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Crisi aziendali e gestione del dissesto: la storia di Sasch S.p.A.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

STRATEGIA MANAGEMENT & CONTROLLO

TESI DI LAUREA

Crisi aziendali e gestione del dissesto:

la storia di Sasch S.p.A.

Relatore:

Luca Nannini

Candidata:

Chiara Zanolla

Anno accademico 2017/2018

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Alla mia famiglia “...e quando morirà, prendilo e taglialo in piccole stelle, ed egli renderà così bello il volto del cielo, che tutto il mondo si innamorerà della bellezza della notte, e non presterà più nessun culto all’abbagliante sole.” William Shakespeare

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INDICE

Introduzione ………...…. 4 CAPITOLO 1: Analisi del declino e della crisi d’impresa ……….…………..…... 6 1.1 – La crisi d’impresa ………..……….….. 6 1.2 – Gli stadi della crisi ………..……….…. 9 1.3 – Le cause della crisi ……….…. 12 1.4 – Modelli di previsione della crisi ………..………. 15 1.4.1 – Metodi basati sull’intuizione ………... 17 1.4.2 – Metodi basati sulla periodica valutazione del capitale economico…..…... 18 1.4.3 – Metodi basati sull’analisi di bilancio ……….….. 19 1.4.4 – Modello di Altman ...……… 26 1.4.5 – Metodi multidimensionali ………... 28 1.4.5.1. Il Balance scorecard ………... 28 1.4.5.2. Skandia Navigator ………... 29 1.4.5.3. Value Chain Scoreboard ………... 29 CAPITOLO 2: Le soluzioni alla crisi d’impresa ………... 31 2.1 – L’analisi strategica: i presupposti per il rilancio dell’azienda...………... 31 2.2 – Le modalità di intervento sulla crisi ………... 38 2.3 – Le procedure con finalità di continuità aziendale ... 40 2.3.1 – I piani di risanamento ………... 40 2.3.2 – Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art 182-bis L.F. ………... 44 2.3.3 – Il concordato preventivo ex art 160 e ss L.F. ... 45 2.4 – Valutazione delle soluzioni in alternativa al fallimento ………... 50 CAPITOLO 3: Gli attori coinvolti nei processi di gestione della crisi …………... 55 3.1 – I soggetti .………... 55 3.2 – L’attestatore .………... 58 3.2.1 – I requisiti .………... 58 3.2.2 – L’attività .………... 59 3.2.3 – La responsabilità .………... 61 3.3 – Gli advisor .………... 62 3.4 – Il temporary manager .………... 64 3.5 – Il Loan agent .………... 65 3.6 – Il Chief Restructuring Officer .………... 65 3.7 – Gli organi giudiziari .………... 66 CAPITOLO 4: Un caso di studio: il caso Sasch S.p.A. ………...….... 69 4.1 – Introduzione .………... 69 4.2 – La storia .………... 70 4.3 – La crisi .………... 74 4.4 – La strategia di rilancio ... 84

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4.4.1 – Una prima soluzione ... 84 4.4.2 – Il concordato preventivo ex art. 160 L.F. ... 87 4.5 – La dichiarazione di fallimento in proprio ... 94 Conclusioni ………99 Bibliografia ………....… 103

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Introduzione

Il presente lavoro è incentrato sul tema del risanamento d’impresa e delle procedure finalizzate alla salvaguardia della continuità aziendale e al ritorno al valore. L’obiettivo è quello di analizzare una tematica di grande interesse economico attuale, quale la crisi delle imprese. Dopo aver accertato le cause della crisi, analizzato l’azienda e verificato l’esistenza di potenzialità non pienamente utilizzate e quindi la sostenibilità di un percorso di ritorno al valore è opportuno impostare un piano di risanamento che potrebbe essere attuato senza il ricorso a procedure (se la crisi viene giudicata di intensità ridotta) oppure attraverso il ricorso al Tribunale.

In particolare verrà fornito un quadro completo della crisi della grande società “Sasch S.p.A.” di cui ne verrà descritta la storia, le cause della crisi, le modalità attuate per tentarne il risanamento e infine il suo fallimento.

Nel primo capitolo verrà sviluppato un inquadramento generale della crisi d’impresa; pertanto partiremo dalla definizione di crisi con le diverse interpretazioni. Successivamente individueremo i diversi stadi della crisi e alla presentazione di una possibile classificazione delle cause di natura sia interna all’azienda (quindi legate a errori strategici, organizzativi o a incapacità manageriali) che esterna (legate a fattori esterni non controllabili dall’azienda). Il capitolo continua con l’analisi delle diverse metodologie per individuare e diagnosticare lo stato di crisi.

Nel secondo capitolo si analizzano le strategie per il superamento della crisi anche facendo ricorso a procedure concorsuali, in particolar modo quelle che prevedono la continuità aziendale, quali ad esempio il piano attestato di risanamento ex art 67 L.F. o l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. Si sono trattate brevemente le alternative per risanare e proseguire l’attività aziendale messe a disposizione dal Legislatore italiano, propedeutiche all’analisi del caso.

Il capitolo terzo si concentra sugli attori coinvolti nel processo di ristrutturazione, quali ad esempio il professionista attestatore o gli organi giudiziari.

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Infine, il quarto ed ultimo capitolo fornisce l’analisi di un caso pratico di un’impresa che ha tentato un turnaround, la Sasch S.p.A., operante nel settore dell’abbigliamento e appartenente al gruppo Gofin-Gommatex. Dato il momento di crisi, a seguito di un inutile tentativo di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis L.F., la società ha presentato, in data 24.12.2010, domanda di ammissione al concordato preventivo. Tuttavia, si è manifestata la sostanziale impossibilità del piano concordato, a causa del venir meno delle condizioni su cui si basava la stessa proposta e soprattutto per l’impossibilità del soddisfacimento dei creditori sociali nei termini prestabiliti. La Sasch S.p.A. ha quindi chiesto la revoca della procedura di concordato, presentando istanza di fallimento in proprio, accolta con sentenza dichiarativa di fallimento del 24. 10. 2011. Nessuno degli interventi è riuscito, quindi, a riportare in una situazione di economicità la società Sasch, disperdendo il valore che nel tempo la società aveva creato.

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CAPITOLO 1

ANALISI DEL DECLINO E DELLA CRISI D’IMPRESA

1.1 – La crisi d’impresa “Lo studio del fenomeno relativo alla crisi d’impresa è relativamente recente; infatti, solo negli anni Settanta la constatazione della ciclicità fisiologica delle congiunture economiche negative (in Italia ricorrono circa ogni 15-20 anni) ha richiamato in

particolare l’attenzione della miglior dottrina economica aziendalistica1, oltre che sui

temi inerenti lo sviluppo delle imprese, anche dei problemi relativi al risanamento”2.

Il fenomeno della crisi è dunque tipico della vita aziendale, tale al punto da essere considerato una componente permanente nel nostro sistema economico moderno. La vita di ogni azienda non si sviluppa in maniera uniforme, ma registra, accanto a periodi di prosperità, anche momenti di difficoltà. Ecco quindi che “lo stato di crisi” può essere considerato come un elemento caratterizzante lo svolgersi, nel tempo, della gestione di ogni combinazione economica.

Per indagare l’origine di tale fenomeno è necessario partire dall’analisi dell’azienda secondo una concezione sistemica, ovvero basandosi sul rapporto azienda-ambiente. L’azienda, infatti, anche se in prima battuta prende le decisioni in completa autonomia, risulta in realtà fortemente influenzata dal sistema ambiente in cui opera. Lo stato di crisi non costituisce sempre e comunque il presupposto per il sorgere della “fase terminale della gestione”, ma diventa un’occasione per il management di ripercorrere e ripensare il proprio operato e quindi definire nuove vie e strategie per ritrovare il perduto equilibrio economico-finanziario. Fatta eccezione per le conseguenze

1Cfr. L. GUATRI, Tournaround, Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995. P.

BASTIA, Pianificazione e controllo del risanamento d’impresa, Giappichelli, Torino, 1996. C. VERGARA, Disfunzioni e crisi d’impresa. Introduzione ai processi di diagnosi,

risanamento e prevenzione, Giuffrè, Milano, 1988. F. TATO’, Come prevedere ed

affrontare le crisi aziendali, in “L’impresa”, n. 5, 1991.

