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Nuove biotenologie per la produzione di piante micorrizate con tartufo

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Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna

FACOLTÁ DI AGRARIA

Dipartimento di Scienze Agrarie (DipSA)

DOTTORATO DI RICERCA IN

ECOLOGIA MICROBICA E PATOLOGIA VEGETALE

Ciclo XXV°

SCIENZE AGRARIE E VETERINARIE

Settore/i scientifico-disciplinare/i di afferenza:

AGR/12 PATOLOGIA VEGETALE

Tutore:

Prof. Alessandra Zambonelli

Coordinatore:

Prof. Paolo Bertolini

Relatori:

Dott. Mirco Iotti

Dott.ssa Piattoni Federica

Tesi di dottorato di:

Siham BOUTAHIR

Aprile 2013

Bologna - Italia

NUOVE BIOTECNOLOGIE PER LA

PRODUZIONE DI PIANTE MICORRIZATE

CON TARTUFO

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Questa tesi é dedicata a un pezzo del mio cuore che non c’è più e da sempre

ha voluto vedermi un giorno dottoranda. Questo giorno é arrivato e spero con

tutto il mio cuore che lei da lassù possa guardarmi ed essere fiera di me.

Alla mia preziosa e amata Sorella, Fatima.

Grazie per aver creduto nelle mie scelte

Sei e sarai sempre nel mio cuore.

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RINGRAZIAMENTI

Il presente lavoro è il risultato di un impegno durato tre anni. Durante

questo periodo ho avuto la fortuna di lavorare con persone che mi

hanno trasmesso uno straordinario patrimonio di valori e conoscenze.

A tutti loro vanno i miei ringraziamenti.

Ringrazio la Prof.ssa Alessandra Zambonelli, mia Tutrice del

Dottorato di Ricerca, che ha investito la sua conoscenza ed il suo

tempo in interessanti confronti e determinanti contributi sull’intero

lavoro svolto, consigliandomi e guidandomi costantemente.

Ringrazio la Prof.ssa Zambonelli soprattutto per avermi trasmesso la

metodologia di lavoro, la rapidità e la capacità di affrontare

problematiche diverse. Desidero ringraziare

Dott. Mirco Iotti e la

Dott.ssa Federica Piattoni per la costante disponibilità e appoggio che

mi hanno fornito durante tutto il corso del Dottorato, i loro preziosi

insegnamenti e consigli. Il loro aiuto è stato fondamentale nello

svolgimento di questa ricerca.

Vorrei anche ringraziare la Dott.ssa Antonella Amicucci e la

dottoranda

Valentina Sparvoli per la collaborazione e l’aiuto nelle

analisi.

La mia esperienza all’estero presso l’INRA di Nancy in Francia

(Unità Interazioni Alberi-Microrganismi, IAM) è stata breve ma

intensa e per questo posso solo ringraziare il Dott. Claude Murat e la

Dott.ssa Annegret Kohler per i consigli preziosi, per il tempo e per

l’interesse che mi hanno dedicato.

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6

Infine, l’ultimo ringraziamento va alle persone che mi sono state

vicine e hanno creduto in me per tutto questo tempo

e che hanno fatto

in modo che questa “avventura” assumesse il giusto significato e la

giusta luce nella nostra vita insieme.

Un ringraziamento speciale a mia madre Mahjouba per essere stata al

mio fianco sempre e che, quando mi guarda negli occhi, non vede che

la sua bambina. A mio padre Mohammed, ai miei due fratelli Khalid

e Rachid, ed alla mia seconda sorella Monique per avermi saputo

comunicare la loro vicinanza emotiva ed il loro incrollabile sostegno

morale, senza i quali non avrei mai intrapreso questa strada e

raggiunto questo traguardo.

Un ringraziamento particolare va ad Andrea, mio marito, per essermi

stato sempre vicino e per avermi dato la sua profonda fiducia e la

partecipazione costante ad ogni mia difficoltà, come solo lui sa fare, e

per avermi incoraggiata in quei momenti in cui non si è certi di

potercela fare. Condensare in qualche riga tutto quello che ho

ricevuto da voi in questi anni non è umanamente possibile e sarebbe

riduttivo ed ingiusto, perciò mi limiterò a dire che avete continuato a

crederci anche quando non ci credevo più nemmeno io e di questo

non vi sarò mai abbastanza grata.

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Sommario

1. INTRODUZIONE 13

1.1. Generalità sui funghi 13

1.2. Importanza ecologica dei funghi negli ecosistemi forestali 15

1.3. Interazione pianta- microrganismi 15

1.3.1. La simbiosi micorrizica 16

1.3.2. L’importanza della simbiosi micorrizica per la pianta 19

1.3.2.1. Nutrizione minerale 20

1.3.2.2. Tolleranza ai metalli pesanti nel suolo 21

1.3.2.3. Protezione dagli stress salini 22

1.3.2.4. Protezione dagli stress idrici 22

1.3.2.5. Protezione dalla malattie 23

1.4. Generalità su tartufo 24

1.4.1. Il ciclo biologico 26

1.4.2. Tassonomia 27

1.4.3. L’ecologia dei tartufi 30

1.4.4. Caratteristiche ecologiche delle principali specie di tartufi 32

1.4.5. Il tartufo e i batteri del suolo 33

1.5. La coltivazione del tartufo 33

1.5.1. La micorrizazione con tartufo e controllo delle piante tartufigene 35

1.5.2. Metodi di micorrizazione 35

1.6. Metodi molecolari e l’identificazione dei funghi del genere Tuber 37

1.7. Tuber magnatum Pico 38

2. SCOPO DELLA TESI 42

Capitolo 3

3. Isolamento e caratterizzazione morfologica di ceppi di Tuber magnatum

3.1. Introduzione 45

3.2. Materiali e metodi 46

3.2.1. Isolamento dei miceli 46

3.2.2. Caratterizzazione morfologica dei ceppi isolati 47

(9)

9

3.3. Risultati e discussione 48

3.4. Conclusioni 51

Capitolo 4

4. Miglioramento dello sviluppo del micelio di T. magnatum

4.1. Introduzione 54 4.2. Materiali e metodi 55 4.2.1. Ceppi fungini 55 4.2.2. Condizioni di coltura 55 4.3. Risultati e discussione 56 4.4. Conclusioni 57

Capitolo 5

5. Effetto degli estratti radicali e miceliari sullo sviluppo di miceli di Tuber

5.1. Introduzione 59

5.2. Materiali e metodi 60

5.2.1. Ceppi fungini e materiale vegetale 60

5.2.2. Preparazione dell’estratto radicale di nocciolo 61 5.2.3. Preparazione dell’estratto miceliare di specie Tuber 61 5.2.4. Prove di crescita del micelio di T. borchii in substrato arricchito dell’estratto

radicale di nocciolo

62

5.2.5. Analisi morfologica dei miceli di T. borchii cresciuti con l’estratto radicale di nocciolo

62

5.2.6. Analisi degli estratti radicali di nocciolo e raccolta delle frazioni mediante HPLC-DAD

63

5.2.7. Prova di crescita di T.borchii con le frazioni dell’estratto radicale raccolte mediante HPLC

64

5.2.8. Analisi morfologiche dei miceli di T.borchii con le frazioni dell’estratto radicale raccolte mediante HPLC

65

5.2.9. Elaborazione statistica dei risultati dell’analisi morfologica 65 5.2.10. Analisi molecolari dei miceli di T. borchii trattati con gli estratti radicali di

nocciolo e con le singole frazioni dell'estratto

65

(10)

10

5.2.10.2. Sintesi del cDNA 66

5.2.10.3. Real time PCR 66

5.3. Risultati e Discussione 67

5.3.1. Analisi morfologiche dei miceli di T. magnatum incubati nell’estratto miceliare di specie Tuber

67

5.3.2. Analisi morfologiche dei miceli di T. borchii trattati con gli estratti radicali di nocciolo

68

5.3.3. Analisi morfologiche dei miceli di T. borchii trattati con le frazioni dell’estratto radicale raccolte mediante HPLC

70

5.3.4. Analisi molecolari dei miceli di T. borchii trattati con gli estratti radicali di nocciolo e con le singole frazioni dell'estratto

73

5.4. Conclusioni 76

Capitolo 6

6. Produzione di piantine micorizzate con T. magnatum ed altre specie di tartufo e studio della dinamica della colonizzazione radicale

