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L'iconografia "politica" dell'unicorno tra Quattro e Cinquecento. Due casi esemplari

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN

STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE, DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI MEDIA

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IL RELATORE IL CANDIDATO

Prof. Vincenzo Farinella Laura Bianchi

Anno Accademico 2012/2013

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Introduzione ……….. 1

Parte I 1. Una bibliografia vastissima ………. 8

2. Il mito dell’animale misterioso ……… 16

Un corno prezioso ………... 23

Dall’utile al simbolico ………. 27

PARTE II 1. L’unicorno politico ……… 43

2. I Farnese, “Questa, della Vergine col liocorno, mi par che sia la più antica”: da impresa ad emblema di famiglia ………. 44

Il palazzo Farnese ………... 51

Il palazzo Farnese a Caprarola, la residenza degli emblemi ….… 60

Giulia Farnese, la dame à la licorne di Carbognano ……….. 63

3. La famiglia Medici ……….. 78

4. Ferrara e “la virtù secreta del suo corno” ……… 88

Borso d’Este ………. 91

L’unicorno atavico: Ercole I e Alfonso I d’Este ………. 106

Casa Romei ……… 109 Conclusione ……….. 112 Tavole Bibliografia ………. 115 Sitografia ………. 126 Referenze fotografiche ………. 129

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1 “L’importante per noi è meditare il significato di un fatto,

e non discuterne l’autenticità”.

Sant’Agostino, Ennarationes in Psalmos, CIL

Introduzione

“Vicino al campo di Helyon c’è un fiume chiamato Mara, la cui acqua è amarissima: è quello che Mosè toccò col suo bastone, rendendo dolci le acque, affinché i figli d’Israele potessero bere. Anche oggi, si dice, certi animali velenosi al calar del sole infettano quelle acque, in modo che gli animali puri non possano abbeverarvisi; ma al mattino, poco dopo l’alba, viene l’unicorno e bagna

il suo corno nel corso d’acqua, allontanandone il veleno, cosicché gli animali puri possono abbeverarvisi durante il giorno. L’ho visto coi miei occhi.” 1

Queste sono state le parole di Johannes van Hesse di Utrecht, uno dei tanti pellegrini diretto in Terrasanta, che nel 1389 credette di aver visto un unicorno, creatura meravigliosa e sacra allo stesso tempo. Un’apparizione che certamente investì il suo viaggio di una profonda aurea mistica. Più tardi propositi simili furono riportati anche dal cappellano Padre Felix Faber di Zurigo che partecipò al pellegrinaggio intrapreso da Bernard von Breydenbach nel 1483. Quando la compagnia incrociò un animale misterioso lungo il cammino verso il Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, la lontananza lo fece scambiare inizialmente per un cammello, ma la guida pose fine ai dubbi sulla sua identità. Così il padre domenicano poté dilettarsi in una digressione sul suo mito e descriverlo nel suo aspetto morfologico utilizzando ciò che la tradizione degli antichi autori romani, come Plinio il Vecchio e il Physiologus, avevano riferito:

“Per molti aspetti è un animale abbastanza insolito. In particolare, si dice sia molto feroce. Ha un solo corno lungo circa quattro piedi, così appuntito e robusto che ferisce o trapassa attraverso qualsiasi cosa incontri e la inchioda alle rocce. Inoltre, il suo corno possiede una lucentezza magica; i suoi frammenti sono custodite come le pietre più preziose e montate in oro e argento. L’animale è così selvaggio che nessun artifizio o ingegnosità del cacciatore è utile a catturarlo, ma gli studiosi della natura ci assicurano che può essere catturato ponendo una casta fanciulla vergine nel suo percorso. Non appena corre verso di lei, essa scopre il suo seno e lui si mette disteso lì, spogliato di ogni ferocia e così confuso che si trova privo di ogni difesa contro le lance

1

Johannes de Hesse, Itinerarium Joannis de Hese presbiteri ad Hierusalem per diversas mundi partes, seconda edizione a stampa, Deventer, 1499, in Shepard Odell, La leggenda dell’unicorno. Firenze: Sansoni Editore Nuova, 1984, p. 179.

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2 dei cacciatori, i quali ora possono ucciderlo. […] È un una creatura possente che ha il corpo di un cavallo, le zampe di un elefante e la coda di un maiale. Nel colore assomiglia al legno di bosso ed emette un ruggito spaventoso. […]”2

Questi brani appena citati permettono di entrare direttamente nell’atmosfera mitica e religiosa che circonda questo animale: da una parte il potere purificatore ed in seguito taumaturgico del suo corno e dall’altra il suo carattere feroce e la sua straordinaria forza che, alla vista di una fanciulla vergine, svanisce tramutandosi in un mite e remissivo animale. Questi aspetti verranno ripresi nell’ambito della letteratura cristiana e profana con significati ben precisi.

Nonostante le molteplici testimonianze di avvistamento dell’unicorno, esso non è mai stato trovato. Sia frutto di un’illusione ottica che lo ritrae come animale bicorne visto di profilo, che di un malinteso interpretativo di una convenzione artistica come ad esempio sul bassorilievo raffigurante il combattimento tra un leone e un toro nel Palazzo del re di Persia a Persepoli, o di una elaborazione fantastica intrecciando caratteristiche proprie di animali realmente esistenti, o sia stato un animale reale, oggetto della pratica di manipolazione delle corna dei buoi per fonderle insieme in vigore presso alcune tribù3, l’unicorno rimane una creatura che ha affascinato, da secoli e ancora tutt’oggi, gli studiosi dei più vari ambiti. Scienziati, geografici, zoologi, storici dell’arte, psicologi, scrittori di fantasy hanno fatto riferimento attraverso tutte le epoche a questa creatura reale o di pura fantasia. La sua esistenza, immaginaria sul piano fisico, ma vera a livello dell’immaginazione dell’uomo, si esplicita nel suo créer des liens. L’unicorno è una figura vista a posteriori che creò legami tra Est ed Ovest, quasi come uno strumento archetipo della globalizzazione per usare un termine attuale: l’idea di una creatura con un unico corno nasce e matura nelle lontane terre orientali per poi migrare verso l’Occidente, dove è largamente sfruttata dall’iconografia di matrice cristiana allo scopo di rendere comprensibili certi contenuti teologici più complessi ai meno istruiti per poi rientrare velocemente nelle frontiere del profano con la poesia d’amor cortese, in ambito della farmaceutica con pozioni pseudo - mediche oppure negli alambicchi dell’alchimia. Anchela musica non poté fare a meno di evocare questo animale invisibile e misterioso:

2

Bernard von Breydenbach, Peregrinatio in terram sanctam, Mainz, 1486, in Beer Rüdiger Robert, Unicorn.

Myth and Reality. New York: Mason/Charter, 1977, pp. 110-111.

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3 nel Rinascimento tra il XV e il XVI secolo le corde di un liuto evocavano l’unicorno4; più tardi, nel 1593, il romano Giovanni Maria Nanino diede alla stampa il Primo libro delle canzonette a tre voci, dedicato al conte Alfonso Sanvitale di Parma, gentiluomo dei Farnese, in cui lo evocò in un madrigale, Se l’Alicorno corre al casto seno.

La figura dell’unicorno è profondamente radicata dal punto di vista antropologico nella cultura occidentale, sia in quella più elevata sia in quella popolare. Il motivo per cui l’immagine di un quadrupede con un solo corno è ancora oggi così presente nella mente umana deve, forse, essere rintracciato nella fantasia degli scrittori e degli artisti che l’hanno resa costantemente protagonista delle loro opere, conferendole un aspetto polimorfo e mutevole di volta in volta: talvolta una sembianza asinina, talaltra equina o caprina, creando un cosiddetto Mischwesen, cioè una creatura ibrida su cui si innestano delle zampe elefantine, una coda di maiale, una testa di cervo, per apparire poi verso il Rinascimento come un mite e piccolo animale. Talvolta gli artisti arricchiscono la figura dell’unicorno di attributi, quali le ali, molto presenti fino al XIII secolo, nelle fonti iconografiche islamiche che lo intrecciano ad un altro equino della mitologia greca, Pegaso5. Versioni contrastanti si ripetono anche nella descrizione del suo prezioso corno: bianco, cremisi e nero per Ctesia, nero per Eliano, con anelli per Eliano e Megastene, con disegni di piccole figure e di lunghezza variabile.