2S. SCIARELLI, la crisi d’impresa. Il percorso gestionale di risanamento delle piccole e

medie imprese, CEDAM, Padova, 1995, pag.1

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imputabili ad eventi naturali catastrofici, non esiste una crisi con carattere di irreversibilità, essendo questo non il tratto distintivo della crisi, bensì il suo modo di presentarsi. Ne deriva che ogni crisi può essere superata.

Se quindi la crisi è circostanza in un certo senso “attesa” (ma il più delle volte non adeguatamente ponderata), le modalità di gestione/governo di tale fenomeno sono fondamentali sia per i riflessi sul potenziale economico e sociale della singola azienda sia per l’impatto sulla struttura del settore in cui l’azienda si colloca. Infatti, il fenomeno delle crisi ha profondi effetti sul funzionamento dell’intero sistema economico, sia in termini diretti (impatto sulla ricchezza locale e nazionale) che indiretti (impatto sul sistema di incentivi ai comportamenti economici).

Normalmente, le situazioni di crisi sono precedute da fenomeni di disfunzione, nelle cui more gli elementi patologici che influenzeranno le fasi successive iniziano, seppure in maniera molto lenta, a manifestarsi. Il concetto di disfunzione aziendale può essere interpretato come “interruzione” dei nessi di correlazione-coordinamento fra le componenti del sistema, ovvero come il venir meno delle condizioni reciproche fra le componenti delle condizioni che regolano il funzionamento dell’insieme e l’equilibrio

del sistema.3 Tali disfunzioni, a seguito di cui l’azienda perde valore nel tempo, se non

adeguatamente gestite, possono degenerare in una vera e propria crisi.

L’analisi della nozione di crisi aziendale può essere svolta partendo dalla verifica dell’ipotesi per cui un’azienda è in crisi quando non soddisfa le condizioni che regolano il suo equilibrio economico e finanziario-patrimoniale. L’equilibrio economico di un’azienda, che è la prima condizione necessaria per la sopravvivenza di un’azienda, può essere definito dalle seguenti condizioni:

• che la gestione consenta risultati economici tali da permettere un’adeguata remunerazione di tutti i fattori che hanno preso parte alla combinazione d’azienda;

• che detti risultati economici consentano anche una remunerazione adeguata al soggetto economico per conto del quale l’attività si svolge;

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• che vi sia garanzia di detti risultati per un intervallo temporale che possa

considerarsi soddisfacente4.

L’equilibrio finanziario-patrimoniale consistente invece nel perseguimento della solvibilità aziendale, sia per sopravvivere nel presente, sia per far fronte al fabbisogno di capitale futuro scaturente dallo sviluppo dell’impresa nel lungo periodo.

E’ possibile determinare un livello minimo di equilibrio, al di sotto del quale le predette condizioni non si verificano. Il punto massimo di equilibrio è un’astrazione: esso si raggiungerebbe qualora tutti i fattori produttivi e le forze interne aziendali funzionassero al massimo grado della loro relativa potenzialità, mentre le forze esterne cooperassero anch’esse al massimo grado.

In ogni caso, per definire in modo corretto quando un’azienda possa dirsi in crisi, è necessario aver preliminarmente stabilito le caratteristiche di un suo sano e corretto funzionamento. È pertanto in tale direzione che la prevalente dottrina si è mossa, introducendo i concetti di: • economicità, nella sua duplice declinazione di equilibrio economico d’esercizio (c.d. autosufficienza economica) e di adeguata potenza finanziaria; • efficienza nell’impiego dei diversi fattori della produzione;
 • tendenziali equilibri prospettici;
 • continuo accrescimento del valore del capitale economico. Analizzando il problema da un punto di vista giuridico, nell’ordinamento italiano non esiste una vera e propria definizione di crisi d’impresa, ma la si deve estrapolare dalla lettura coordinata di alcuni articoli della legge fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267). L’art. 160 della legge fallimentare disciplina i presupposti necessari per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, individuati nella qualità di imprenditore che si trova in stato di crisi. Lo stato di crisi viene definito come la situazione economica, patrimoniale o finanziaria in cui si trova l’impresa, tale da

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determinare il rischio di difficoltà nei pagamenti, ovvero l’incapacità di farvi fronte (situazione di insolvenza)5. Occorre sottolineare la differenza sostanziale tra lo stato di crisi e lo stato di insolvenza: infatti, mentre il primo ha natura temporanea il secondo ha invece natura permanente, tanto da risultare il presupposto per la dichiarazione di fallimento di un’impresa. E’ importante chiarire che la crisi non deve essere interpretata come un fenomeno a doppio binario, che o esiste o non esiste, ma come un processo composto da più stadi, un’evoluzione caratterizzata da diversi livelli di gravità e differenti modalità di manifestazione. 1.2 – Gli stadi della crisi Secondo l’approccio adottato da Guatri, il percorso che porta alla crisi è formato da quattro stadi, ciascuno dei quali con particolari caratteristiche: a) 1° stadio della crisi: squilibrio e inefficienze Il primo stadio, definito incubazione, ha come conseguenza la nascita dei primi segnali di squilibrio, difficili da percepire poiché spesso nascosti dai punti di forza dell’impresa. I primi problemi si hanno quando l’impresa non è in grado di

raggiungere e mantenere6 una situazione di equilibrio generale7, risultante

5Legge Fallimentare Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 6“Il raggiungimento dell’equilibrio non si tratta di una posizione nella quale, una volta raggiunta, la situazione dell’impresa tende a stabilizzarsi. Al contrario, l’equilibrio in economia aziendale deve essere inteso in un’accezione spiccatamente dinamica, nel senso che può essere raggiunto a livelli dimensionali progressivi e variabili in relazione alle mutevoli condizioni ambientali e di mercato”. M.PAGLIACCI, La politica del credito commerciale nella gestione aziendale, Franco Angeli, 2007, pag.13. 7Ferrero ricorda che “per essere autosufficiente e vitale, l’impresa dovrebbe poter contare, fra le proprie condizioni di svolgimento, anche le seguenti: 1)nel lungo andare, la gestione dell’impresa stessa deve conseguire l’equilibrio economico tra costi e ricavi in modo che tutti i fattori produttivi, capitale compreso, trovino costantemente una congrua remunerazione; 2) nel medio e nel breve andare, l’esercizio aziendale deve presentare andamenti economico-finanziari compatibili con le concrete

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dall’esistenza dell’equilibrio economico e finanziario8. L’equilibrio economico può essere definito come la capacità dell’azienda di ottenere dalla vendita di beni e servizi un volume di ricavi sufficiente alla copertura dei costi, variabili e fissi, e alla remunerazione di tutti i fattori della produzione. L’equilibrio finanziario, invece, è definito come la capacità dell’azienda di soddisfare, con i flussi finanziari in entrata, le occorrenze finanziarie ed eseguire regolarmente i pagamenti. Le condizioni di equilibrio economico, unitamente a quelle riguardanti l’aspetto finanziario, costituiscono il fondamento logico della pianificazione della futura gestione.

L’incubazione è frequentemente sottostimata dal management aziendale che non pone in essere nessuna manovra correttiva. La capacità reddituale dell’impresa comincia ad affievolirsi, la qualità dei prodotti e servizi peggiora e l’immagine complessiva dell’azienda ne risente, soprattutto nei rapporti con gli stakeholder (clienti, fornitori e banche in primis). In questa fase i vertici aziendali hanno ancora la possibilità di porre rimedio al progressivo peggioramento, attraverso l’individuazione di nuove strategie.

b) 2° stadio della crisi: minori utili o perdite economiche

Il secondo stadio, definito maturazione, vede l’insorgere di perdite di valore del capitale e dei flussi reddituali che rendono palese la situazione di crisi all’esterno e possono comportare difficoltà nei rapporti con i creditori, finanziatori e investitori.

I processi di gestione sono quindi volti prima a contenere la perdita di valore che si sta registrando in questa fase e, solo successivamente, ad arrestarla: solo una volta posto rimedio alle perdite e ridimensionati i rischi legati all’attività

8L’interdipendenza tra momento economico e momento finanziario viene autorevolmente sostenuta da Giannessi, secondo il quale “gli andamenti economici possono provocare effetti decisivi sugli andamenti finanziari e questi, reciprocamente, possono influire in maniera determinante sugli andamenti economici (...). Si potrebbe dire che il successo di una azienda è essenzialmente legato al grado ottimo di convenienza degli aspetti che esprimono la natura degli andamenti economici e finanziari del sistema”. E.GIANNESSI, L’equazione del fabbisogno di finanziamento delle aziende di produzione, Giuffrè, Milano,1982, pag.15.

