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Mercato dei mutui ipotecari e stretta del credito in Italia. Un'analisi dei dati di mercato.

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Academic year: 2021

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Sommario

INTRODUZIONE...I-II

CAPITOLO 1 ... 1

1.I MUTUI ... 1

1.1 LA DISCIPLINA DEL CREDITO FONDIARIO ... 1

1.2 TIPOLOGIE DI MUTUO ... 7

1.2.1 MUTUI A TASSO FISSO E TASSO VARIABILE...7

1.2.2 TAEG...13

CAPITOLO 2...15

2.LA FISCALITA’...15

2.1 LA FISCALITA’ DEL MUTUO FONDIARIO...15

2.2 L’IMPOSTA SOSTITUTIVA...20

2.3 LE AGEVOLAZIONI FISCALI SUL MUTUO CONTRATTO PER L’ACQUISTO DELL’ABITAZIONE...20

2.3.1 CASI PARTICOLARI...25

2.4 NOVITÀ-LA LEGGE DI STABILITA’ 2016...26

CAPITOLO 3...29

3. L’ISTRUTTORIA...29

3.1 DALL’STRUTTORIA DEL MUTUO AL ROGITO...29

3.1.1 ISTRUTTORIA...32

3.1.2 LA DELIBERA...37

3.1.3 LA PERIZIA...38

3.1.4 LA CHIAMATA IN ATTO...39

3.1.5 IL ROGITO...39

3.1.6 L’EROGAZIONE DELLE SOMME...40

CAPITOLO 4...42

4. ANALISI DEI DATI SUI MUTUI CONCESSI DALLE BANCHE ITALIANE ...42

4.1 TIPOLOGIA DI MUTUI EMESSI...42

4.2 NUMERO DI RICHIESTE DI MUTUO...44

4.3 IMPORTO MEDIO DEI MUTUI RICHIESTI...47

4.4 FASCE DI ETA’ DEI RICHIEDENTI...48

4.5 CLASSI DI DURATA DEI MUTUI RICHIESTI...49

4.6 FINALITA’ DELLA RICHIESTA...50

4.7 ANALISI TRIMESTRALE...50

4.8 IMMOBILI OGGETTO DI GARANZIA...53

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CAPITOLO 5...61

5. CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI O SECURITIZATION...61

5.1 ASSET BACKET SECURITIES - ABS...61

5.2 MORTGAGE BACKED E NON MORTGAGE BACKED SECURITES ...66

5.2.1 VANTAGGI DELLA CARTOLARIZZAZIONE DEI MUTUI...67

5.3 LEGGE 130/1999... ...70

CAPITOLO 6...74

6. REDDITIVITA’ DELLE BANCHE SUI MUTUI ...74

6.1 APPROVIGIONAMENTO FONDI O FUNDING...74

6.2 COSTO MEDIO DEI MUTUI ...79

6.3 NON PERFORMING LOAN...81

6.4 NUOVO DECRETO MUTUI D. LGS. 72/2016...86

CONCLUSIONI...90

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I

Introduzione

Il presente lavoro prende le mosse da una valutazione, su un aspetto per certi versi eccezionale. Tale infatti è definibile, quanto meno in area OCSE, il numero di cittadini italiani proprietari di un immobile, ma soprattutto, il numero di cittadini italiani che hanno contratto quella particolare linea di credito, definita dal codice civile, mutuo ipotecario.

Questa particolarità, non ci interessa, ovviamente, per gli aspetti culturali o antropologici. Non ci occuperemo di un confronto fra un sistema, quello anglosassone, dominato dal credito al consumo, prestiti e carte revolving, e un sistema, nel quale lo strumento di credito a privati più diffuso rimane il mutuo ipotecario. Ossia il finanziamento finalizzato all’acquisizione della casa.

In questo lavoro ci occuperemo esclusivamente, al contrario, di tutto quanto disciplina, accompagna, il processo mediante il quale un italiano, può acquistare, o meno, mediante finanziamento dedicato, un immobile. Tutto questo tentando una valutazione che, prendendo lo spunto dal processo mediante il quale il soggetto medio si avvicina ad un istituto di credito, lo stesso, l’istituto di credito, può o meno, procedere ad erogare e quindi a mettere, materialmente, a disposizione i denari necessari.

Scriviamo alla fine di un periodo, o meglio all’inizio di un nuovo periodo. I nostri dati al 30 novembre 2016 non risentono più della crisi del debito sovrano o di una particolare criticità del mercato monetario. Non siamo nell’estate precedente il fallimento di Lehman Brothers, con tassi interbancari, Euribor superiore al 5% né siamo ancora nel pieno della cosiddetta crisi del debito sovrano con le nostre banche impossibilitate ad erogare credito, causa bilanci “appesantiti” da debito sovrano in portafoglio. L’intervento della B.C.E., a partire dal 2012, ha determinato da una parte l’alleggerimento delle preoccupazioni sul lato del debito sovrano tramite un programma, quantitative easing, di riacquisto sul mercato secondario dei titoli del

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II

debito, dall’altro, in un periodo immediatamente successivo, ha messo a disposizione, finanche a tassi negativi, degli istituti di credito, somme finalizzate alla facilitazione della trasmissione delle politiche monetarie.

Tutto questo ha lasciato anche dal punto di vista della prassi un’eredità particolare. Le nostre banche hanno iniziato a fare valutazioni di ponderazione di costo per il rischio, ponendo in essere processi di commercializzazione successiva del credito erogato, processi tendenti a recuperare in anticipo le somme messe a disposizione. D’altra parte il legislatore è intervenuto, sotto vari profili, che verranno approfonditi di seguito, a tutela del risparmiatore considerato il soggetto debole della relazione.

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Capitolo 1

   

1. I Mutui

1.1 La disciplina del credito fondiario 

Ai sensi dell’articolo 1813 del codice civile, il mutuo è il contratto con il quale una parte, mutuante, consegna all’altra parte, mutuataria, una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità. Nel caso del mutuo si restituirà l’ammontare prestato (quota capitale) insieme agli interessi (quota interessi) entro una certa data.

La restituzione avviene in modo graduale attraverso pagamenti periodici, denominate rate di mutuo, che seguono un piano concordato, ad esempio la cadenza può variare da mensile ad annuale.

Il mutuo è ipotecario nel caso in cui il rimborso nei confronti della banca è garantito da una ipoteca su di uno specifico bene, in genere l’immobile acquistato.

Di norma, il mutuo rappresenta una forma di finanziamento meno onerosa rispetto ad altre in quanto a favore della banca viene costituita una garanzia sul bene; nel caso di acquisto di una casa è rappresentata dall’ipoteca.

Al pagamento degli interessi possono aggiungersi ulteriori costi connessi con l’acquisto del bene immobile: per istruttoria della pratica, perizia sul bene, premi assicurativi e costi notarili. L’ISC (Indicatore Sintetico di Costo) è un indice che gli intermediari devono obbligatoriamente rendere noto al cliente prima della

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sottoscrizione del contratto offre una sintetica misura del costo complessivo del finanziamento.

In linea generale, i mutui ipotecari a privati si distinguono in base alla tipologia di tasso di interesse prescelto.

Se fisso, il tasso di interesse rimane costante durante tutta la durata del mutuo; se variabile, invece, il tasso può mutare nel tempo, in aumento ma anche in diminuzione, rispetto a quello di partenza in funzione dell’andamento di un determinato parametro scelto dalla banca (tasso EURIBOR).

La rata del mutuo, invece dipende dal piano di ammortamento prescelto: esistono rate fisse con tassi variabili e durata variabile, rate costanti, ma anche crescenti o decrescenti, con tasso fisso.

La scelta del mutuo più confacente alle esigenze personali deve basarsi su un’attenta valutazione del peso della rata sul proprio reddito, anche futuro, e sulla propria capacità di risparmio. Scelte ponderate e consapevoli richiedono attenzione su importo del finanziamento, durata del contratto e tipologia di tasso.