Ma se l’unicorno all’inizio della sua storia stenta a definirsi nella sua forma, non è così per ciò che riguarda il suo mito, in quanto presenta mitemi costanti che si tramandano da una fonte all’altra. Uno di questi lo si può trovare già nel brano del predicatore domenicano, Johannes von Hesse citato all’inizio: questa creatura misteriosa è descritta mentre purifica l’acqua col suo corno. Il tema della purificazione dell’acqua o, come lo chiama Restelli, del “corno benefico”6 appare soltanto in una più tarda versione del Fisiologo greco all’inizio del secolo XV ed è probabilmente frutto di uno di quelle migrazioni culturali tra Occidente e Oriente. Forte è il suo legame con la dimensione spirituale del Cristianesimo in Occidente, che identifica l’animale con Gesù Cristo, “Sic et Dominus

4

Casula Maddalena, Barbetta Giulio Cesare, Scoto Paolo ed altri, Animali in musica nel Rinascimento. Renata Fusco, canto e Massimo Lonardi, liuto. Milano: La Bottega Discantica, 2012.

5 Restelli Marco, Il ciclo dell’unicorno. Miti d’Oriente e d’Occidente. Venezia: Marsilio, 1992, p. 59. 6

Ibidem. Lo studioso, utilizzando questa espressione, si riferisce ad un tema più vasto che comprende, non solo la purificazione dell’acqua, ma anche le presunte virtù benefiche e il potere taumaturgico che si attribuivano al corno dell’unicorno, l’alicorno.

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4 nostrer Iesus Christus, spiritualis unicornis”7, come conferma il Fisiologo latino del gruppo Bis dell’inizio del XIII secolo che vede nel suo corno l’unitarietà di Padre e Figlio. Col suo candido manto è anche simbolo di purezza e quindi associato alla virtù della castità. Certe volte le origini orientali e profane del mito riaffiorano e la cattura dell’unicorno per mezzo di una vergine assume connotati propri dell’amor cortese o esplicitamente sessuali, rifiutando l’interpretazione cristiana dell’Incarnazione di Cristo.

La curiosità e la fantasia dell’uomo nei confronti di ciò che non conosce se non come una figura ambigua, sia dal punto di vista del suo aspetto morfologico (spesso durante tutto il Medioevo si tendeva a confonderlo col rinoceronte), sia dal punto di vista del significato che le si attribuisce, hanno mantenuto viva l’attenzione sul liocorno8. Una creatura che non è mai passata di moda. Nel Medioevo si contendeva il primato tra i re degli animali, ed era, nei Bestiari medievali al pari dei più importanti, accanto al leone, all’orso, all’aquila e al drago.

Ha attraversato i secoli giungendo fino a noi nell’ambito di studi scientifici e nell’immaginario quotidiano, più facilmente recepibile.9

È utilizzato ad esempio perfino nel mondo pubblicitario: è citato nello slogan - con poca attinenza al mito - di un noto marchio tedesco di arredamento per la casa per evocare le caratteristiche di un sofà: il modello Gaudì creato da Bretz. Oppure nel campo della

7 Morini Luigina (a cura di), Bestiari medievali. Torino: Einaudi, 1996, p. 40. 8

Solitamente sono usati tre termini: unicorno, liocorno e alicorno, rimasti in uso ancora oggi, per indicare questo animale fantastico con un solo corno.

Quello più diffuso unicorno, dal latino tardo ūnicornis composto da ūnus e cornus, fu coniato sul modello del greco μόνος, mono e κέρoς, kerōs, corno. Liocorno invece è ricavato dall’incrocio di lione, variante di leone, e unicornus, di un solo corno. Infine alicorno, termine vernacolare, è un’alterazione del latino

unicornis.

Nella traduzione del libro di Odell Shepard, The lore of the unicorn, Michela Pereira fa uso del termine alicorno per indicare il corno dell’animale ed evitare la pesante espressione“corno dell’unicorno”. Come lei stessa segnala, la parola alicorno era in uso già nel Cinquecento e nel Seicento in Italia, in particolare nel toscano, per indicare, non solo l’animale, ma anche il suoattributo specifico, il corno. Secondo Shepard, Il

mito dell’unicorno, op. cit., pp. 113 e 164-168, il termine italiano alicorno deriva dal portoghese alicornio, che sarebbe una parola ibrida formata dall’articolo arabo al e dal termine romanzo licorno vedendovi quindi un’origine araba ibrida. Il termine toscano alicorno avrebbe dato origine anche al francese licorne alla fine del secolo XIV (1385), parola di genere femminile. Nel 1624 Laurent Catelan , in Histoire de la nature,

chasse, vertus, proprietez et usage de la licorne fa risalire l’etimologia del nome al leone.

9

Lavers Chris, The natural history of unicorns., op.cit., p. 243; Riporto qui il paragrafo conclusivo dell’analisi zoologica sull’unicorno compiuta dal geografo americano Lavers, che sintetizza efficacemente come l’unicorno è pensato oggi: “If your unicorn tends towards a meek and diminutive goat, Christianity is

probably strong with you. If your unicorn is large and horselike, heraldry and its secular offshoots are probably to blame. If your unicorn cover uncomfortaly between a goat and a horse, you may at least take comfort from being in the majority. If your unicorn shifts disconcertingly between a goat, a horse, a rhinoceros, a marine mammal from the North Atlantic, assorted Tibetan ungulates and a six-eyed ass whose ears will terrify, the work of this book is almost done.”

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5 moda, Gucci ha lanciato la campagna pubblicitaria della collezione Cruise per la primavera 2013 attraverso l’esposizione nelle vetrine dei loro negozi di tutto il mondo con i disegni dell’artista di manga Hirohiko Araki, il quale, ispirandosi alla nuova collezione Flora di Frida Giannini, dà vita ad un manga con protagonista un unicorno ed una ragazza.10 La storia mantiene l’associazione fanciulla - unicorno: la protagonista attira a sé l’unicorno, nascondendolo, per proteggerlo dalle persone malvagie che vogliono impossessarsene. Lo schema degli avvenimenti è il medesimo, ma con una variazione sul tema: la ragazza non collabora alla cattura, ma respinge i moderni “cacciatori”, ricordando come un’eco lo schizzo di Pisanello L’Innocenza protegge l’unicorno dai cacciatori.11 In questi esempi odierni, però, i contenuti allegorici e culturali accumulati dal liocorno sono semplificati e banalizzati.12

Inoltre l’arte contemporanea dall’Ottocento fino ad oggi si è divertita a giocare sui toni erotici della figura, eliminando tutto il pesante fardello di simbolismo che l’unicorno si porta dietro fin dalla sua adozione nel mondo cristiano. L’opera dell’artista Alain Pontarelli intitolata La Licorne (2012) presenta un incrocio tra arti equini e gambe femminili - quasi felliniane – che sottolinea esclusivamente il significato erotico dell’unicorno, ulteriormente marcato dal colore rosa scelto per questa realizzazione. Ad ogni modo solo il titolo ci può dire che l’artista ha voluto rappresentare un unicorno, visto che ha eliminato dalla sua opera il tratto distintivo di questo animale, cioè il suo celebre corno.

Fra le rappresentazioni che rientrano nell’immaginario comune, si può menzionare Carlo Carrà che riprende il tema della dama con unicorno nella sua acquaforte, realizzata nel 1924 e conservata all’Istituto Nazionale per la Grafica di Roma, che ritrae due donne ed un unicorno, impostando una scena sospesa ed immobile dalla grande spiritualità che si ricollega all’iconografia cristiana con la storia di Loth e delle sue figlie, in cui il liocorno è simbolo di purezza e di fecondità nel contesto post-bellico della Prima Guerra Mondiale.

10

Il manga di Araki, intolato Jolyne flight high with Gucci, è stato pubblicato sulla pagina facebook di Gucci: https://www.facebook.com/GUCCI/app_462427440487746.

11

Beer Rüdiger Robert, Unicorn. Myth and Reality. New York: Mason/Charter, 1977: Illustrazione n°50, p.63.