6.1. Introduzione 78

6.2. Materiali e metodi 79

6.2.1. Ceppi fungini e specie arboree 79

6.2.2. Preparazione degli inoculi sporali e miceliari, allevamento e controllo delle piante micorrizate

80

6.2.3. Identificazione molecolare e descrizione delle micorrize 82 6.2.4. Verifica e quantificazione del micelio di T. magnatum 83

6.2.4.1. Prelievo dei campioni di suolo 83

6.2.4.2. Real time PCR 84

6.2.4.3. PCR qualitative sulle radici delle piante madri 85

6.3. Risultati e discussione 85

6.3.1. Colonizzazione radicale con T. magnatum, T. borchii e T. oligospermum 85 6.3.2. Caratterizzazione morfologica delle micorrize delle tre specie studiate 89 6.3.3. Verifica e quantificazione del micelio di T. magnatum 93

6.4. Conclusioni 94

(11)

11

7. Messa a punto di protocolli di conservazione per il mantenimento delle colture di Tuber spp., per la crezione di una banca di germoplasma per tartufi

7.1. Introduzione 97

7.2. Materiali e metodi 101

7.2.1. Ceppi fungini utilizzati 101

7.2.2. Ultracongelamento a – 80 °C 102

7.2.3. Crioconservazione in azoto liquido (-196°C) 102 7.2.3.1. Fase di congelamento del micelio 103 7.2.3.2. Fase di scongelamento del micelio 103 7.2.4. Prove di verifica dell’infettività del micelio 104

7.3. Risultati e discussione 104

7.3.1. Ultracongelamento a -80°C 104

7.3.2. Crioconservazione in azoto liquido 105

7.4. Conclusioni 109

Conclusioni generali

111

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1. Introduzione

1.1. Generalità sui funghi

Il mondo dei funghi sia macroscopici che microscopici è un mondo vasto, in gran parte sconosciuto, fondamentale per l’economia umana, e per l’equilibro degli ecosistemi. I funghi sono organismi eucariotici appartenenti al regno Fungi. Sono privi di clorofilla e pertanto sono eterotrofi, ossia usano la materia organica già sintetizzatada altri organismi comportandosi da saprotrofi, parassiti o simbionti mutualistici di piante, come nelle micorrize o nelle associazioni licheniche. I funghi nutrono per assorbimento e hanno la parete cellulare costituita da chitina, il loro tallo è costituito da cellule allungate filamentose (le ife) (che nel loro insieme costituiscono il micelio) e sono capaci di riprodursi sessualmente e/o agamicamente (Alexopoulos et al. 1996). I funghi più semplici sono organismi unicellulari come lieviti, ma la maggior parte sono in forma miceliale e pluricellulari (Redecker, 2002). La forma miceliale permette al fungo di avere una crescita radiale e colonizzare rapidamente e uniformemente un ambiente. La forma miceliale fornisce quindi una superficie massima di contatto e permette l'esplorazione e la ricerca delle sostanze nutritive in tre dimensioni (Jennings e Lysek, 1996). Essi si nutrono secernendo enzimi nel terreno che digeriscono i composti organici riducendoli a piccole molecole solubili (digestione extracellulare), queste molecole si diffondono poi all’interno delle loro ife attraverso la parete (Alexopoulos et al., 1996). Generalmente la stima accreditata del numero di specie di funghi sulla terra è 1,5 milioni (Hawksworth, 1991; Hawksworth, 1993; Heywood, 1995), di cui si ritiene che sia stato scoperto solo il 5% delle specie esistenti (70,000) (Hawksworth e Rossman, 1997); ciò significa che rimangono 1,43 milioni di specie ancora sconosciute alla scienza.

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Fig. 1- Classificazione del regno dei Funghi (da Hibett et al., 2007)

I funghi superiori sono compresi fra i Dikarya e sono divisi in due divisioni: Ascomiceti, Basidiomiceti.

In questa tesi sono stati studiati esclusivamente gli ascomiceti ed in particolare il genere

Tuber. La divisione Ascomycota costituisce il più grande gruppo di funghi finora conosciuti,

questa divisione comprende oltre 32.000 specie, corrispondenti a circa il 40% di quelle fino ad ora descritte (Hawksworth, 1991). Essi vivono in differenti habitat, infatti si possono trovare sia in ambiente acquatico che terrestre, inoltre riescono a sopravvivere in condizioni di moderato stress (Ahmed e Abdel Azeem, 2010), Molte specie di ascomiceti sono economicamente importanti (Damm et al., 2009), mentre poche di queste specie devono la loro importanza al fatto che sono commestibili come spugnole e i tartufi (Ahmed e Abdel

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Azeem, 2010), molte altre sono utilizzate a scopi biotecnologici come la produzione di alimenti, bevande, acidi organici, biofungicidi, biofertilizanti fungini, cosmetici e ormoni (Hyde e al. 2010). Gli ascomiceti sono in grado di comportarsi da saprotrofi, da parassiti o simbionti mutualistici.

1.2. Importanza ecologica dei funghi negli ecosistemi forestali

I funghi sono organismi chiave nel funzionamento degli ecosistemi e mentre noi possiamo ammirare il loro gran numero, la conoscenza della loro "diversità funzionale" è fondamentale per comprendere la loro importanza nella salute dell'ecosistema. Nell’ambito dei bioriduttori o decompositori si ritrovano una miriade di organismi viventi che hanno il compito di degradare la materia organica proveniente dai livelli trofici precedenti. Tutti questi organismi non devono essere considerati come singoli elementi scollegati, ma come componenti di un sistema vitale complesso, dove gli organismi presenti intrecciano rapporti e relazioni sociali di vario genere ed interagiscono tra loro e con l’ambiente che li circonda, determinandone caratteristiche ed equilibri che contribuiscono a mantenerne la loro biodiversità. In questo contesto i funghi rivestono un ruolo fondamentale nei cicli naturali per le loro peculiari modalità di nutrimento. In particolare sono fondamentali per la degradazione e la mobilitazione dei recalcitranti composti organici del legno morto. I funghi non solo contribuiscono al riciclo dei nutrienti attraverso la loro decomposizione, ma anche riescono a trattenere i nutrienti all'interno della loro biomassa vivente nel suolo, riducendo così la perdita di nutrienti attraverso la lisciviazione. Il micelio nel suolo è una presenza molto importante, la biomassa fungina è infatti una fonte primaria di cibo per molti altri organismi (Molina, 1994).

1.3. Interazione pianta- microrganismi

Nelle ultimi anni la ricerca ha dimostrato con sempre maggiore evidenza che la conoscenza delle relazioni microorganismi - pianta è essenziale per un corretto funzionamento di tutti gli

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ecosistemi terrestri al fine di ottimizzare le rese e nello stesso tempo salvaguardare l’ambiente. I rapporti reciproci tra piante e microrganismi possono essere simbiotici mutualistici o antagonistici; la maggior parte degli studi ha mostrato che molti microrganismi hanno un effetto benefico per la pianta: essi promuovono la decomposizione e la mineralizzazione dei residui organici e facilitano così l’assorbimento dei nutrienti, promuovono la crescita, fissano l’azoto, e possono proteggere le piante dall’attacco dei patogeni.

1.3.1. La simbiosi micorrizica

A livello della rizosfera possono instaurarsi molteplici tipi di interazioni (Fig.2) tra cui quelle simbiotiche. Si definisce associazione micorrizia un’interazione simbiotica mutualistica tra funghi micorrizici e piante superiori e costituisce la forma di simbiosi più diffusa su scala globale (Jennings e Lysek, 1996). La simbiosi micorrizica, venne osservata per la prima volta dall’italiano Gibelli (1879, 1883), ma la considerò come uno stato patologico, successivamente solo il tedesco Frank (1885) ha dimostrato la natura simbiotica di queste structure, a cui ha dato il nome di micorrize.