Alcuni provvedimenti legislativi (Decreto “Bersani” n. 7/2007, convertito nella legge n. 40/2007) hanno reso più agevole il rimborso anticipato del mutuo; le penali finora applicate dalle banche sono state eliminate per i nuovi mutui e ridotte per quelli già in essere all’entrata in vigore del decreto 2 febbraio 2007.

Nella prassi bancaria tuttavia la nozione di mutuo si discosta da quella del codice civile che identifica il mutuo come un prestito monetario di lunga scadenza (cioè superiore a 18 mesi) erogato in un’unica soluzione destinato a coprire un fabbisogno durevole e rimborsabile periodicamente secondo un piano di ammortamento stabilito all’atto della stipula.

In precedenza si distingueva tra mutuo fondiario e mutuo edilizio. Il mutuo fondiario consisteva in operazioni di finanziamento dirette all’acquisto di una proprietà

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immobiliare già esistente (fabbricati ultimati) e produttivi di reddito, mentre il mutuo edilizio, consisteva in operazione di finanziamento dirette all’acquisto di una proprietà immobiliare e alla realizzazione di opere di edilizia abitativa. Attualmente, con la regolamentazione data dal Testo Unico bancario, in termini giuridici non esiste alcuna differenza tra mutuo fondiario e mutuo edilizio, in quanto entrambi sono regolati dalla stessa disciplina sul credito fondiario.

Il mutuo fondiario è disciplinato nel Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, all’interno della disciplina di credito speciale, agli articoli 38, 39, 40 e 41. In particolare l’articolo 38 definisce il credito fondiario come il credito che ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. Con propria delibera il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) ha stabilito che l’ammontare massimo dei finanziamenti di credito fondiario sia pari all’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale percentuale può tuttavia essere elevata al 100% qualora vengano prestate delle ulteriori garanzie quali fideiussioni bancarie e assicurative.

Il mutuo fondiario gode di alcune deroghe rispetto al diritto comune, illustrate all’articolo 39 del Testo Unico bancario. Fra queste vi sono la non assoggettabilità a revocatoria fallimentare delle ipoteche qualora siano state iscritte 10 giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento. Tale disposizione rappresenta uno dei maggiori vantaggi per gli Istituti di Credito che solitamente, di fronte a soggetti fallibili, erogano il mutuo almeno dieci giorni dopo l’iscrizione ipotecaria. Sempre a vantaggio del creditore, l’articolo 39 prevede che in presenza di clausole di indicizzazione il credito della banca sia garantito dall’ipoteca fino a concorrenza dell’importo effettivamente dovuto, se la nota d’iscrizione dell’ipoteca menziona la clausola d’indicizzazione. A vantaggio dei soggetti debitori invece l’articolo 39 ha previsto che, ogni qual volta essi abbiano estinto la quinta parte del debito originario, hanno diritto ad una riduzione proporzionale della somma iscritta. Essi hanno inoltre il diritto di ottenere la parziale liberazione di uno o più immobili

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ipotecati quando, da documenti prodotti o da perizie, risulti che per le somme ancora dovute i rimanenti beni vincolati costituiscono una garanzia sufficiente ai sensi dell’articolo 38. Infine sempre a vantaggio dei debitori l’articolo 39 prevede la riduzione degli oneri notarili e di iscrizione ipotecaria.

L’art. 40 del T.U.B. invece disciplina l’estinzione anticipata e la risoluzione del contratto. In particolare sancisce che i debitori hanno la facoltà di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito, corrispondendo alla banca esclusivamente un compenso omnicomprensivo per l’estinzione contrattualmente stabilito. Al comma 2 del medesimo articolo si precisa che anche la banca può estinguere anticipatamente il prestito, invocando come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento delle rate quando questo si sia verificato almeno sette volte anche se non consecutive, dove per ritardato pagamento si intende quello avvenuto tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata. Infine all’articolo 41 è illustrato il procedimento esecutivo di espropriazione relativo a crediti fondiari, che presenta delle deroghe significative rispetto all’ordinaria disciplina di espropriazione immobiliare contenuta nel codice civile agli articoli 474-512 e agli articoli 555-598. L’art. 41 comma 1 del T.U.B. dispone che nel procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari la banca non ha l’obbligo di notificare il titolo contrattuale esecutivo. La procedura esecutiva inizierà quindi con la notificazione del precetto, che consiste nell’intimazione di adempiere l’obbligo da eseguirsi alla parte personalmente. Qualora l’intimazione, trascorsi i termini di legge, sia rimasta infruttuosa, la banca procederà all’espropriazione forzata mediante il pignoramento immobiliare ed il procedimento proseguirà nelle forme ordinarie.

La ratio della norma in esame è da intendersi unicamente nel senso di concedere alla banca maggiore speditezza operativa, esonerandola dalla necessità di ottenere dal notaio rogante la copia in forma esecutiva, col conseguente allungamento dei tempi, appesantimento procedurale ed aggravio di costi. Tale esclusione, ad ogni modo,

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costituisce una semplificazione di cui le banche possono, ma non è detto, che debbano avvalersi inderogabilmente.

L’articolo 41 comma 2 del T.U.B. detta tre norme in materia di rapporti tra azione esecutiva (fondiaria) e fallimento.

In particolare la prima disposizione consente alla banca di iniziare o proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il creditore fondiario non attenderà quindi la formazione del piano di riparto fallimentare e potrà conseguire il suo avere immediatamente e direttamente dall’aggiudicatario (ovvero da colui che, partecipando all’asta, vince la gara aggiudicandosi l’immobile posto in vendita) o assegnatario (che invece è uno dei creditori che agiscono nell’esecuzione individuale contro il debitore per il recupero del proprio e credito e che può, sia pure a certe condizioni, chiedere al giudice di ottenere in proprietà l’immobile pignorato a soddisfazione del suo credito, pagando l’eventuale conguaglio rispetto al valore di stima attribuito dall’esperto del tribunale al bene ipotecato), ma ciò in via provvisoria e salva parziale restituzione. Quanto immediatamente ricevuto dal creditore fondiario in esito all’esecuzione individuale, infatti, non potrà mai ritenersi acquisito a titolo definitivo, non potendosi la banca sottrarre alle regole della “par condicio creditorum” e del riparto fallimentare. Soltanto in esito al riparto, che terrà conto del concorso globale dei creditori e dell’esistenza di cause legittime di prelazione, si renderà definitiva l’acquisizione, salva restituzione dell’eventuale eccedenza. Il fine della norma in esame è, infatti, unicamente quello di rendere più rapido l’iter dell’esecuzione immobiliare, senza dover attendere i tempi e la definizione della procedura fallimentare e di consentire alla banca un più celere realizzo della garanzia, in rapporto alla necessità di riscuotere puntualmente o di recuperare con sollecitudine i crediti rateali per far fronte al pagamento degli interessi ai possessori delle obbligazioni, nonché di procedere al rimborso dei titoli stessi.

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La seconda disposizione prevede la possibilità che il curatore intervenga nella procedura esecutiva della banca. Tale previsione muove dall’esigenza di tutelare le ragioni della massa dei creditori, in linea con i poteri propri del curatore in sede fallimentare, volti principalmente all’amministrazione del patrimonio del fallito. La terza disposizione al fine di attuare il coordinamento tra azione esecutiva individuale e procedura concorsuale, prevede infine che sia attribuita alla massa fallimentare la somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto sarebbe risultata spettante alla banca, se questa avesse concorso in sede fallimentare.

L’art. 41 comma 3 del T.U.B. disciplina le funzioni del custode, dell’amministratore giudiziario e del curatore del fallimento, disponendo che il custode dei beni pignorati, l’amministratore giudiziario ed il curatore del fallimento del debitore versano alla banca le rendite degli immobili ipotecati a suo favore, dedotte le spese di amministrazione e i tributi, sino al soddisfacimento del credito vantato. La disposizione assume portata derogatoria rispetto alle regole generali che prevedono che il custode e l’amministratore giudiziario amministrino le rendite, sotto il controllo e la vigilanza del giudice dell’esecuzione, e provvedano al deposito delle stesse in cancelleria insieme ai rendiconti periodici di gestione.