12

Aggiungerei molto spesso del tutto inesistenti, come è il caso del meme dell’unicorning, termine inglese coniato dalla regista americana Laura de Marchant, che consiste nell’acquistare una maschera da unicorno e fotografarsi con essa nelle pose e nei contesti più diversi. I partecipanti a questa moda nata nell’estate del 2013 sono poi invitati a pubblicare le loro foto su un sito creato appositamente, http://unicornarmy.com. L’unicorno in casi simili, privato di ogni suo contenuto simbolico, è sfruttato solo ad un puro livello consumistico.

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6 Oppure si può ricordare quella dell’unicorno in cristallo del designer austriaco Martin Zendron realizzato per la collezione Creature fantastiche della Swarovsky (1996) che trae spunto dalle due più famose serie di arazzi, con protagonista l’unicorno, la prima conservata al Musée du Moyen Age de Cluny a Parigi, la celeberrima Dame à la licorne, e la seconda ai The Cloisters del Metropolitan Museum of Art di New York. Proprio questo museo, per celebrare i 60 anni del Cloisters, ha organizzato dal 15 Maggio al 18 Agosto 2013 una mostra intitolata “Search of the Unicorn: An exihibition in Honor of The Cloisters’75th Anniversary”13. Come si deduce dal titolo, l’esposizione ruota attorno al famoso ciclo di arazzi di Verteuil donati in occasione dell’apertura da John D. Rockefeller. Oltre ad essere celebrati in varie mostre famose, gli arazzi di Cluny hanno ispirato artisti contemporanei. È il caso del pittore novantasettenne Pôl Roux che nel 2012 ha rivisitato gli arazzi di Cluny riducendo ai minimi termini i sei arazzi della Dame à la licorne, con un’evidente carica espressionistica neitratti e nei colori; lo sfondo mille fleurs scompare e rimangono soltanto i protagonisti principali: il liocorno e il leone cha accompagnano una dama dai tratti esotici nellarappresentazione dei vari sensi [Fig.1].

La mia tesi, tuttavia, non prenderà in esame l’unicorno nel mondo contemporaneo, ma era comunque interessante accennare solo a livello introduttivo ad alcuni esempi che denotano come, nella maggior parte dei casi, il significato intrinseco dell’unicorno moralizzato dalla religione cristiana e nell’interpretazione maggiormente diffusa nell’area occidentale come simbolo positivo di castità, di purezza, di umiltà e di allegoria dell’incarnazione, sia passato in secondo piano a favore di un ritorno ai temi del racconto originario, fortemente caratterizzato dal punto di vista erotico. Non mi soffermerò a parlare della effettiva esistenza o meno dell’unicorno nel mondo reale confrontandolo dal punto di vista scientifico con animali esistenti fin dall’epoca in cui scrittori e artisti lo introdussero nelle loro opere. Di questo argomento si è occupato dettagliatamente lo studioso Chris Lavers in The natural history of unicorns.

Approfondirò invece lo sviluppo del suo significato simbolico e allegorico tra i secoli XV e XVI con particolare attenzione ai contesti familiari italiani più celebri. Con questo intento,

13 Sul sito internet dedicato alla mostra è possibile consultare brevi schede sulle 47 opere, provenienti dallo

stesso MET, da collezioni private o da istituzioni associate, che la curatrice, Barbara Drake Boehm (Dipartimento di Arte medievale dei Cloisters), ha scelto di esporre:

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7 ho diviso il mio elaborato in due parti. Quella iniziale cercherà di fare il punto della situazione sull’immensa bibliografia attinente all’unicorno che, come si vedrà, evidenzia una più ampia presenza in ambito tedesco e francese, riguardo alla diffusione raggiunta da questa creatura in territorio italiano. Laprima parte, inoltre, espone i temi salienti che costituiscono il mito dell’unicorno e la sua iconografia ricostruita attraverso alcuni, tra i molteplici esempi di opere d’arte quattrocentesche e cinquecentesche, allo scopo di osservare l’evoluzione di significato e di rappresentazione figurativa, cercando di privilegiare l’area italiana.

La seconda parte studierà il rapporto tra la figura dell’unicorno ed alcune delle più illustri famiglie italiane che lo adottarono nel campo della loro araldica e nelle loro imprese durante tutto il Quattrocento e il Cinquecento. Gli Este di Ferrara, i Farnese a Roma, i Medici a Firenze ne fecero un ampio uso di cui ritroviamo traccia nei numerosi palazzi e castelli dove sono vissuti, lasciandovi un patrimonio ricchissimo.

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1. Una bibliografia vastissima

L’unicorno ha portato alla compilazione di una bibliografia molto ampia, su un tema tanto sfuggente ed inafferrabile quanto presente nell’immaginazione umana.

A mio parere, i testi più rilevanti per la loro completezza e chiarezza, su cui mi sono basata per avviare la mia ricerca, sono essenzialmente cinque: si tratta degli studi di Odell Shepard, di Jürgen Werinard Einhorn, di Rüdiger Robert Beer, di Marco Restelli e di Lise Gotfredsen. Ognuno di questi studiosi contribuisce ad arricchire la conoscenza della leggenda dell’unicorno con nuove ipotesi e ne approfondisce alcuni lati. L’insieme di questi scritti ricopre quasi tutto il periodo cronologico, dalle prime apparizioni di quadrupedi unicorni nell’antichità fino all’età contemporanea. Si tratta - escludendo la parte generale dedicata alle fonti letterarie del mondo classico che lo descrivono - di studi differenti tra loro che forniscono notizie a partire dalle prime apparizioni dell’unicorno risalenti a prima della nascita di Cristo e che poi si concentrano sul periodo medievale, epoca in cui l’importanza era data al significato, alla sénéfiance14 che l’animale possedeva senza preoccuparsi minimamente della sua effettiva esistenza. Quindi, un’analisi necessaria nell’ambito della ricerca, in quanto momento storico in cui si costruisce tutta la sua simbologia grazie anche alla grande diffusione dei cosiddetti Bestiari ed alla propagazione del cristianesimo in questo momento storico. Si ha poi un salto temporale dal Cinquecento all’Ottocento, in quanto gli studiosi sono più concentrati verso altri temi e nell’esame dei casi di maggior rilievo attraverso le due famose serie di arazzi, quella di Cluny e quella dei Cloisters. Oltre ai limiti della ricerca, occorre tener presente che verso la fine Seicento e l’inizio Settecento si comincia a nutrire seri dubbi sulla effettiva esistenza dell’unicorno e il suo utilizzo nell’ambito artistico si rarefa.

Inoltre, la maggior parte degli studiosi dedica un ampio spazio nei loro scritti alle proprietà mediche attribuite al suo corno, o meglio al presunto corno di unicorno, e al suo redditizio commercio in tutta Europa verso le corti dei sovrani europei. Per quanto riguarda l’area geografica presa in considerazione per analizzare l’evoluzione dell’iconografia dell’unicorno, essa è più limitata: in primis Germania e Francia, a cui seguono Danimarca e Italia.

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9 Ad ogni modo il punto di partenza è la voce enciclopedica “Einhorn”, compilata da Liselotte Wehrhahn-Stauch, contenuta all’interno del Realexikon zur deutschen Kunstgeschichte (1958) che, come un’enciclopedia, dà le principali tappe dello sviluppo del ciclo dell’unicorno, riportando le principali iconografie correlate e riferendosi ad opere dell’area germanica, non senza mancare di inserire alcuni brevi accenni al liocorno nell’arte italiana.

Il primo studio in ordine cronologico è quello dello studioso americano Odell Shepard, The lore of the unicorn, la cui prima edizione in inglese risale al 1930 e viene pubblicato in Italia nel 1984. Dall’uso del termine “lore” nel titolo dell’opera si può comprendere il tipo di impostazione del suo lavoro basato sulla raccolta e sul confronto delle diverse credenze popolari. A queste si aggiungono la raccolta delle più conosciute cronache di viaggio a partire dall’epoca medievale, intensificatasi dopo le crociate e gli scritti di coloro che si dedicarono nel XIX secolo, durante l’epoca delle esplorazioni, alla sua ricerca nelle ignote terre africane o negli altipiani del Tibet. In seguito Shepard analizza la credenza nella valenza terapeutica dell’alicorno, tesoro posseduto dai maggiori sovrani europei e la simbologia purificatrice del suo corno, ipotizzando, come più tardi Restelli, una derivazione dal mito dell’asino Vourukasha, tratto da un testo sacro persiano della religione zoroastriana. Un’ampia parte è dedicata anche a rintracciare le maggiori collezioni di alicorni del secolo XVI possedute dai più potenti sovrani e dalle cattedrali. Lo studio di Shepard ha uno spiccato carattere divulgativo, da cui partire per un primo approccio col tema dell’unicorno e con la sua leggenda. Nelle sue pagine accoglie molte ipotesi, poche delle quali sono confutate, molte accolte con entusiasmo, come nel caso della teoria lunare applicata alla lotta tra leone e unicorno, proposta da Brown15. Altre volte si lascia andare alla fantasia in certi brani a commento di ipotesi, immaginando ciò che potrebbe essere accaduto all’unicorno in mano ai greci o agli ebrei se avessero avuto usanza di inserire animali allegorici nelle loro tradizioni culturali.