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d’impresa, sarà doveroso adottare strategie per il rilancio nel medio/lungo termine, al fine di ritornare a generare valore.

c) 3° stadio della crisi: carenza di cassa o perdita di credito

Le manifestazioni che hanno caratterizzato il declino, qualora non gestite, degenerano dando vita ad una situazione di crisi, intesa come un pericolo nel quale è possibile una futura insolvenza.Questo stadio è il primo segnale “esterno” della crisi, si cominciano ad assottigliare le riserve ed il capitale sociale viene progressivamente eroso per coprire le perdite pregresse; tutto ciò deteriora l’immagine finanziaria dell’impresa e, come visto, penalizza fortemente il ricorso potenziale al mercato del credito. d) 4° stadio della crisi: insolvenza E’ la fase conclamata ed esplosiva di crisi che lede in modo incontrovertibile, anche se differente, tutti gli stakeholders.L’insolvenza è intesa come incapacità di far fronte con regolarità alle obbligazioni assunte. L’intera struttura aziendale ne risente su tutti i livelli: gli istituti di credito non solo cessano di concedere affidamenti, ma addirittura possono imporre rientri immediati di quelli precedentemente concessi; tra i fornitori si diffonde il timore del rischio di mancato pagamento e ciò potrebbe ripercuotersi sia sulla regolarità degli approvvigionamenti, sia sul regolare meccanismo dei debiti di funzionamento, alla base della normale gestibilità dei flussi economico-finanziari, anche i dipendenti, i clienti e la comunità sociale tutta, cominciano a non avere più fiducia nell’istituzione aziendale.

Meta finale della crisi può essere il dissesto. Qui, l’impresa si trova in uno stato degenerativo avanzato, caratterizzato da una condizione di permanente squilibrio a livello economico- finanziario e conseguentemente anche patrimoniale.

La Figura 1 espone una rappresentazione grafica9.

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Figura 1: I quattro stadi del percorso di crisi Per evitare che la crisi abbia come conseguenza unica il disastro, è necessario attuare un efficace processo di turnaround, che diventa, infatti, una scelta obbligata in tutti in questi casi in cui non si vuole perseguire la strada del disinvestimento. Si ha turnaround in tutte le situazioni nelle quali si richiede all’impresa un cambiamento radicale della sua impostazione strategica, dei sui modelli di comportamento, della sua organizzazione, della sua cultura, dei suoi processi. L’espressione turnaround, indica, dunque, un processo caratterizzato dal passaggio e trasformazione repentina da una situazione fortemente negativa ad una, invece, estremamente positiva, cambiando questo, possibile solo attraverso la completa revisione ed al totale ripensamento del modello di business e della formula strategica.

1.3 – Le cause della crisi

L’analisi del fenomeno delle crisi aziendali non può trascurare la ricerca dei singoli fattori che più frequentemente ne sono all’origine.Non sempre il legame tra la causa (il

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verificarsi dell’evento) e l’effetto (il declino o la crisi) è immediato: spesso il declino e la crisi sono dovuti ad imperfezioni la cui origine va ricercata indietro nel tempo.L’approccio tradizionale al risanamento vede un processo che si origina dapprima con la ricerca delle cause della crisi per passare, poi, dalla loro rimozione verso il risanamento e, quindi, il rilancio dell’azienda.

Più precisamente, fino alla fine degli anni settanta, le crisi sono state imputate soprattutto alla componente umana: al management e ad ogni altro soggetto protagonista della vicenda produttiva, persino ai detentori del capitale, troppo (o troppo poco) propensi al rischio, avidi di dividendi o avversi a qualsiasi tentativo di

fronteggiamento del dissesto10. Col passare del tempo, l’articolazione dei fattori di crisi è divenuta più ampia. Secondo l’approccio tradizionale molteplici sono le cause che possono dare origine al declino e alla crisi dell’impresa11. In linea di principio esistono diverse classificazioni adottate per individuare i fattori della crisi. Una prima classificazione12 divide i fenomeni in: - Crisi da fattori esterni, imputabili al mercato e all’ambiente nel quale l’impresa opera (cause ambientali, legislative, ecologiche, catastrofiche).

- Crisi da fattori interni, che riguardano manifestazioni legate ad anomalie

attribuibili al management (errori compiuti dal vertice aziendale, carenza di innovazione, ecc.). 10 Cfr. VARVELLI R., VARVELLI M.L., La crisi d’azienda. Tentativi tecnici di risposta, in Sviluppo e Organizzazione, n. 25, 1974. 11 Per una rassegna delle cause delle crisi di azienda, con riferimento alla letteratura anglosassone, francese ed italiana si veda: TEDESCHI TOSCHI, Crisi di impresa tra sistema e management. Per un approccio allo studio delle crisi aziendali, op. cit., pag. 67 e seg.

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Un’ulteriore classificazione13 distingue le cause in base ai rischi:

- Crisi da rischi statici, determinati da anomalie strategiche ed operative (ad

esempio elevato indebitamento, o mancato rinnovo degli impianti).

- Crisi da rischi dinamici, legati all’azione dell’impresa nello spazio e nel tempo.

Questi rischi sono difficilmente soggetti a controllo, tanto che vengono definiti anche “rischi necessari del modus operandi”.

Una terza classificazione14 divide le cause in:

- Fattori soggettivi, cioè attribuibili alla precisa responsabilità della proprietà o della dirigenza, derivanti da scelte e/o decisioni sbagliate (erronei orientamenti, errori decisionali, inefficienze nelle funzioni aziendali, deficit di risorse o mancato sfruttamento delle stesse, ecc.).

- Fattori oggettivi, cioè assolutamente accidentali od incontrollabili, neppure attribuibili a precise responsabilità (aumento dei tassi di interesse, calamità naturali, provvedimenti legislativi, diminuzione della domanda ecc.).

Gli approcci più comuni fanno riferimento a questa ultima classificazione. La dottrina, tende a prevalere l’opinione secondo cui le crisi hanno cause primarie soggettive, mentre quelle oggettive rappresentano mere variabili secondarie, che accentuano o più semplicemente appalesano le prime15. L’approccio soggettivo ritiene il sistema umano dell’impresa il principale responsabile del successo e quindi dell’eventuale insuccesso aziendale. Sono quindi le persone, con le loro inefficienze o i loro errati comportamenti/ incapacità, la causa prevalente degli stati di crisi. Pertanto, in situazioni di crisi il primo ad essere messo sotto accusa è il management (comportamenti dolosi o anche in rari casi dannosi), in secondo luogo le critiche si appuntano sulle politiche perpetrate dalla proprietà (eccessive distribuzioni

13A.CANZIANI, Le circostanze di crisi nelle recenti esperienze delle imprese industriali

italiane, Giuffrè, Milano, 1985, pag.22 e 55.

14M.CONFALONIERI, Le cause dei dissesti aziendali, op.cit. pag 39.

15 Tra i sostenitori di tale tesi: Guatri, All’origine delle crisi aziendali: cause reali e cause

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di utili, timore del rischio, indisponibilità a fornire garanzie ai creditori ecc.). in misura sicuramente minore, ulteriori comportamenti responsabili della crisi possono essere attribuiti ai componenti della tecnostruttura.

L’approccio oggettivo, invece, suggerisce che una situazione di crisi può dipendere anche da eventi e forze che sfuggono (almeno in parte) al dominio degli uomini d’azienda. Si pensi ai fenomeni incontrollabili come il calo della domanda, l’aumento dei pressi dei fattori produttivi o gli effetti concorrenziali. In generale, la crisi è sempre la risultante di diversi eventi sfavorevoli, con le evidenti difficoltà di stabilire in quale misura ciascuno di essi vi abbia concorso. Difficilmente uno stato di crisi risulta imputabile ad un'unica causa; si parla spesso di micro-cause che si alimentano reciprocamente. 1.4 – Modelli di previsione della crisi Il più delle volte, gli imprenditori non sono in grado di cogliere per tempo i segnali di allarme e, per tale ragione, non riescono a limitare efficacemente gli effetti dannosi della crisi.