L’art. 41 del T.U.B. ai commi 4, 5 e 6 ai fini di un sollecito recupero del credito detta una serie di disposizioni agevolate in favore della banca in caso di vendita o assegnazione del bene ipotecato. In particolare il comma 4 prevede che l’aggiudicatario o l’assegnatario che non intendono subentrare nel contratto di finanziamento debbano versare direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo credito della stessa e qualora essi non adempiano entro il termine stabilito sono considerati inadempienti ai sensi dell’articolo 587 del codice di procedura civile. Al comma 5 si dispone che l’aggiudicatario o l’assegnatario possono subentrare, senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione, nel contratto di finanziamento stipulato dal debitore espropriato assumendosi gli obblighi relativi purché paghino alla banca le rate scadute, gli accessori e le spese.

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Nel caso di vendita in più lotti è previsto che ciascun aggiudicatario o assegnatario versi proporzionalmente alla banca le rate scadute, gli accessori e le spese. Il comma 6 infine stabilisce che il trasferimento del bene espropriato e il subentro nel contratto di finanziamento sono subordinati all’emanazione del decreto con il quale il giudice trasferisce all’aggiudicatario il bene espropriato e ingiunge al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto, come previsto dall’articolo 586 del codice di procedura civile.

1.2 Tipologie di mutuo

1.2.1 Mutui a Tasso fisso e tasso variabile

Il tasso di riferimento al quale il credito erogato, mutuo, viene rimborsato, si distingue in linea generale tra variabile e fisso.

Il tasso fisso, banalmente, è contraddistinto dal suo rimanere costante per tutta la durata del finanziamento, ed ha come parametro di riferimento l’IRS; quello variabile, al contrario, non rimane costante ma varia al variare del suo parametro di riferimento che in questo caso è l’Euribor.

Nella formazione del tasso definitivo, sia esso fisso o variabile, al quale viene regolato il rimborso del mutuo, dobbiamo tenere conto dello spread. Per SPREAD si intende in senso specifico la differenza fra quotazione denaro (di vendita) e la quotazione lettera (di acquisto) e in un’eccezione più generica è il differenziale tra i due valori. Da un lato il valore al quale la banca potrebbe acquistare danaro sul mercato, in questo caso l’interbancario, ad una determinata scadenza; dall’altro il valore al quale è disposto a cederlo, ed in questo caso applica uno spread, cioè un

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differenziale, che costituisce un margine all’interno del quale la banca prezza sia il rischio, impegno di denaro nel tempo, sia il suo guadagno.

IL TASSO VARIABILE, è ancorato all’indice EURIBOR. Quest’ultimo è un acronimo che sta per EURo Inter Bank Offered Rate (tasso interbancario di offerta in euro), ed è il tasso a cui le banche sono disposte a vendere e/o acquistare danaro ad una determinata scadenza. Esso è ricalcolato periodicamente a seconda della sua scadenza. Esiste quindi un Euribor a una settimana come uno ad un anno (che sono gli estremi). É soggetto a variazioni; può a seconda delle oscillazioni dell’Euribor stesso quindi crescere o decrescere, con la conseguenza che la rata mensile di un mutuo può aumentare o diminuire. Se ciò dovesse accadere, la banca provvede al ricalcolo in base al debito residuo dell’ammontare delle rate residue. Come alternativa all’aumento o diminuzione del valore delle rate, alcuni istituti di credito pongono una particolare tipologia di contratto nota con l’appellativo di MUTUO A RATA COSTANTE. Essa prevede che anziché aumentare (o diminuire) il valore della rata, aumenti (o diminuisca) il periodo di rimborso, mantenendo la stessa rata costante. In altre parole, una variazione dell’indice di riferimento, non va ad incidere sull’importo della rata che si mantiene costante, ma determina una contrazione o una dilatazione del periodo di rimborso. A titolo di esempio se la rata è stabilita in 500 euro per 20 anni e l’Euribor dovesse aumentare di un valore X, il valore della quota mensile resta inalterato, ma il periodo si prolunga a 20 anni e 3 mesi o 21 anni o comunque di quante mensilità sono sufficienti a coprire tale variazione. Tale formula di contratto ha un costo leggermente superiore al tasso variabile standard. In ogni caso esso si applica per periodi non superiori ai 25 anni. Nel caso l’aumento implichi una variazione periodale superiore agli anni che ci vogliono per far raggiungere i 30 di rimborso, il debito eccedente costituirà una sorta di maxi-rata finale che il cliente potrà saldare o in un’unica soluzione o chiedere a l’ente erogante di dilazionarlo in enne mensili.

L’Euribor, che costituisce a tutti gli effetti il tasso d’interesse interbancario, ovvero il tasso al quale gli istituti di credito europei si prestano denaro fra loro, è calcolato

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giornalmente come una media mensile dei tassi ai quali le banche più rappresentative della zona euro, coordinate dall’associazione bancaria non regolamentata, pensano di poter ottenere finanziamenti non garantiti da una settimana a 12 mesi.

La Figura n.1 evidenzia la differenza tra Euribor 1 mese ed Euribor 3 mesi.

Andamento Euribor 1 mese dal 1999-2016 Andamento Euribor 3 mesi dal 1999-2016

Figura 1: Andamento Euribor

I due tassi mostrano lo stesso andamento, ma l’Euribor a tre mesi è stato storicamente leggermente più elevato, rispettando un maggior prezzo per il tempo, rispetto all’Euribor ad un mese. In passato quindi un tasso variabile indicizzato all’Euribor a tre mesi piuttosto che a un mese ha comportato costi più elevati per i mutuatari. Attualmente non è più così presentando la curva fino a 12 mesi rendimenti negativi

IL TASSO FISSO è ancorato all’IRS, prezzato per la pari durata del mutuo, a cui viene sommato uno spread. L’IRS, acronimo di Interest Rate Swap, deve la sua notorietà all’utilizzo che ne fanno le banche riferendo ad esso il costo dei propri mutui a tasso fisso.

Tuttavia, omen nomen, l’origine di questo indicatore va ricercata nei contratti di swap, che sono strumenti derivati sui tassi e in quanto tali, diremmo per definizione,

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concettualmente opachi. Siamo infatti culturalmente portati a ragionare in termini di tassi su scambi reali di capitale. Siamo cioè portati a immaginare che il denaro venga solo prestato, utilizzato e rimborsato sommato ad una quota aggiuntiva detta interesse. I contratti sui derivati invece non comportano l’effettivo movimento del capitale. L’obiettivo non è finanziario, in senso stretto, ma può assumere due finalità diverse se non contrarie: protezione o speculazione. Se, ad esempio, volessimo mettere in piedi un contratto di swap dovremmo avere un soggetto che crede che sia vantaggioso investire a tasso variabile mentre un altro che ha fiducia nel tasso fisso. Il primo soggetto fa un prestito a tasso variabile di 10.000 Euro e l’altro, contemporaneamente, ne fa uno al primo di altrettanti 10.000 Euro a tasso fisso. Tutti i mesi un soggetto paga la rata a tasso fisso e l’altro rimborsa quella a tasso variabile.

Il meccanismo funziona, ma implica l’impegno di 20.000 Euro di capitale. Potremmo evitare di tirare in ballo il capitale e scambiarci solo le quote interessi delle rate. Se lo scambio è sempre di 10.000 Euro il patrimonio alla fine resta lo stesso, quindi tanto vale evitare lo scambio.

In questo modo le somme in gioco sarebbero solo quelle degli interessi, il che darebbe la possibilità di incrementare esponenzialmente gli importi. Abbiamo quindi trasformato flussi di tasso variabile in flussi di tasso fisso. Nella stessa operazione le banche fanno rifornimento di denaro sul mercato a tasso variabile privo di rischi, stipulano contratti di swap, a scopo di protezione; altri soggetti finanziari assorbono il rischio di variazione e quindi prestano il denaro a tasso fisso senza temere le fluttuazioni dei tassi, ma, anzi, evidentemente alla luce di una visione positiva, facendovi posizione, speculazione.