Diverso è il corposo e accurato volume del padre francescano Einhorn, Spiritalis Unicornis. Das Einhorn als Bedeutungsträger in Literatur und Kunst des Mittelalters (1976), rivolto piuttosto all’ambito ristretto degli storici dell’arte. Questo studio storico-critico, dopo una prima parte dedicata alla ricerca delle origini dell’unicorno nel mondo antico orientale

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10 indiano e cinese-giapponese, è consacrato ad una approfondita analisi dell’unicorno nelle sue diverse apparizioni letterarie ed iconografiche dal Medioevo fino al 1500 circa. Il tutto si conclude con una ricca appendice di immagini classificate in base ai differenti motivi e variazioni in cui l’unicorno è protagonista. Inoltre, accanto alla presenza di testimonianze iconografiche a confronto tra le varie versioni del Fisiologo, è da segnalare un’interessante raccolta delle principali fonti letterarie, tratte anche dal contesto dei racconti e delle canzoni popolari dell’area linguistica tedesca ed olandese. Particolare riguardo è rivolto all’analisi iconografica su opere di ambito tedesco, con alcune aperture verso l’Europa. Nel suo libro, presta attenzione anche ad un aspetto minore dell’interpretazione dell’unicorno, che in pochi hanno considerato, cioè la connotazione negativa dell’unicorno come simbolo del male, della quale si occuperà più limitatamente anche R.R. Beer in Unicorn. Myth and reality (1977). Einhorn rintraccia le prime testimonianze letterarie di un unicorno che incarna il Male in quanto ostile al potere di Dio nella traduzione greca del Salmo 21 da cui partirono le successive rielaborazioni dei Padri della Chiesa. Le testimonianze iconografiche su questo tema partono nel VIII – IX secolo con un rilievo di epoca longobardaed arrivano fino al secolo XVI in cui non appare più come incarnazione del Bene assoluto in quanto collegato per mezzo del suo corno all’unicità di Cristo, ma come personificazione del Male, della morte, come guardiano dell’Inferno nella forma di diavolo con un solo corno16, come raffigurato anche in un affresco del Quattrocento a Stratford-on-Avon in Inghilterra. Anche nel nord Italia si diffonde questa interpretazione attraverso una versione del Physiologus risalente al 1508, Libellus de natura animalium, originatasi all’interno del movimento valdese, a cui si connette Il libro della natura degli animali di ambito tosco-veneziano che lo individua come simbolo di “una maniera die zente fiera et crudele”. Einhorn, come già gli altri studiosi, si pone il problema connesso all’effettiva unicornicità di tutte le creature pensate come tali nel mondo orientale tentando di risolvere la questione come fosse frutto di una convenzione artistica rivolta alla semplificazione per ciò che riguarda la

16

Charbonneau-Lassay Louis, Il bestiario di Cristo: la misteriosa emblematica di Gesù Cristo, volume I. Roma: Arkeios, 1995, p. 60: Nel suo studio sull’emblematica relativa a Cristo, sottolinea come gli emblemi associati a Cristo siano poi ripresi nella simbologia legata a Satana e di conseguenza al male in quanto “considerato

già, secondo la parole di Tertulliano, come «la scimmia di Dio»”. L’imitazione di Cristo da parte di Satana

può forse provare a spiegare il motivo della diffusione di un’interpretazione sotto il segno del male associata all’unicorno, in aggiunta ai tratti che lo descrivono come una creatura aggressiva, feroce, crudele ed incarnazione di alcuni vizi. Questa ambivalenza morale è diffusa in Occidente anche nel caso di altri animali a forte connotazione cristologica, quale il leone.

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11 rappresentazione di animali bicorni visti di profilo.17

Lo studio dell’unicorno è trattato con grande entusiasmo dagli studiosi tedeschi per l’importanza che riveste questa creatura mitica nella loro storia, in particolare nell’ambito degli ordini religiosi. Infatti Beer gli dedica un capitolo da non trascurare. Notabile è il caso dell’abbazia benedettina di Fulda che mostra un particolare legame con l’unicorno in quanto rappresentazione di Dio e della solitudine monastica18, e col presunto pastorale di San Bonifacio (in realtà di epoca posteriore, forse tra XI-XII secolo), raffigurante un unicorno morso da una vipera, che segnala lo stesso aspetto della passione di Cristo, la sua morte sacrificale. All’opposto si può citare come esempio il caso della badessa Ildegarda di Bingen o della badessa Cunigund e quello di tanti altri monasteri femminili in Germania che danno una grande importanza alla Caccia mistica con la Vergine e l’unicorno intesa come rappresentazione di Madonna con Bambino, dovuta ad una intensificazione del culto mariano. Continuando la sua analisi cronologica Beer arriva ad affermare che il XV secolo in Germania si può denominare “the Age of the Unicorn”19. Il suo studio è accompagnato da un ricco apparato iconografico che dal I secolo a.C. arriva fino al XX secolo. Contrariamente agli altri studiosi, Beer non segnala l’inimicizia tra l’unicorno e l’elefante; al contrario riporta un brano di tradizione araba in cui salva l’elefante da morte certa.

Per quanto riguarda gli studiosi francesi, essi si sono concentrati con grande slancio sullo studio dell’iconografia del rapporto tra fanciulla e unicorno e con grande spirito patriottico riferendosi volentieri agli arazzi della Dama à la licorne. Jean-Pierre Jossua nel 1985 scrive La licorne. Histoire d’un couple, che si dedica ad analizzare l’iconografia della fanciulla accompagnata dall’unicorno, sia in ambito religioso che profano con la tradizione della poesia dell’amore cortese su un lungo arco cronologico dal IV secolo al XX secolo, anche con risvolti psicologici e sociali.

Tra gli autori francesi che si occupano dell’argomento non ci si può esimere dal citare il lavoro di Michel Pastoureau, storico conosciuto per le sue preziose pubblicazioni sul significato simbolico e sociale dei colori e per i suoi studi sulla simbologia degli animali

17

Beer Rüdiger Robert, Unicorn. Myth and reality. New York: Mason/Charter, 1977, pp. 12-13; anche Beer fa la stessa osservazione. Osservazione fatta più o meno da tutti gli studiosi anche Gotfredsen parlando ad esempio della Porta Ishtar facente parte delle mura di Babilonia conservate oggi al Bode-Museum a Berlino.

18 Ibidem, p. 41. 19 Ibidem, p. 96.

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12 che gli storici dell’arte dello scorso secolo ritenevano alla stregua della “petite histoire”. L’ultima e recentissima pubblicazione è dedicata allo studio dell’iconografia dell’unicorno, Les secrets de la licorne (2013). Con questo libro Pastoureau riprende un tema che già precedentemente aveva trattato in Bestiaires du Moyen Age (2011), un compendio dei più celebri animali descritti nei bestiari medievali di cui riporta e analizza il significato simbolico. Nella più recente pubblicazione, Pastoureau approfondisce l’argomento per quanto riguarda l’unicorno e rileva alcuni aspetti tralasciati fin’ora dagli studiosi. Ad esempio, nelle prime descrizioni sull’animale, come già in quelle del greco Ctesia e del romano Eliano – per citare due auctoritates – , lo ritrae con occhi di colore azzurro che, come ci ricorda l’autore, è un colore impopolare e quasi inquietante per il sistema di valori greco e romano.20Tenta di dare una spiegazione all’inimicizia tra unicorno ed elefante, animale anche esso cristologico, che in certi casi finisce trafitto dal suo nemico cornuto. Domanda che Pastoureau si era già posto nel suo libro sui bestiari medievali e che risolve col motivo della gelosia, il solo peccato a cui l’unicorno è soggetto, che espierà con la sua morte causata dai propri sensi di colpa per il male commesso. Non segnala, però, la fonte in cui trova tale l’informazione. Lo scrittore francese si occupa dei principali aspetti relativi all’araldica, presenta il corno del liocorno paragonandolo ad una reliquia, compie una biografia dell’unicorno, a partire dalla preistoria passando per il Medioevo, proseguendo con la fine del suo mito in epoca moderna e concludendo con una breve parentesi sulle declinazioni che il mondo contemporaneo ha fatto del suo mito, accennando al suo sfruttamento come simbolo massonico ed esoterico. Inoltre il libro può contare sull’apporto delle conoscenze della direttrice del Musée de Cluny di Parigi, Élisabeth Delahaye, che si è occupata di redigere il capitolo relativo agli arazzi di La dame à la licorne facendo il punto della situazione sugli studi fin’ora condotti. Un libro magistrale, dall’apparato iconografico molto ricco, come del resto si poteva immaginare, concentrato sul periodo medievale e sul primo Rinascimento che contribuisce ad aprire il mondo della storia dell’arte al grande pubblico.