Il termine micorriza deriva dal greco mykes = fungo e rhiza = radice e descrive un’associazione intima strutturale e funzionale tra gli apici delle radici di una pianta e le ife fungine. Come già detto la micorriza è una forma di simbiosi principalmente mutualistica, per cui i due organismi portano avanti il loro ciclo vitale vivendo a stretto contatto e traendo benefici reciproci. Si stima che circa il 90% delle piante effettuano spontaneamente questa associazione (Smith e Read, 1997), in generale, sono presenti nell’83% delle dicotiledoni, nel 79% delle monocotiledoni ed in tutte le gimnosperme (Wilcox, 1991). Hanno un ruolo cruciale nello sviluppo e nel mantenimento di comunità di piante e perciò sono considerate come “ecologicamente obbligate” e influenzano fortemente la diversità e la produttività delle foreste e possono anche esercitare una pressione selettiva sui microrganismi del suolo, sia sulla loro diversità genetica che sulla loro diversità funzionale (Klett et al., 2005). Una

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pianta può essere micorrizata con diversi funghi ed un singolo fungo può infettare diverse piante. Quindi, la complessità delle possibili combinazioni dalla simbiosi micorrizica è enorme. Le micorrize vengono tradizionalmente classificate in base alle modalità di colonizzazione (Fig.2), in:

endomicorrize [micorrize (VAM) arbuscolo – vescicolari o (AM) arbuscolari] quando il

fungo penetra all’interno dei tessuti e delle cellule corticali dell’ospite ma non forma un mantello fungino esterno, le ife fungine s'insediano sulla parte corticale della radice penetrandone le cellule e riempiendone gli spazi intercellulari senza però invadere mai il cilindro centrale. All’interno delle cellule possono formare delle strutture ovoidali dette vescicole e delle strutture ramificate dette arbuscoli. Gli arbuscoli penetrando nelle cellule dell’ospite superano la parte cellulare ma non la membrana citoplasmatica che si invagina seguendone lo sviluppo. Le micorrize VA sono le più diffuse nel mondo vegetale mentre i funghi che formano micorrize VA sono esclusivamente Glomeromycota.

Le ectomicorrize (ECM) costituiscono l’altro principale tipo di associazione micorrizica.

Esse sono caratteristiche delle piante forestali e di funghi come i Basidiomiceti e gli Ascomiceti (Buscot et al., 2000). Nelle ectomicorrize il fungo si sviluppa internamente alle radice solo nell’apoplasto originando il cosiddetto reticolo di Hartig e forma un mantello fungino ricoprente l’apice radicale detto micoclena. Esse inoltre sviluppano una rete miceliare che si diparte dal mantello e esplora il terreno circonstante da cui si sviluppa il corpo fruttifero che può essere epigeo o ipogeo (nei cosiddetti tartufi). I funghi ECM hanno un ruolo importante per piante ospiti sia negli ecosistemi naturali sia in queli forestali (Grove e Le Tacon, 1993). Le ectomicorrize interessano il 3% delle fanerogame (Meyer, 1973). Molina et al. (1992) hanno stimato che circa 5.500 specie vegetali e circa 20,000-25,000 specie fungine sono in grado di formare la simbiosi ectomicorrizica (Rinaldi et al. 2008). Attualmente non è stato ancora chiarito con certezza quando le ectomicorrize siano comparse sulla terra; basandosi su dati molecolari, Berbee e Taylor (1993) hanno suggerito che i

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funghi ectomicorrizici siano comparsi per la prima volta durante il cretaceo inferiore (130 milioni di anni fa), questa ipotesa è stata confermata dalle prime esame delle testimonianze fossili di ectomicorrize in radici di Pinus (Alvin, 1960).

Nelle ectomicorrize il mantello fungino di spessore variabile (20-60 µm) costituisce dal 20 al 40% della massa totale di un’ectomicorriza (Vogt et al., 1991). Esso è considerato come un sito di immagazzinamento per i nutrienti del fungo acquisiti dal suolo (Smith e Read, 1997) e come una protezione della radice. Nei tessuti fungini infatti le concentrazioni di N e P sono più alte da 4 a 5 volte rispetto a costituite presenti nelle piante (Vogt et al., 1981). Il reticolo di Hartig è costituisce da un interfaccia tra i due simbionti quindi ha un ruolo chiave nella micorriza funzionalmente attiva (Bonfante, 2001); esso é formato da ife che dal mantello si estendono verso l’interno della radice, tra l’epidermide e le cellule corticali e che si organizzano a formare un tessuto pseudoparenchimatoso che avvolge completamente le cellule radicali. Questa struttura é molto importante poiché permette al fungo di mantenere la continuità dello scambio di fotoassimilati, nutrienti e acqua tra la pianta ospite ed il suo partner fungino. Le ife extraradicali formano un ponte di connessione fondamentale della micorriza col suolo, da cui traggono i nutrienti. (Martin e Tagu, 1999) (Fig.2).

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Ectomicorrize

Endomicorrize

Fig. 2 - I principali tipi di associazione micorrizica (da Selosse e Le Tacon, 1998).

1.3.2. L’importanza della simbiosi micorrizice per la pianta

Il termine rizosfera è stato introdotto nel 1904 da Lorenz Hiltner (Linser et al., 2006) e definito come una regione di terreno direttamente influenzata delle radici e dai microrganismi associati; questa piccola porzione è considerata come una zona ecologica ricca di elementi nutritivi, microflora, microfauna. Fra i microrganismi della rizosfera i funghi micorrizici hanno un ruolo fondamentale per lo sviluppo della pianta. Nella micorrizosfera le micorrize incrementano notevolmente le capacità di esplorazione del suolo

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dell’apparato radicale delle piante ospiti e creano condizioni particolarmente favorevoli per le piante. A livello di ecosistema, l’effetto delle micorrize si traduce in un’importante influenza, sui cicli dei nutrienti, sulle popolazioni microbiche, su un miglioramento della struttura del suolo. L'uso di funghi micorrizici può ridurre l'uso di agrofarmaci, perché la loro presenza protegge le radici contro agenti patogeni. A lungo termine, il loro uso riduce i costi associati alla coltivazione, essendo un'ottima alternativa ai prodotti chimici, sia nei paesi in via ai sviluppo sia nei paesi industrializzati (Dechamplain e Gosselin, 2002).

Inoltre le piante micorrizate si presentano spesso più competitive e più tolleranti nei confronti degli stress ambientali rispetto alle piante non micorrizate.

1.3.2.1. Nutrizione minerale

Dal punto di visa nutritivo il partner fungino svolge un ruolo fondamentale, perché le ife si espandono nel terreno circostante per diversi metri, questa ricerca porta ad un aumento della superficie del sistema radicale della pianta (1000 metri di micelio per ogni metro di radice) (Plassard et al. 2000) e consente di esplorare volumi maggiori di terreno con minore dispendio energetico e quindi con una maggiore efficienza. Percò possono estrarre dal suolo una maggiore quantità di nutrienti minerali. In particolare i funghi micorrizi sono in grado di assorbire i composti azotati e fosfatici trasformarli in molecole facilmente utilizzabili dalla radice della pianta ospite; questo si traduce in una maggiore crescita della pianta. L’“effetto crescita” è evidente soprattutto nei terreni poveri di elementi minerali. Il fungo inoltre può solubilizzare composti insolubili presenti nel terreno, aumentando la disponibilità di elementi nutritivi. Dal punto di vista selettivo, perciò le piante micorriziche hanno un vantaggio nei confronti delle piante non micorriziche essendo in grado di adattarsi anche in terreni paticolmenti poveri di elementi nutritivi.

L’instaurarsi delle simbiosi micorrizici tra fungo e pianta é favorità dalle scarsità di azoto nel suolo. Infatti se l’azoto è in eccesso, la pianta è in grado di assorbirne da sola una sufficiente quantità senza l’aiuto del fungo e pertanto non metteno zuccheri a disposizione

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21 del fungo (Buscot et al., 2000).

Da molto tempo é stato dimostrato che tra i simbionti micorrizici si verifica una traslocazione bidirezionale di sostanze diverse. Già nei primi studi sulle micorrize alcuni autori, che avevano somministrato alle ife fungine sostanze nutritive marcate isotopicamente (ioni fosfato, ammonio, nitrato, sodio, calcio etc.) e le hanno ritrovate nelle foglie dei loro ospiti (Melin e Nilsson, 1958; Melin e Nilsson, 1952; Melin e Nilsson, 1953). Oltre al miglioramento della nutrizione minerale, le micorrize offrono altri benefici come la tolleranza allo stress idrico (Lamhamedi et al., 1992), la tolleranza ai metalli pesanti (Read, 1999) e la protezione contro gli agenti patogeni (Aguilar-Azcon e Barea. 1996).