A volte nelle specifiche di costo è possibile trovare riferimenti all’Eurirs. Esso coincide sostanzialmente con l’IRS. Più precisamente si riferisce ai tassi ufficiali, diffusi dalla Federazione Bancaria Europea, che calcola quotidianamente la media degli IRS con cui le banche europee realizzano le operazioni di swap.

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Le quotazioni dell’IRS (chiamato anche Eurirs) dipendono strettamente dai mercati dei tassi a lungo termine. Il loro andamento coincide con quello degli investimenti obbligazionari di pari durata.

Storicamente più lunga è la durata del prestito, in questo caso mutuo, a tasso fisso, più sarà alto il relativo interesse. Tuttavia in periodi con bassa inflazione attesa, variabile con forte influenza sull’andamento dei tassi nella parte lunga della curva, la differenza, e quindi la cosiddetta rapidità della curva, tra la parte a breve e quella a lunga sarà di pochi basis point, o di appena un punto percentuale.

Avendo questa informazione ciascuno di noi può tranquillamente ricavare e verificare il cosiddetto tasso finito.

Ad esempio, se dobbiamo stipulare un mutuo a tasso fisso di durata 15 anni, per cui la banca propone uno spread del 2%, il cliente verificherà la quotazione dell’IRS 15 anni (IRS 15/Y). Se il cliente rileva che l’IRS è pari a 1,10% significa che il mutuo viene proposto al tasso fisso del 3,10% (1,10% + 2%).

Questo sistema rappresenta un concreto aiuto per paragonare diversi mutui. Come nel caso del tasso variabile sarà infatti possibile paragonare gli spread.

Circa la convenienza del mutuo a tasso fisso o variabile si deve ricordare che il primo consente di pagare una rata prefissata che rimane tale per tutta la durata del mutuo, mentre con il secondo, la rata varia a seconda dell’andamento dell’Euribor e pertanto può salire o scendere piuttosto bruscamente. La scelta tra tasso fisso e tasso variabile dipende principalmente dalla propensione al rischio e dalle disponibilità di ciascuno: se si ha la possibilità di accettare un aumento della rata nell’ottica di risparmiare quando i tassi sono bassi allora è preferibile il tasso variabile, se invece non si ha la possibilità economica di far fronte ad un aumento della rata e non si vogliono correre rischi allora è ritenuto più opportuno il tasso fisso.

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Attualmente l’Euribor presenta una valorizzazione negativa da 1 mese a 1 anno a fronte di un IRS che si muove da 0,10 a 1,25 da 5 a 30 anni, la scelta quindi è più che mai legata al profilo personale dei richiedenti, non potendosi ritenere attendibili previsioni sull’evoluzione futura dei tassi in uno scenario nel quale viene prezzata un’inflazione a 5 anni per i prossimi 5 inferiore al punto e mezzo, crescita moderata, nessun aumento dei consumi e l’invecchiamento progressivo della popolazione. La Figura n.2 evidenzia la differenza tra Eurirs a 10 anni, 20 anni e 30 anni:

Figura 2: Andamento Eurirs (Fonte: www.finanziamentiprestitimutui.com)

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13 1.2.2 Taeg

Oltre al tasso indice Euribor o Eurirs nelle operazioni di mutuo deve essere fornito alla clientela anche il tasso annuo effettivo globale (T.A.E.G.), che non viene utilizzato per calcolare l’importo della rata ma che, come voce riassuntiva dei principali costi, rileva al fine di valutare la convenienza di un tipo di finanziamento rispetto ad un altro. L’articolo 122 del Testo Unico bancario, infatti definisce il T.A.E.G. come “il costo totale del credito a carico del consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso”. Il T.A.E.G. “ricomprende tutti gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito”, pertanto oltre al rimborso di capitale e interessi considera anche tutte le altre spese quali ad esempio le spese di istruttoria e di incasso rata. Al comma 2 l’articolo 122 del T.U.B stabilisce che spetta al CICR stabilire le modalità di calcolo del T.A.E.G. individuando in particolare gli elementi da computare e la formula di calcolo. Il manuale di BIFFIS P., Le operazioni e i servizi bancari (2009, pag.212), riporta la seguente formula di calcolo del T.A.E.G.:

F0 – c0 = Σ (Rt + ct ) / (1+ i )^t Dove:

F0 = importo del finanziamento erogato Rt = importo della rata t-esima

i = incognita dell’equazione (T.A.E.G.) n = numero delle rate

c0 = componenti di costo iniziali ct = componenti di costo successive Σ = sommatoria per t che va da 1 a n.

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Infine al comma 3 si precisa che qualora il finanziamento possa essere ottenuto solo attraverso l’interposizione di un terzo, il costo di tale interposizione deve essere incluso nel T.A.E.G.. Il tasso annuo effettivo globale, indicato in relazione alla durata del finanziamento e alla diversa periodicità delle rate di rimborso, deve essere inserito nel contratto e nel documento di sintesi consegnati al cliente.

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Capitolo 2

2. La Fiscalità

2.1 La fiscalità del mutuo fondiario

Il diritto ad un’abitazione è riconosciuto come diritto umano spettante ad ogni individuo in molti documenti internazionali quali, ad esempio, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (all’art. 25), il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (all’art. 11), la Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo (all’art. 8) e molti altri.

A livello nazionale, il diritto ad una casa trova un ancoraggio normativo all’ articolo 47 della Costituzione, secondo il quale: “La Repubblica […] favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Ad essere tutelata dalla Costituzione non è tuttavia la proprietà della casa in sé, ma la casa in quanto destinata all’abitazione del proprietario, ovvero a soddisfare un bisogno essenziale dell’uomo. Per questo motivo il favor costituzionale viene meno nel momento in cui l’individuo risulta già essere proprietario di un’altra abitazione; la sua pretesa in questo caso non è infatti volta a soddisfare un bisogno essenziale della persona ma un interesse diverso ed ulteriore. In quest’ottica si inseriscono le disposizioni in materia di imposta sostitutiva sul mutuo stipulato per l’acquisto della prima casa e di detrazione fiscale degli interessi passivi del mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione principale che ho deciso di approfondire.

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L’acquisto della casa comporta il pagamento di alcune imposte, che variano a seconda della destinazione dell’immobile e del soggetto venditore. Quando si acquista la prima casa si può godere di un regime fiscale agevolato che consente di pagare le imposte in misura inferiore rispetto a quelle ordinariamente dovute.

Per effetto degli articoli 10 del D.lgs. 23/2011 e 26 del D.l. 104/2013, a partire dal primo gennaio 2014 le imposte relative al trasferimento di immobili sono state modificate con l’obiettivo di diminuire il carico fiscale sulle compravendita tra privati di immobili destinati all’utilizzo come prima casa.

Se l’oggetto dell’acquisto è la prima casa, l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte a partire, dal 1° gennaio 2014, quando il venditore è un privato:

• IVA esente

• imposta di registro del 2%

• imposta ipotecaria fissa di 50 euro • imposta catastale fissa di 50 euro

Nel caso l’immobile sia registrato al catasto come immobile di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) l’imposta di registro ha un valore del 9%.

