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H2S e fibrosi polmonare: ruolo fisiopatologico e prospettive terapeutiche.

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

H2S E FIBROSI POLMONARE:

RUOLO FISIOPATOLOGICO E

PROSPETTIVE TERAPEUTICHE

Relatore: Prof. Calderone Vincenzo

Candidato: Maffei Francesco

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INDICE

1. INTRODUZIONE 3

2. INFIAMMAZIONE E FIBROSI 5

2.1 Infiammazione 5

2.2 Degenerazione dello stato infiammatorio: Fibrosi 7

3. FIBROSI POLMONARE 9

3.1 Meccanismi coinvolti nella patogenesi della fibrosi 10

3.1.1 Sistema immunitario innato 12

3.1.2 Sistema immunitario adattativo 17

3.1.3 Meccanismi intrinseci, autocrini ed epigenetici 21

3.1.4 Invecchiamento e stress ossidativo 22

3.2 RNf2 e NFKB regolano lo stress ossidativo 32

3.3 H2S e fibrosi 36

4. H2S 37

4.1 Biosintesi 38

4.2 Ruoli fisiologici 42

4.3 H2S, infiammazione e fibrosi polmonare 49

4.4 H2S e sua attività su NFkB e Rnf2 55

5. CONCLUSIONI 60

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1. INTRODUZIONE

Recentemente il ruolo dell’idrogeno solforato (H2S), ha suscitato un notevole interesse per il suo possibile utilizzo nel trattamento di diverse patologie. È stato notato che viene prodotto in quantità consistenti dai tessuti ed esercita diversi effetti fisiologici che suggeriscono un suo ruolo potenziale come gas-mediatore regolatorio. L’H2S è coinvolto in vari processi fisiologici a livello cardiaco, circolatorio ed infiammatorio. Inoltre si è visto come l’H2S esogeno sembri inibire i processi infiammatori e migliorare le disfunzioni miocardiche. Questo ha fatto pensare ad un suo possibile utilizzo nel trattamento di varie patologie tra cui quelle cardiache e polmonari. D’altra parte però, se non opportunamente controllato, ed in dosi eccessive, l’H2S può contribuire all‟infiammazione tissutale. Un’altra caratteristica interessante dell’H2S è il suo ruolo attivo negli squilibri dei processi ossido-riduttivi. In particolare questo gas-mediatore influisce sull’attivazione dei processi infiammatori cellulari, interagendo con i meccanismi di trasmissione del segnale, con i fattori di trascrizione e neutralizzando le specie reattive dell’ossigeno (ROS). Inoltre è stato riportato avere proprietà citoprotettive stimolando la produzione di glutatione (GSH) in diversi tessuti. Su questa base potrebbe risultare utile disporre di molecole in grado di modulare opportunamente la concentrazione plasmatica e tissutale di H2S, soprattutto in presenza di disturbi caratterizzati da squilibri dell’omeostasi del glutatione e dall’aumento dello stress ossidativo, come avviene in patologie del sistema cardiocircolatorio, polmonari e metaboliche.

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Il ruolo dell’H2S nel trattamento delle patologie cardiovascolari è stato ben approfondito in vari studi ed ha già mostrato risultati soddisfacenti. La sua attività anti-infiammatoria ha destato interesse per un suo possibile utilizzo nella prevenzione o risoluzione delle patologie fibrotiche . Diversi studi hanno approfondito il possibile collegamento tra H2S e fibrosi, e si stanno formulando nuove ipotesi per la sua applicazione in questo campo.

Con questa tesi si è voluto raccogliere i risultati delle ricerche svolte negli ultimi anni, riflettere su quanto ne è emerso, e illustrare quali saranno le direzioni per studi futuri.

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2. INFIAMMAZIONE E FIBROSI

2.1 Infiammazione

L’infiammazione o flogosi è un meccanismo di difesa non specifico innato che costituisce una risposta protettiva conseguente all'azione dannosa di agenti fisici, chimici e biologici, il cui obiettivo finale è l'eliminazione della causa iniziale del danno cellulare o tissutale. L'infiammazione consiste in una sequenza dinamica di fenomeni che si manifestano con un’intensa reazione vascolare. Questi fenomeni presentano caratteristiche relativamente costanti, nonostante l'infinita varietà di agenti lesivi, in quanto non sono determinati soltanto dall'agente lesivo, quanto soprattutto dalla liberazione di sostanze endogene: i mediatori chimici della flogosi. I fenomeni elementari, che costituiscono la risposta infiammatoria, comprendono vasodilatazione e aumento di permeabilità, che portano al passaggio di liquidi dal letto vascolare al tessuto leso (edema), ed infiltrazione leucocitaria nell'area di lesione. L'infiammazione serve dunque a distruggere, diluire e confinare l'agente lesivo ma, allo stesso tempo, mette in moto una serie di meccanismi che favoriscono la riparazione o la sostituzione del tessuto danneggiato.

Clinicamente i segni cardini dell'infiammazione sono: arrossamento, tumefazione, calore della parte infiammata, dolore, alterazione funzionale. Sono manifestazioni delle modificazioni tissutali che consistono in: vasodilatazione, aumento di permeabilità, stasi circolatoria e infiltrazione leucocitaria. L'infiammazione viene classificata, secondo un criterio temporale, in infiammazione acuta e

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un criterio spaziale, in diffusa (infiammazione cronica interstiziale) oppure circoscritta (infiammazione cronica granulomatosa).

Durante il processo infiammatorio vengono prodotti importanti mediatori chimici di origine plasmatica e cellulare, come amine vasoattive (istamina e 5- idrossitriptamina), proteasi plasmatiche e metaboliti dell’ac. arachidonico (prostaglandine, leucotrieni e lipoxine). Le cellule infiammatorie e l’endotelio vascolare producono pure un complesso sistema di citochine e chemochine che regolano la funzione leucocitaria attraverso l’attivazione (IL-2, IL-4, IFN-α e IFN-β) o l’inibizione (IL-10 e TGF-β) delle risposte immunitarie. Le citochine attivano le cellule infiammatorie (TNF-α, IL-1β, IFN-γ e IL-6) o stimolano l’ematopoiesi, la crescita e la differenziazione leucocitaria (IL-3 e IL-7) [1].

È stato ipotizzato che mediatori gassosi fisiologici come l’ossido nitrico (NO) e il monossido di carbonio (CO) siano coinvolti nel processo infiammatorio [2].


Più recentemente, un terzo gas endogeno, l’idrogeno solforato (H2S), è stato proposto come ulteriore gas-mediatore coinvolto nei processi infiammatori, sebbene il suo preciso ruolo sia tuttora controverso [3].

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2.2 Degenerazione dello stato infiammatorio: Fibrosi

La fibrosi è il risultato patologico comune di molte malattie infiammatorie croniche. Può interessare tutti i tessuti ed organi dell’organismo. È definita dall'accumulo di un eccesso di componenti della matrice extracellulare (ECM) come collagene e fibronectina. Il processo fibrotico, se altamente progressivo, può portare alla deformazione dell’architettura strutturale dell’organo o tessuto affetto fino al suo malfunzionamento e morte. [4,5]

Il collagene è un elemento fondamentale nei normali processi di riparazione dei danni tissutali. Questi processi possono degenerare in una risposta fibrotica irreversibile in caso di danni gravi o ripetuti al tessuto o nel caso in cui la riparazione del danno diventi disregolata. [4,5]

Ci sono vari meccanismi coinvolti nello sviluppo nella progressione del processo fibrotico.

Primo tra tutti troviamo la risposta del sistema immunitario innato ed adattativo. In caso di cronicizzazione dell'infiammazione o di danno continuato, i fattori di crescita, gli enzimi e gli altri componenti del sistema immunitario, che normalmente porterebbero alla riparazione del danno, in queste condizioni favoriscono lo sviluppo della fibrosi [6]. È ormai chiaro che molti componenti del sistema immunitario, sia innato che adattativo, sono coinvolti nel processo di attivazione e differenziazione dei fibroblasti secernenti componenti dell’ECM [7,8] Gli stessi frammenti di ECM stimolano il reclutamento di cellule mieloidi che rilasciano citochine e chemochine pro-infiammatorie. Queste, se persistono sul sito danneggiato, portano ad un aggravamento dell'infiammazione anziché alla guarigione [6].

(8)

Una volta comparsa la patologia fibrotica, una serie di processi portano all’inasprimento della situazione. Uno di questi è lo stress meccanico, causato dall'eccesso di ECM, che porta ad un'attivazione dei fibroblasti presenti nel sito fibrotico [6]. Altri processi coinvolgono modificazioni del DNA dei fibroblasti che rimangono in uno stato di attivazione, oppure vie di segnalazione autocrine che stimolano la produzione di ECM mediata dal TGF-β1 [6].