1.3.2.2. Tolleranza ai metalli pesanti nel suolo

All’interno del biota del suolo, i funghi micorrizici hanno evidenziato caratteristiche uniche di assorbimento e tolleranza ai metalli pesanti e sono in grado di colonizzare aree che presentano altissime concentrazioni di ioni metallici quali Pb2+, Zn2+, Cd2+. Questo meccanismo non è facile da spiegare e presenta una notevole specificità a seconda del metallo e della specie di fungo coinvolta (Hall, 2002). La resistenza al metalli pesanti può essere acquista attraverso l’assorbimento dell’inquinante da parte delle ife e la chelazione da parte di sostanze secrete dai funghi come la glomalina (Hall, 2002), o attraverso meccanismi che permettono al fungo di tollerare e sopravvivere in presenza di concentrazioni elevate dell’elemento tossico (Turnau et al., 1996). Essi non possono essere chimicamente degradati e si accumulano nella biosfera, questi metalli possono essere sequestrati dal mantello fungino, possono altresì accumularsi nei corpi fruttiferi dei fungi, rendendoli inadatti al consumo. L’unica soluzione per un completo biorisanamento è utilizare tecniche di immobilizzazione e di estrazione del metallo dal suolo (Leyval et al., 1997). Nei suoli inquinati è stato mostrato che i funghi AM, influenzano in più modi l’assorbimento e alleviano gli effeti della tossicità del metallo tossico (Leyval et al., 1997). Dixon e Buschema, (1988) hanno dimostrato che piante di Pinus banksiana e di Picea glauca

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inoculate con il fungo ectomicorrizico Suillus luteus, erano protette dalla tossicità dei metalli pesanti e la loro crescita era favorita. Le micorrize sono stati proposte come anche bioindicatori della presenza di inquinanti nel suolo, infatti alcune specie o ceppi fungini ectomicorrizici sono più sensibili di altre possono essere utilizzate come uno strumento integrativo alle procedure chimiche di estrazione dei metalli dal suolo per verificarne la presenza a livelli tossici..

1.3.2.3. Protezione dagli stress salini

Il beneficio delle micorrize verso le piante non si concretizza solamente nei confronti dell’assorbimento di nutrienti e tolleranza ai metalli pesanti. Infatti le piante micorrizate mostrano spesso una maggiore resistenza/tolleranza agli stress biotici (attacchi di funghi patogeni e nematodi) e abiotici (stress idrico e salino). L’eccesiva salinità rappresenta spesso una delle principali cause di stress limitanti la crescita e la produttività delle piante coltivate. I funghi micorrizici hanno un ruolo positivo nella tolleranza della pianta alla salinità. Questa resistenza viene indotta tramite una limitazione nell’assorbimento degli ioni Na e Cl presenti nel terreno circostante, tramite il miglioramento delle condizioni osmotiche della pianta (Azcon et al., 1996) e tramite un bilanciamento tra gli ioni meno facilmente disponibili, quali il fosfato (Graham, 1986). Bedini et al. (2004) hanno scoperto una recente glicoproteina dinominata, glomalina prodotta di due specie specie di funghi micorrizici arbuscolari (AM), Glomus mosseae e Glomus intraradices che è in grado di chelare fortemente non solo il ferro, ma anche metalli pesanti potenzialmente tossici, incluso il sodio.

1.3.2.4. Protezione dagli stress idrico

Le micorizze possono essere considerate un prolungamento dell’ apparato radicale, per cui garantiscono un resistenza allo stress idrico anche in condizioni di estrema secchezza; ciò é dovuto a moltissimi fattori come l’aumento della conduttività idrica della pianta, la diminuzione della resistenza al flusso dell’acqua che attraversa la pianta, ma soprattutto al

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maggior assorbimento dell’acqua da parte delle ife extraradicali che si estendono oltre la zona esplorata dalle radice. Coleman et al., (1990) hanno dimostrato che la conducibilità idrica del sistema suolo – pianta é migliore nelle piante micorrizate.

1.3.2.5. Protezione della malattia

Molti microrganismi (funghi, batteri) come i funghi micorrizici possono proteggere la pianta ospite attraverso meccanismi diversi quali la competizione con i patogeni per i siti di infezione e per i nutrienti, la formazione di una barriera fisica intorno alle radici, l’induzione di meccanismi di difesa. Nelle cellule contenenti gli arbuscoli, vengono infatti attivati di geni codificanti per la resistenza ai patogeni. Inoltre, l’applicazione di funghi micorrizici è in grado di attivare nei tessuti della pianta una resistenza sistemica efficace oltre che contro i patogeni radicali, anche nei confronti di quelli della parte aerea e di organismi sistemici quali i fitoplasmi (Romanazzi et al., 2009). I funghi micorrizi possono ridurre la gravità di alcune avversità biotiche causate da nematodi e soprattutto da patogeni tellurici (Sclerotium

cepivorum, Fusarium oxysporum, Verticillium dahliae, Rhizoctonia solani, Phytophthora capsici, Pythium spp., ecc.) (Whipps, 2004), alterando la fisiologia dell’ospite e rendendo le

radici più resistenti ai patogeni stessi. Le piante micorrizate resistono meglio all’attacco di agenti patogeni e crescono meglio rispetto quelle non micorrizate (Andrade et al. 2009). Si stima che le micorrize possono portare ad una riduzione della patologie fungine compresa tra il 55% ed il 70% (Dehne, 1982). Infatti le radici micorrizate costituiscono una barriera fisica contro i patogeni e possono secernere alcuni antibiotici che inibiscono i patogeni radicali (Perrin, 1985). Pozo e Azcón-Aguilar (2007) hanno dimostrato, che la formazione delle micorrize induce nella pianta una resistenza di tipo sistemico (ISR), simile a quella indotta a seguito di risposta di ipersensibilità. In particolare alcuni enzimi idrolitici prodotti a seguito dell’infezione micorrizica, quali chitinasi e ß- glucanasi hanno un ruolo protettivo; essi infatti sono riconosciuti per la loro attività antifungina (Dalpé, 2005). In alcune associazioni fungo - pianta si vede inoltre un aumento del livello di lignificazione della parete cellulare

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dell’ endoderma, dei tessuti vascolari e un accumolo di callosio, questo permette la formazione di una barriera contro la penetrazione di patogeni (Dalpé, 2005).

1.4. Generalità sul tartufo

Cenni storici

Il tartufo è un frutto della terra già conosciuto dai tempi più antichi; alcuni storici fanno risalire la prima menzione del tartufo come alimento ai tempi di Giacobbe, circa milleseicento anni prima di Cristo.

In un libro intitolato "Storia delle piante", Plinio il Vecchio afferma che i tartufi sono piante senza radici originali dalla terra. Altri autori antichi pensavano che l’origine di questo prezioso fungo fosse dovuta all’azione dell’acqua, del calore e dei fulmini (Pacioni, 1986). Secondo Ravel (in Moigno, 1856) il tartufo nasce dalla puntura fatta da una mosca alla radice di alcune specie di alberi, soprattutto querce. Solo recentemente Alfonso Ciccarello nel 1564 in un piccolo libro, intitolato“l’opusculum de Tuberibus” considera per la prima volta il tartufo come uno speciale tipo di fungo. Infine solo 19 ° secolo, (Frank, 1885) scopre le micorrize.

Caratteristiche generali

Dal punto di vista della collocazione sistematica, il tartufo è un fungo ipogei appartenente alla classe degli Ascomiceti, che forma ectomicorrize, come tutti i funghi non è in grado, per la mancanza di clorofilla, di compiere la fotosintesi che produce le sostanze necessarie all’accrescimento della pianta, cosicché per crescere e svilupparsi ha la necessità di trarre il nutrimento da altre piante (piante simbionti): querce, pioppi, salici, noccioli, faggi, conifere. Come tutti gli ascomiceti, i tartufi sono caratterizzati dalla presenza di strutture microscopiche (aschi) che contengono spore (ascospore), cioè gli organi per la riproduzione sessuata del fungo.. Le esigenze ecologiche dei tartufi sono molto specifiche . In generale, i tartufi di maggiore pregio sono anche i più esigenti in fatto di temperatura, di quantità e distribuzione delle piogge, di tipo di suolo, mentre quelli di minor pregio sono adattabili ad

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una maggiore varietà di habitat. Nel mondo ci sono circa 60 specie di tartufi (Trappe, 1979), di cui circa 20 crescono in Europa (Riousset et al., 2001) tutte presenti in Italia. In base alla legge nazionale 752 del 16 dicembre 1985, che regolamenta la raccolta, la conservazione e la commercializzazione dei tartufi in Italia, sono solo 9 i taxa (corrispondenti a 7 specie) che possono essere commercializzati (fig.3).