Gli strumenti di previsione sono stati quindi elaborati al fine di individuare tempestivamente le diverse tipologie di crisi prima del loro effettivo manifestarsi, consentendo così all’alta direzione e al management di intervenire con rapidità ed in modo adeguato.

Pertanto, una crisi tempestivamente diagnosticata (c.d. diagnosi precoce) ed adeguatamente gestita porterà con sé non solo un miglioramento delle competenze e dell’organizzazione e l’introduzione di innovazioni gestionali, ma anche l’accrescimento del livello di coesione interno e l’accumulo di un effetto esperienza utile per la prevenzione di crisi future.

La tempestività dell’intervento rappresenta il presupposto per arginare la diffusione delle varie disarmonie e della crisi. Quest’ultima si sviluppa in varie fasi, alle quali corrispondono diversi livelli di gravità e diverse possibilità di risanamento della dinamica aziendale.

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1) crisi latente: lo stato di ordine ha iniziato a deteriorarsi, ma le alterazioni si mantengono in parte celate. Si tratta di una situazione di equilibrio apparente, transitoria, che di per sé non garantisce la durevolezza dell’azienda.

2) crisi manifesta: sono evidenti i sintomi del disequilibrio aziendale. Perdite di esercizio, elevato indebitamento, stato di illiquidità sono alcuni dei segnali che attestano la presenza di una crisi in atto. Le possibilità di risanamento della dinamica dipendono dalla velocità con cui il fenomeno si sviluppa. Talvolta l’equilibrio è così compromesso da imporre quale unica soluzione la liquidazione, cioè lo smembramento dell’azienda, con conseguente cessione separata delle sue parti componenti. Se l’andamento della crisi è più lento, possono effettuarsi accurate indagini con interventi volti a limitare i danni e in questa ipotesi si può riuscire a ristabilire l’equilibrio perduto.

3) crisi acuta: lo stato di disordine ha operato talmente a lungo da condurre la dinamica verso il limite inferiore della diseconomicità, oltre il quale sopraggiungono i punti di rottura del sistema. Si tratta di una situazione molto preoccupante e in mancanza di fondate probabilità di ripristino dell’equilibrio, la crisi, ormai irreversibile, conduce l’organismo operativo alla liquidazione.

Gli strumenti correntemente utilizzati per diagnosticare precocemente il rischio di default di un’azienda sono:

- metodi basati sull’intuizione, cioè basati sulla riconoscibilità esterna dei fattori di crisi (appartenenza dell’azienda a settori ormai decaduti, inefficienze produttive o commerciali, perdita di quote di mercato). Tali metodologie di indagine, affinché sia davvero utile, deve impiegarsi in maniera appropriata, valutando i segnali rilevanti in maniera obiettiva, senza le esagerazioni dipendenti da prese di posizioni pessimistiche o ottimistiche. - metodi basati sulla periodica valutazione del capitale economico, che, affinché siano affidabili, devono essere razionali, obiettivi, generali e stabili. Non esistono metodologie valide in assoluto, cioè che presentino contestualmente i requisiti della razionalità, obiettività, generalità e stabilità, ma esistono tecniche più o meno adeguate al caso, in funzione delle tipologie di azienda valutanda, dei dati disponibili e della complessiva situazione.

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- metodi basati sull’analisi di bilancio, fondati sulla determinazione e sulla valutazione di alcuni valori di riferimento, che individuano fenomeni di carattere economico e finanziario. Questi metodi approssimano il grado di rischiosità di un’azienda e confrontano i relativi indici di bilancio con i valori medi del settore di appartenenza o di un paniere di aziende di riferimento ovvero valutandone criticamente l’andamento nel tempo.

- metodi basati su modelli, come il modello di Altman. L’obiettivo è cercare di prevedere, con l’impiego di tecniche statistiche, le probabilità di fallimento di un’impresa. - metodi multidimensionali, quali il BalancedScorecard, Skandia Navigator e Value Chain Scoreboard. 1.4.1 – Metodi basati sull’intuizione

Sono metodi basati sulla riconoscibilità dei primi segnali di squilibrio e inefficienza, attraverso i quali si può tentare di monitorare l’andamento aziendale. La tabella 1 indica i principali fattori esterni rivelatori di uno stato di crisi e conseguentemente le possibilità di soluzione: Tabella 116: Indicatori, Riconoscibilità e Possibilità di intervento

Indicatori Riconoscibilità esterna Possibilità di intervento

Appartenenza a settori

decadenti Elevata Minima

Appartenenza a settori in

difficoltà per caduta

domanda

Elevata Minima

Perdita di quote di mercato Media Media

Inefficienze produttive Minima Elevata

Inefficienze commerciali Media Elevata

Inefficienze amministrative Minima Elevata

Inefficienze organizzative Minima Elevata

Inefficienze finanziarie Media Media

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Carenze di programmazione

Minima Elevata

Scarso rinnovo dei prodotti Media Media

Squilibri finanziari Elevata Media

Squilibri patrimoniali Elevata Media

1.4.2 – Metodi basati sulla periodica valutazione del capitale economico

Nessuna normativa di legge, civilistica o fiscale, indica quale metodo il professionista debba usare nella valutazione. Esiste comunque l’obbligo per il professionista di dichiarare le metodologie seguite in quanto, proprio come la tecnica insegna, possono essere diverse e avere una differente validità in relazione alle situazioni in cui trovano applicazione.

Le principali metodologie di stima del capitale economico sono:

- metodi diretti, che stimano il valore del capitale di un’azienda sulla base dei prezzi espressi dal mercato per quote di capitale dell’azienda stessa o di aziende simili. Possono essere diretti in senso stretto o essere diretti basati sui

moltiplicatori (equity approach o entityapproach).

- metodi indiretti, che si possono basare su grandezze stock (patrimoniali semplici e complessi), su grandezze flusso (reddituali e finanziari) oppure presentare una

natura mista (valore medio, durata limitata dell’avviamento, EVA).

Sulla base delle caratteristiche dell’azienda oggetto di valutazione si dovrà individuare il metodo che meglio può rappresentare il “valore economico” dell’azienda. Naturalmente nella scelta si deve tenere presente l’idoneità a rilevare una misura del capitale che sia razionale, dimostrabile, oggettiva e non priva di stabilità nel tempo. In pratica la valutazione deve aversi attraverso un processo logico, condivisibile, esprimibile attraverso una formula le cui variabili siano supportate da dati controllabili. Le scelte devono essere dimostrabili in modo oggettivo, limitando pertanto al minimo l’influenza soggettiva del valutatore. Nella relazione di stima dovranno sempre indicarsi i motivi che hanno guidato le scelte dei criteri di valutazione adottati, tenendo presente che spesso un metodo base può essere supportato da un metodo di controllo.

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Per le aziende industriali, i metodi misti “patrimoniali/reddituali con stima autonoma del goodwill (o badwill)” sono solitamente da preferire nelle aziende redditizie. In presenza di scarsi redditi potrebbe invece essere meglio adottare un metodo misto patrimoniale semplice con rivalutazione controllata. Quando poi ci si dovesse trovare di fronte ad aziende in perdita si potrebbe ricorrere a un metodo misto patrimoniale semplice o anche complesso (dove i beni immateriali sono solitamente costituiti da marchi e tecnologia) con rivalutazione controllata e stima autonoma del sottoreddito (badwill).

Nelle aziende commerciali, al contrario di quelle industriali, ci si orienta soprattutto verso il metodo misto patrimoniale complesso con stima autonoma dell’avviamento.

1.4.3 – Metodi basati sull’analisi di bilancio

Il bilancio d’esercizio può essere utilizzato come efficace strumento diagnostico dei primi squilibri aziendali.

Questa analisi si fonda sulla determinazione e sulla valutazione di alcuni valori di riferimento, che individuano precisi fenomeni di carattere economico e finanziario. L’analisi del bilancio viene effettuata con riguardo a tre aspetti della struttura aziendale: • analisi della struttura patrimoniale; • analisi della struttura economica;
 • analisi della struttura finanziaria. Le analisi patrimoniali e finanziarie sono volte ad esaminare i dati dei bilanci nonché dei budget al fine di definire le caratteristiche quantitative fondamentali di un’impresa. Gli strumenti analitici normalmente utilizzati per favorire una maggiore chiarezza e comprensione delle dinamiche e dei risultati aziendali sono indici, margini e flussi. Gli indici e i margini, in particolare, forniscono indicazioni sintetiche circa le condizioni economiche, finanziarie e patrimoniali dell’impresa, livello di redditività, liquidità, indebitamento, ecc.