La fibrosi può essere riscontrata in tutti i tessuti dell’organismo, ma questo lavoro di tesi sarà focalizzato sulle patologie fibrotiche che interessano il sistema respiratorio.

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3. FIBROSI POLMONARE

La fibrosi polmonare è una malattia respiratoria che insorge quando, all'interno del polmone, si forma del tessuto cicatriziale al posto del normale parenchima polmonare. Questo può avvenire a causa di vari motivi di cui il principale è uno stato di infiammazione cronica. Questa infiammazione può essere causata da agenti esterni (sostanze chimiche, inquinanti, radiazioni, farmaci) o non avere una causa nota (fibrosi idiopatica).

Il rivestimento epiteliale degli alveoli polmonari è formato da pneumociti di tipo 1 (95%) e da pneumociti di tipo 2 (5%). Le cellule epiteliali alveolari (AECs) sono il sito primario del danno e si pensa scatenino la risposta fibrotica [9]. Mentre le AECs di tipo 2 proliferano e si differenziano in AECs di tipo 1 in risposta al danno, in caso di fibrosi le AECs sembrano propense a subire apoptosi [10,11] o ad invecchiare [12,13]. Le AECs secernono diversi fattori di crescita e citochine come TGF-β1 [14], PDGF (fattore di crescita derivato dalle piastrine) [15], endotelina-1 [16], angiotensina-II [17] e il CTGF (fattore di crescita del tessuto connettivo) [18]. Queste citochine possono mediare direttamente o indirettamente l’attivazione pro-fibrotica delle cellule mesenchimali. È stato dimostrato che l’apoptosi delle AECs induce fibrosi [9,19,20], e che i fattori secreti dalle cellule epiteliali senescenti possono indurre in-vitro la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasi [13]. Inoltre le cellule endoteliali potrebbero subire una transizione fenotipica e trasformarsi in cellule simili alle mesenchimali e contribuire alla fibrogenesi attraverso i mediatori secreti [21,22]. Quindi le AECs non sono solo un target ma partecipano attivamente al processo fibrogenico.

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Questo danno o infiammazione prolungata portano alla formazione di tessuto cicatriziale in eccesso. Questo risulta in un indurimento del tessuto polmonare che circonda e si interpone tra gli alveoli causando una ridotta efficienza polmonare. Nei casi più gravi questa situazione può portare al decesso.

3.1 Meccanismi coinvolti nella patogenesi della fibrosi

%

Fig.1

Panoramica sulla riparazione del danno tissutale e fibrosi. (Fonte: [6])

I principali meccanismi causa della fibrosi sono diversi; reazioni del sistema immunitario innato ed adattativo, stress ossidativo, invecchiamento, meccanismi intrinseci, autocrini ed epigenetici. Tutti agiscono cronicizzando lo stato di infiammazione agendo in vari modi

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e su diversi bersagli. I più importanti restano comunque le reazioni immunitarie che portano al reclutamento di una moltitudine di cellule secernenti altrettanti fattori pro-infiammatori.

Le reazioni infiammatorie acute hanno un ruolo fondamentale nello scatenare la fibrosi in vari tessuti ed organi. La risposta infiammatoria scaturita dal processo di riparazione di un danno tissutale, può portare alla deposizione di un eccesso di ECM nei tessuti affetti [23,24]. Anche una situazione di infiammazione lieve ma continuata può portare nel lungo termine agli stessi risultati. Quindi una situazione di infiammazione persistente è la causa scatenante la reazione di riparazione tissutale che porta alla fibrosi. Di conseguenza il primo approccio utile sarebbe combattere l’infiammazione prima che questa cronicizzi e porti a fibrosi. Questa via è facile da realizzare quando il meccanismo di danneggiamento del tessuto è noto. Purtroppo in molti casi il meccanismo o l’agente irritante che porta al danno tissutale non si conosce o non è di facile eliminazione. Ecco che i ricercatori hanno rivolto i loro studi verso i meccanismi dell’immunità innata e adattatativa che regolano la risposta infiammatoria con lo scopo di individuare i mediatori chiave di tale processo e sviluppare cure mirate per attenuare il processo fibrotico [25] (fig.1).

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3.1.1 Sistema immunitario innato

%

Fig.2

Ruolo delle cellule del sistema immunitario innato nella fibrosi e loro attivazione da parte dei fattori chemiotattici rilasciati dalle cellule epiteliali ed endoteliali.

(Fonte: [6])

L'immunità innata, rappresenta una delle due modalità di difesa immunitaria nell'uomo. Si tratta di un insieme di meccanismi biochimici volti a prevenire, combattere e distruggere gli agenti infettivi che penetrano nell’organismo. È la prima ad intervenire in caso di infezione da parte di agenti patogeni, mentre ignora altre tipologie di antigeni dato che possiede una specificità relativamente bassa [26]. È più rapida dell'immunità adattativa, infatti si scatena nel giro di poche ore dall'infezione a differenza della seconda che impiega alcuni giorni. La sua specificità è limitata a riconoscere molecole o parti di molecole espresse da una classe di agenti infettivi, ma spesso non riesce a

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discriminare un singolo agente patogeno a differenza della grande specificità dell'immunità adattativa [27]. Va specificato che l'immunità innata non riconosce esclusivamente agenti infettivi, ma agisce anche su cellule dell’organismo (self) che, a causa di un'infezione o per stress, esprimono molecole che normalmente non sono espresse dalle cellule sane e che per questo vengono riconosciute come estranee (non self) [27]. Questo tipo di immunità non possiede nessun meccanismo di memoria cellulare atto a fornire una risposta più efficace e rapida in caso di infezioni future ad opera dello stesso agente infettivo. Possiede però metodi di discriminazione del self dal non-self che per molti versi la rendono una risposta immunitaria meno dannosa rispetto all'immunità adattativa poiché si ha un rischio quasi nullo di errori che portano allo sviluppo di patologie autoimmuni. L'immunità innata non è un meccanismo dissociato dall'immunità adattativa, ma contribuisce a stimolarla e influenzarla tramite alcuni mediatori e segnali molecolari [27].

Strutturalmente l'immunità innata è costituita da diversi componenti in cui non figurano esclusivamente cellule, ma interi tessuti che fungono da barriera alla penetrazione di microbi, sia per la loro conformazione che per alcune sostanze battericide che secernono [27]. Oltre alle barriere anatomiche dell'organismo, all'immunità innata partecipano anche le proteine del sistema del complemento e della flogosi, il sistema delle cellule fagocitarie, le cellule NK (natural killer) e le citochine [28].

La coagulazione è il primo meccanismo attivato in risposta al danno tissutale. Le piastrine circolanti si attivano quando incontrano il collagene, esposto nel sito danneggiato, ed il fattore di Von Willebrand, presente nello strato subendoteliale [29]. Inoltre il fattore di coagulazione II (protrombina) viene idrolizzato proteoliticamente per

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formare la trombina che, fungendo da proteasi, converte il fibrinogeno in frammenti insolubili di fibrina. Questi si raggruppano e vanno ad unirsi alle piastrine attivate per formare il coagulo di fibrina che assicura una veloce emostasi. Le piastrine attivate inoltre liberano fattori di crescita come il fattore di crescita piastrino-derivato (PDGF), potente agente chemiotattico per le cellule infiammatorie, ed il fattore di crescita trasformante-β1 (TGF-β1) che stimola i miofibroblasti a produrre ECM [30]. Quindi di conseguenza un disturbo prolungato nella cascata coagulativa può portare a fibrosi [31]. Studi recenti hanno dimostrato che il fattore di coagulazione X attivato (FXa) contribuisce alla fibrosi in caso di danni severi ai polmoni inducendo la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti [32]. In generale interferenze con il processo coagulativo portano a fibrosi [6].

Oltre ad attivare la cascata della coagulazione, le piastrine e le cellule epiteliali ed endoteliali rilasciano fattori chemiotattici che reclutano cellule infiammatorie, come i neutrofili ed i monociti, al tessuto danneggiato (fig.2). Queste cellue mieloidi circolanti rispondono anche ad un cambiamento nella concentrazione della chemochina CCL2, la cui produzione è indotta dalla trombina durante la cascata coagulativa, e si dirigono verso il sito danneggiato. Qua si differenziano in macrofagi ed iniziano a fagocitare il coagulo di fibrina e detriti cellulari. Anche i frammenti di ECM favoriscono il processo fibrotico stimolando macrofagi e monociti infiammatori alla produzione di chemochine e citochine pro-infiammatorie [33]. Nonostante il reclutamento di neutrofili e monociti sia importante per la guarigione del danno tissutale, questi rilasciano sostanze tossiche, come specie reattive di azoto e ossigeno, che se non eliminate rapidamente causano ulteriore danno al tessuto interessato ed esasperano la risposta infiammatoria portando alla formazione di tessuto cicatriziale e quindi a fibrosi.