Quando si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) entro 5 anni dall’ultimazione lavori:

• IVA del 4%

• imposta di registro fissa di 200 euro • imposta ipotecaria fissa di 200 euro • imposta catastale fissa di 200 euro

Quando si acquista da impresa non costruttrice che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione oppure si acquista da impresa costruttrice (o di ristrutturazione) dopo 5 anni all’ultimazione dei lavori:

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• imposta di registro del 2%

• imposta ipotecaria fissa di 50 euro • imposta catastale fissa di 50 euro

Se oggetto dell’acquisto è un immobile ad uso abitativo non prima casa l’atto di compravendita è soggetto alle seguenti imposte: quando il venditore è un privato oppure un’impresa “non costruttrice” e che non ha eseguito lavori di restauro, risanamento o ristrutturazione, oppure un’impresa “costruttrice” (o di ristrutturazione) che vende dopo 5 anni dalla data di ultimazione dei lavori

• IVA esente

• imposta di registro del 9% • imposta ipotecaria di 50 euro • imposta catastale di 50 euro

Quando il venditore è un’impresa costruttrice (o di ristrutturazione) che vende entro 5 anni dall’ultimazione lavori

• IVA del 10% (22% se immobile di lusso) • imposta di registro fissa di 200 euro • imposta ipotecaria fissa di 200 euro • imposta catastale fissa di 200 euro

Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono versate dal notaio al momento della registrazione dell’atto. Dal 1° gennaio 2007 (per effetto della legge finanziaria per il 2007), soltanto per le compravendite di immobili ad uso abitativo, comprese le relative pertinenze (box, garage, cantine) a favore di un privato (acquirente), si può assumere come base imponibile il valore catastale, anziché dal corrispettivo pagato.

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Per tutte le altre compravendite in cui l’acquirente non è un privato e/o che riguardano terreni, negozi o uffici, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalleparti e non dal valore catastale.

Quando la vendita della casa è soggetta ad Iva, la base imponibile è costituita dal prezzo pattuito e dichiarato nell’atto dalle parti e non dal valore catastale. Relativamente a queste cessioni, le nuove disposizioni consentono all’Agenzia delle Entrate di rettificare direttamente la dichiarazione annuale Iva del venditore se il corrispettivo dichiarato è inferiore al “valore normale” del bene. La legge definisce come valore normale “…il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato per beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui è stata effettuata l’operazione o nel tempo e nel luogo più prossimi” (articolo 14 del D.P.R. n. 633 del 1972).

L’acquirente può chiedere al notaio che la base imponibile ai fini dell’applicazione delle imposte (registro, ipotecaria e catastale) sia costituita dal valore catastale dell’immobile, indipendentemente dal prezzo dichiarato dalle parti. In tal caso il rogito deve riportare anche il valore catastale dell’immobile (sistema prezzo-valore). L’agevolazione spetta a condizione che nell’atto sia indicato l’effettivo importo pattuito per la cessione.

Nel caso in cui la compravendita sia tassata sulla base del valore catastale la legge stabilisce, inoltre, che le tariffe notarili devono essere ridotte del 30%.

Se, però, per l’acquisto della casa, l’acquirente ha contratto un mutuo o chiesto un finanziamento bancario, la base imponibile non può essere inferiore all’ammontare del mutuo o del finanziamento erogato. Allo stesso tempo, non è possibile detrarre ai fini Irpef interessi passivi derivanti da importi di mutuo superiori al prezzo di acquisto.

L’omissione, la falsa o incompleta dichiarazione comportano (oltre all’applicazione della sanzione penale) l’assoggettamento, ai fini dell’imposta di registro, ad accertamento di valore dei beni trasferiti. In sostanza, l’Agenzia delle Entrate

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applicherà le imposte sul valore di mercato dell’immobile, anche se le parti avevano richiesto la tassazione sulla base del valore catastale. Inoltre sono previste onerose sanzioni pecuniarie amministrative.

Dal 2007 è possibile detrarre fiscalmente ai fini Irpef (nella misura del 19%) i compensi corrisposti agli intermediari immobiliari per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. La detrazione è fruibile per un importo comunque non superiore a 1.000 euro e la possibilità di portare in detrazione questa spesa si esaurisce in un unico anno d’imposta. Se l’acquisto è effettuato da più proprietari, la detrazione, nel limite complessivo di 1.000 euro, dovrà essere ripartita tra i comproprietari in ragione della percentuale di proprietà. L’acquirente, per poter fruire dell’applicazione delle imposte (di registro, ipotecaria, catastale) sul valore catastale dell’immobile, deve farne esplicita richiesta al notaio. Il 9 settembre 2013 sono state approvate dal Consiglio dei Ministri le modifiche alle imposte di registro, ipotecaria e catastali applicate sul valore sull’immobile acquistato. Il Decreto Istruzione (D.l. 104/2013) ha infatti introdotto modifiche sostanziali alle imposte indirette e il cambiamento, a partire dal 1° gennaio del 2014, ha favorito in particolar modo le compravendite tra privati delle abitazioni utilizzate come prima casa: in questo caso l’imposta di registro è scesa dal 3% al 2%, mentre l’imposta ipotecaria e quella catastale sono state ridotte da 168 euro a 50 euro. Sono passate ad un importo fisso di 50 euro anche le imposte ipotecaria e catastale.

Per quando riguarda invece gli immobili di lusso (anche se prima casa) e per tutte le seconde case, l’imposta di registro è passata dal 7% al 9%. L’imposta ipotecarie e l’imposta catastale hanno subito una modifica al rialzo a 200 euro nei casi in cui il loro importo precedente fosse di 168 euro.

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2.2 L’imposta sotitutiva

L’imposta sostitutiva si applica indipendentemente dalla circostanza che il finanziamento sia o meno assistito da garanzie, in particolare, da garanzie ipotecarie, con un’aliquota pari allo 0,25% o al 2% dell’importo erogato, a seconda delle finalità per le quali viene concesso. L’aliquota dello 0,25% è prevista qualora il mutuo sia finalizzato all’acquisto, alla costruzione e/o ristrutturazione di un immobile, e sue pertinenze, che risulta essere la prima casa cioè l’immobile che per primo si acquista nel comune dove si ha o dove si intende trasferire la propria residenza. Diversamente, il mutuo finalizzato all’acquisto, alla costruzione e/o ristrutturazione di un’abitazione (e sue pertinenze) che non possiede i requisiti per accedere alle agevolazioni “prima casa” è assoggettato all’aliquota del 2%.

Per beneficiare della minore aliquota dello 0,25%, il mutuatario persona fisica deve dichiarare nel contratto di mutuo che il finanziamento rientra nella fattispecie soggetta a tale aliquota. Se il mutuo è cointestato, è necessario che la dichiarazione venga resa da tutti i mutuatari, in quanto l’aliquota d’imposta sostitutiva da applicare è determinata in base alla destinazione attribuita ad ogni quota parte del finanziamento erogata a ciascun mutuatario. Pertanto, nel caso di acquisto in comproprietà di abitazione costituente prima casa, se uno dei cointestatari non rientra nel regime agevolato “prima casa”, la sua quota parte del finanziamento viene assoggettata all’aliquota del 2% e non dello 0,25%.

2.3 Le agevolazioni fiscali sul mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale

L’attuale disciplina (articolo 15 comma 1 lettera b del T.U.I.R.) prevede una detrazione dall’imposta sul reddito delle persone fisiche pari al 19% degli interessi

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passivi, e relativi oneri accessori, nonché delle quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione, pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale. Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente e/o i suoi familiari dimorano abitualmente. Per poter godere della detrazione fiscale devono tuttavia sussistere alcuni requisiti, ovvero:

• il mutuo deve essere stato stipulato al fine di acquistare un immobile che deve essere adibito ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto. Questa condizione inoltre deve permanere per tutto il periodo per cui si richiede la detrazione. Tuttavia non si perde il diritto alla detrazione in caso di trasferimento per motivi di lavoro o ricovero in case di cura. Inoltre qualora si appartenga a forze armate o di polizia è sufficiente che l’immobile sia l’unica abitazione di proprietà e non è invece richiesto che sia la dimora abituale;

• il mutuo stipulato deve essere garantito da ipoteca su immobili. Non necessariamente l’immobile ipotecato deve essere quello acquisito ma può essere un altro immobile di proprietà del contribuente o di un soggetto diverso da esso;

• l’acquisto dell’immobile deve avvenire nell’anno antecedente o successivo alla stipula del mutuo. Non si tiene conto del suddetto periodo nel caso in cui l’originario contratto sia estinto e ne venga stipulato uno nuovo di importo non superiore alla residua quota di capitale da rimborsare, maggiorata delle spese e degli oneri correlati all’estinzione del vecchio mutuo e all’accensione del nuovo;

• il mutuo deve essere erogato da soggetti residenti in Italia o in uno Stato membro della Comunità Europea o da stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti.