20

Pastoureau Michel e Delahaye Élisabeth, Les secrets de la licorne. Paris: Editions de la Réunion des musées nationaux – Grand Palais, 2013, p. 16; invece per ulteriori approfondimenti sulla storia e sul significato dei colori in generale a seconda delle epoche e dei contesti culturali e sociali si veda il maneggevole volumetto in forma di intervista dello stesso autore Pastoureau Michel e Simonnet Dominique, Il piccolo libro dei colori. Milano: Ponte alle Grazie, 2006 e per un approfondimento sul ruolo e sul cambiamento di significato del colore blu nel tempo si consulti Pastoureau Michel, Blu: storia di un

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13 Stupisce che gli studiosi italiani abbiano lasciato un po’ in secondo piano lo studio di questo animale, nonostante sia una presenza non indifferente in ambito artistico, sia per la celeberrima iconografia riservata al Trionfo della Castità che spesso illustra i manoscritti dei Trionfi di Francesco Petrarca, sia per i ritratti di Sante e dame rinascimentali accompagnate dall’unicorno che ne celebra la castità, sia nel campo dell’araldica. Famiglie importanti, quali gli Estensi, i Farnese, gli Alicorni, nobile famiglia romana, i Borromeo, lo adottano nel loro blasone.

In ordine cronologico gli scritti che ho potuto rintracciare sull’unicorno sono tre: il primo è un catalogo di una mostra svoltasi alla Galleria di Pio Monti a Roma e successivamente a Macerata nel 1984 intitolata Unicorno, a cura di Mariano Apa, che riguarda opere di artisti contemporanei su questo soggetto; il secondo, per noi di maggior interesse, è un piccolo saggio di Ezio Albrile pubblicato nel 2008 dal titolo Le visioni dell’unicorno rosso. Momenti di una mitologia ed il terzo è un piccolo libretto da collezione Il mito dell’unicorno di Marco Bussagli, breve ma efficace nel dare in poche pagine i lineamenti essenziali del mito con una maggiore attenzione, nella scelta delle illustrazioni, verso le opere d’arte italiane. Ad ogni modo, nessun lavoro sulle orme di quello di Padre Einhorn è stato intrapreso, anche se la presenza dell’unicorno fu viva durante il Rinascimento e l’epoca moderna con alcuni esempi importanti nello stesso territorio Italiano.

L’unica trattazione italiana non trascurabile - anche se in fondo si tratta di un approfondimento su quello che altri studiosi, quali Einhorn e Beer, avevano solamente abbozzato - è quella dello studioso orientalista Marco Restelli, il quale in Il ciclo dell’unicorno. Miti d’Oriente e d’Occidente (1992) si propone di rintracciare definitivamente con grande dovizia le origini orientali del mito dell’unicorno. È lo stesso autore a dichiarare il suo proposito: cercare di compiere “la prima esegesi dell’intero Ciclo dell’Unicorno.”21 Per far realizzare il suo intento, adotta un approccio differente: ignorando del tutto l’aspetto morfologico del quadrupede, Restelli riduce i tratti della leggenda occidentale al minimo, considerando in particolare ciò che fu riferito dalle due fonti principali, Ctesia ed il Fisiologo, esaminando solo quelle appartenenti al mito tralasciando ogni riferimento alla Bibbia compreso il passo sul capro unicorno della Visione del Profeta Daniele.22 Grazie all’individuazione di due precisi mitemi, quello del

21 Restelli Marco, Il ciclo dell’unicorno. cit., p. 4. 22 Libro di Daniele 8,5.

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14 motivo della seduzione e quello del corno benefico, cioè unità primarie all’interno del ciclo, Restelli identifica una serie di corrispondenze con i miti orientali, in particolare induisti, buddhisti, giainisti e mesopotamici. L’unicorno è, quindi, determinato attraverso lo studio dei mitemi della sua leggenda. La derivazione del mito occidentale da quello indiano dell’eremita Ṛṣyaśṛṅga o dell’asceta Corno di Gazella non è nuova; infatti come segnala Einhorn, lo studioso S. Beal per primo e poi W. Haug lo avevano già avvicinato alla leggenda dell’unicorno tramandata dal Fisiologo23, ma Restelli sottolinea inoltre il conflitto sussistente tra verginità e fecondità all’interno del mito. La riduzione del ciclo occidentale a due unità narrative minime comporta anche l’espulsione di quelli che lo studioso indica come i “falsi unicorni”, tra cui le figure ad un solo corno di origine islamica e il kirin giapponese, a cui erroneamente si fa riferimento quando ci si occupa dell’unicorno occidentale e molte volte lo si associa anche a queste altre creature dai differenti valori simbolici derivanti da un sottostrato culturale diverso. La ricerca di Restelli assume il carattere di uno studio antropologico nei confronti delle civiltà occidentale e orientale e dei loro legami dimostrando un’approfondita conoscenza della cultura dell’Oriente.

Lise Gotfredsen in The Unicorn (1999) approfondisce il periodo Quattro-Cinquecentesco, prestando attenzione per la prima volta agli affreschi presenti nelle chiese della Danimarca in cui il tema della Caccia mistica, arrivato dalla Germania, si era diffuso anche nella Svezia Meridionale e in Finlandia. Un’analisi che intraprende per spiegare la tavola di Martin Schongauer, Sacra Caccia, del 1450 circa, conservata a Colmar, e che termina con una conclusione dedicata all’arte contemporanea nel XIX e XX secolo attraverso i romantici ed i simbolisti, periodo pressoché tralasciato dagli altri scrittori.

La studiosa conferma ulteriormente l’ipotesi della derivazione del mito dell’unicorno dal mito dell’eremita Corno di Gazella avvicinandolo a quello di Europa e il toro ed a tutte quelle storie in cui una donna seduce un uomo, nel caso specifico un Dio greco. Al contrario di Restelli che lo esclude dal ciclo dell’unicorno, lo connette con l’unicorno cinese, il ch’i-lin, e con quello giapponese, il Ikakkakky, il quale ha particolarità caratteriali opposte basate sulla malvagità. Gotfredsen cita il mito della creazione babilonese, Enuma

23

Einhorn Jürgen Werinard, Spiritalis Unicornis. Das Einhorn als Bedeutungsträger in Literatur und Kunst des

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15 Elish, dove compaiono mostri diabolici con un solo corno. L’accostamento a questo leggenda rientra però in quei “falsi unicorni” già individuati da Restelli che li esclude dalla narrazione del mito dell’unicorno, in quanto non sono avvicinabili alla leggenda occidentale, se non per la caratteristica morfologica peculiare legata alla presenza di un solo corno, che indica potenza e forza.

Un altro libro dedicato esclusivamente all’iconografia di questo animale mitico è quello di Nancy Hathaway. Ripetitivo e poco accurato nel citare le fonti, è un libro con un intento divulgativo di più facile approccio rispetto, ad esempio, al monumentale studio di Einhorn. Ammette l’origine orientale dell’unicorno e lo avvicina a quello cinese, il ch’i-lin, o a quello giapponese, sin-you, con un solo corno, accennando tuttavia alla distinzione tra bene e male.