Fig. 3: Tartufi che possono essere raccolti e commercializzati in Italia

Tuber magnatum Pico ( il tartufo bianco pregiato) all’estero conosciuto come “Italian white

truffle”e Tuber melanosporum Vittad. (il tartufo nero pregiato), “the black diamond of Perigord sono le specie che raggiungono il più elevato valore commerciale e economico a livello mondiale, mentre altre (Tuber borchii Vittad., Tuber macrosporum Vittad., Tuber

aestivum Vittad., Tuber. brumale Vittad. e Tuber. mesentericum Vittad.) sono meno

pregiate, ma hanno importanza a livello locale. Esistono inoltre altre specie di tartufi provenienti da altri continenti e che sono localmente consumate, alcune delle quali hanno di

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scarso valore commerciale, come Terfezia arenaria, (soprattutto nel nord dell’Africa e Siria),

Tuber oligospermum (Marocco), Tuber oregonense, Tuber griseum, Leucangium carthusianum (nord America), Tuber indicum e Tuber pseudoexcavatum (Cina). Alcune di

queste specie in particolare T. indicum e T. oligospermum vengono importate clandestinamente in Italia e commercializzate come i tartufi più pregiati.

1.4.1. Il ciclo biologico

Il ciclo biologico dei tartufi è particolarmente complesso e presenta alcune fasi ancora non del tutto chiarite. Sulla base di studi condotti principalmente su T. melanosporum è possibile identificare tre fasi: la fase vegetativa, quella riproduttiva e quella simbiotica,; dopo un periodo variabile di quiescenza e in condizioni pedoclimatiche più favorevoli, le spore disseminate nel terreno da animali idnofagi cominciano a germinare, emettendo prima un micelio momonucleato (micelio primario, fase vegetativa) che si accresce verso le giovani radici delle piante formando le micorrize (fase simbiotica). In condizioni ecologiche ideali quando la pianta ospite ha raggiunto la maturità fisiologica, la micorriza smettono di crescere e si sviluppano il primordio del corpo fruttifero a seguito della gamia fra due miceli di mating type diveso (fase di fruttificazione). In seguito il corpo fruttifero si rende indipendente dalla pianta e continua il suo sviluppo, in modo autonomo mediante l’assorbimento di nutrienti dal terreno con il proprio micelio peritrofico fino alla completa naturazione. Parguey-Leduc et al., (1984) hanno dimostrato che quando l’ascocarpo raggiugere le dimensioni di 1 mm di diametro, e circa 3 mg di peso, esso presenta già il peridio formato e la gleba costituita da vene fertili e sterili.

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27 Ciclo biologico del tartufo (www.tuber.it)

1.4.2. Tassonomia

Dopo il Rinascimento, l'Italia divenne la culla del lavoro di ricerca sul tartufo. De Borsch, (1780) pubbicò a Milano un primo libro sul tartufo in cui riconosce tre specie di Tuber. Sempre a Milano, nel 1787, il torinese Vittorio Pico, nella sua mirabile tesi di laurea in medicina, intitolata “Melethemata inauguralia - Exphysica de fungorum generatione et propagatione”,descrisse, per la prima volta i caratteri morfologici macro - e microscopici di

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2001). Carlo Vittadini (1800-1865), medico milanese e naturalista dell’Orto Botanico dell’Università di Pavia, nella sua opera“Monographia tuberacearum” (1831), fece notevoli progressi nella tassonomia dei tartufi e descrisse ben 51 specie. I tartufi sono stati considerati in un primo tempo appartenenti all’ordine delle Tuberales. Nel 1979, basandosi su criteri morfologici e biochimici, Trappe inseriva la famiglia delle Tuberacee, di cui fanno parte i tartufi, nell’ordine delle Pezizales, insieme alle famiglie delle Helvellaceae, Pezizaceae, Ascobolaceae, ecc . In seguito le analisi filogenetiche codotte sulle regioni 18S e 28S del DNA ribosomale da Percudani et al. (1999) hanno confermato la collocazione sistematica dei tartufi nell’ordine delle Pezizales (fig.4). In fig.5 è riportata la più recente classificazione dell’ordine Pezizales di Hansen e Pfister (2006).

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Fig.5. Albero filogenetico dell’ordine delle Pezizales secondo Hansen e Pfister (2006) 1.4.3. Ecologia dei tartufi

L’ecologia è la scienza che studia le relazioni tra sistemi viventi e tra questi e l’ambiente ovvero tra i fattori abiotici (condizioni fisico-chimiche, luce, temperatura, acqua, composizione del suolo) e i fattori biotici (compendono tutti gli esseri viventi che vivono in

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un ecosistema; essi interagiscono sia fra di loro sia con l’ambiente che li circonda).

Le ricerche ecologiche sui tartufi hanno permesso di studiare i caratteri degli ambienti dove i tartufi nascono e si sviluppano spontaneamente; questi risultati hanno permesso di capire le loro principali esigenze di cui tenere conto per la loro coltivazione e di individuare i più importanti fattori ecologici responsabili della loro fruttificazione. Le esigenze ecologiche dei tartufi riguardono il clima, con tutti i suoi componenti (altitudine, latitudine, venti, temperature, precipitazioni, umidità dell’aria). Fra questi fattori climatici l’andamento delle precipitazionie le temperature, hanno un effetto notevole sugli ecosistemi condizionando la distribuzione e la composizione delle biocenosi e determinano condizioni favorevoli sull’attività del micelio del tartufo, lo sviluppo e la formazione delle micorrize ed particolare influenzano la composizione delle comunità fungine ectomicorriziche. Lo studio dei suoli è estremamente importante. Il suolo infatti è la porzione interposta tra l’atmosfera e la litosfera, che ospita sia la pianta sia il tartufo; in particolare i tartufi esigono terreno basico (pH superiore a 7) e calcareo; se il pH è inferiore a 6 nessun tipo di tartufo potrà sciluppare. Le specie microbiche del suolo possono inoltre influenzare la composizione delle comunità fungine ectomicorriziche come sarà illustrato nel paragrafo successivo.

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1.4.4. Caratteristiche ecologiche delle principali specie di tartufi Distribuzione

geografica

caratteristiche del suolo

Piante Simbionti

T. magnatum Principale paese produttore di questo tartufo è l'Italia, ma possiamo trovarlo in Istria, Croazia, e in piccole aree del sud est della Francia, Ungheria, Serbia, Slovenia e CantonTicino (Hall et al., 2007) Terreno preferibilmente marnoso-calcareo, povero di fosforo e di azoto ma ricco di potassio, con scarsa dotazione di sostanza organica, con pH tra 7-8,5. I terreni favorevoli a T.magntum sono ben drenati (Riousset et al., 2001)

Si ritrova sotto pioppo (in particolare pioppo

bianco), salice, tiglio, querce (roverella, leccio, farnia, e cerro), altri simbionti sono il nocciolo (Corylus avellana), il carpino nero (Ostrya

carpinifolia),

(Riousset et al., 2001)

T. borchii Ha una vasta distribuzione geografica in Europa, della Sicilia fino al sud della Finlandia (Riousset et al., 2001) Caratterizzato da terreni sabbiosi e calcarei tipici delle pinete litoranee, ma vegeta anche nei terreni argillosi e debolmente acidi (Riousset et al., 2001)

Si trova sotto , pino domestico (Pinus pinea), pino marittimo (Pinus pinaster), pino d'Aleppo (Pinus halepensis), simbionti sono anche le querce sia rovere (Quercus sessiflora), cerro (Quercus cerris) e roverella (Quercus pubescens)

T .melanosporum Areale di diffusione molto vasto, si trova in Francia, Italia e Spagna. è stato trovato trovato anche in Gran Bretagna, Svizzera, Portogallo, Serbia, Grecia, Bulgaria e Turchia. (Riousset et al., 2001) Terreno calcareo breccioso (permeabile), con pH tra 7,5 e 8,0. È stato trovato nei suoli dell'era primaria, secondaria, terziaria e quaternaria (Riousset et al., 2001)

Si trova sotto le piante di roverella , di leccio, di nocciolo, di carpino,

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1.4.5. Il tartufo e i batteri del suolo

Il suolo è l’habitat d’elezione dei funghi, le comunità microbiche in esso presenti potrebbero avere un impatto nella colonizzazione delle radici delle piante da parte dei funghi micorrizici e alterare gli effetti che i funghi hanno sulla crescita della pianta stessa (Piculell, 2008). Alcuni batteri presenti nella rizosfera sono in grado di favorire l’instaurarsi della micorrizazione e di stimolare la capacità di infezione fra fungo e pianta ( Frey- klett et al., 2007). Una ricerca condotta da Hodge et al. (2000), che riguarda le micorrize arbuscolari, dimostra che la comunità microbica del suolo è in grado di influenzare la crescita del fungo e lo stabilirsi del rapporto simbiotico con la pianta ospite in maniera positva, negativa o neutra. In particolare, gli effetti negativi sul fungo si traducono con la riduzione del numero di spore germinanti, della lunghezza delle ife, del grado di colonizzazione della radice della pianta ospite. Gli effetti positivi indotti dalla componente microbica si esplicano in una maggior crescita del micelio fungino e in un aumento della capacità iniziale del fungo di colonizzare le radici della pianta, contribuendo quindi a migliorare lo sviluppo e il funzionamento della simbiosi micorrizica.