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La detrazione d’imposta deve essere fatta valere nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui gli interessi e gli oneri accessori sono stati effettivamente sostenuti (principio di cassa).

Concorrono a determinare l’ammontare delle spese da portare in detrazione, oltre agli interessi passivi pagati, le spese assolutamente necessarie alla stipula del contratto di mutuo, ovvero:

• l’onorario del notaio per la stipula del contratto di mutuo ipotecario; • le spese di perizia;

• le spese di istruttoria;

• la commissione richiesta dagli istituti di credito per la loro attività di intermediazione;

• le spese di mediazione immobiliare (agenzie immobiliari) nella misura del 19%, su un importo massimo di 1000 euro;

• la penalità per anticipata estinzione del mutuo;

• le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione; • le perdite su cambio, per i mutui contratti in valuta estera;

• le spese relative all’iscrizione o alla cancellazione di ipoteca; • l’imposta sostitutiva sul capitale prestato.

Non sono invece ammesse alla detrazione le spese di assicurazione dell’immobile in quanto non soddisfano il requisito di necessarietà. Tale requisito non sussiste neppure qualora l’assicurazione sull’immobile sia richiesta dall’istituto di credito che concede il mutuo, quale ulteriore garanzia (oltre a quella ipotecaria) nel caso in cui particolari eventi danneggino l’immobile e possano determinare una riduzione del suo valore ad un ammontare inferiore rispetto a quello ipotecato.

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Altresì non sono ammesse alla detrazione, in quanto relative al contratto di compravendita e non di mutuo:

• l’onorario del notaio per il contratto di compravendita; • le imposte di registro, l’Iva, le imposte ipotecarie e catastali.

Non sono ammessi inoltre alla detrazione gli interessi passivi eventualmente coperti da contributi concessi dallo Stato, dalla Regione o da altri enti pubblici. Pertanto la detrazione potrà riguardare solamente gli interessi che sono rimasti a carico del contribuente.

Può accadere che l’ente pubblico conceda i contributi e ne chieda successivamente la restituzione per mancanza dei presupposti. In tal caso si ritiene che le somme restituite costituiscano gli interessi passivi del mutuo contratto per l’acquisto dell’abitazione principale e possano pertanto essere portati in detrazione nel periodo d’imposta in cui sono restituiti, alle condizioni vigenti per la dichiarazione dei redditi in cui il soggetto avrebbe potuto far valere il relativo onere se non ci fosse stato l’intervento dell’ente pubblico.

Riassumendo, le voci che incrementano il costo d’acquisto dell’immobile destinato ad abitazione principale sono le seguenti:

• onorario del notaio relativo sia all’atto di compravendita sia al contratto di mutuo;

• imposte dovute per l’atto di trasferimento immobiliare (registro, Iva, ipotecaria e catastale);

• spese per l’iscrizione e la cancellazione dell’ipoteca; • imposta sostitutiva sul capitale prestato;

• spese sostenute per l’autorizzazione del Giudice tutelare;

• spese sostenute nei procedimenti esecutivi individuali o concorsuali; • compensi di mediazione immobiliare.

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Ciò a prescindere dal fatto che le predette spese a titolo di oneri accessori concorrano ad alimentare l’importo sul quale calcolare la detrazione d’imposta. La detrazione spetta all’intestatario del mutuo che acquisisce la proprietà piena o nuda sull’immobile (e non invece a chi vanti diritto di usufrutto o altro diritto reale sull’immobile), anche qualora l’immobile sia adibito ad abitazione principale dei suoi familiari (coniuge e/o parenti entro il terzo grado e/o affini entro il secondo grado). In presenza di più intestatari, il diritto spetta a ciascuno secondo la propria quota fino al raggiungimento dell’ammontare massimo deducibile pari a 3.615,20 euro fino al 2007 e 4.000 euro dal 2008. La detrazione fiscale massima che ogni singolo contribuente potrà portare in detrazione nella dichiarazione dei redditi è quindi pari a 760,00 euro (19% di 4.000 euro).

Qualora ad esempio due coniugi, non fiscalmente a carico l’uno dell’altro, fossero cointestatari in parti uguali di un mutuo che grava sull’abitazione acquistata in comproprietà, ad essi spetterebbe un importo sul quale calcolare la detrazione al massimo pari a 2.000 euro ciascuno. Qualora invece un coniuge sia a carico dell’altro, quest’ultimo può richiedere la deduzione anche degli interessi passivi spettanti all’altro (sempre che sia cointestatario del mutuo e comproprietario dell’immobile) per un ammontare massimo pari a 4.000 euro in totale. In caso di più contratti tale limite va riferito complessivamente a tutti i contratti.

Il coniuge separato che non utilizzi più l’immobile come abitazione principale conserva il diritto alla detrazione fino alla sentenza di divorzio, se nell’immobile continuano ad abitare l’altro coniuge e/o i familiari. Dopo il divorzio, la detrazione spetterà finché l’immobile continuerà ad essere utilizzato dai familiari a meno che il mutuatario non abbia un altro immobile di proprietà che figuri come abitazione principale.

Per fruire della detrazione, è necessario che il contribuente conservi ed esibisca o trasmetta, a richiesta degli Uffici finanziari, la seguente documentazione:

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• copia del contratto di mutuo dal quale risulti che lo stesso è assistito da ipoteca e che è stato stipulato per l’acquisto dell’abitazione principale. Il diritto alla detrazione viene meno a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui l’immobile non è più utilizzato come abitazione principale (ad eccezione dei casi sopra descritti).

Tuttavia, se il contribuente torna ad adibire l’immobile ad abitazione principale è possibile fruire nuovamente della detrazione.

2.3.1 Casi particolari

Qualora sussista una separazione, la detrazione fiscale continua a spettare soltanto se un familiare del coniuge separato (ad esempio il figlio o l’altro coniuge separato) dimora abitualmente nell’immobile, fino al momento in cui non diventa esecutiva la sentenza di divorzio.

Ciò nonostante, nel caso in cui venga pattuito che la quota di proprietà del coniuge venga trasferita all’altro coniuge separato assegnando a quest’ultimo il relativo contratto di mutuo per la parte che è riferibile al primo coniuge menzionato, la detrazione spetterà interamente al coniuge che si accolla il contratto di mutuo a condizione, però, che:

• l’accollo venga formalizzato in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata;

• le quietanze concernenti il pagamento degli interessi vengano inquadrate dall’attestazione che dimostra come l’onere sia stato integralmente sostenuto dal coniuge proprietario, anche in riferimento alla quota riferita all’ex coniuge.

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Si precisa, tuttavia, che se nella sentenza di separazione è, ad esempio, l’ex marito il soggetto su cui ricade l’obbligo di assolvere il debito riguardante il mutuo contratto per l’immobile, nonostante il mutuo risulti intestato all’ex moglie, la detrazione spetta al marito, sempre rispettando i requisiti formali sopra menzionati (vale a dire atto pubblico e quietanza integrata).

In caso, invece, di divorzio, se l’abitazione in oggetto dovesse perdere la destinazione ad abitazione principale per un determinato coniuge, quest’ultimo verrebbe di conseguenza a perdere anche la relativa detrazione. L’unica eccezione, in tal senso, interviene se nell’immobile dimorano i figli.

Se invece vi dimora soltanto l’ex coniuge, a quest’ultimo rimane il diritto alla detrazione, sempre entro la soglia massima di 2mila euro, ossia il 50% del limite consueto.

2.4 Novità-La legge di stabilità 2016 

Il soggetto privato (persona fisica) che, entro il 31 dicembre 2016 (ciò che rileva è la data del rogito notarile), procede all’acquisto della propria casa da un’impresa costruttrice ha la possibilità di detrarre dall’IRPEF il 50% dell’IVA versata. Si tratta di una detrazione fiscale che andrà ripartita in un arco temporale di 10 anni. L’agevolazione viene applicata limitatamente alle unità immobiliari che risultano avere destinazione residenziale, di classe energetica A o B.