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Perciò il controllo e l’allontanamento di queste cellule infiammatorie è necessario per la completa guarigione del tessuto. Una simile attività profibrotica dei neutrofili è stata notata anche nella fibrosi polmonare indotta da bleomicina nei roditori e possibilmente anche nella fibrosi polmonare idiopatica (IPF) [34]. La limitazione di cellule mieloidi del sistema immunitario innato potrebbe portare a miglioramenti in diversi tipi di patologie croniche infiammatorie e fibrotiche [6].

Vari fattori di crescita e citochine secrete dalle cellule infiammatorie del sistema immunitario innato (macrofagi, neutrofili, eosinofili, mastociti) sono stati identificati come importanti mediatori della patogenesi della fibrosi . Il fattore di necrosi tumorale α (TNFα) e l’interleuchina-1β (IL-1β) sono stati identificati come mediatori importanti in una varietà di patologie fibrotiche nei roditori [35]. Si è osservata una fibrosi polmonare altamente progressiva nei roditori che esprimono questi fattori a livello polmonare [36,37]. Altri studi hanno mostrato come il TNFα abbia un ruolo essenziale nello sviluppo della fibrosi polmonare indotta da silice e bleomicina nei roditori [38, 39]. In supporto di queste scoperte sperimentali, sono stati riscontrati alti livelli di TNFα in pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (IPF) o associata a sclerosi sistemica [40]. IL-1β come il TNFα è un potente mediatore pro-infiammatorio che esaspera il danno alle cellule parenchimali. Inoltre induce la transizione epiteliale mesenchimale (EMT) e l'attivazione dei miofibroblasti attraverso un meccanismo mediato dal TGF-β1 confermando che questo funziona come un potente iniziatore a monte della fibrosi [41]. In aggiunta, IL-1β e TNFα aumentano l'espressione della IL-6 che agisce da fattore di crescita autocrino nei fibroblasti. IL-6 è anche un importante mediatore della fibrosi nella sclerosi sistemica diffusa [42,43]. Così molte citochine

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pro-infiammatorie del sistema immunitario innato hanno un ruolo importante nella patogenesi della fibrosi [6].

I macrofagi, che appaiono nella risposta iniziale di riparazione della ferita, sono anch'essi maggiori produttori di TGF-β1, il quale è senza dubbio uno dei fattori chiave nella patogenesi della fibrosi. In più oltre al suo ruolo di citochina pro-fibrotica che può indurre direttamente la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti secernenti collagene, il TGF-β1 è ora largamente descritto come una citochina multi funzionale con un’ampia attività modulatoria che influenza numerose vie biologiche importanti. Tra queste troviamo la regolazione di embriogenesi, immunità, carcinogenesi, proliferazione e migrazione cellulare, riparazione delle ferite, infiammazione, fibrosi ed altre [44]. Nonostante sia ormai largamente riconosciuto che monociti macrofagi e neutrofili hanno ruoli importanti nella progressione e risoluzione della fibrosi [45], altre cellule mieloidi come mastociti, eosinofili e basofili, sono implicati nella patogenesi della fibrosi in vari organi e dunque sono visti come possibili target terapeutici [6]. I mastociti promuovono la fibrosi reclutando leucociti infiammatori e producendo mediatori profibrotici [46]. Gli eosinofili funzionano in modo similare e sembrano essere fonte importante di TGF-β1 e IL-13 [47,48]. Gli eosinofili sono stati associati per lo più con lo sviluppo di fibrosi polmonare [49] ma livelli alti di eosinofili sono stati collegati anche con l’attivazione dei miofibroblasti in altri tipi di fibrosi [56,58]. Un alto livello di eosinofili riscontrato nel lavaggio-broncoalveolare, è stato identificato come un biomarker di patologia polmonare progressiva nella IPF e nella fibrosi polmonare [51].

Infine, nonostante i basofili abbiano un ruolo meno chiaro delle altre cellule mieloidi nello sviluppo della fibrosi, essi sono implicati nella patogenesi di mielofibrosi e sono spesso trovati in gran numero in

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pazienti con patologie interstiziali polmonari [52]. Si pensa inoltre che i basofili siano anche fonte di citochine di tipo 2, suggerendo che fungano come importanti iniziatori della fibrosi dipendenti da IL-4 e/o IL-13 [6].

3.1.2 Sistema immunitario adattativo

%

Fig.3

Ruolo delle cellule del sistema immunitario adattativo nella fibrosi e loro attivazione da parte dei fattori chemiotattici rilasciati dalle cellule epiteliali ed endoteliali.

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L'immunità adattativa, nota anche come immunità acquisita o immunità specifica, è una risposta immunitaria caratterizzata dal suo adattamento a ciascuna infezione ed è generalmente più efficace e più specifica dell'immunità innata, anche se impiega più tempo per agire. Si divide a sua volta in immunità umorale e in immunità cellulo-mediata. Le cellule che agiscono in questo tipo di risposta immunitaria sono dette linfociti [53].

Gli organi linfoidi primari, o generativi, sono i luoghi in cui vengono prodotti o inizia la maturazione dei linfociti. I due organi linfoidi primari nell'uomo sono il midollo osseo, da dove derivano inizialmente i progenitori dei linfociti e dove maturano i linfociti B, e il timo, dove maturano i linfociti T. I linfociti T si dividono principalmente in T-helper, T-citotossici e T-regolatori.

Quando è in corso un’infezione, una cellula presentante l’antigene (APC) cattura l'antigene estraneo e lo trasporta attraverso i vasi sanguigni o i vasi linfatici fino ad un organo linfoide secondario, generalmente un linfonodo nel caso sia trasportato per via linfatica, o la milza se per via ematica. Ciò permette di concentrare gli antigeni estranei in un luogo relativamente ristretto dove c'è un'alta concentrazione di linfociti naive, ovvero linfociti che non sono ancora venuti in contatto con l'antigene e sono quindi aspecifici. Questi interagiscono con le APC e, una volta che l'APC ha reso il linfocita naive specifico per quell’antigene, ha inizio la risposta immunitaria adattativa. Il clone linfocitario attivato va incontro ad una forte proliferazione in seguito alla quale i linfociti attivati possono differenziarsi in linfociti effettori o cellule di memoria. Questi a loro volta migrano nel sangue dove circolano fino a quando non raggiungono, mediante chemiotassi, il sito dov’è in corso l'infezione per svolgere le loro funzioni [54].

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I linfociti T CD 4+ sono divisi in quattro sottoinsiemi unici in base alle citochine che secernono e alle loro diverse abilità funzionali [6] (fig.3). Il sottoinsieme Th17 delle CD4+, che esprime la citochina pro-infiammatoria IL-17A, sta emergendo come un elemento importante nella fibrosi. La sua espressione è stata collegata alla patogenesi della fibrosi polmonare ed altri tipi di fibrosi [55]. In molti casi l'espressione della IL-17A è associata con una neutrofilia persistente [56], ed è stato osservato che il reclutamento esagerato dei neutrofili contribuisce allo sviluppo del danno tissutale e alla fibrosi inducendo apoptosi nelle cellule vascolari endoteliali [57]. Il reclutamento dei neutrofili è inoltre un importante indicatore predittivo di mortalità precoce in pazienti affetti da IPF [58]. Altri studi hanno identificato le citochine IL-1β e IL-23 come importanti iniziatori a monte delle risposte pro-fibrotiche mediate da Th17 [55, 59]. Inoltre è stato identificato un collegamento tra IL-17A e TGF-β1 [55]. Oltre al suo ruolo di promotore dell'infiammazione mediata da neutrofili, è stato visto che IL-17A induce direttamente l'espressione di metalloproteinasi-1 di matrice nei fibroblasti cardiaci primari [60], suggerendo che IL-17A promuove la fibrosi sia esasperando la risposta infiammatoria a monte, sia regolando l'attivazione a valle dei fibroblasti. Nell’insieme questi dati identificano l’asse delle citochine IL-1β—IL-17A—TGF-β1 come via importante nella patogenesi della fibrosi da infiammazione [6].