(21)

L’analisi per margini è sostanzialmente un’analisi di struttura, perché tende ad accertare i rapporti esistenti fra le varie classi di attività e di passività (nello stato patrimoniale) e di costi e ricavi (nel conto economico).

Gli indici, ovvero i rapporti che vengono istituiti tra le diverse grandezze che figurano nel bilancio d’esercizio sono utili da considerare in quanto permettono di mettere in evidenza le relazioni tra le varie voci di bilancio consentendo una lettura dello stesso in modo sistematico e integrato. Lo scopo principale dell'analisi per indici, detti anche ratio o quozienti è fornire, in prima approssimazione, alcune indicazioni riguardo allo "stato di salute" dell'impresa. Possono costruirsi diversi indici a seconda dell’aspetto che si vuole esaminare 17. Quelli di più frequente utilizzo, sono gli indici di indebitamento,

quelli relativi al ciclo del capitale circolante netto (CCN), gli indici di liquidità e gli indici di redditività:

• Indici del grado di indebitamento: l’analisi del grado di indebitamento (che risponde alla domanda: è sostenibile nel medio/lungo periodo la struttura di investimenti e di finanziamenti dell'impresa?) viene condotta principalmente tramite gli indici di:

- Autonomia finanziaria, che misura l’incidenza percentuale delle fonti di finanziamento interne sul finanziamento totale. Infatti un’impresa attinge le risorse di cui ha bisogno per coprire il fabbisogno finanziario, necessario per lo svolgimento della propria gestione, da due fonti principali: il capitale proprio (autofinanziamento) ed il capitale di terzi.

Indice di autonomia finanziaria =!"#$%"&' $+,'-%$%*!"#$%"&' #)*#)$* %

Le voci poste in rapporto scaturiscono dallo Stato Patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario. L’indice riveste notevole importanza per analizzare la salute patrimoniale di un’azienda, in quanto evidenzia in che misura l’impresa si sta finanziando con mezzi proprio e 17si consiglia la consultazione di CARAMIELLO C., DI LAZZARO F., FIORI G., Indici di bilancio, Giuffrè, Milano, 2003, e di FUSA E. (1996), op. cit.

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con indebitamento esterno: un indice con valori prossimi a 100 indica una buona solidità patrimoniale e capacità di autofinanziamento con mezzi propri. Un indice con valori prossimi a zero indica una situazione patrimoniale gravata da debiti e, dunque, un elevato grado di dipendenza verso soggetti esterni. Dal punto di vista della solidità patrimoniale, dunque, la situazione ottimale è rappresentata da una struttura finanziaria caratterizzata dalla sola presenza di capitale proprio. Situazione che però non è ottimale dal punto di vista della redditività, a seguito di un beneficio sulla redditività del capitale di rischio come diretta conseguenza di una leva finanziaria positiva. - Indebitamento a medio e lungo termine. La fonte di risorse finanziarie alternativa al capitale proprio, come già si è detto, è costituita dal capitale di terzi (banche ed enti finanziari in generale) ovvero dall’indebitamento a breve, medio e lungo termine. Si tratta di risorse onerose, prevedono infatti non solo la restituzione ad una precisa scadenza, ma anche la corresponsione periodica di interessi, che saranno espliciti o impliciti a seconda del soggetto apportatore (espliciti nei debiti di finanziamento, impliciti se i debiti sono di funzionamento). Una presenza rilevante di questo tipo di passività, e di conseguenza un elevato valore di questo indice, non denota necessariamente un’azienda rischiosa. Infatti, se i debitori prestano concedendo dilazioni cospicue, l’azienda gode probabilmente di una buona reputazione, nel senso che viene considerata “affidabile”.

Indice di indebitamento a m/l termine = /"--$,$%à 12& %')1$+'!"#$%"&' $+,'-%$%* %

- Indebitamento finanziario, esprime il peso delle fonti di finanziamento onerose, sia a breve che a lungo termine, la cui remunerazione è rappresentata dagli oneri finanziari, sul totale dei debiti contratti dall’azienda, dunque considerando sia le passività correnti che quelle

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Indice di indebitamento finanziario = 7+8'4$%"1'+%* %*%"&'3'4$%$ 5$+"+6$")$ %

Tale rapporto dà una prima idea sulla rischiosità finanziaria dell’azienda dal momento che, solitamente, tanto maggiore è il suo valore tanto più l’azienda è considerata rischiosa sotto il profilo finanziario.

- Indebitamento finanziario e breve, riguarda i debiti esigibili a breve termine, che rappresentano la fonte finanziaria più rischiosa per l'azienda. I tempi ristretti necessari per l'estinzione di tali obbligazioni, difatti, impongono all'azienda la disponibilità di componenti di capitale liquidi o prontamente liquidabili in misura sufficientemente adeguata.

Indice di indebitamento finanziario a breve

=3'4$%$ 5$+"+6$")$ (* %*%"&' #"--$,*)3'4$%$ 5$+"+6$")$ " 4)',' %

Un valore elevato di questo indice segnala un rischio finanziario preoccupante. - Costo medio dell’indebitamento, il cui indice è dato da: Indice del costo medio dell’indebitamento = 3'4$%$ 5$+"+6$")$;+')$ 5$+"+6$")$ %

Al numeratore ritroviamo una voce relativa al Conto Economico (non più allo Stato Patrimoniale come fino ad ora) e al denominatore una voce dello Stato Patrimoniale, entrambi opportunamente riclassificati. L’indice in questione assumerà, a logica, un valore più elevato in caso di un maggiore rischio finanziario, a segnalare il costo più elevato che si sostiene per la concessione di prestiti come conseguenza diretta appunto della sua maggiore rischiosità.

- Oneri finanziari/EBIT, grandezze che scaturiscono entrambe dal Conto Economico, riclassificato.

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Indice Of/EBIT = ;+')$ 5$+"+6$")$<4$% %

L’indice determinato, evidenzia la possibilità dell’impresa di generare redditività operativa sufficiente a coprire gli oneri finanziari, lasciando un’opportuna redditività aggiuntiva.

• Indici relativi al ciclo del capitale circolante netto: la gestione del capitale circolante deve essere considerata una variabile strategica all’interno del sistema aziendale in quanto è espressione della capacità dell’impresa di far fronte agli impieghi a breve e di raggiungere gli obiettivi a medio lungo termine. Questi indici sono:

- Rotazione del capitale investito, indice che ha un duplice significato, economico e finanziario, in quanto il numeratore esprime un risultato economico e il denominatore esprime invece l’importo del capitale investito alla data dell’analisi. Da un punto di vista finanziario, l’indice di rotazione esprime la velocità di ritorno, tramite le vendite, dei capitali investiti nella gestione. Rotazione del capitale investito = !"#$%"&' $+,'-%$%*=$>",$ 8$ ,'+8$%" % In generale, si ritiene molto soddisfacente un valore dell’indice maggiore di 2, abbastanza soddisfacente un valore compreso tra 1 e 2, poco soddisfacente tra 0,50 e 1 e non soddisfacente sotto 0,50.

- Rotazione del magazzino, che esprime il numero di volte in cui, nel periodo considerato (generalmente un anno), avviene il rinnovo totale delle scorte presenti in magazzino, permettendo all’impresa di recuperare le risorse finanziarie investite nelle stesse tramite i ricavi di vendita.

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Un'elevata rotazione degli stock di magazzino indica che le scorte nel corso dell'anno sono rimaste in magazzino per un periodo limitato: l'impresa è così riuscita a recuperare rapidamente i mezzi finanziari impiegati per l'acquisto. Al contrario, una lenta rotazione è segnale di un rallentamento delle vendite: le risorse investite sono rimaste immobilizzate per un lungo periodo, creando condizioni di tensione finanziaria.