Anche chi acquisti una casa tramite lo strumento del leasing immobiliare nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2016 e il 31 dicembre 2020, ha la possibilità di beneficiare di una detrazione dall’IRPEF pari al 19%, oltre che sull’importo pagato

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ogni mese a titolo di canoni ed oneri accessori (fino ad un ammontare massimo pari a 8mila euro), anche sul prezzo pagato a titolo di riscatto (in questo caso, per un importo massimo di 20mila euro).

In particolar modo per chi ha meno di 35 anni, con un reddito complessivo non superiore a 55mila euro, che non risulta essere già titolare di diritti di proprietà su altri immobili a destinazione abitativa, può beneficiare di questa agevolazione, mentre per chi ha 35 anni o più, la detrazione fiscale al 19% rimane valida, tuttavia gli importi delle spese ammissibili verranno diminuiti della metà, passando così a 4mila euro per i canoni e gli oneri accessori, e a 10 mila per il riscatto.

Il bonus prima casa si tratta dell’ormai nota agevolazione per l’acquisto della prima casa data dal pagamento dell’IVA, sempre per chi compra da costruttore, al 4% o dell’imposta di registro al 2%, per chi invece compra da privati, ma con la Legge di Stabilità per il 2016 possono acquistare casa usufruendo del bonus anche quei soggetti che hanno già un altro immobile comprato con la medesima tipologia di agevolazione, purché provvedano a disfarsene entro 1 anno dal momento del rogito notarile.

I destinatari dell’agevolazione sono chi acquista un fabbricato accatastato A/2, A/3, A/4, A/5, A/6, A/7, A/11; chi stabilisce la propria residenza nel Comune dove è ubicato l’immobile entro 18 mesi dal momento dell’acquisto; essendo valida anche l’ipotesi che vuole l’immobile ubicato nel luogo dove il contribuente lavora e chi non risulta essere proprietario di altri immobili nel medesimo Comune e, con riferimento a tutto il territorio nazionale, di altri immobili che sono stati acquistati tramite la stessa agevolazione prevista sulla prima casa.

Con la legge sopra citata viene confermata la detrazione IRPEF del 19% degli interessi che sono pagati sul mutuo ipotecario per acquistare, costruire o ancora ristrutturare l’abitazione principale, per cui l’onere detraibile al 19% è formato dai

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soli interessi passivi versati (anziché dalla quota capitale della rata del mutuo), per un ammontare annuale massimo che risulta rispettivamente di 4mila euro (con detrazione massima annuale pario a 760 euro).

La destinazione ad abitazione principale, infatti, deve essere effettuata entro un anno dall’acquisto mentre quest’ultimo deve essere realizzato nei 12 mesi successivi o precedenti la data in cui il mutuo è stato stipulato. Questa disposizione comporta che prima si può procedere all’acquisto e poi, nello specifico entro un anno, stipulare il contratto di mutuo, o viceversa che prima si può stipulare il contratto di mutuo ed entro un anno quello di acquisto.

Il fatto che l’immobile in oggetto sia di nuova o vecchia costruzione non riveste alcuna importanza ai fini della detrazione, così come non rilevanti sono le rispettive proprietà costruttive.

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Capitolo 3

3. L’istruttoria

3.1 Dall’istruttoria al rogito

L’istruttoria è costituita da quella serie di atti, o passaggi, il cui compimento è il rogito. Tutto inizia nel momento in cui un soggetto formalizza per iscritto la richiesta di quella particolare forma di credito che è il credito ipotecario ad un istituto di credito fornendo la documentazione anagrafica e reddituale richiesta. I dati vengono confrontati con le politiche del credito al fine di determinare un rating. A seconda di quest’ultimo si possono determinare due estremi: troppo basso, la pratica viene declinata in automatico; eccezionalmente alto, delibera automatica. In tutti gli altri casi si procede con l’istruttoria.

La richiesta e/o domanda di mutuo, è un modulo più o meno sintetico, dove vengono riportati tutti gli elementi del mutuo, la tipologia dell’operazione, il prodotto, il tasso, la durata, l’anagrafica completa, le informazioni sull’immobile, sui redditi, eventuali finanziamenti in corso, e quanto possa essere utile all’operatore che in seguito dovrà inserire quei dati in un computer.

Di seguito si elencano i documenti più comunemente richiesti dagli istituti di credito.

• I documenti sulla privacy formati solitamente da due distinti moduli, il consenso e l’informativa. Conformi al dettato dell’articolo 13 del D.L. 196 del 30/06/2003 “codice in materia di protezione dei dati personali”. Con il primo diamo il consenso alla banca ad usare i dati personali, con il secondo la

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banca ci informa sull’uso che ne farà. Il consenso è determinante e imprescindibile per permettere alla banca già di caricare i dati dentro un computer ma anche di accedere alle informazioni che riguardano il cliente mediante l’utilizzo di banche dati. Su questo documento vengono anche descritti, come prescritto dalla legge, i tempi di permanenza nel sistema di queste informazioni.

• Il modulo di identificazione persone fisiche, D.L. 231/2007, comunemente chiamato MODULO DI ADEGUATA VERIFICA AI FINI DELL’ANTIRICICLAGGIO, molto simile al modulo della richiesta ma con in più la dichiarazione se una persona è o non è una Persona Politicamente Esposta (PPE).

• La guida pratica all’Arbitro Bancario Finanziario, manuale aggiunto di recente con tutte le informazioni per far valere i diritti DEL CONSUMATORE e come farsi rappresentare nei confronti di banche o intermediari finanziari in caso di controversie.

• Il modulo della “Trasparenza” più precisamente il Foglio Informativo dove sono riportate tutte le informazioni sulla Banca scelta e sull’operazione di mutuo con le sue caratteristiche.

• Il documento di sintesi, che sintetizza, tutto quello che troveremo scritto sull’atto di mutuo quando andremo dal notaio.

Il documento più importante di tutti, elaborato nel 1997 e reso uguale per tutte le banche a livello europeo, è l’ESIS (European Standardised Information Sheet /Prospetto Informativo Europeo Standardizzato).

Serve a semplificare il confronto tra più offerte, ma secondo le associazioni dei consumatori il documento viene raramente consegnato in fase precontrattuale.

Semplice da consultare e gratuito ideato per semplificare la vita a chi intende chiedere un mutuo.

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Il documento, che è composto da una serie di voci standard, avrebbe dovuto infatti rendere facilmente confrontabili tra loro le offerte di banche diverse.

Previsto dal “Codice di condotta europeo per i mutui casa”, la cui versione finale risale al 2000, il modello costituisce per il sistema bancario italiano uno dei tanti adempimenti facoltativi.

In primo luogo l’adesione al Codice, nonostante l’approvazione del Comitato Esecutivo dell’Abi, resta una decisione individuale e volontaria di ciascuna banca. Ma tale motivazione non basta a spiegare lo scarso impiego del modello. La maggioranza delle banche italiane, infatti, ha già aderito al Codice da tempo.

A pesare potrebbe essere la scarsa conoscenza del documento presso l’opinione pubblica e la prassi ormai prevalente di consegnare il modello al cliente solo dopo una formale richiesta di mutuo o dopo la fase istruttoria, ovvero quando ormai non serve più effettuare un confronto.

Il modello Esis se usato correttamente può essere infatti molto utile: deve contenere tutte le informazioni relative ai tassi applicati (Tasso annuo nominale e Tasso annuo effettivo globale) la durata totale del mutuo, comprensiva dell’eventuale periodo di preammortamento, il numero delle rate di ammortamento e quello, eventuale delle rate di preammortamento, la loro periodicità e l’importo della rata.

La richiesta e la compilazione del modello è un operazione gratuita e non vincolante né per il cliente, che può rifiutare l’offerta senza dover sostenere alcuna spesa, né per la banca, che può in ogni caso di rifiutarsi di concedere il mutuo.