1.5. La coltivazione del tartufo

Coltivare i tartufi è sempre stata l’aspirazione di molti studiosi a causa dell’alto valore gastronomico e commerciale che hanno questi preziosi funghi. Nel tempo sono state provate varie tecniche di coltivazione. All’inizio del XIX secolo i primi tentativi di coltivazione risalgono ad un agricoltore francese Joseph Talon. Egli scoprì che era possibile creare nuove tartufaie seminado ghiande in terreni idonei allo sviluppo del tartufo (Singer e Harris, 1987). Verso la fine del XIX secolo, la produzione di tartufi in Francia aumentò notevolmente (Chatin, 1892). In Italia tali ricerche furono riprese da Mattirolo (1928), che aveva già ben chiaro il significato biologico delle micorrize; egli sosteneva che per coltivare il tartufo bisognava rimboschire terreni adatti con determinate specie arboree, quali querce, salici e noccioli. Nel 1931 Francolini, suggerì che per realizzare tartufaie artificiali bisognava

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distribuire direttamente nel terreno frammenti di carpofori maturi (Francolini, 1931). Purtroppo, gli impianti effettuati da Francolini non dettero i risultati produttivi attesi a causa dei funghi ectomicorrizici antagonisti presenti nelle aree del impianto. Lorenzo Mannozzi Torini Ispettore del Corpo Forestale dello Stato) (Mannozzi-Torini, 1976) può essere considerato il padre della tartuficoltura moderna, infatti fu il primo ad ottenere, in laboratorio, piantine micorrizate in condizioni controllate con Tuber spp. Nel corso degli ultimi anni, grazie agli studi di numerosi ricercatori italiani e francesi, le tecniche di coltivazione del tartufo si sono sempre più perfezionate. Oggi la tartuficoltura è un’importante realtà produttiva per molte specie di tartufo. L’Italia è ricca di ambienti in cui varie specie di tartufo potenzialmente possono essere coltivate con successo. Infatti, le specie commercialmente più importanti sono presenti in tutte le regioni d’Italia: T. magnatum è presente in tutta la penisola, T. melanosporum in tutto il centro-nord e nel sud, T. aestivum e

T. borchii si possono trovare oltre che in tutta la penisola anche in Sicilia e Sardegna. In

Italia, si stima che ogni anno siano messe a dimora circa 120000 piante micorrizate con T.

melanosporum (80%) e con T.aestivum (15%), il numero di piante micorrizate con T. magnatum, T. brumale, T. borchii invece è minimo (solo il 5%) (Bencivenga et al., 2009).

La coltivazione del tartufo si configura come attività agricola produttiva in grado di contribuire significativamente allo sviluppo socio-economico rurale, in particolare nei terreni collinari e montani. Solo la coltivazione di T. magnatum presenta ancora notevoli problemi sia per le difficoltà di ottenere le sue micorrize in serra, sia per le problematiche che si incontrano a pieno campo. Le sue micorrize in campo, infatti, sembrano scomparire e vengono sostitute da quelle di altri funghi ectomicorrizici. Una migliore conoscenza della biologia del tartufo ed in particolare la comprensione dei meccanismi molecolari che portano alla formazione delle micorrize e del carpoforo, l’individuazione dei fattori biotici ed abiotici che attivano questi meccanismi è indispensabile per poter sviluppare moderne tecnologie per la produzione di piantine micorrizate e per incrementare la produttività delle tartufaie di

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35 T.magnatum.

1.5.1. La micorrizazione con tartufo e controllo delle piante tartufigene

La micorrizazione é fondamentale per la tartuficoltura. I problemi più rilevanti della produzione vivaistica di piantine micorrizate con tartufo riguardano la contaminazione con funghi simbionti antagonisti. In serra i contaminanti più comuni sono gli ascomiceti

Sphaerosporella brunnea e Pulvinula constellatio (Amicucci et al., 2001). Le

contaminazioni sono molto più pericolose quando sono causate da funghi ectomicorrizici del genere Tuber di scarso pregio che possono essere presenti nell’inoculo. Infatti alcune specie di tartufo danno luogo a micorrize molto simili tra loro difficilmente distinguibili morfologicamente; per questo é importante effettuare un accurato controllo dell’inoculo ed in seguito delle piantine prima della loro messa in pieno campo. L’identificazione delle micorrize con il metodo morfologico é importante, ma non permette un riconoscimento sicuro del fungo simbionte, per esempio alcune specie di scarso pregio quali T. maculatum e

T. indicum si possono facilmente confondere rispettivamente con quelle di T. magnatum e di T. melanosporum (Zambonelli et al.,1999; Zambonelli et al., 1997) e micorrize di T.borchii

e T. maculatum con quelle di T. magnatum (Mello et al., 2001; Rubini et al., 2001)

1.5.2. Metodi di micorrizazione

Per ottenere delle piantine micorrizate è importante avere un ambiente il più possibile simile a quello naturale ed eliminare la competizione di altri funghi micorrizici. Il processo richiede la produzione delle piantine in serra in condizioni controllate. Le metodologie utilizzate per la produzione di piante micorrizate sono diverse e sono rappresentate dall’inoculazione sporale, per approssimazione radicale e miceliare.

Inoculazione sporale

Questo metodo è il più antico, ma ancora il più diffuso per la sua semplicità per produzione di piantine micorrizate con tartufo. Secondo questa tecnica, piantine ottenute da seme o da talea sono inoculate con corpi fruttiferi maturi spappolati con un pestello e un mortaio o con

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36 un frullatore miscelati ad acqua sterile.

I semi delle piante ospiti devono essere sterilizzati prima del loro impiego per evitare le contaminazioni; anche i carpofori dei tartufi impiegati per l’inoculazione devono essere lavati e la superficie deve essere sterilizzata con un veloce passaggio alla fiamma. Le spore contenute nel tartufo spappolato vengono messe a contatto con le radici, mediante immersione degli apparti radicali nella sospensione sporale o mescolando la sospensione in terreno. In seguito le piantine sono devono essere allevate in serra in vasi oppurtuni per favorire il processo di micorrizazione. Il metodo di inoculazione sporale è particolarmente idoneo per la produzione di piantine micorrizate con T. borchii, T. melanosporum T.

aestivum, mentre non è facile ottenere piantine ben micorrizate con T. magnatum, in quanto

le spore di questo tartufo germinano con difficoltà (Tibiletti e Zambonelli, 2000). Approssimazione radicale

Questo metodo di inoculazione é meno costoso, permette di risparmiare sul costo d’acquisto dei carpofori. Per l’applicazione di questo metodo si utilizza come fonte di inoculo o piante madri micorrizate con la metodologia precedentemente descritta, le quali sono trapiantate in grandi vasche riempite con del terreno sterile, circondate da giovani piantine che possono provenire dai semenzali, da talee radicate o anche da colture in vitro. Il metodo si basa sulla capacità del micelio di propagarsi per infettare le radici non micorrizate. In alternativa si prelevano porzioni di radici ben micorrizate dalla pianta madre che sono avvolte sempre in ambiente sterile, attorno a quelle di giovani piantine ottenute in condizioni di sterilità. Questa procedura é molto laboriosa ed é necessario che questo metodo sia applicato solo da personale specializzato, in grado di riconoscere le micorrize di tartufo presenti nella pianta madre e valutare l’assenza di funghi ectomicorrizici, per evitare il rischio di propagare micorrize di funghi inquinanti al posto di quelle del tartufo.