Numerosi studi hanno suggerito che la risposta delle citochine di tipo 2 è un fattore chiave della fibrosi progressiva [61]. Le risposte delle cellule Th2 sono definite dalla produzione di IL-4, IL-5 e IL-13 [62], e nonostante tutte e tre siano collegate allo sviluppo della fibrosi [61,63,64], IL-13 è emerso come mediatore dominante del rimodellamento del tessuto fibrotico in diversi modelli naturali e sperimentali [64]. Si è visto che la produzione di IL-13 è implicata nello

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sviluppo di fibrosi nell'asma cronica [65], IPF [66], in modelli sperimentali di fibrosi polmonare [67] ed altri casi di fibrosi. È stato ipotizzato che IL-13 induca la fibrosi stimolando la produzione e l'attivazione di TGF-β [68], ma diversi studi hanno mostrato che può attivare direttamente le proprietà proliferative sintetiche dei fibroblasti, delle cellule epiteliali e delle cellule muscolari lisce [69,70]. Di conseguenza, diversamente dalla IL-17, che sembra promuovere la fibrosi indirettamente inducendo infiammazione e danno tissutale, IL-13 e TGF-β1 hanno mostrato attività fibrotica diretta [6]. Le cellule Th2 che producono IL-13 e le cellule T regolatorie che esprimono TGF-β1, sono anch'esse conosciute per l'inibizione delle risposte del Th-17 [71], suggerendo un ruolo ambivalente per IL-13 e TGF-β1 nella risposta di riparazione del danno tissutale in quanto entrambe le citochine sopprimono l'infiammazione mentre promuovono la fibrosi [6]. L’attività pro-fibrotica della IL-13 è controllata dall’abbondanza dei recettori IL-13Ra1-segnalatori e IL-13Ra2-esca espressi su importanti cellule bersaglio come i miofibroblasti [72,73]. Quando l'espressione del recettore IL-13Ra2-esca è bassa o assente, la fibrosi dipendente dalla IL-13 viene esasperata [74]. Però, roditori mancanti del recettore IL-Ra2-esca sono più resistenti all'infiammazione promossa da IL-1β e IL-17, probabilmente a causa dell'attività potenziata delIa IL-13 [71]. Questo ci suggerisce che IL-Ra2-esca funziona come un regolatore chiave sia nell'infiammazione mediata da Th17 sia nella fibrosi promossa da Th2 [75].

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3.1.3 Meccanismi intrinseci, autocrini ed epigenetici

Modificazioni meccaniche del ECM e cambiamenti intrinseci nei fibroblasti e nelle cellule epiteliali, hanno mostrato di contribuire alla progressione della fibrosi mantenendo l'attivazione delle vie fibrogeniche principali [6].

La via di segnalazione Wnt—β-catenina, che regola la crescita cellulare è collegata intimamente con la genesi tumorale ed è attivata costitutivamente nelle cellule epiteliali alveolari di tipo 2 (AT2) in modelli di fibrosi polmonari nei roditori, e in pazienti diagnosticati con BPCO e IPF [76]. La proteina segnalante-1 indotta da Wnt-1 (WISP-1) ha mostrato, nei roditori, di aumentare la proliferazione delle cellule AT2, promuovere EMT nei polmoni e nei reni e mediare la fibrosi stimolata da TGF-β1 [77]. WISP-1 inoltre aumenta la sintesi di componenti ECM nei fibroblasti polmonari [78]. Altri studi hanno dimostrato che la fibrosi polmonare indotta da bleomicina è altamente dipendente dalla via del Wnt-1 [79]. Perciò WISP-1 è emersa come potenziale target terapeutico per IPF ed altri disordini fibrotici cronici [6].

Come i tessuti diventano più fibrotici, l'incrementata rigidità e la ridotta elasticità dei tessuti risulta in uno stress meccanico, che va ad esasperare il danno tissutale e perpetuare l'attivazione dei fibroblasti locali [80]. Due studi recenti in vitro hanno suggerito che lo stress meccanico contribuisce alla fibrosi e alla riparazione aberrante della ferita inducendo EMT nelle cellule AT2 attraverso il meccanismo guidato da TGF-β1, Wnt—β-catenina e ialuronano [81,82]. Inoltre i fibroblasti che sono attivati come risultato della aumentata rigidità del tessuto o del substrato sembrano mantenere il loro fenotipo attivato anche quando ritornano al tessuto sano [83], suggerendo che la

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sensibilità meccanica dei fibroblasti può alterare permanentemente il loro comportamento in favore del fenotipo fibrotico [6]. È stato suggerito che questa differenziazione dei fibroblasti viene controllata dall'azione combinata di IL-1β, TFG-β1 e tensione meccanica [84]. Inoltre un'aumentata compressione, forze di taglio e pressione idrostatica associata a ipertensione portale e rimodellamento vascolare può portare all’attivazione dei miofibroblasti [6].

Le mutazioni genetiche nei fibroblasti, possono contribuire anch’esse alla patogenesi della fibrosi, alterando stabilmente lo stato di attivazione dei miofibroblasti [6]. In un recente studio sulla scansione del DNA dei fibroblasti secernenti collagene ottenuti da cellule renali fibrotiche di roditore, si è notata la presenza di diverse metilazioni del DNA uniche di questi fibroblasti [85]. Una di queste modificazioni contribuisce al silenziamento di un soppressore della oncoproteina Ras, portando quindi ad una proliferazione spontanea dei fibroblasti, indipendente dal fattore di crescita. Questo ha fornito una nuova spiegazione molecolare per l'attivazione sostenuta ed ereditabile dei fibroblasti vista spesso in IPF ed altri casi di fibrosi progressiva [86].

3.1.4 Invecchiamento e stress ossidativo

Lo stress ossidativo è associato con la fibrosi e l’invecchiamento cellulare. L’invecchiamento è riconosciuto come un maggiore fattore di rischio per le patologie fibrotiche che coinvolgono diversi organi inclusi i polmoni. Con la senescenza cellulare le difese antiossidanti calano mentre gli enzimi pro-ossidanti aumentano, questo squilibrio porta ad uno stress ossidativo [25]. Come abbiamo visto la riparazione del danno tissutale può portare a fibrosi. Si nota anche un'incidenza

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maggiore di fibrosi patologiche nei soggetti di età avanzata. L’invecchiamento è un fattore di rischio indipendente per i disordini fibrotici [87,88], nonostante ciò il collegamento tra fibrosi e invecchiamento non è ben chiaro [89]. Sia l’invecchiamento che la fibrosi sono associati con uno squilibrio ossido-riduttivo e uno stress ossidativo [90,91]. Questo avviene quando c'è una produzione aumentata di specie reattive dell’ossigeno (ROS) in concomitanza con una loro eliminazione inefficace [92]. Ci sono evidenze di un aumentato stress ossidativo nei disordini fibrotici ma il suo ruolo nella patogenesi della fibrosi non è ancora ben definito [93-95], mentre sappiamo per certo che l'invecchiamento è associato con lo stress ossidativo [96]. Forse l'instabilità delle specie ossido-riduttive potrebbe collegare l’invecchiamento alla fibrosi [25].

L'invecchiamento è un declino graduale nelle capacità funzionali di un organismo predisponendolo alla morte [97]. La IPF ad esempio è una malattia collegata all’invecchiamento [89], la cui incidenza aumenta negli uomini con età maggiore ai cinquant’anni [99,100]. Studi recenti indicano che l'accorciamento dei telomeri è un fattore di rischio per la IPF [101] che è uno dei disordini più comuni nelle sindromi da disfunzione telomerica [102].

Altri studi suggeriscono che una fibrosi estesa a diversi organi possa rappresentare un disordine degenerativo dell'avanzamento dell’età. La ragione per cui gli individui anziani sono più predisposti alla fibrosi non è ancora chiara, ma è possibile anche che un alterato equilibrio delle specie ossido-riduttive, causato dall’invecchiamento, diriga la normale risposta di riparazione tissutale verso la fibrosi [25].

L’ossigeno molecolare è usato dagli organismi aerobici per immagazzinare l'energia ricavata dall'ossidazione di composti ricchi di energia come parte del normale metabolismo. Durante questo

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processo di fosforilazione ossidativa potrebbero essere generate ROS altamente reattive e parzialmente ridotte, inclusi perossido di idrogeno, anione superossido e radicale idrossilico [92]. Queste ROS possono danneggiare le bio-molecole cellulari come lipidi, proteine e DNA. Una esposizione eccessiva a queste specie induce stress ossidativo e può risultare in apoptosi, senescenza o mutazioni cellulari [103]. Per combattere l’aumento delle ROS l'organismo ha sviluppato sistemi antiossidanti come il glutatione (GSH), le catalasi, la superossido dismutasi (SOD2) e il fattore di trascrizione nucleare eritroide-2 (Nrf-2) [104].

Inoltre l'organismo ha sviluppato enzimi produttori di ROS utili che partecipano alle funzioni di difesa dell'organismo e nella segnalazione cellulare come esempio il NAPDH [92]. Il ruolo apparentemente contraddittorio delle ROS è in parte attribuibile alle loro concentrazioni e alla compartimentazione cellulare [92].