Un differente tipo di approccio allo studio dell’unicorno è quello di Chris Lavers, The natural history of unicorns (2010), il quale, per ricercarne le origini, analizza le fonti letterarie prendendo in considerazione solo le caratteristiche morfologiche dell’animale, alla ricerca di somiglianze con altri realmente esistenti, per individuare una classificazione in cui racchiuderlo, ma senza riuscirvi a causa del suo carattere composito ed ambiguo. L’unicorno non può però essere racchiuso in un’unica specie animale, essendo un intreccio di tratti presi da categorie differenti. Concludendo con un “Wherever the unicorn came from, it blossomed with the aid of real animals”24, questa ricerca tassonomica (già provata da Shepard) non lo porta a nessuna conclusione certa sulle sue caratteristiche, anche se però, lo studioso riesce ad individuare l’habitat geografico in cui vive l’unicorno: l’altopiano tibetano. L’analisi di Lavers è tipica di un geografo e di uno zoologo, che si basa, per quanto riguarda i pochi capitoli riservati nel suo lavoro al significato dell’iconografia dell’unicorno, sugli studi di Shepard e di Gotfredsen.

In definitiva gli studi qui elencati dimostrano quanto l’unicorno continui ad essere presente nella società odierna e radicato dal punto di vista antropologico nella cultura occidentale, nell’idea religiosa di una forza e di una potenza che nessuno ha mai visto, ma a cui si crede e allo stesso tempo, riallacciandosi alle sue origini orientali, evoca questioni di primaria importanza per la vita dell’uomo.

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16

2. Il mito del misterioso animale

Per noi contemporanei, l’unicorno, insieme ad altri animali reali o fantastici come per esempio la manticora, appare sulla scena letteraria improvvisamente, forse come si mostrava senza annunciarsi ai viaggiatori del passato. Oggi ormai è unicamente una creatura letteraria, ma un tempo non era così. Ci si credeva e nessuno metteva in dubbio la sua esistenza, nonostante non fosse mai stata vista dagli stessi scrittori che riferivano su di essa particolari precisi ed accurati. I massimi autori del passato: i greci come Ctesia e l’auctoritas per eccellenza Aristotele o più tardi gli autori romani Eliano di Preneste e il celeberrimo Plinio il Vecchio ce lo confermano. Non fu esclusivamente l’ambiente letterario e filosofico ad interessarsi ed a pronunciarsi affermativamente sull’esistenza dell’unicorno. Anche la traduzione in greco dell’Antico Testamento ebraico da parte del cosiddetto gruppo dei Settanta nel III a. C. per volere di Tolomeo II d’Egitto certificò definitivamente e per lungo tempo l’esistenza dell’unicorno. Nella Bibbia era presente il termine re’em, tradotto erroneamente con unicorno25, con cui certamente si indicava un animale cornuto, probabilmente l’uro (Bos Primigenius), un bovino oggi estinto.26 Nella Bibbia non vi erano forniti elementi descrittivi sufficienti per fare un’identificazione sicura, ma certamente non si trattava di un animale con un solo corno. Infatti la traduzione delversetto del Salmo 21 riporta l’espressione al plurale “corna dell’unicorno” che in alcuneversioni sarà poi corretta con il singolare, visto l’evidente conflitto. La Bibbia si concentra soprattutto nell’assegnare un significato simbolico al corno. Solo più tardi i Padri della Chiesa conferiranno caratteristiche morali anche all’animale. L’unico passo in cui è citata una creatura unicorna è nel libro di Daniele (8, 5-7), il quale raccontò in una delle sue visioni di aver visto un caprone con un solo corno gettarsi furiosamente contro un montone spezzandogli le sue due corna. Il profeta intravede nella perdita delle corna del montone la sconfitta del re di Media e di Persia, Dario, da parte di Alessandro Magno, incarnato dal solo corno più potente degli altri, dal quale sorgeranno quattro piccole corna che alluderebbero ai Diadochi, costituendo così un’allegoria della storia del regno

25

Ivi, p. 50: Lo studioso cita il saggio di Schaper, The unicorn in the messianic imagery of the Greek Bible, in “Journal of Theological Studies”, NS, 1994, pp. 117-136, secondo il quale la traduzione di re’em con unicorno non sarebbe stato un errore, ma fu consapevolmente sostituito per trasformare il significato simbolico del passo biblico.

26 Liselotte Wehrhahn-Stauch, Einhorn, in Schimtt Otto, Gall Ernst e Heydenreich Ludwig H. (a cura di),

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17 macedone. Eccetto la Bibbia che non descrive morfologicamente l’animale, limitandosi a segnalare il possesso del corno o dei corni come fattore di grande forza e potenza, ognuna delle descrizioni – impostate a livello scientifico – date dai filosofi antichi diverge su punti fondamentali: la specie di appartenenza dell’animale è variabile ed alcune caratteristiche vengono aggiunte o eliminate.

Ctesia di Cnido, medico alla corte persiana di Artaserse II, scrisse intorno alla fine del V - inizio IV secolo a.C. un libro sulla storia dell’India: Indica, basandosi probabilmente sulle testimonianze di terzi e sulle letture da lui stesso effettuate nella biblioteca dei sovrani achemenidi. Purtroppo dello scritto ci sono giunti solo alcuni frammenti grazie alla trascrizione dell’erudito Fozio nel IX secolo d.C. sulla cui attendibilità però si possono nutrire alcuni dubbi27. Il frammento XV parla del monokeros, unicorno in greco, e riporta così:

“In India ci sono degli asini selvatici grandi come cavalli e anche di più. Hanno il corpo bianco, il capo rosso e gli occhi blu. Sulla fronte hanno un corno lungo circa un piede e mezzo. […] La base del corno, circa due palmi sopra la fronte, è candida; l’altra estremità è appuntita e di color cremisi; la parte di mezzo è nera. […] Gli altri asini, sia quelli domestici che quelli selvatici, nonché tutti gli animali con lo zoccolo indiviso, non hanno né l’astragalo né il fiele, ma questi hanno sia l’uno che l’altro. […]” 28

A questa prima descrizione giunta fino a noi, ne seguono altre ancora più fantasiose ed eclettiche che contribuiscono a creare un vero e proprio Mischwesen. Aristotele in De partibus animalium afferma l’esistenza di due unicorni: il primo si rifà alla descrizione di Ctesia ed infatti lo chiama asino indiano mentre il secondo viene individuato nell’orice. Aristotele cerca di affrontare scientificamente la questione di un solo corno elaborando una teoria che spiega il motivo per cui il monokeros ha uno zoccolo compatto, anziché diviso, come sarebbe proprio degli animali muniti di corna.

Megastene, nella sua storia sull’India in 4 volumi, Indika, descrive il kartazoon come un cavallo con criniera, zampe di elefante, coda di maiale e con un corno nero che presenta delle spirali o anelli. Inoltre per questo scrittore, l’unicorno è amante della solitudine. Tale

27 Restelli Marco, op. cit., pp. 7-12. Oltre all’affidabilità o meno del Patriarca di Costantinopoli, c’è anche chi

aveva diffidato dello scrittore greco. Nel II secolo Luciano di Samosata nel proemio del primo libro [1-3] della Storia vera scrive: "Ctesia, figlio di Ctesioco, scrisse sull'India cose che né egli vide, né udì mai da altri”.

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18 caratteristica, secondo lo studioso Beer, è da ricollegare ai culti indiani connessi alla religione buddhista e alla meditazione.29 Questa peculiarità riconduce alle origini orientali, non solo dell’animale, ma anche del mito dell’unicorno.

Tra i numerosi scrittori romani, non si può fare a meno di ricordare Plinio il Vecchio con la sua Naturalis Historia terminata nel 77 d.C.. Nel VIII libro (capitolo 31) che apre la sezione dedicata agli animali domestici, l’autore comasco parla del monoceros, un feroce cavallo dalla testa di cervo con zampe di elefante, coda di cinghiale, un corno nero sulla fronte e riconoscibile al suo profondo mugghio. Infine Eliano in De animalium natura libri XVII [IV,52 e XVI, 20] riprende sia da Ctesia che da Megastene: grande quanto un cavallo, bianco eccetto la testa rossiccia, con coda di capra e una voce sgradevole e stonata.30 Ne risulta una creatura mutevole e composita dal punto di vista delle sue caratteristiche morfologiche. Il ricordo della descrizione di Eliano di un unicorno dalla testa rossiccia rimane vivo anche nel secolo XV. Infatti in un manoscritto del 1460 circa del De omnium animalium natura di Pier Candido (Roma, Biblioteca Vaticana, Ms. Urbs lat. 276, fol. 41), l’unicorno, accompagnato da un rinoceronte, è raffigurato con un corpo dal manto bianco in cui risalta la testa dal pelo fulvo, mentre il corno, diviso in tre colori, ricorda la testimonianza di Ctesia.