Inoculazione miceliare

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37

ancora sconosciuti e il costo degli ascomi utilizzati per le inoculazioni è elevato. Solo attraverso l’utilizzo delle nuove biotecnologie di micorrizazione miceliare che si stanno sperimentando nel nostro laboratorio, si possono notevolmente migliorare le tecniche di produzione delle piantine micorrizate con tartufo. Esse offrono la possibilità di utilizzare per le inoculazioni, miceli in coltura pura geneticamente selezionati, sia per la loro affinità la pianta ospite prescelta, sia per la loro adattabilità alle diverse condizioni ecologiche delle zone di impianto e sia per la loro precocità produttiva. In passato sono stati fatti numerosi tentativi di isolamento del micelio di Tuber spp in coltura pura, ma spesso i miceli ottenuti crescevano troppo lentamente per riuscire ad inoculare le piantine. I primi tentativi utilizzare colture pure miceliari per la produzione di piante tartufigene risalgono agli anni 70 (Chevalier 1973, Chevalier et al., 1973). Recentemente nei nostri laboratori sono state ottenute colture pure di T. borchii, di T. macrosporum, di T. aestivum, di T.melanosporum, di T. brumale e di T. rufum (lotti et al., 2002) sufficientemente vigorose per essere utilizzate per ottenere micorrize in serra (Zambonelli e Iotti, 2006). Questo procedimento offre numerosi vantaggi (oltre a quelli economici e produttivi già citati) tra cui quello di produrre piantine con un grado di micorrizazione elevato e costante ed esenti da inquinamenti (Zambonelli e Iotti, 2006). Infine poinché le piante vengono coltivate in laboratorio, si possono produrre tutto l’anno.

1.6. Metodi molecolari e l’identificazione dei funghi del genere Tuber

L'identificazione di tartufi è tradizionalmente basata sulle caratteristiche morfologiche del corpo fruttifero (aspetto, colore, dimensione), delle spore (forma, ornamentazioni) e delle micorrize (Pegler, 1993). Spesso, tuttavia non è risolutiva, poinché la valutazione di tali caratteri richiede operatori di notevole esperienza soprattutto per le micorrize. Le micorrize che si trovano nel terreno sono infatti generalmente a diversi stadi di sviluppo e raramente presentano tutte le caratteristiche necessarie per una corretta identificazione morfologica, rendendo spesso impossibile l'identificazione morfologica. Inoltre come già detto alcune

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specie presentano caratteristiche simili (Zambonelli et al., 1993). Per questo per confermare l’appartenenza di micelio e micorrize ad una determinata specie è necessario utilizzare altri metodi, come quelli molecolari che sono più affidabili, infatti permettono l’identificazione delle varie specie di tartufo in tutte le fasi del ciclo biologico.

A partire da 1983, le tecniche molecolari hanno permesso di fare enorme passi avanti nella comprensione del mondo dei funghi del genere Tuber. Le sequenze degli spaziatori interni trascritti (ITS) del DNA ribosomale nucleare sono le più utilizzate, perché ci sono una serie di primer universali per amplificale (White et al., 1990) e si ripetono nel genoma

facilitandone l’amplificazione (Cassidy et al., 1984). Il sequenziamento di questa regione genica ha permesso inoltre di disegnare primers specifici da utilizzarsi in PCR semplice o in PCR multiplex per una identificazione più rapida delle diverse specie di tartufo (Amicucci et

al., 1998; Amicucci et al., 2000)., E’ già stata sequenziata la regione ITS di ben 29 specie del genere Tuber . L’analisi e la conoscenza di queste sequenze ha permesso, infatti, lo sviluppo di queste tecniche molecolari permettono di identificare il tartufo utilizzato anche nei cibi, per evitare una frodi commerciale a danno del consumatore. Per esempio, Tuber

brumale o T. indicum vengono spesso utilizzati al posto di T. melanosporum per cui Douet et al. (2004), hanno designato primer PCR specifici per Tuber brumale, T. indicum e T. melanosporum.

1.7. Tuber magnatum Pico

E’ l tartufo di maggior pregio come confermano anche i prezzi di mercato che per questa specie sono da una a dieci volte superiori a quelli degli altri tartufi. E un tartufo tipicamente

italiano, si rinviene in quasi tutte le Regioni d’Italia, dal Piemonte alla Basilicata. Nonostante sia la specie più pregiata a tutt’oggi le conescenze acquisite non sono ancora in grado di comprendere completamente la sua biologia e ecologia.Queste carenze conoscitive sono dovute a difficoltà oggettive legate alle caratteristiche eco-fisiologiche di questa specie che ne rendono difficile lo studio sia in laboratorio sia in campo. T. magnatum è infatti un

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fungo strettamente biotrofico che non sviluppa in assenza della pianta ospite. Inoltre le zone di produzione naturale sono infatti estremamente eterogenee per produttività, solo alcune piante sono micorrizate e la produzione di ascomi varia notevolmente nel tempo a seconda delle condizioni climatiche stagionali. Altro aspetto da considerare è che nelle tartufaie di T.

magnatum, coltivate o naturali, oltre alla produzione di tartufi si verificano fruttificazioni di

altre specie fungine micorriziche e saprotrofe e generalmente i funghi ectomicorrizici presenti sono ritenuti competitori nei confronti dei Tuber.

T. magnatum è caratterizzato da un ascoma di forma molto variabile da sferica a lobata. Il

corpo fruttifero ha dimensioni variabili da quella di un pisello a quella di una grossa arancia e raramente è ancora più grande (sono stati raccolti carpofori di eccezionale grandezza e del peso di oltre 2 kg) (Fig.6). Il peridio è liscio, di colore variabile dall'ocra pallido al giallo chiaro al verde tenue e talora con sfumature rossastre. Anche la gleba è di colore variabile dall'ocra chiaro al nocciola più o meno intenso ed è solcata da numerose vene bianche e sottili che scompaiono con la cottura. Gli aschi sono globosi od obovati, sub-peduncolati, contengono 1-4 spore e misurano in media 60-70 x 40-65 µm. Le spore sono di tipo alveolato, rotonde o lievemente ellittiche, il diametro è mediamente di 21-30 µm e gli alveoli sono grandi (10-20 µm di diametro), all’osservazione microscopica se ne contano 3-4. Il periodo di fruttificazione si colloca da ottobre fino a dicembre. Il tartufo bianco è in grado di svilupparsi solo in pedoambienti molto circoscritti. Il terreno delle tartufaie naturali deriva da substrati composti da marne, calcari marnosi, marne argillose, arenarie, con pH neutro o alcalino.

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Fig.6. (a)-(b) Ascomi di Tuber magnatum

Dal punto di vista climatico, preferesce le aree con clima continentale, anche se talora si trova in ambiente con clima mediterraneo. I cercatori di tartufi sanno che esiste una correlazione molto significativa fra la pioggia estiva (mesi di giugno e luglio) e la produzione dei tartufi. Le tartufaie si localizzano di prefrenza nei fondi valle freschi e lungo i fossati in una fascia altimetrica ottimale da 100 a 600 m slm. In terreni umidi le piante ospiti sono il pioppo (Populus spp., in particolare pioppo bianco) e salice (Salix spp.), in pianura si trova spesso associato al tiglio (Tilia spp.) e, nei terreni di collina si lega spesso con la roverella (Quercus pubescens) e talora al leccio (Quercus ilex). Altri simbionti sono il nocciolo (Corylus avellana), il carpino nero (Ostrya carpinifolia), la farnia (Quercus robur) e il cerro (Quercus cerris).

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Scopo della tesi

I tartufi sono funghi ascomiceti caratterizzati da ascomi ipogei indeiscenti di forma sferica più o meno regolare (Trappe et al., 2009). Da un punto di vista sistematico sono collocati in numerose famiglie dell’ordine delle Pezizales (Pezizaceae, Morchellaceae, Discinaceae,

Helvellaceae, Tuberaceae e Pyronrmataceae). I tartufi possono essere coltivati in pieno

campo attraverso la produzione di piantine micorrizate e la loro messa a dimora in terreni idonei (Hall et al., 2007). La produzione di piante micorrizate con tartufo è pertanto il primo passo per poter realizzare la tartuficoltura. Purtroppo però, dal punto di vista sperimentale, il genere Tuber presenta notevoli difficoltà di studio di ordine pratico che coinvolgono anche i processi d’infezione delle piantine. Il T. magnatum, tartufo bianco pregiato, è la specie di maggior pregio sia per il limitato areale di sviluppo, rappresentato solo dall’Italia ed alcune aree dei Balcani, sia per le difficoltà che si incontrano nella sua coltivazione (Hall et al., 2007). Gli studi su questa specie sono estremamente complessi in quanto finora era impossibile disporre del suo micelio in vitro e per le difficoltà di ottenere piantine micorrizate in serra. Per tali motivi i biologi hanno sempre fatto riferimento ad altre specie fungine, da impiegare come modelli nello studio delle simbiosi ectomicorriziche, poiché queste offrivano una maggiore certezza e rapidità nell’ottenimento dei risultati scientifici. Una delle specie modello più impiegata è Tuber borchii, tartufo bianchetto, il cui micelio, a differenza di quello delle altre specie, si coltiva facilmente in vitro (Iotti et al., 2002). Per questo motivo spesso è stato utilizzato per lo studio della biologia dei tartufi e delle interzioni con la pianta ospite.