La senescenza cellulare è uno dei segni dell'invecchiamento e può influenzare profondamente i processi di riparazione tissutale [105]. L’invecchiamento dei fibroblasti ne potrebbe limitare la proliferazione e quindi promuovere la risoluzione della fibrosi [105,106]. In contrasto però, l’invecchiamento delle cellule epiteliali può risultare in una diminuita capacità di rigenerazione [107,108], e la senescenza dei fibroblasti potrebbe portare ad una difficile rimozione a causa della loro diminuita suscettibilità all’apoptosi [109,110]. Questa condizione si può ritrovare nella fibrosi polmonare dovuta all’invecchiamento [109,110]. L’invecchiamento cellulare è stato collegato ad un aumento dello stress ossidativo [111] e le ROS hanno dimostrato di regolare fenotipi e destini cellulari inclusa la differenziazione [112,113], l’apoptosi [114],

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Fig.4

Fenotipi celulo-specifici e loro destini nella riparazione tissutale fibrotica. (Fonte: [25])

la migrazione [115,116] e l’invasione [117] durante la riparazione tissutale. C'è una crescente evidenza del ruolo dello squilibrio delle specie redox e dello stress ossidativo nella fibrosi [109,118]. È possibile che lo squilibrio delle specie redox associato con l'invecchiamento alteri la trasmissione del segnale redox durante la riparazione tissutale predisponendola verso una fibrosi non risolvibile [25]. Una riparazione tissutale disregolata potrebbe avvenire come risultato di cambiamenti intrinseci nella popolazione cellulare specifica o a causa della comunicazione non regolata cellula-cellula. Le condizioni tipiche che si notano costantemente nella fibrosi includono: rigenerazione epiteliale non paritaria con aumentata suscettibilità all’apoptosi [119], accumulo delle cellule mesenchimali che presentano un fenotipo resistente all’apoptosi; [87], infiammazione cronica e presenza di immuno-senescenza [120] (fig.4).

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Le ROS mitocondriali sono implicate nei processi patofisiologici di molte patologie degenerative legate all’invecchiamento [121]. Ne è un esempio il danneggiamento delle cellule epiteliali visto nella IPF dovuto ad un aumento delle ROS mitocondriali [122]. Il fumo, fattore di rischio conosciuto per la IPF, può indurre senescenza nelle cellule T aumentando le ROS mitocondriali [123]. Le ROS mitocondriali hanno inoltre mostrato di essere un fattore critico per la transizione epiteliale-mesenchimale (EMT) indotta da ipossia nelle cellule alveolari [124]. È stato dimostrato che il TGF-β1, importante citochina pro-fibrotica [125,126], induce apoptosi ed EMT nelle cellule epiteliali polmonari [127,128]. Le ROS hanno un ruolo importante nella EMT indotta da TGF-β1 in quanto il perossido di idrogeno mima gli effetti del TGF-β1 nelle cellule epiteliali [139]. Inoltre il TGF-β1 ha dimostrato di indurre senescenza nelle cellule epiteliali polmonari aumentando le ROS mitocondriali [130].

I mitocondri mostrano segni di danno ossidativo ed un aumento del numero di mutazioni del DNA con l’invecchiamento [131,132]. Nelle AECs provenienti da polmoni affetti da IPF si nota un accumulo di mitocondri non funzionali [133]. Infatti il danno persistente al mtDNA può attivare il processo intrinseco di apoptosi dovuto al collasso del potenziale di membrana mitocondriale [134,135].

Il glutatione (GSH), un tripeptide anti-ossidante, è presente nel fluido del rivestimento epiteliale del tratto respiratorio inferiore [136]. Questo fluido in pazienti affetti da IPF risulta avere livelli bassi di GSH, suggerendo quindi un'aumentata suscettibilità al danno epiteliale mediato da ossidanti [136,137]. Il TGF-β1 sopprime l'espressione genetica della glutammato cisteina legasi (GCL), enzima chiave nella biosintesi del GSH nelle AECs [138,139]. La sovraespressione del

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Fig.5

Alterazioni ossidoriduttive nelle cellule epiteliali dovute a fibrosi correlata all’invecchiamento.

(Fonte: [25])

TGF-β1 induce fibrosi polmonare ed è associata con la downregulation dell'espressione del gene GCL, risultando in un diminuito livello di GSH nel lavaggio bronco-alveolare e un aumentato stress ossidativo[140]. La risposta anti-ossidante adattiva del GSH al fumo di sigaretta è altamente ridotta nei roditori invecchiati rispetto ai giovani [141].

Questi studi suggeriscono che carenza di sistemi antiossidanti dovuti all'invecchiamento predisponga le cellule epiteliali polmonari per il danno cellulare e la fibrosi. In contrasto a questa teoria, la manganese superossido dismutasi (Mn-SOD), enzima mitocondriale anti-ossidante, è altamente espresso nei pneumociti di tipo 2 e nei macrofagi alveolari nella IPF [142]. Questo potrebbe riflettere uno sforzo inefficace nel tentativo di frenare lo stress ossidativo associato a questa patologia polmonare dipendente dall’invecchiamento [25].

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Così le ROS generate dai mitocondri e gli altri fattori che influenzano l’equilibrio delle specie redox possono influenzare i destini pro-fibrotici delle AEC come apoptosi, invecchiamento e EMT [25] (fig.5).

I fibroblasti sono gli effettori chiave nel rimodellamento fibrotico e nella riparazione del danno [143]. Il danno epiteliale è seguito dal loro reclutamento, proliferazione e differenziazione in miofibroblasti [144]. Questi sono fibroblasti attivati con un'aumentata funzione contrattile, produzione di ECM, produzione di ossidanti e una ridotta suscettibilità all’apoptosi [145]. I foci fibroblastici, un aggregazione di miofibroblasti, sono una caratteristica chiave della IPF e sono correlati fortemente con la progressione della malattia [145-147]. Mentre la presenza transitoria di miofibroblasti è necessaria nella normale cura del danno tissutale, la loro persistenza nel sito del danno tissutale, porta a disordini fibrotici [148]. La senescenza dei fibroblasti nei conferisce loro un fenotipo resistente all'apoptosi che contribuisce alla fibrosi persistente nei roditori invecchiati [109]. Nei polmoni affetti da IPF, i miofibroblasti mostrano una ridotta espressione nel marker di proliferazione e un’alta espressione del marker di senescenza [109]. I mitocondri sono la principale fonte di ROS nella cellula eucariotica, la cui produzione aumenta con l’invecchiamento [149]. Il TGF-β1 aumenta i livelli di ROS mitocondriale che, come si è visto, inducono l'espressione di geni profibrotici durante la differenziazione dei miofibroblasti [150]. È stato dimostrato che la proteina della matrice cellulare CCN1, nota per indurre le ROS mitocondriali [151], aumenta la segnalazione del TGF-β1 e contribuisce alla risposta fibrogenica nel danno polmonare [152]. È interessante notare che l'espressione della CCN1 è aumentata nei fibroblasti senescenti ed aumenta con l’invecchiamento [153].

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Fig.6

Alterazioni ossidoriduttive nei fibroblasti dovute a fibrosi correlata all’invecchiamento.

(Fonte: [25])

I perossisomi sono organelli autoreplicanti a membrana singola che contengono catalasi per la detossificazione dal perossido di idrogeno [154]. Quindi la compromissione della funzione perossisomiale porta all'aumento delle ROS cellulari e induce una risposta profibrotica attraverso l'attivazione del segnale del TGF-β1 [155]. I fibroblasti di un polmone senescente vengono associati ad una ridotta attività della catalasi perossisomiale e ad una aumentata produzione di ROS [156] (fig.6). Infatti, in individui con ridotti livelli cellulari di catalasi, si manifestano prematuramente patologie associate all'età come ad esempio il diabete di tipo 2 [157,158]. Nella IPF l’espressione della caveolina-1 (Cav-1) da parte dei miofibroblasti è ridotta [159] anche in risposta al TGF-β1 [160]. Cav-1 riduce le ROS derivate da NOX alterandone l’attività enzimatica in modo post-trascrizionale, legandosi direttamente a NOX2 e NOX5, ed in modo trascrizionale inibendo l’espressione di NOX2 e NOX4 da parte di NFkB [161]. NOX4 media la differenziazione dei fibroblasti in miofibroblasti generando H2O2 e la

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L’espressione di NOX4 è aumentata nei fibroblasti nella IPF ed è necessaria per l’espressione costitutiva del loro fenotipo pro-fibrotico [164].