A tali descrizioni così variabili gli storici hanno cercato di trovare una spiegazione avvicinando l’unicorno al suo Doppelgänger reale, il rinoceronte. Infatti anche se molte volte erano gli stessi scrittori a sottolineare la diversità tra i due animali31, la confusione si è comunque verificata. Un caso fra tutti è quello di Eliano, il quale, nonostante dichiarasse esplicitamente la differenza fra i due animali, unicorno e rinoceronte, si ritrova lui stesso a mescolarli. Più tardi cade nella stessa confusione anche Marco Polo in Il Milione (1298 circa) che descrive l’unicorno con le medesime caratteristiche del rinoceronte indiano.32 Uno scambio che effettivamente avveniva, non solo nel caso di letterati, ma in particolar modo da parte di artisti, e con maggiore frequenza in età medievale, considerando che entrambi gli animali erano sconosciuti all’epoca. Un esempio è quello della Bibbia di

29

Beer Rüdiger Robert, op. cit., p. 14.

30

Pastoureau Michel e Delahaye Élisabeth, Les secrets de la licorne. cit., p. 16, lo studioso francese segnala che alcuni aspetti riportati da Eliano sono presi in prestito dal cavallo cornuto di Alessandro Magno, Bucefalo.

31

Ivi, p. 14, Plinio il Vecchio distingue espressamente ognuno di loro e dedica un brano a parte per l’unicorno (monoceros), l’orice (oryx), l’onagro (asinus silvestris) e il rinoceronte (rhinoceros).

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19 Floreffe del 1165, in cui il miniaturista della prima pagina del Vangelo di Matteo rappresenta una figura femminile che tiene in grembo un piccolo animale dal pelo scuro con un solo corno che spunta a livello del naso ricordando chiaramente un rinoceronte.33 Tuttavia, vi sono anche casi in cui la distinzione era chiara. La Mappa Mundi del 1280 conservata nella Cattedrale di Hereford mostrava situati in Africa e ben distinti dall’iscrizione e dal punto di nascita del corno, il rinoceronte e l’unicorno.34

Considerando il fatto che l’artista rappresentava l’animale seguendo le indicazioni fornite dalle descrizioni in suo possesso oppure copiando precedenti illustrazioni, inevitabilmente subentravano alcune trasformazioni e semplificazioni. In questo periodo per l’artista non era importante la fedeltà zoologica, visto che molto spesso, non solo il miniatore, ma lo stesso committente non conoscevano l’aspetto reale della creatura – ammessa la sua esistenza. Quello che interessava per tutto il Medioevo ed ancora nel Quattrocento, era l’uso allegorico che si attribuiva all’immagine.

Un intreccio tra le descrizioni ed una sovrapposizione dei due animali, unicorno e rinoceronte, possono certamente essersi verificati in alcuni testi medievali non solo dal punto di vista morfologico, ma soprattutto - ciò che è più notevole - anche dal punto di vista del mito. Ad esempio il rito di cattura dell’unicorno coinciderebbe con quello del rinoceronte, così come l’olfatto sviluppato e l’inimicizia nei confronti dell’elefante, come riportano alcuni bestiari.

Probabilmente alla base della fusione tra le due specie sta il fatto che il rinoceronte era l’unico animale conosciuto che presentasse un solo corno. Inoltre gli uomini medievali, non avendo mai visto effettivamente un rinoceronte, se non a livello intellegibile, non erano in grado di riconoscerne il corno e, frutto della fantasia o meno, importava solo il suo significato allegorico.35

Anche i primi pensatori cristiani portano avanti questo malinteso: Tertulliano, Gregorio Magno, Isidoro da Siviglia, Beda il Venerabile fanno la medesima confusione e ricollegano

33

Gotfredsen Lise, The Unicorn. New York: Abbeville, 1999, p. 49, Bibbia di Floreffe, 1165, British Museum, London, Ms. Add. 17738, fol. 168; e per citare altri esempi in cui compare un unicorno sotto le vesti di un rinoceronte: Beer, Unicorn. Mith and Reality. New York: Mason/Charter, 1977, fig. 13: miniatura d’apertura del Vangelo di Matteo dell’Evangeliario Averbode, ca. 1150, Ms. 363, fol. 17v, Liège, Bibliothèque de l’Université; o ancora Pastoureau Michel e Dalehaye Élisabeth, op. cit., p. 36: Isidoro di Siviglia, Etymologiae, Inghilterra, ca. 1120-1130, Oxford, The Bodleian Library, Ms. Laud. Misc. 247, sol. 149 v°.

34

Pomel Fabienne (a cura di), Cornes et plumes dans la littérature médiévale. Attributs, signes et emblèmes. Rennes: Presses Universitaire de Rennes, 2010, p. 152.

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20 il carattere della solitudine alla vita monastica. La vicinanza col rinoceronte può aver portato alcuni di questi pensatori a scrivere dell’unicorno come di un animale negativo. Pastoureau36, esperto ed attento medievista, sottolinea che nella Vulgata, la traduzione latina della Bibbia compiuta nel V secolo da Sofronio Eusebio Girolamo, meglio noto come San Girolamo, utilizza due termini differenti per indicare il liocorno: unicornis per indicare la positività dell’animale e rhinoceros quando suscita paura e rappresenta lati negativi. Infatti questa distinzione, nata nell’ambito religioso, è ripresa nei bestiari medievali. Il rinoceronte è visto come una creatura mostruosa, ostile ed impura, all’opposto dell’unicorno.37 Anche Gotfredsen segnala che all’inizio del periodo gotico nei bestiari, vi era una differenziazione nell’utilizzo del termine monoceros, per indicare la bestia descritta negli scritti di storia naturale oppure quella evocata nella letteratura di viaggio che non è possibile uccidere, e l’uso dell’appellativo unicornus che, invece, è inteso simbolicamente. 38

Solo nel 1515 arrivò in Europa, un esemplare in carne e ossa di rinoceronte come dono del sultano indiano di Cambaia, Mussafar II, al viceré di Goa, Alonso de Albuquerque, il quale a sua volta lo fece giungere in Portogallo al re Manuele I. In occasione dell’arrivo del rinoceronte fu indetto un combattimento tra rinoceronte ed elefante per verificare ciò che Plinio il Vecchio e gli scrittori successivi riportavano circa l’uccisione dell’elefante da parte dell’animale unicorno. Ma lo scontro non si concluse secondo le previsioni, visto che l’elefante riuscì a scappare.39 Proprio in questa circostanza si diffusero vari schizzi e disegni del rinoceronte, tra cui la più famosa testimonianza è la xilografia che ne ricavò Albrecht Dürer, che diffuse definitivamente la conoscenza dell’aspetto dell’animale. In alcuni casi la tradizione figurativa e l’immaginazione prevalevano anche sulla stessa realtà. L’arazzo di scuola fiamminga del XVI secolo conservato al Banco Nacional Ultramarino a Lisbona ne è un esempio. Fa parte della serie dedicata agli esploratori portoghesi che si diressero verso le Indie, prodotta dagli ateliers di Tournai specializzati nel genere, che veniva definito “à la manière de Calcut” o “alla maniera del Portogallo e

36

Pastoureau Michel e Delahaye Élisabeth, op. cit., p. 17.

37

Hörisch Jochen, Farmaco e idolo. L’unicorno come animale che promette salvezza e salute, in Marzatico Franco, Tori Luca e Steinbrecher Aline (a cura di), Sangue di drago, squame di serpente. Animali fantastici al

Castello del Buonconsiglio. Milano: Skira, 2013, pp. 285 e 287.