Occorre però tener presente, nel momento cui si sta cercando l’offerta più conveniente, che le cifre riportate nel modello sono relative al momento in cui è stato compilato l’Esis. Possono pertanto subire variazioni al momento della stipula del contratto sulla base dell’andamento del mercato.

La normativa entrata in vigore il 1° novembre 2016, ha sostituito il prospetto ESIS (European Standardised Information Sheet) dopo quasi 20 anni, con il PIES,

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acronimo di una descrizione nella nostra lingua ovvero Prospetto Informativo

Europeo Standardizzato, descrizione che permette di intuire subito a cosa serve.

La benefica utilità di questo prospetto è racchiusa nell’aggettivo “standardizzato”. Quando bisogna paragonare le offerte di mutuo di diverse banche sarebbe molto complicato confrontare i dettagli riportati ogni volta in modo diverso e con differenti livelli di completezza.

Invece, dovendosi attenere ad un formato di riferimento standardizzato, le banche sono così tenute a presentare le informazioni su schemi identici, comprendenti argomenti espressi con analoga sequenza e numerazione.

3.1.1 Istruttoria

Le fasi dell’istruttoria di un mutuo possono essere suddivise in:

• creditizia (la Banca deve verificare la veridicità e la consistenza patrimoniale e finanziaria del richiedente, il quale deve essere in grado di rimborsare nel tempo il finanziamento);

• tecnica/la perizia (un professionista iscritto all’Albo dei Periti Immobiliari deve certificare le caratteristiche tecniche e di superficie dell’immobile, la conformità alla licenza di costruzione, lo stato di conservazione, l’ottemperanza alle disposizioni di legge in materia urbanistica ed edilizia); • giuridico-legale (il notaio deve fornire alla Banca un documento denominato

Relazione Notarile Preliminare con il quale lo stesso certifica la titolarità dell’immobile e gli eventuali gravami su di esso esistenti).

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L’analisi creditizia consiste nella valutazione dell’affidabilità del richiedente mutuo. Fondamentale per la banca è accertare la capacità di rimborso del richiedente, e cioè la possibilità che la stessa rientri in possesso del proprio denaro più gli interessi in un determinato tempo. A tal fine vengono richiesti i seguenti documenti:

• ultimo cedolino dello stipendio (busta paga) con particolare riflessione e attenzione da parte della banca sulla seguente documentazione: mese di riferimento, datore di lavoro (Pubblico o Privato), tipo di contratto, inquadramento, anzianità di servizio ed eventuali trattenute per cessione del quinto dello stipendio,- straordinari, premi, gratifiche, rimborsi spese, cassa integrazione. Attraverso tale documento è possibile verificare la tipologia di contratto, mansione e inquadramento. Inoltre si evidenziano eventuali impegni (cessione del quinto). Possono essere richieste le copie delle buste paghe relative agli ultimi due o tre mesi.

• La dichiarazione del datore di lavoro: tale dichiarazione è richiesta ai dipendenti assunti di recente; tale documento serve a verificare se l’assunzione è avvenuta a tempo indeterminato ed in alcuni casi la banca richiede la specifica del superamento del periodo di prova.

• Mod. CUD, Mod.730, certificato di pensione oppure Mod. UNICO. Particolare riflessione e attenzione da parte della banca sulla seguente documentazione: reddito non continuativo e trattamento di fine rapporto. • Proprietà immobiliari (redditi da fabbricati) mutui e interessi passivi.

A questo punto si ritiene opportuno evidenziare che generalmente le banche non accordano un mutuo per la cui restituzione è richiesto il rimborso di rate annue di importo superiore ad un terzo del complessivo reddito annuo netto.

Il Modello CUD (in alternativa 730 o Unico) rappresenta un documento di sensibilità finanziaria. Infatti nel CUD sono evidenziati i giorni lavorativi, eventuali

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utilizzi del TFR; mentre dal Mod. 730 e Unico si deduce lo stato civile, eventuali interessi passivi per i mutui ipotecari. In tutti i tre documenti è possibile verificare i carichi familiari. Il modello Unico viene richiesto per verificare l’ammontare del reddito ma anche il volume di affari ed i costi sostenuti per i liberi professionisti e i titolari di ditte individuali.

• Certificato di Stato di famiglia.

Un ruolo dirimente nella fase istruttoria non solo per la corretta identificazione dei soggetti richiedenti al fine di evitare frodi o, peggio, profili di riciclaggio, ha un’attenta valutazione del Modello Unico e l’analisi dello Stato di famiglia. Attraverso il certificato di stato di famiglia, infatti, è possibile accertare l’esistenza di un coniuge, l’esatta costituzione di un nucleo familiare, o, al contrario lo status si separazione. Tutte queste informazioni sono parte integrante di una corretta valutazione che non può prescindere dall’analisi della situazione familiare. Nel caso in cui la parte richiedente fosse rappresentata da un nucleo familiare, sarebbe utile che la richiesta di mutuo fosse fatta da entrambi i coniugi soprattutto se l’immobile posto in garanzia è cointestato. Se invece il finanziamento fosse concesso ad un singolo familiare (magari unico titolare di reddito) sarà bene che il congiunto rilasci una fideiussione per rafforzare l’impegno relativo al rimborso delle rate. In via del tutto eccezionale può essere presa in esame la richiesta di intestazione ad uno solo dei coniugi, solo se il regime patrimoniale è la separazione dei beni. Inoltre da questo documento si desume la composizione del nucleo familiare al fine di stimare il complesso degli oneri familiari.

• L’omologa di separazione/sentenza di divorzio sono documenti necessari per verificare eventuali impegni a livello finanziario (assegni di mantenimento o quote di alimenti).

Il Credit Scoring non fornisce regole automatiche e vincolanti di accettazione o di rifiuto, ma offre una valutazione preliminare del merito creditizio. Il messaggio di

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risposta è la sintesi dell’elaborazione di due tipologie di score: il comportamentale che, se il cliente è già censito in Centrale Rischi Finanziaria, fornisce la valutazione dei precedenti comportamenti; il sociologico che manifesta la propensione statistica dell’esaminato ad essere o meno un buon pagatore in base a modelli socio demografici di riferimento.

Se ci sono pregiudizievoli gravi, come i ritardati pagamenti di finanziamenti in corso o in passato, protesti, fallimenti, pignoramenti, gravi inadempienze nei confronti dell’Erario, in questi casi la pratica sarà bocciata senza appello. L’analisi reddituale è il passo successivo per determinare la capacità di rimborsare il debito per tutto il tempo della sua durata (ammortamento).

Oltre al reddito necessario a pagare la rata e a condurre una vita dignitosa, verrà valutata la qualità del lavoro, il settore, il tipo di azienda, la data di assunzione e la sua capacità di durata nel tempo, la possibilità di carriera, o se vicini alla pensione la sua consistenza. Importante è valutare la tendenza all’indebitamento o al risparmio del richiedente. Viene preso in considerazione l’utilizzo del conto corrente tra entrate e uscite, il limite di utilizzo dell’eventuale fido, anomalie ricorrenti, come la regolarità del pagamento dei RID legati al conto o la presenza di commissioni a debito. Occorre fare non solo attraverso i conteggi matematici ma soprattutto un’analisi in chiave sociologica della documentazione.

Inoltre, dal censimento delle caratteristiche dell’immobile oggetto del mutuo, scaturiscono ulteriori elementi di congruità che concorrono alla formazione della valutazione sintetica della pratica.

Le risposte del sistema scoring vengono riepilogate in classi diverse dove alcuni gruppi (ad esempio A, B e C oppure VERDE, GIALLO e ROSSO) indicano rispettivamente gli insiemi delle aree di rischi “BASSO”, “MEDIO”, “ALTO”. In caso di esito rappresentato da A – A1 – B – B1 – B2 la delibera creditizia rientra nell’autonomia del collaboratore incaricato dell’approvazione delle pratiche di mutuo, fatti ovviamente salvi i limiti di importo di autonomia creditizia attribuiti. Qualora invece l’esito sia rappresentato da C – C1 – C2 la pratica, ove si ritenesse

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