Un’altro attivatore trascrizionale importante nel controllo delle ROS è Nrf2 [165,166]. Nrf2 risponde allo stress ossidativo e la sua attività risulta diminuita con l’avanzare dell’età [109]. Una diminuita funzionalità di Nrf2 ha portato a fibrosi in roditori anziani [109].

È possibile che fibroblasti senescenti producono maggiormente H2O2 contribuendo a mantenere un ambiente ossidativo nei disordini fibrotici. Le fonti di ROS comprendono miofibroblasti, enzimi NOX e perossisomi [25].

Diversi studi mostrano la presenza di macrofagi alveolari e neutrofili nei polmoni di pazienti affetti da IPF [167].

I neutrofili contengono NAPDH-ossidasi e mieloperossidasi che generano grandi quantità di ossidanti [168,169]. L'accumulo di neutrofili e la loro attivazione si è mostrata essere collegata con la progressione della IPF [109,170,171]. Il contributo dell’invecchiamento alla produzione di superossidi da parte dei neutrofili è meno chiaro [172]. Il superossido viene convertito in H2O2 sia spontaneamente, sia dalla superossido-dismutasi (SODs). L'espressione delle Cu, Zn-SOD mitocondriali è aumentata nei macrofagi alveolari di pazienti con asbestosi, e questo può promuovere la fibrosi aumentando la produzione di H2O2 [173]. Le Cu, Zn-SOD (SOD1) mediano la differenziazione di macrofagi in M2 per promuovere la riparazione del tessuto fibrotico [174,175]. Questa differenziazione dei macrofagi può essere alterata dall’invecchiamento [176]. La risposta degli M2 alla IL-4 (induttrice di M2) è diminuita nei macrofagi invecchiati, questo suggerisce che una diminuita risposta degli M2 durante

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Fig.7

Alterazioni dei processi ossidorduttivi dei macrofagi in casi di fibrosi correlata all’invecchiamento.

(Fonte: [25])

l'invecchiamento possa contribuire ad una compromessa risoluzione dell’infiammazione [176].

Macrofagi alveolari isolati dal lavaggio bronco-alveolare di pazienti affetti da IPF producono livelli significativamente elevati di ROS [177]. Inoltre, alti livelli di mieloperossidasi nei fluidi di rivestimento dell’epitelio alveolare, sono associati con un aumento del danno epiteliale e un rapido declino delle condizioni dei pazienti [178]. La produzione di ROS è regolata anche da Rac1, una GTPasi che regola la polimerizzazione dell’actina e la formazione di specie ossidanti [179] (fig. 7).

Durante l'invecchiamento c'è un aumento della popolazione di macrofagi alveolari [180]. Nei roditori anziani si nota un livello maggiore di citochine pro-infiammatorie e una popolazione di macrofagi polmonari altamente attivati [181]. Paradossalmente, i macrofagi dei roditori invecchiati mostrano una ridotta capacità di produrre superossido [182-184]. Come conseguenza di una ridotta capacità respiratoria, i soggetti più anziani potrebbero essere più

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dell'herpes umano (HHV) ed il virus Epstein-Barr (EBV) sono implicati nella patogenesi della IPF [187]. L’infezione del virus, attiva i macrofagi che portano ad un aumentato livello di ROS, portando sia all’effetto antivirale che ad un maggior danno tissutale [188-190]. Nonostante ci sia un declino nelle funzioni fagocitare dei macrofagi dovuta all’invecchiamento, una condizione di infiammazione lieve dovuta alla produzione di citochine infiammatorie da parte dei macrofagi potrebbe contribuire al persistere della fibrosi con l’invecchiamento [191]. Questa teoria richiede però ulteriori studi [25].

3.2 RNf2 e NFkB regolano lo stress ossidativo

L'NFκB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) è un complesso proteico funzionante come fattore di trascrizione. NFκB risponde agli stimoli come stress, citochine, radicali liberi, irradiazione con ultravioletti e attacco proveniente dagli antigeni dei batteri o virus [192]. NFκB gioca un ruolo chiave nella regolazione della risposta immunitaria e dello stress ossidativo. L'attivazione del fattore NFkB è mediata dal TNFα e dalla IL-1, largamente implicati nella insorgenza di patologie infiammatorire [193,194,195]. Diversi studi hanno dimostrato come la produzione di citochine e chemochine pro-infiammatorie nel sito di infiammazione, sia dipendente da NFkB [196]. Nonostante ciò è difficile collegare questo fattore al progredire dell'infiammazione in quanto media l’espressione sia di mediatori pro-infiammatori che anti-pro-infiammatori. È quindi l'equilibrio tra questi che decide il progredire o meno della patologia [197]. È chiaro infatti, da esperimenti genetici, che la sua attivazione non è necessariamente

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pro-infiammatoria ma ha un ruolo complesso nella risposta infiammatoria [198,199].

Quando è in uno stato inattivato, NFκB si trova nel citosol, legato alla proteina inibitoria IκB. Attraverso l’interazione mediata dai recettori integrali di membrana, una varietà di segnali extracellulari possono attivare l'enzima IkB-chinasi (IKK) [200]. L'IKK a sua volta fosforila la proteina IκB portando alla sua ubiquitinazione e degradazione mediata dal proteosoma. In questo modo NFκB viene reso disponibile. L' NFκB libero è in seguito traslocato nel nucleo dove si lega a specifiche sequenze del DNA. Il complesso DNA/NFκB poi richiama altre proteine come i coattivatori e l'RNA polimerasi che trascrive il DNA in mRNA, il quale, infine è trasportato nel citosol e tradotto in proteina [201]. Ciò porta ad un cambiamento delle funzioni della cellula, come ad esempio la produzione di citochine pro-infiammatorie. NFkB attiva la trascrizione anche del mRNA codificante per la sua subunità inibitrice IκB, generando quindi un circuito a feed-back negativo [200]. Oltre al TNFα e alla IL-1, anche le ROS sono stati proposti come sue attivatrici. NFkB è una famiglia di fattori di trascrizione che gioca un r u o l o f o n d a m e n t a l e n e l l a r e g o l a z i o n e d e l l ’ i m m u n i t à e dell’infiammazione, nella risposta allo stress ossidativo e nella regolazione dell’entrata in apoptosi. È stato dimostrato il coinvolgimento di NFkB nel controllo dei livelli di ROS intracellulari, mediante l’incremento della trascrizione di geni che controllano l’accumulo di ROS. Questi geni, come SOD2, che codifica per una forma mitocondriale dell’enzima anti-ossidante superossido-dismutasi (SOD), inibiscono entrambi la morte cellulare indotta da TNFα riducendo i livelli intracellulari di ROS [200].

Un’altro fattore di trascrizione con un ruolo simile al NFkB è Rnf2 . come il precedente, Rnf2 risponde allo stress ossidativo ed ha un

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ruolo importante nei procesi infiammatori. L’attivazione di questo fattore di trascrizione nucleare è uno dei meccanismi più importanti nella protezione dei tessuti e delle cellule dallo stress ossidativo [202]. Rnf2 controlla l'espressione di geni che producono proteine coinvolte nell’eliminazione delle ROS. La sua attività è controllata dalla proteina inibitoria citosolica chiamata Keap1 [202]. Quando il fattore di trascrizione viene attivato, questo si libera dalla Keap1, entra nel nucleo e va a riconoscere i geni che codificano per gli elementi di risposta anti-ossidativa (ARE) iniziandone così la trascrizione [203-206]. Gli ARE hanno caratteristiche biologiche strutturali che danno loro una reattività unica allo stress ossidativo [207]. L'alterazione dello stato ossidativo cellulare dovuto a livelli elevati di ROS o ad una ridotta capacità anti-ossidante (ad esempio del glutatione), va a stimolare la risposta di Nrf2 che attiva la codificazione genetica per gli ARE. Inoltre gli ARE sono responsabili del mantenimento di una espressione basale costante di diversi enzimi antiossidanti anche in condizioni di omeostasi dell'organismo. Questo perché le ROS, e altre specie reattive endogene, sono normali prodotti del metabolismo aerobico e vanno tenute sotto controllo [202]. L'attività di Nrf2 è regolata in parte dall'associazione con la proteina Keap1 che, legando il fattore di trascrizione nel citoplasma, porta alla sua ubiquitinazione e degradazione da parte del proteosoma [208]. Questo significa che l’interazione tra le due proteine è un processo dinamico che permette a Nrf2 di controllare l'espressione basale ed inducibile degli ARE [209]. Il fatto che Nrf2 controlli l'espressione basale di questi geni [210,211], indica chiaramente che è un fattore di trascrizione attivo costitutivamente e quindi è necessario che sia presente nel nucleo in condizioni di omeostasi [209]. Quindi Nrf2 è espresso costitutivamente nella cellula e dopo la sua sintesi va

