp. 178-82.

77 Pietro Aretino, op. cit., p. 126.

78 Cfr. Giovanni Scarabello (a cura di), Il gioco dell‟amore – Le Cortigiane di Venezia dal Trecento al

(32)

18

Come già riferito, le cortigiane non mancavano di intraprendenza nei loro tentativi di scalata sociale. Infatti, da una lettera di Bernardo Dovizi da Bibbiena, futuro cardinale, a Piero de’ Medici, emerge la vicenda di una prostituta, identificata dagli studiosi in una certa Caterina, figlia di Giorgio di Novellara e di Paola Scianteschi della Faggiuola, che riuscì a farsi presentare al giovane ventiquattrenne Ferdinando, duca di Calabria, come “una nobilissima e bellissima madonna, chiamata madonna Caterina da Gonzaga, per

nobiltà e per bellezza la prima fanciulla di Romagna”.79

Un altro caso esemplare fu quello di Angela Greca detta Ortensia, la quale riuscì a farsi sposare dal conte Ercole Rangone. Ciò che è interessante in ambito artistico è che in uno dei suoi Sonetti lussuriosi, risalenti al 1526, l’Aretino riconobbe i due amanti in una delle coppie ritratte da Giulio Romano e incise da Marcantonio Raimondi:

(Fig. 2) artista anonimo, copia da Giulio Romano, dal “Volume Toscanini”,

Collezione privata, Geneva.

Marte, maledettissimo poltrone! Così sotto una donna non si reca,

e non si fotte Venere alla cieca, con assai furia e poca discrezione. Io non son Marte, io son Hercol Rangone,

e fotto qui che sete Angela Greca; e se ci fosse qui la mia ribeca, vi sonerei fottendo una canzone. E voi, Signora, mia dolce consorte,

79

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19

su la potta ballar faresti il cazzo, menando il culo in su, spingendo forte. Signor sì, che con voi, fottendo, sguazzo,

ma temo Amor che non mi dia la morte, colle vostr'armi, essendo putto e pazzo.

Cupido è mio ragazzo e vostro figlio, e guarda l'arme mia per sacrarle alla dea Poltroneria.80

Ancor più della loro presunzione era lo spirito imprenditoriale ad essere oggetto di beffe e di ironia letteraria. Il contemporaneo Matteo Bandello, nella propria raccolta novellistica di metà Cinquecento, raccontava di come le cortigiane, in particolare quelle veneziane, cercassero di perseguire una perfetta organizzazione delle loro giornate: “In

Vinegia ci è un infinito numero di puttane che, come si fa a Roma e altrove, chiamano con onesto vocabolo “cortigiane”. (…) Ci sarà una cortegiana, la quale averà ordinariamente sei o sette gentiluomini veneziani per suoi innamorati, e ciascuno di loro ha una notte de la settimana che va a cena e a giacere con lei. Il giorno è de la donna, libero per ispenderlo a servigio di chi va e di chi viene, a ciò che il molino mai non stia indarno e qualche volta non irrugginisse per istare in ozio. E se talora avviene che qualche straniero, che abbia ben ferrata la borsa, voglia la notte dormire con la donna, ella l‟accetta, ma fa prima intendere a colui di chi quella notte è, che se vuol macinare, macini di giorno, perciò che la notte è data via ad altri. E questi così fatti amanti pagano tanto il mese, e si mette espressamente nei patti che la donna possa ricevere ed albergare la notte i forastieri”.81 I tre eccessi, a cui erano soggette le

cortigiane durante il loro noviziato, li troviamo ben espressi nella Lozana Andalusa di Francesco Delicado, un altro testo erotico pubblicato in forma anonima a Venezia negli anni venti del Cinquecento: “primo, non vogliono che case grandi e dipinte all‟esterno;

secondo, cambiano nome appena arrivate per l‟ambizione di farsi chiamare con nomi più superbi e altisonanti, come la Cesarina, l‟Imperia, la Delfina, la Flaminia, la Dorotea, convinte che basti il nome a stabilire il prezzo del loro lavoro; terzo, infine, è che credono di perdere la reputazione aprendo la porta a quelli che non vanno in

80 Lynne Lawner, I Modi nell‟opera di Giulio Romano, Marcantonio Raimondi, Pietro Aretino e

Jean-Frederich-Maximilien de Waldeck, Longanesi, Milano, 1984, p. 86.

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