38 Gotfredsen Lise, op. cit., 1999, p. 43. 39

Walter Hermann, Il dibattito cinquecentesco sullo status zoologico dell’unicorno. Un disegno della Scuola

di Pierre d’Alost, in Rotondi Secchi Tarugi Luisa, L’uomo e la natura del Rinascimento. Milano: Nuovi

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21 dell’India”40. Proprio da una di queste botteghe, quella dei Greniers, tra il 1504 e il 1506 Filippo d’Asburgo il Bello acquistò alcuni arazzi dedicati all’esplorazione del Nuovo Mondo. Uno di questi destinato a commemorare l’Arrivo di Vasco da Gama a Calcutta il 20 maggio 1498 [Fig. 3], ostenta a sinistra tra i molti animali esotici di tutte le specie che i marinai stanno imbarcando per riportare in Europa come dono al sovrano, l’imbarco di un candido unicorno che penzola con tutta la sua leggiadria sul mare. Quasi sicuramente, nella realtà l’animale che gli uomini caricarono con una carrucola dalla nave era un rinoceronte, ma la sua raffigurazione con le sembianze di un unicorno contribuiva a dare un’ulteriore aurea di leggendarietà all’arrivo del “Ganda”, come fu chiamato l’animale dal sultano indiano nel 1515 ed impreziosiva ulteriormente il dono agli occhi delle altre corti. Anche se scambi continuano a verificarsi in seguito o addirittura se ne viene negata l’esistenza, affermando quella del rinoceronte, l’associazione col rinoceronte si ripresenta costantemente e con maggiore insistenza nel momento in cui compaiono sempre più frequentemente voci e trattati che dubitano dell’esistenza dell’unicorno. Nel 1708 un viaggiatore francese François Legaut (1637-1735) descrive la fauna di Capo di Buona Speranza:

“Pour la licorne, c’est une chimère: les plus anciens & plus curieux habitants du Cap en sont persuadés. Celui qui a fait les “Commentaires de César” étoit un menteur, aussi bien que les autres. Le Rhinocéros est le vraye licorne quadrupède…”.41

Ad ogni modo a livello figurativo, nel momento in cui entra a far parte del simbolismo cristiano, assume caratteristiche ben precise che andranno a comporre il liocorno come ci è stato tramandato e che ritroviamo nelle favole: il bianco cavallo con barbetta di capra sulla cui testa spunta il celebre e decantato corno.

Se nel Physiologus l’unicorno è descritto simile ad un capretto, nel Medioevo acquista caratteri morfologici nuovi. Alcuni autori, tra cui Brunetto Latini, reinventano il liocorno. Nella sua opera enciclopedica Le Livre dou Trésor apparsa in due edizioni, la prima in Francia nel 1267 e la seconda a Firenze, patria dello scrittore, nel 1268:

40

Delmarcel Guy, La tapisserie flamande du XV eau XVIIIe siècle. Paris: Imprimerie Nationale, 1999, p. 165.

41

Walter Hermann, Il dibattito cinquecentesco sullo status zoologico dell’unicorno. Un disegno della Scuola

di Pierre d’Alost, in Rotondi Secchi Tarugi Luisa (a cura di), op.cit., p. 509. Indagando su un cartone di Pierre

d’Alost, lo studioso associa un motivo proprio del mito dell’unicorno, cioè quello della purificazione dell’acqua, al rinoceronte portando a conferma della sua tesi una serie di testimonianze che denotano lo scambio di identità fra i due animali, e quindi la diffusa credenza che l’unicorno fosse il rinoceronte.

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22 “La licorne est une bête redoutable, dont le corps ressemble un peu à celui d'un cheval; mais elle a le pied de l'éléphant et une queue de cerf, et sa voix est tout à fait épouvantable. Au milieu de sa tête se trouve une corne unique, extraordinairement étincelante, et qui a bien quatre pieds de long, mais elle est si résistante et si acérée qu'elle transperce sans peine tout ce qu'elle frappe. Et sachez que la licorne est si cruelle et si redoutable que personne ne peut l'atteindre ou la capturer à l'aide d'un piège, quel qu'il soit: il est bien possible de la tuer, mais on ne peut la capturer vivante. Cependant, les chasseurs envoient une jeune fille vierge dans un lieu que fréquente la licorne, car telle est sa nature: elle se dirige tout droit vers la jeune vierge en abandonnant tout orgueil, et elle s'endort doucement dans son sein, couchée dans les plis de ses vêtements, et c'est de cette manière que les chasseurs parviennent à la tromper.”42

La feroce creatura comincia ad essere descritta con un corpo di cavallo. Nella tradizione italiana l’aspetto dell’unicorno si stabilizza già alla fine del Medioevo, con un corpo di un cavallo dal manto bianco.

Quando il celebre scrittore francese Rabelais, grande umanista del Cinquecento, pubblica nel 1548 il Quart livre des faicts et dicts héroiques du bon Pantagruel, non può fare a meno di presentare i due aspetti, mite o feroce, della “licorne”. Così il suo eroe Pantagruel, durante uno dei suoi viaggi fantastici nell’isola di Médamothi, scrive a suo padre Gargantua:

“Je vous envoie trois jeunes licornes, plus familières et apprivoisées que ne le seraient de petits châtons. Elles ne paissent pas sur le sol, car la longue corne qu’elles portent au front les en empêchent […]. Je suis étonné de la façon dont les écrivains de l’Antiquité les qualifient de farouches, de sauvages et de dangereuses, et disent qu’on en a jamais vu de vivantes. Si cela vous plaît, vous aurez la preuve du contraire et vous trouverez qu’elles sont douées de la plus grande gentillesse du monde, pourvu qu’on ne les maltraite avec malice. […]”43

42

Faidutti Bruno, Images et connaissance de la licorne (fin du Moyen Âge – XIXeme siècle). Tesi di dottorato in

Sciences littéraires et humaines, Université di Paris XII, 1996, tomo I, pp. 34-35.

(25)

23

Un corno prezioso

Indagare sulle molteplici variazioni dell’aspetto morfologico dell’unicorno è sicuramente interessante per comprendere a quale caratteristica ogni scrittore, proveniente da culture, da società e da periodi differenti, ha dato maggior rilievo. Ma ancora più interessante è indagare sull’attributo peculiare su cui concordano tutti i pensatori, cioè l’idea di un unico corno frontale, dal colore e dalla lunghezza variabili. Per alcuni è bianco, per altri nero (per Eliano) o tricolore (per Ctesia, bianco, rosso e nero). Per Solino è di “splendore mirifico” e lungo quattro piedi.44 Ma queste caratteristiche non sono certo le più importanti nell’ambito del significato dell’alicorno, inteso come attributo specifico. Le corna degli animali in generale erano tenute in grande prestigio già prima dell’arrivo in Europa del liocorno. In Oriente, ed in particolare in Cina, credevano nei poteri curativi del corno del rinoceronte indiano.

Indipendentemente dal fatto che appartenga o meno all’unicorno, il corno è sempre stato considerato, già nelle società primitive, un oggetto con poteri straordinari che proteggeva dagli spiriti maligni e poteva curare. Ci si trova in presenza di uno dei simboli più antichi, che evoca contemporaneamente una forza positiva ed una potenza selvaggia non controllata. Il simbolismo del corno è costantemente presente: nella mitologia con le celeberrime corna della capra Amaltea che nutrì il re dell’Olimpo Zeus e che diventò poi il cosiddetto corno dell’abbondanza connesso alla fertilità; nella tradizione biblica dove più volte compaiono animali cornuti, ed in particolare in questo contesto occorre far riferimento alla presenza del re’em (termine ebraico per indicare probabilmente l’uro, bovino oggi estinto), che nel III secolo a.C. i settantadue sapienti tradussero erroneamente con monókerōs identificando il re’em con l’unicorno; negli scritti patristici: in questi tre casi assume un significato ambivalente: “signe d’une puissance virile, voire sexuelle, ou plus généralement guerrière, politique ou religieuse, les cornes sont d’abord une arme.”45 Questa citazione riportata dallo studioso Hüe sintetizza alcune valenze specifiche dell’alicorno, in seguito trasferitesi anche all’animale stesso. Anzi queste virtù appena elencate, a cui si aggiunge quella curativa, nel liocorno sono molto più forti, in

44 Gaio Giulio Solino, Collectanea rerum memorabilium,52, 39 in Liselotte Wehrhahn-Stauch, Einhorn, in

“Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte”, Schimtt Otto, Gall Ernst e Heydenreich Ludwig H. (a cura di), tomo 4, Stuttgard: Metzler, 1958, p. 1507.

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