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direttamente nel nucleo. Dopo aver svolto il suo ruolo nell’espressione genica, Nrf2 viene legato da Keap1 che ne media la degradazione. Questo processo necessita il trasporto di Keap1 nel nucleo. La stabilizzazione di Nrf2 nelle cellule sottoposte a stress ossidativo è mediata da meccanismi che riducono o prevengono l’accoppiamento di Keap1 con Nrf2, riducendone quindi la degradazione [209]. Nrf2 contribuisce anche alla regolazione del ciclo cellulare, della risposta immunitaria, dello sviluppo e degradazione delle proteine e della carcinogenesi [212]

Questi fattori sono espressi negli organi che sono maggiormente esposti a stress ossidativo. Infatti li troviamo in gran numero nelle vie respiratorie che, essendo un’interfaccia con l’ambiente esterno, sono continuamente esposte a inquinanti e sostanze ossidanti. Esperimenti sui roditori hanno dimostrato l’effetto protettivo di Nrf2 a livello polmonare. In seguito all’esposizione prolungata al fumo di sigaretta, i roditori che mancavano del fattore di trascrizione Nrf2 hanno riportato danni maggiori alle vie respiratorie rispetto ai roditori che esprimevano Nrf2 [213,214]. Inoltre, l’analisi di campioni ottenuti dalla broncoscopia di soggetti fumatori, ha mostrato una significativa up-regulation dei geni che codificano per enzimi anti-ossidanti rispetto ai risultati ottenuti dai non fumatori. Questo sta a dimostrare come il fumo di sigaretta è correlato con la stimolazione dell’attività di codifica degli ARE mediata da Nrf2 [215]. In modelli sperimentali di infiammazione e fibrosi polmonare indotta da bleomicina, si è notato che l’assenza di Nfr2 ha causato un forte aumento di perossidi, chemochine, citochine e marker fibrotici come TGF-β [216]. Questo ha portato a pensare che Nrf2 e gli ARE siano essenziali nel limitare l’infiammazione e la fibrosi a livello polmonare. Inoltre la mancanza di questo fattore nucleare, in concomitanza con la presenza di TGF-β che porta di per se ad un

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aumento delle ROS, causa un notevole peggioramento ed acceleramento della patogenesi [216].

3.4 H2S e fibrosi

Nei paesi sviluppati, le patologie fibrotiche sono la causa di circa il 45% delle morbosità e delle morti. Sfortunatamente però, vista la complessità della patologia ed il grande numero di fattori che ne sono causa, le terapie efficaci a nostra disposizione sono poche e gli agenti anti-fibrotici convalidati sono ancora meno. Molti nuovi target terapeutici cono stati proposti, ma le terapie mono-target sono risultate poco efficaci. Dal momento che la fibrosi è un disordine associato a numerosi processi e molecole, l’utilizzo di piccole molecole che interagiscono con più target molecolari responsabili della cascata fibrotica potrebbe essere una strategia terapeutica promettente [217]. H2S è il terzo gas-trasmettitore dopo l’ossido di azoto ed il monossido di carbonio. Per decenni è stato riconosciuto come tossico ma recentemente molti studi indipendenti hanno dimostrato che H2S è prodotto endogenamente nell’organismo ed ha importanti effetti fisiologici, patologici e fisiopatologici. Uno di questi effetti riguarda la gestione dello stress ossidativo [217]. In particolare è interessante l’interazione con i fattori di trascrizione Nrf2 e NfkB. Questi hanno un ruolo chiave nel processo ossidativo in quanto controllano il livello delle ROS nei tessuti regolando l’espressione di numerosi enzimi atti all’eliminazione delle specie ossidanti. Quindi riuscire ad agire su questi due fattori di trascrizione significherebbe agire anche su una moltitudine di enzimi a valle amplificando l’azione anti-fibrotica.

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4. H2S

Con il caratteristico odore forte di uova marce ed essendo conosciuto come gas tossico in antichità [218], è sorprendente che H2S venga sinterizzato all'interno dell'organismo e che abbia ruoli regolatori importanti in diverse condizioni fisiologiche e patofisiologiche [219] come ipertensione, angiogenesi, infiammazione e stress ossidativo [220]. Negli ultimi anni i ricercatori hanno iniziato a vedere H2S non più come agente tossicologico, ma come un gas con interesse farmacologico ed un crescente potenziale terapeutico. Inoltre ad oggi si conoscono con certezza i processi biologici di sintesi e la loro regolazione e distribuzione all'interno dei tessuti, ed anche come questi cambiano con l'insorgere di patologie. H2S è un gas biologicamente attivo che viene sinterizzato naturalmente da tre enzimi, cistationina-γ-liasi (CSE), cistationina-β-sintasi (CBS), 3-mercaptosulfurtransferasi (3MST) [221]. Questi enzimi sono presenti in modo costitutivo in un vasto numero di cellule e tessuti e la loro espressione può essere stimolata da una serie di patologie. Sta diventando sempre più chiaro come H2S sia un importante mediatore di una moltitudine di funzioni cellulari sia in condizioni di omeostasi che patologiche [221]. La ricerca nella biologia del solfuro d’idrogeno nell'ultimo decennio ha aumentato esponenzialmente la nostra conoscenza del modo in cui questo gas-trasmettitore influenza processi fisiologici e patofisiologici in molti sistemi biologici [221]. Alcuni di questi effetti sono la modulazione dei processi infiammatori, l'effetto vasodilatatorio, l’effetto citoprotettivo in risposta allo stress ossidativo, l’angiogenesi e la regolazione della neurotrasmissione [221].

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4.1 Biosintesi

Fig.8

Enzimi che sintetizzano H2S.

(Fonte: Hoi Ka Wu C., The role of hydrogen sulphide in lung diseases. Bioscience Horizons (2013) vol.6)

Gli Enzimi che producono H2S sono stati studiati intensamente tra gli anni 50 e 70 [222,223,224]. Inizialmente si pensava che H2S fosse un semplice sottoprodotto delle vie metaboliche o soltanto un marker dell'attività enzimatica. Nel 1989 misurazioni del livello di H2S nel cervello di mammiferi ha suggerito un ruolo fisiologico per questa molecola [225,226]. Studi sperimentali hanno dimostrato che H2S è sintetizzato nei tessuti dei mammiferi tramite tre enzimi a partire dalla L-cisteina. Due di questi sono la cistationina-β-sintasi (CBS) e la

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Fig.9

Siti attivi della CBS e regolazione della sua attività. SAM e GSH aumentano la sintesi di H2S, NO e CO la riducono.

(Fonte: [255])

cistationina-γ-liasi (CSE) e sono piridossal-5-fosfato (PLP) dipendenti,. Il terzo enzima produttore di H2S è la 3-mercaptosulfurtransferasi (3MST) che lavora insieme alla cisteina ammino-transferasi (CAT), enzima che trasforma la cisteina in 3-mercaptopiruvato. La 3-MST è PLP indipendente e usa il 3-mercaptopiruvato come substrato [227,228] (fig.8). La L-cisteina, substrato di CBS e CSE, può essere derivata da risorse alimentari o può essere liberata da proteine endogene. Può anche essere sintetizzata endogenamente dalla L-metionina attraverso la via di trans-solforazione [229,230].

Per funzionare come gas-trasmettitore, le concentrazioni di H2S devono essere regolate adeguatamente dallo stimolo fisiologico. Ci sono due fonti di H2S: gli enzimi produttori e l’H2S immagazzinato nell’organismo [221].

La CBS produce H2S catalizzando la β-sostituzione della L-cisteina con la L-omocisteina. Riesce a fare ciò con una attività molto più

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specifica rispetto alla L-cisteina da sola [231]. Ci sono tre siti importanti sulla CBS che ne regolano l’attività. Un dominio legante S-adenosil-L-metionina (SAM) all’estremità carbossilica, un gruppo eme all'estremità amminica e cisteina346 per la S-glutationilazione (fig.9). SAM aumenta l’attività sintetica della CBS [227]. Il dominio legante SAM copre il sito catalitico della CBS in assenza di SAM, e il legame con SAM attiva l’enzima [232]. La CBS contenente la forma eme Fe2 è inibita dal legame con il monossido di carbonio o l'ossido nitrico, mentre la sua attività viene aumentata quando Fe2+ viene ossidato a Fe3+ [233]. Il monossido di carbonio prodotto dalla eme ossigenasi-2 sopprime l'attività della CBS. In condizioni di ipossia dei tessuti, la produzione di monossido di carbonio è diminuita, questo porta ad un'aumentata attivazione della CBS e quindi alla produzione di H2S che causa vasodilatazione e ristabilisce un adeguato apporto di ossigeno [221]. In condizioni di stress ossidativo, la cisteina346 della CBS, viene ossidata ad acido solfonico che va a legare il glutatione [234]. Questa glutationilazione porta ad una intensificata attività della CBS, aumentando la produzione di H2S che di conseguenza va ad incrementare la sintesi di glutatione (fig.9). La glutationilazione della CBS porta ad una compensazione dei livelli ridotti di glutatione durante lo stress ossidativo [221]. Pertanto la combinazione di queste modificazioni della CBS consentono la produzione amplificata di H2S così da averne una quantità sufficiente da indurre risposte fisiologiche nonostante le basse concentrazioni intracellulari di cisteina [231,227,234].