- Giorni di scorta media, esprimono quanto tempo impiega il magazzino per rinnovarsi completamente (tempo di giacenza). Questo indice stima quindi il periodo di tempo che intercorre tra l’acquisto delle materie prime e la vendita del prodotto finito. Giorni di scorta media = =$>",$ 8$ ,'+8$%"=$1"+'+6' % Un basso valore di questo indice evidenzia alta efficienza nella gestione delle scorte e dei capitali in esse investiti. Inoltre questo può essere il caso di un’azienda dotata di buona capacità di soddisfare la domanda con la propria offerta di prodotti e servizi. - Giorni di dilazione del credito commerciale, che si ottiene rapportando i crediti commerciali ai ricavi di vendita, del tempo che mediamente intercorre tra la vendita dei prodotti realizzati e l'incasso dei crediti commerciali (tempo di incasso):

Giorni di dilazione del credito commerciale = !)'8$%$ ,')-* >&$'+%$=$>",$ 8$ ,'+8$%" ∗ 360 Un valore relativamente basso di questo indice rispetto a quello dei concorrenti evidenzia, almeno tendenzialmente, maggiore efficienza nella gestione dei crediti.

- Giorni di dilazione del debito commerciale, esprimono il tempo che mediamente intercorre tra l’acquisto e il pagamento dei debiti di fornitura (tempo di pagamento):

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Giorni di dilazione del debito commerciale = C>DE$-%$ 8$ 4'+$ ' -'),$6$3'4$%$ ,')-* 5*)+$%*)$ ∗ 360 Un valore relativamente elevato di questo indice rispetto a quello dei concorrenti evidenzia, almeno in prima approssimazione, maggiore potere contrattuale perché in questo caso l’azienda riesce ad ottenere tempi più estesi per far fronte ai pagamenti. In merito è bene precisare che un valore in forte crescita nel tempo o troppo elevato rispetto alla media del settore può anche essere interpretato come un segnale di difficoltà dell’azienda di onorare i propri debiti commerciali e quindi i fornitori per non aggravare la situazione ed incrementare il rischio di illiquidità, scelgono di diluire temporalmente l’esigibilità trasformandosi in veri e propri finanziatori. In linee generali, è auspicabile una dilazione ottenuta dai fornitori maggiore rispetto a quella concessa ai clienti. • Gli indici di liquidità: rispondono alla seguente domanda: qual è la capacità

dell'impresa di onorare i propri impegni a breve termine (vale a dire in debiti in scadenza nell'arco di un anno dalla data di riferimento del bilancio) utilizzando le attività che possono essere più prontamente disinvestite o che sono già moneta?

Indice di disponibilità = /"--$,* " 4)',' %')1$+'C%%$,* >$)>*&"+%'

• Gli indici di redditività: sono anzitutto ben espressi attraverso la percentualizzazione dei vari margini indicati nella riclassificazione del C.E. rispetto ai valori delle vendite nette o della produzione ottenuta. Sono il ROI (che indica quanto rende il capitale investito dall’azienda), il ROE (che indica il rendimento ottenuto dai sottoscrittori di capitale) e il ROD (che indica l'onerosità media del debito finanziario).

ROI = ='88$%* *#')"%$,*!"#$%"&' $+,'-%$%* ROE =/"%)$1*+$* +'%%*='88$%* +'%%*

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1.4.4 – Modello di Altman18

Nel 1968 il Prof. Edward I. Altman presentò la prima versione del suo celebre Z score, volto a prevedere l’insolvenza di un’impresa. Seppur nel corso degli anni sono state elaborate diverse varianti del modello originario, il successo di questo metodo (Bottani, Cipriani e Serao, 2004; Altman, Danovi e Falini, 2013) risiede, oltre che nella sua economicità, nella sua facilità di comprensione ed utilizzo per qualsiasi soggetto, anche se non in possesso di specifiche competenze statistiche e conoscenze sull’analisi del rischio di insolvenza delle società. Infatti tale analisi viene effettuata sul bilancio di esercizio e richiede un semplice calcolo matematico.

Le variabili che vengono qui utilizzate coincidono con 5 indici di bilancio rappresentativi della liquidità, redditività, indebitamento, solvenza e produttività delle imprese:

X1 = Capitale circolante netto / Capitale investito

L’indice misura la liquidità aziendale e va decrescendo, a causa della riduzione del numeratore, man mano che ci si avvicina al momento del fallimento; questo per lo meno secondo il parere dell’autore. X2 = Utili non distribuiti / Capitale investito Tale indice esprime la capacità di autofinanziamento dell’impresa. In una situazione di squilibrio economico-finanziario, il valore di tale indice si presenta decrescente. X3 = EBIT / Capitale investito Tale variabile è il ROI, l’indice espressivo della redditività operativa della combinazione produttiva; decresce con il progredire del processo degenerativo fino a diventare nullo o negativo. X4 = Valore di mercato azioni / Valore contabile debiti

18 Cfr. C. SOTTORIVA, Crisi e declino dell’impresa. Interventi di turnaround e modelli

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Con questo indice si tiene conto delle fluttuazioni dei prezzi dei titoli emessi dalle aziende. Più il valore è basso più si avvicina alla sentenza dichiarativa fallimentare. X5 = Ricavi di vendita / Capitale investito

Si tratta dell’indice di rotazione del capitale investito, rappresenta cioè la velocità con la quale questo ritorna in forma liquida per effetto dei ricavi di vendita. Anche tale rapporto tende a subire un brusco calo in tempi di crisi. La formula finale è rappresentata da un’equazione lineare, così rappresentata in termini generali: Z = a1 x1 + a2 x2 + ... + an xn Dove Z è il valore discriminante (l’indice generale dello stato di salute dell’azienda), ai (con i = 1, 2..., n) i coefficienti di discriminazione e xi (con i = 1, 2, ..., n) i coefficienti discriminanti.

La prima applicazione di tale metodologia venne effettuata con riferimento ad un campione di 33 aziende in difficoltà (conclamata) e 33 aziende in salute, ed evidenziò che le imprese con un valore di Z inferiore a 1,8 erano da considerare ad alto rischio di insolvenza; quelle con punteggio superiore a 3 non presentavano alcuna criticità; mentre le aziende con un punteggio compreso tra 1,8 e 3 avrebbero potuto presentare rischi di default. Gli sviluppi successivi del modello hanno condotto alla definizione dei seguenti range di valore di Z (sempre derivati dal modello originario elaborato da Altman per le società quotate): Z > 3 à Probabilità di default quasi nulla 2,7 < Z < 2,99 à Probabilità di default relativamente bassa 1,8 < Z < 2,69 à Probabilità di default medio – alta (entro 2 anni) Z < 1,8 à Probabilità di default molto alta

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L’affidabilità del modello è stata più volte testata al 70% 19.

1.4.5 – Metodi multidimensionali 1.4.5.1 – Il BalancedScorecard

La scheda di valutazione bilanciata costituisce un approccio “olistico” alla misura della performance aziendale volto a superare (alla medesima stregua degli altri metodi multidimensionali) le carenze manifestate dalle tradizionali misure economico-finanziarie. L’impiego bilanciato di differenti misure quantitative e qualitative

consente infatti una visione più organica ed esaustiva della dinamica della performance aziendale, rappresentando in modo corretto la capacità prospettica dell’impresa di generare valore.

La metodologia in esame nasce nel 1992 ad opera di Kaplan R. e Norton D. (il nome prende a riferimento i tabelloni utilizzati nelle partite di baseball e basket, come integrazione del semplice punteggio), e segna il superamento di una visione monodimensionale dell’azienda al fine di fornire una visione bilanciata della complessiva performance in funzione delle diverse aree costituenti l’organizzazione. Tale metodologia permette quindi di impostare un sistema di misure quali-quantitative su cui implementare un sistema di controllo direzionale efficacemente collegato alle componenti della gestione aziendale, così da poterne verificare la coerenza con le strategie effettivamente in essere. Integra, infatti, le misure economiche-finanziarie della performance passata con la stima di quella futura.

Affidarsi unicamente a misure di tipo economico-finanziario della performance aziendale può infatti indurre in errore, in quanto tali misure sono indicatori ex- post che forniscono informazioni relative ad azioni già realizzate (e quindi non rappresentano le reali condizioni di economicità dell’impresa e non forniscono indicazioni sulle prospettive di sviluppo).