L’obiettivo di questa tesi è stato quello di sperimentare nuove biotecnologia per migliorare le tecniche di micorrizazione delle piantine con tartufo ed in particolare con T. magnatum che come già menzionato sopra è la specie più difficile da coltivare.

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La parte sprimentale delle presente tesi è stata articolata in 5 capitoli ciascuno inerente al conseguimento dei seguenti obiettivi:

1. Isolamento e caratterizzazione di ceppi di T. magnatum;

2. Miglioramento dello sviluppo delle colture pure di T. magnatum; 3. Valutazione di estratti radicali sullo sviluppo dei miceli di Tuber;

4. Produzione di piantine miccorizzate con T. magnatum ed altre specie di tartufo e verifica

delle dinamiche d’infezione radicale;

5. Messa a punto di protocolli di conservazione a bassa temperatura per il mantenimento nel

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Capitolo 3

3. Isolamento e caratterizzazione morfologica di colture pure di T.

magnatum

3.1. Introduzione

I funghi del genere Tuber sono funghi strettamente biotrofi, per cui non sono in grado di completare il loro ciclo vitale in assenza della pianta ospite. Lo studio e l’approfondimento della biologia e della fisiologia di un microrganismo traggono notevole vantaggio dall’avere a disposizione miceli in coltura pura che producono un adeguata quantità di biomassa. In passato sono stati fatti molti tentativi per isolare i miceli dei tartufi e produrre una quantità adeguata di inoculo per infettare le piante (Fontana, 1971), ma essi crescevano molto lentamente. Diverse specie di Tuber sono già state isolate in coltura pura ed utilizzate a scopi sperimemtali, come è reportato da Sisti et al. (1998). Il micelio di T. borchii è stato prodotto in sufficiente quantità per la produzione di micorrize in vitro (Giomaro et al., 2000). Altre specie di tartufi come T. maculatum, T. melanosporum T. aestivum, T. macrosporum, T. rufum e T. brumale sono state successivamente isolate e caratterizzate con metodi

morfologici e molecolari (Iotti et al., 2002). Isolare e successivamente mantenere in coltura pura il micelio di T. magnatum rappresenterebbe il primo importante passo per studiarne in laboratorio le caratteristiche fisiologiche e l’espressione di geni funzionali, sia durante la fase saprotrofaria sia durante la fase simbiotica e pre simbiontica. Infatti, il micelio di T.

magnatum, diversamente da quello di altre specie di Tuber, è molto più difficile da isolare in

coltura pura. Il primo tentativo d’isolamento del micelio di T. magnatum, a partire dalle micorrize, è stato realizzato da Mischiati e Fontana (1993). Tuttavia, successivamente, fu dimostrato, attraverso l’analisi genetica, che il micelio ottenuto non appartenva a T.

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grado di isolarlo e mantenrlo in coltura pura. Solamente Buee e Martin (2009) hanno sviluppato un metodo per mantenere in vitro i miceli di T. magnatum utilizzando le radici delle piante trasformate con Agrobacterium rhizogenes in coltura mista con batteri.

Per questi motivi la prima fase della sperimentazione si è basata sul tentativo d’isolamento e moltiplicazione in coltura pura del micelio di T. magnatum e sulla sua caratterizzazione morfologica e molecolare.

3.2. Materiali e metodi

3.2.1. Isolamento dei miceli

I corpi fruttiferi di T. magnatum (Tabella 1) impiegati in questa prova sono stati raccolti nel periodo compreso fra il 18 agosto 2010 e il 24 dicembre 2011 ed identificati in base alle loro caratteristiche anatomo-morfologiche secondo Pegler (1993). Una parte di ciascun corpo fruttifero è stata essiccata e depositata presso l’erbario del Centro di Micologia di Bologna (CMI-Unibo). L’isolamento è stato eseguito in condizioni asettiche asportando, dalle zone più interne di ciascun carpoforo, piccole porzioni di gleba, successivamente mantenute sul substrato nutritivo “Woody Plant Medium” (WPM), modificato secondo Iotti et al. (2002) relativamente alla componente zuccherina (10 g/l di saccarosio) (Tabella 2). Le colture sono state mantenute in termostato, all’oscurità, a 22 °C.

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Tabella 1 - N° d’erbario, località e data di raccolta degli ascomi

Specie Numero erbario Località di

raccolta Data di raccolta Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum Tuber magnatum 3882 3992 4101 4112 4115 4119 4120 4121 4118 4142 4145 4162 4199 4184 4280 4281 4282 4283 4204 4341 Argenta (Fe) Cotignola (Ra) Pianoro (Bo) Pianoro (Bo) Bologna (Bo) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S.Agostino (Fe) Molinella (Fe) S. Agostino (Fe) Bologna (Bo) Argenta (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) S. Agostino (Fe) 18-08-2010 25-08-2010 07-10-2010 12-10-2010 19-11-2010 23-11-2010 23-11-2010 23-11-2010 26-11-2010 06-12-2010 10-12-2010 17-12-2010 03-01-2011 07-01-2011 09-12-2011 09-12-2011 09-12-2011 09-12-2011 15-12-2011 24-12-2011

Tabella 2- composizione del mezzo nutritivo Woody Plant Medium

Costituenti Concentrazione KH2PO4 0.2 g/l Ca (NO3)2 4H2O 0.5 g/l Cal2 2H2O 0.1 g/l MgSO4 7H2O 0.3 g/l MnSO4 H2O 22.3 mg/l K2 SO4 0.9 g/l NH4 NO3 0.4 g/l F2SO4 7H2O 0.014 mg/l ZnSO4 7H2O 8.6 mg/l H3BO3 6.2 mg/l Na2MoO4 2H2O 0.25 mg/l CuSO4 5H2O 0.025 mg/l NaEDTA 2H2O 37.3 mg/l Myo-inositol 0.1g/l D(+)-Saccarosi 10 g/l Agar 10 g/l

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3.2.2. Caratterizzazione morfologica dei ceppi isolati

Gli accrescimenti delle colonie sono stati annalizzati e misurati con uno stereomicroscopio (50X). La caratterizzazione morfologica è stata eseguita misurando l’indice d’accrescimento ifale (Hyphal Growth Unit – HGU) (Trinci, 1973), il diametro delle ife e la distanza fra i setti. Questi parametri sono dei validi indicatori della crescita ifale già utilizzati in letteratura per la caratterizzazione morfologica dei miceli di Tuber spp. (Iotti et al., 2002). L’indice HGU è stato calcolato come rapporto fra la sommatoria delle lunghezze di ciascuna ramificazione e quella dell’asse principale ed il numero di apici.

HGU = (lunghezza ifa centrale + ∑ lunghezze ramificazioni)/(n° di ramificazioni +1)

Le osservazioni sono state effettuate utilizzando un microscopio ottico Laborlux 12 (Leitz) (100X e 420X), dotato di video camera JVC e di programma di elaborazione di imagini Axio Vision 2.05 (Zeiss).

3.2.3. Identificazione molecolare

I micelio di ciscuno dei ceppi isolati è stato amplificato con un approccio di PCR diretta seguendo la procedura proposta da Bonuso et al. (2006).Sono stati impiegati i primer specie specifici TMGI e TMGII e le condizioni di amplificazione individuate da Amicucci et al. (1998).

Figura

Fig. 1- Classificazione del regno dei Funghi (da Hibett et al., 2007)
Fig. 2 -  I principali tipi di associazione micorrizica  (da Selosse e Le Tacon, 1998)
Fig. 3:  Tartufi che  possono  essere raccolti e commercializzati in Italia
Tabella 1 - N° d’erbario, località e data di raccolta degli ascomi   Specie  Numero erbario  Località di
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