CSE produce H2S attraverso una reazione di α,β-eliminazione con la L-cisteina [231,235]. È stato riportato che la CSE è regolata dalla concentrazione di Ca2+ [236]. La sua attività infatti è massima quando i livelli di Ca2+ sono minimi mentre è soppressa da Ca2+ in presenza

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di PLP. Quindi la CSE produce H2S in modo costitutivo quando la concentrazione di Ca2+ è mantenuta a livelli bassi in modo stabile [237]. Quando la concentrazione di Ca2+ intracellulare aumenta in seguito alla stimolazione cellulare, la produzione di H2S viene soppressa [221]. Inoltre il livello di espressione della CSE è regolato in modo trascrizionale dalla citochina pro-infiammatoria TNFα [238,239]. 3MST produce H2S metabolizzando il 3-mercaptopiruvato (3MP) quale viene sintetizzato dalla cisteina ammino transferasi (CAT) attraverso il metabolismo della L-cisteina e dell’α-chetoglutarato [224,240,241,242,243]. La 3MST si trova sia nei mitocondri che nel citosol ed esistono due forme di CAT, una mitocondriale ed una citosolica [242,243]. Diversamente dal citosol, nei mitocondri troviamo una concentrazione sufficientemente alta di cisteina per la produzione di H2S attraverso il pathway 3MST/CAT [244]. A differenza di due enzimi visti precedentemente, 3MST necessità di un agente riducente endogeno per produrre H2S da 3MT. Ne sistono due, la tioredoxina e l’acido diidrolipoico (DHLA) [245]. La tioredoxina è presente nelle cellule con una concentrazione di circa 20µM ed è circa quattro volte più potente del ditioletione (DTT). Il DHLA invece ha la stessa potenza del DTT ma lo troviamo in concentrazioni di circa 40µ. I ditioli come tioredoxina, DHLA e DTT si legano alla 3MST per rilasciare H2S. L'attività della CAT è inibita dall’aumento della concentrazione di Ca2+. Il rifornimento di 3MT alla 3MST è costante in condizioni stazionarie, ma con l'aumento della concentrazione degli ioni CA2+ questo viene inibito riducendo quindi l’attività della 3MST [246].

Ci sono anche molte fonti inorganiche di H2S nel corpo. H2S si può ottenere ad esempio da una riduzione non-enzimatica dello zolfo con

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l’utilizzo di equivalenti riducenti ottenuti dall’ossidazione del glucosio negli eritrociti [246].

4.2 Ruoli fisiologici

Fig. 10

H2S aumenta l’attività dei trasportatori di cisteina/cistina portando ad una maggiore produzione di Glutatione.

(Fonte: [299])

In principio si pensava che H2S fosse solo un sottoprodotto metabolico e un marker dell’attività enzimatica. Nel 1989, le misurazioni dei livelli di H2S endogeno nel tessuto cerebrale dei mammiferi, ha suggerito un ruolo fisiologico per questa molecola [225,226]. Le mansioni svolte all'interno dell'organismo sono numerose per questo gas mediatore. L’H2S agisce come neuromodulatore, rilassa la muscolatura liscia in particolar modo a livello dei vasi, ha azione citoprotettiva contro lo stress ossidativo in vari tessuti ed organi, ed è implicato nella modulazione del processo infiammatorio [247,248]. H2S influenza diverse patologie del sistema

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respiratorio. I livelli di H2S ritrovati nel siero di pazienti affetti da BPCO sono significativamente più bassi dei soggetti di controllo [249]. H2S inibisce l’infiammazione cronica, il rimodellamento delle vie aeree e vascolare, e mostra anche effetti terapeutici su asma ed ipertensione polmonare. Inoltre è stato scoperto recentemente il suo ruolo importante nella fibrosi polmonare [250,251]. Una moltitudine di studi in vitro hanno dimostrato che H2S riduce la proliferazione e la differenziazione dei fibroblasti in diversi tipi di organo [217]. L’effetto citoprotettivo viene svolto attraverso la solforazione delle proteine bersaglio andandone a cambiare la conformazione e l’attività [252]. H2S incrementa la produzione del glutatione agendo su vari bersagli. Va ad aumentare l’attività del trasportatore della cisteina e dell’antitrasportatore cistina/glutammato, incrementando quindi anche l’importo della cistina che all'interno della cellula viene ridotta a cisteina, substrato della glutammato cisteina ligasi (GCL) [247] (fig.10). La GCL forma la γ glutammilcisteina che poi viene trasformata in glutatione dalla glutatione sintetasi. Quindi aumentando la concentrazione di cisteina all'interno della cellula, H2S porta ad una maggiore produzione di glutatione. Inoltre va ad agire direttamente sulla GCL aumentandone l’attività. Questo effetto si nota soltanto quando H2S è applicato al di fuori della cellula e non quando è in contatto diretto con l’enzima [248]. Questo suggerisce che H2S attiva una via di segnalazione dalla superficie cellulare che porta ad una serie di reazioni a valle che vanno ad influire sull’attività enzimatica. Quindi l'effetto che H2S ha sulle ROS, vista la sua concentrazione minore rispetto al glutatione e visto il suo ridotto potere riducente, è da attribuirsi al suo effetto sugli enzimi che mediano l’attività

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anti-Fig. 11

H2S protegge direttamente le membrane cellulari dalla perossidazione mediata da ROS

(Fonte: [299])

I meccanismi molecolari dell’azione biologica dell’H2S includono effetti anti-ossidanti, sia tramite reazioni chimiche dirette con varie specie chimiche ossidanti, come la protezione dei lipidi di membrana dalla perossidazione mediata da ROS (fig.11), ma anche attraverso l‟attivazione di fattori di trascrizione nucleari come Rnf2 e NFkB che aumentano espressione di enzimi che portano ad un abbassamento delle ROS. H2S agisce sulle metallo proteine, rompe i legami disolfurici inter o intra-molecolari delle proteine, e infine aggiunge un solfuro alle cisteine per formare idropersolfiti. Questo processo noto come solfidratazione o solforazione è il meccanismo principale con cui l’H2S endogeno esercita la sua attività biologica [253,254]. Dato che H2S non può influenzare direttamente i tioli, a causa del suo stato di ossidazione troppo simile, l'azione viene svolta dai polisolfiti che sono immagazzinati nella cellula e vanno a reagire direttamente con la cisteina per formare i persolfiti. È stato dimostrato che la formazione di persolfiti sulla SOD (super ossido dismutasi) mediata da H2S, la protegge dalla iperossidazione dovuta alle ROS (fig.12). Quindi sono i

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Fig.12

La formazione di SSH (persolfiti) protegge la SOD dalla iperossidazione dovuta alle ROS.

(Fonte: [299])

persolfiti e i solfidrati che regolano le proteine bersaglio [255]. H2S media la upregulation della trascrizione dei geni antiossidanti per lo svolgimento della sua azione citoprotettiva. Abbiamo visto l'importanza del fattore di trascrizione nucleare Nfr2 nella gestione dello stress ossidativo. La proteina Keap1 lega Nrf2 e lo trattiene nel citoplasma, questo complesso poi viene ubiquitinato e degradato dal proteosoma in condizioni di omeostasi. I residui di cisteina nella Keap1 fungono da sensori per lo stress ossidativo, e la loro modificazione porta un cambiamento conformazionale di Keap1 che si stacca da Nrf2 il quale viene poi traslocato nel nucleo e va ad aumentare la trascrizione dei geni antiossidanti [256]. H2S stimola questo processo andando a solforare la Keap1 che quindi libera Nrf2 per la sua traslocazione nel nucleo (fig.13).

H2S ha un ruolo complesso nell’infiammazione. Le ricerche effettuate negli ultimi anni hanno mostrato che questo gas può essere sia pro-infiammatorio che anti-pro-infiammatorio e può promuovere la risoluzione di una risposta infiammatoria continuata. Il suo effetto dipende da un insieme vario di fattori che agiscono su diversi processi biologici coinvolti nell’inizio, sostenimento e risoluzione dell’infiammazione. Questo include la vasodilatazione, adesione migrazione e

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