19È, però, necessario considerare: la dinamica del valore Z nel tempo (infatti, un

punteggio che varia da 1 a 2 in un periodo temporale di cinque anni è meno preoccupante di un risultato che evolve da 3 a 2 nel medesimo arco temporale); il modello deve venire opportunamente “tarato” a seconda del Paese nonché del settore economico in cui opera l’azienda in questione; l’importanza di valutare il punteggio ottenuto unitamente ad altri indicatori.

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L’approccio BSC integra diversi strumenti di controllo, bilanciando le tradizionali misurazioni di tipo finanziario con misure qualitative collegate ai fattori tipici di successo dell’azienda, così da offrire ai manager una rappresentazione più completa del complessivo livello di performance.

1.4.5.2 – Lo Skandia Navigator

Il criterio in esame, elaborato da Edvisson e Malone nel 1993, rappresenta una delle prime, concrete applicazioni dei criteri di valutazione delle performance aziendali di matrice scorecard.

Il modello si caratterizza per l’elaborazione di un elevato numero di indicatori di performance, aventi lo scopo di misurare l’andamento di cinque aree:

• Clienti: numero nuovi clienti, contratti conclusi, quota di mercato, indici di customer satisfaction, fatturato annuo per cliente, tasso di fedeltà; 


• Finanza: indicatori finanziari; 


• Processi: costi amministrativi per dipendente, numero di scarti, costi

infrastrutturali, livello di efficienza complessivo; 


• Risorse umane: turnover del personale, numero di manager, indice di soddisfazione dei dipendenti; 
 • Sviluppo e innovazione: investimenti in R&S, ore di formazione per dipendente, numero di brevetti prodotti, nuovi prodotti realizzati. 1.4.5.3 – La value Chain Scoreboard Il criterio in esame, elaborato da Lev nel 2001, si basa su un approccio di tipo analitico, individuando i fattori aziendali che concorrono al processo di creazione del valore ed analizzando l’apporto di ciascuno. Tutto fa riferimento alla catena del valore, il particolare processo economico che trae origine dall’ideazione di nuovi prodotti, servizi o processi (in termini più generali, dall’apprendimento), procede attraverso la loro implementazione e si conclude con la commercializzazione dell’output finale. Nell’ottica dell’ideatore del modello, infatti, la catena del valore costituisce il segreto delle imprese innovative e di successo.

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La Value Chain Scoreboard si articola in 3 aree di informazione e valutazione, a loro volta scomponibili in sotto-aree:

1. Area della scoperta e apprendimento, che costituisce l’inizio della catena del valore dell’azienda. Si scompone in ulteriore 3 sotto-aree: rinnovamento interno, capacità acquisite e networking.

2. Area dell’implementazione, che è quella in cui si verifica la fattibilità tecnica ed economica dei prodotti, servizi e/o processi in via di sviluppo. Si sviluppa in: proprietà intellettuale e grado di fattibilità tecnologica ed economica. 3. Area della commercializzazione, ripartibile in: clienti, performance e prospettive di crescita. Con riguardo a ciascuna delle aree informative individuate è necessario sviluppare degli indicatori di punteggio, con un diverso grado di analiticità a seconda dell’utilizzo cui sono destinati (naturalmente, la scala di punteggio dovrà essere specificamente elaborata a seconda del Paese e del settore economico in cui l’azienda opera, nonché del momento storico, delle peculiarità dell’azienda, ecc.).

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CAPITOLO 2

LE SOLUZIONI ALLA CRISI D’IMPRESA

2.1 – L’analisi strategica: i presupposti per il rilancio dell’azienda

Una volta accertato lo stato di crisi, la prima decisione da prendere riguarda la valutazione e l’eventualità di impostare un piano di risanamento, se sussiste la possibilità di rilancio dell’attività aziendale, oppure la cessione totale o di rami aziendali, oppure infine la liquidazione dei singoli elementi del patrimonio. Punto di partenza per la scelta della migliore strategia da adottare è studiare le risorse che consentiranno il rilancio20. Questo non vuol dire che lo studio delle cause della crisi sia da trascurare: servirà per diminuire la probabilità di commettere errori in futuro. Vedere la crisi come punto di partenza per ripensare l’impresa e ricercare nuove fonti di vantaggio competitivo serve a rendere il risanamento strategico21. In questo senso, il risanamento è da interpretare come un processo che vede nelle situazioni di crisi lo spunto e lo stimolo per ripensare l’impresa e ricercare nuove fonti e situazioni di vantaggio competitivo. Come prima cosa è quindi opportuno capire se, nel patrimonio aziendale, esistono e quali sono le risorse potenzialmente capaci di generare valorema non opportunamente valorizzate e non in condizione di esprimere a pieno le loro potenzialità22. La scelta del risanamento troverà origine soltanto col possesso di risorse e potenzialità inespresse23. In effetti, in assenza di suddetta prospettiva sembrerebbe più logico “partire da zero”, dare cioè vita ad una nuova combinazione produttiva, piuttosto che impegnarsi nel recupero di un’azienda esistente, ma in crisi. 20 GARZELLA S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse; una “visione” strategica per il risanamento, Giappichelli, 2005. 21Cfr. G.C. MUELLER W., MCKINLEY M.A., MONE V.L., BARKER, Organizational decline. A stimulus for innovation?, in “Business Horizons” vol 44, n.6, nov-dic 2001. 22 Donna definisce “gap di valore” la differenza tra quanto l’impresa effettivamente vale e quanto potrebbe valere. DONNA G., La creazione di valore nella gestione dell’impresa, Roma, Carocci, 1999.

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La capacità inespressa di creare valore delle risorse aziendali può essere inibita da varie circostante e fattori tra i quali spiccano24:

➢ La carenza di imprenditorialità e managerialità;

➢ La carenza di mezzi finanziari;


➢ I fattori di natura esogena e congiunturale.

Il vantaggio competitivo, su cui si basa il successo, risiederà nel possesso di risorse distintive in grado di garantire all’azienda flussi economico-finanziari attuali e

prospettici superiori alla media del settore stesso25.

Una risorsa è resa distintiva dal possesso combinato di26: valore per il mercato (una risorsa è tanto più di valore quanto più è percepita di valore dai clienti), grado di unicità (sul piano concorrenziale), durevolezza (nel tempo) ed estensibilità (espressa nella

capacità delle risorse di incorporare e liberare opzioni reali di sviluppo27).

Naturalmente il possesso di sole risorse distintive non basta: queste devono essere attivate, organizzate, e combinate per creare e rafforzare le condizioni di economicità, cioè devono crearsi delle sinergie tra di esse.Il requisito dell’estensibilità per una risorsa distintiva, infatti, evoca la capacità della stessa di creare nuove potenzialità sinergiche. L’opzione, quindi, richiama la potenzialità di realizzare “sinergie nel tempo”, cioè la possibilità che si verifichino interrelazioni positive tra eventi, oggetti e situazioni attuali ed eventi, oggetti e situazioni attese, che si collocano cioè in periodi di tempo futuri, ma anche “sinergia nello spazio” cioè realizzabili attraverso la combinazione di eventi ed oggetti già attualmente presenti sul mercato28. 24 GUATRI L., Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, Egea, Milano, 1995. P. BASTIA, Pianificazione e controllo del risanamento d’impresa, Giappichelli, Torino, 1996.

25 BRUNI M., GARZONI A., Risorse e competenze aziendali nella sostenibilità del

vantaggio competitivo, in E. MOLLONA (a cura di), Strategia a livello di area d’affari – Raccolta antologica, Milano, Egea, 1999. 26 HAMEL G., PRAHALAD C., Alla conquista del futuro: le nuove strategie per vincere la competizione economica, Il sole 24 ore, 1999. 27 DONNA G., La valutazione economica delle strategie d’impresa, Milano, Giuffrè, 1992. 28 GARZELLA S., Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle potenzialità inespresse; una “visione” strategica per il risanamento, Giappichelli, 2005.

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Le sinergie scaturiscono dalla possibilità che si generino, tra le singole unità/aree strategiche, delle interrelazioni (di segno positivo) tali da incrementare il valore

dell’aggregato rispetto alla somma delle singole componenti29. Affinchè si possa parlare di sinergia, quindi, devono verificarsi: • la presenza di interrelazione tra due o più aree strategiche; • l’effetto incrementativo delle stesse interrelazioni sul valore del sistema30. L’effetto delle sinergie, si materializzerà attraverso l’aumento dei ricavi o la riduzione dei costi di una delle aree di business coinvolte31. L’analisi delle sinergie può essere ampliata, individuando 3 tipi di sinergie32: 1. operative, nel cui ambito si distinguono quelle tangibili, date dalla condivisione di beni e risorse fisicamente individuabili, e quelle intangibili, riferite alla

condivisione di risorse immateriali (know-how, abilità, competenze)33; 2. finanziarie, che si riferiscono alla gestione finanziaria e si manifestano in minori uscite a fronte di altrettanti minori oneri finanziari sul fronte economico e in un minor ricorso al debito sul fronte patrimoniale34; 3. fiscali, determinate da un abbattimento delle uscite per imposte per effetto dei benefici fiscali ricavabili tra ASA35.

Lo studio delle risorse deve essere inquadrato all’interno di 3 aree: il sistema competitivo, quello organizzativo e quello finanziario.

29 ZAPPA G., Il redditodi Impresa. Scritture Doppie, Conti e Bilanci di Aziende

Commerciali, Giuffrè editore, Milano, 1937. Si veda anche BIANCHI MARTINI S., Introduzione al concetto di avviamento. Analisi dei principali orientamenti della dottrina italiana,Giuffrè, 1996.

30 GALEOTTI M., La valutazione strategica. Nell’ipotesi di cessione d’azienda, Giuffrè,

1995.

31 CAPASSO A., Economia e finanza delle acquisizioni aziendali, Padova, Cedam, 1990.

32GALEOTTI M., La valutazione strategica. Nell’ipotesi di cessione d’azienda, Giuffrè,

1995.

33 In merito alle sinergie operative tangibili e intangibili si veda PORTER M. E., Il

vantaggio competitivo, Einaudi, 1999.

(35)

Quanto al sistema competitivo, il rafforzamento del posizionamento competitivo sul mercato (o sui mercati) di sbocco è strettamente connesso alla capacità di presentarsi ad essi con prodotti superiori rispetto a quelli dei competitor. Per questo, i clienti sono

i primi destinatari delle nuove strategie competitive36.L’azienda si relaziona con i propri

clienti tramite il “sistema prodotto”, che naturalmente dovrà possedere superiorità competitiva.Il valore per il cliente può derivare da un prodotto con le caratteristiche uniche (grazie al perseguimento di una strategia di diversificazione da parte dell’azienda) o da un risparmio in termini di costi (per mezzo di una strategia di leadership di costo).

Per effettuare un valido riposizionamento competitivo, però, i clienti, pur essendo il punto di partenza di questo processo, non sono gli unici destinatari. Particolare importanza, in una situazione di crisi tesa al risanamento, la rivestono i fornitori, con cui l’azienda stringe rapporti fondamentali, impossibili da non considerare in quanto in grado di bloccare le forniture in caso di difficoltà aziendali. Per continuare i rapporti con i fornitori, l’azienda deve dimostrare di avere le potenzialità (in termini di risorse critiche, competenze e accesso al mercato), così da rendere conveniente il rapporto stesso.

Unitamente all’aspetto competitivo, un altro processo estremamente importante in sede di risanamento strategico è rappresentato dal sistema organizzativo. Per il recupero dell’economicità è necessario un nuovo e idoneo assetto organizzativo che presidi lo svolgimento della gestione. A questo proposito,le modificazioni riguardano cultura, struttura e risorse umane. Per evitare che risorse umane strategiche lascino il contesto aziendale a causa della crisi, l’unica soluzione è rafforzare la cultura aziendale, il senso di appartenenza e lo spirito di gruppo, anche in modo da condizionare le loro performance ed il loro rendimento37

36 Porter la definisce come “the search for a favourable competitive position in an

industry (..). Competitive strategy aims to estabilish a profitable and sustainable position against the forces that determine industry competition”. M.E.PORTER, Competitive

Advantage, Simon &Shuster, New York, 1985.

37“L’identificazione con l’organizzazione viene frequentemente considerata nella

letteratura manageriale come una delle principali determinanti delle performance dell’impresa. L’idea alla base di tale prospettiva è che persone molto identificate con l’impresa partecipino ai processi organizzativi con contributi eccezionali, generando,

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opportuno quindi, in vista di un rilancio aziendale e quindi di un recupero della produttività aziendale, che i lavoratori siano estremamente motivati a sentirsi parte dell’organizzazione stessa e che abbiano la possibilità di trasformare questa volontà in idee e innovazioni. Tali comportamenti innovativi si sviluppano principalmente quando è forte il processo di identificazione dell’individuo con l’organizzazione, e cioè quando la valorizzazione e il successo dell’individuo tende a coincidere con la valorizzazione e il successo dell’organizzazione38. Il fattore lavoro, infatti, con il suo entusiasmo e la sua partecipazione può essere in grado di alimentare lo sviluppo dell’azienda favorendo una cultura orientata alla produttività e alla qualità.Il risanamento spesso richiede, inoltre, la messa in discussione delle figure che gravitano nell’area del soggetto economico. Del resto la crisi è la manifestazione dell’insuccesso della strategia in atto, della quale il

soggetto economico è il principale responsabile39. Per questo si può rendere opportuna

la sostituzione degli amministratori e del management e, in alcuni casi, l’inserimento di un consulente esterno all’interno dell’area del soggetto economico (un advisor) come garante tecnico della validità delle strategie aziendali.

Nell’insieme, il cambiamento della cultura d’impresa, dell’organico e dei ruoli dei lavoratori finiscono per dare vita ad un nuovo modello organizzativo che dovrà svilupparsi armonicamente con la nuova struttura strategia dell’impresa (le aree di business). Questo processo implica, inevitabilmente, la ridiscussione dei principali caratteri della formula imprenditoriale e magari proprio di quei fattori che nel passato

hanno fondato il successo dell’impresa40.

Per questo motivo nasce la possibilità di riposizionare l’aziendae sopperire alla carenza immediata di liquidità, tipica delle situazioni di crisi, mediante la cessione di asset non strategici. La complessità insita in tale cessione deriva dalla difficoltà di individuazione degli asset non strategicamente rilevanti. La figura riportata di seguito mostra la classificazione delle ASA in base alla loro rilevanza strategica: le aree di business

quindi, performance altrettanto eccezionali”. M.BERGAMI, L’identificazione con

l’impresa. Comportamenti individuali e processi organizzativi, Roma, Nis, 1996.


38 BERGAMI M., L’identificazione con l’impresa. Comportamenti individuali e processi

organizzativi,Carocci, 1996.

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strategicamente rilevanti per l’impresa sono quelle da non cedere assolutamente, poiché non vi è corrispondenza tra la vendita di tale aree e la possibilità di ricevere grandi offerte sul mercato ; quelle strategicamente rilevanti solo per i soggetti esterni dovrebbero essere sottoposte ad una valutazione in merito alla dismissione, poiché con al loro cessione è probabile che si riescano ad ottenere ingenti flussi di cassa in entrata senza che ciò comporti la sottrazione di risorse vitali alla combinazione produttiva; le ASA strategicamente rilevanti sia per l’impresa, sia per i soggetti esterni dovrebbero essere gestite con molta delicatezza: la soluzione migliore sembra essere quella di una partnership con un soggetto dotato delle risorse necessarie per valorizzare il business, con il quale condividere lo sviluppo41; infine, è evidente, che le business unit da

dismettere nell’immediato siano quelle non strategiche né per l’impresa né per il mercato. Figura 2: classificazione ASA42 Alto DISMISSIONE PARTNERSHIP, SVILUPPO PER VIE ESTERNE DISMISSIONE RICAPITALIZZAZIONE, RICORSO A NUOVA FINANZA, SVILUPPO PER VIE INTERNE Basso Basso Valore strategico Alto per l’impresa

L’ultima dimensione che necessita di essere analizzata nel processo di risanamento riguarda la sfera finanziaria dell’impresa, ovvero l’esame del rapporto tra l’azienda e gli apportatori di capitale. Solo tornando a prospettare una remunerazione adeguata di capitale, l’azienda otterrà nuovamente il consenso dei soggetti finanziatori e dei soci (i primi apportatori del capitale di credito, i secondi del capitale di rischio). 41S.GARZELLA, Il sistema d’azienda e le potenzialità inespresse, op.cit. 42S.GARZELLA, Il sistema d’azienda e le potenzialità inespresse, op.cit. Valore strategico per il mercato

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