• Non ci sono risultati.

Il Nuovo Istitutore : periodico d’istruzione e di educazione. A.20(1888)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il Nuovo Istitutore : periodico d’istruzione e di educazione. A.20(1888)"

Copied!
304
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)
(4)

NUOVO ISTITUTORE

ipaQjaQiss)

d’istruzione e di educazione.

A n n o V e n te s im o . SALERNO T IP O G R A F IA NAZIONALE

1888

.

(5)
(6)
(7)

a r..

i

(8)

Anno XX.

S a l e r n o ,

31 Gennaio 1888.

N

.11

a

3

.

GIORNALE D’ ISTRUZIONE E D’ EDUCAZIONE

PREM IATO CON MEDAGLIA D ’ ARGENTO AL V II CONGRESSO PEDAGOGICO.

Il giornale si pubblica tre volte al m ese. Le associazioni si fanno a prezzi antici­ p a ti m ediante v a g lia p o stale spedito a l D irettore. L e le tte re ed i pieghi non fran cati si respingono: nè si restituiscono m anoscritti — Pr e z z o: L. 5 ; sei mesi L. 3; un num ero sep arato di otto pagine, Cent. 30; doppio Cent. 50.

Giornali, libri ed opuscoli in d o n o , s’ indirizzino — A lla D ire zio n e d el Nuovo Is ti­ tu to re, S a le rn o .

SOMMARIO — L a G ioven tù d e l pe n siero e d e ll’ a r te nel p o e m a d i D a n teUna qu istion e d i p ro n u n ziaL a C ritic a e i C r itic iC h iacch iere le tte r a r ieA p p u n ti b ib lio g ra fic iC ron aca d e ll’ istru zio n eC arteggio.

LA GIOVENTÙ DEL PENSIERO E DELL’ARTE

NEL POEMA D I DANTE.

Incominciamo il nuovo a n n o , eli’ è il ventesimo del

N uovo Istitutore,

pubblicando uno splendido discorso sulla

Divina Commedia regalatoci dal eh. prof. Giovanni F ra n ­

ciosi. Oggi che il nome del Carducci m eritam ente risuona

dalle Alpi al Lilibeo, e eh’ egli ha m ostrato col fatto e con

1

’ esempio l’ utilità della cattedra dantesca ed ha trovato nel

divin Poeta qualcosa che non passa col Medio E v o

i,

muore col tem po; oggi viene in buon punto il Franciosi,

m ostrando alla sua volta quali tesori d’ arte, d’ ingegno, di

sovrana bellezza si ascondono nel

sacro volu m e

, chi sappia

cercarlo con lungo studio e con grande amore. N è, giova

n o tarlo , il Franciosi si è convertito alla ventiquattresim a

1 II Carducci e ra tr a quelli, che non giudicavano utile l’ istituzione della ca tte d ra dantesca, e poi nella n o ta le tte ra al Lemmi afferm ava: la g r a n d e z z a d i D a n te non esce fu o r i d el m edio eco. M a di quest’ opinione ha fatto onorevolissim a am m enda nella sua lodatissim a conferenza dell’ 8 corrente tenuta a R o m a , ed a ltre l’ illustre letterato ne prom ette non si tosto abbia agio e tempo da dedicarvi il suo p o te n te ingegno.

(9)

o ra : Dante è stato sempre il suo

m aestro

e il suo

au tore;

e il discorso che pubblichiamo fu detto a T orino, nel Pa­

lazzo della M ostra N azionale, la bellezza di q u a ttr’ anni

addietro. Ciò valga pure a bene intendere alcuni accenni

ed allusioni, che i lettori vi tro v eran n o , le quali si riferi­

scono al luogo ove fu esso pronunziato.

« Innum erabili sono i granelli di a r e n a ; m a le gioie, ohe q u e st’ uom o ha p ro cu rato ag li altri, e chi p o treb b e co n tarle ? »

Pi n d a r o.

« D ante p a rla ai cu o ri alti e sinceri d 'o g n i tem po e d’ ogni p a e se ; nè in vecch ia m a i.»

Ca r l y l e.

Ciascuno dei mille mondi, che viaggiano nello spazio a segno f a ­ tale, di mano in m ano si dispoglia e rinnova, gettando il vecchio invo­ lucro; m a l’ anim a sua, la forza interiore perm ane sem pre giovanilm ente vivace. Cosi anco il mondo umano g e tta il vecchio di tempo in tem po; m a lo spirito dell’ um anità sem pre più giovaneggia e trionfa. Or di questa gioventù trionfale partecipano coloro, che accolgono in sè di quello spirito: L egislatori, C apitani, Scrittori grandi.

Gioventù, come dice il vocabolo, è forza vitale, che s’ effonde ad a ltru i beneficio. P ensando questo, ben può afferm arsi che n essun a opera d’ um ano ingegno h a più gioventù della D ivina Commedia,

Lim pido m ar di sapienza bella, Ove il d ir si fa co sa e vita l’ a rte ; V ita gentile e p u ra,

Che generando cresce e s ’ infutura.

In Dante si raggiungono due qualità divin e, che di rado vanno insiem e: l’ estro della scienza e l’ estro dell’ a r te : ond’ egli è giovane come pensatore e come artista. P erò se ne può p a rla re q u i, dove le forze vive della N azione si m anifestano così nobilm ente. Q uello, che Omero ai Greci, è D ante a noi : p adre e m aestro nel cammino della gloria. Appena rin ata , l’ Italia guardò in L ui, a pigliarne auspici e conforto: oggi, che sente nelle sue vene rifluire più g ag liard a la vita, pur della su a v ista p atern a si com piace e s’ avvalora. Dante è l’ Italiano più

italiano, come lo chiam ò il vostro Balbo, non solo per nobiltà d’ ingegno

e per grandezza d’ anim o; sì ancora per le varie forme della su a ricca n atu ra. Come nel g ran P oem a si specchia ogni p arte d’ Ita lia , cosi nell’ anim a del P o eta la g ran d e anim a della P a tria con la v arie tà dei suoi asp etti e delle sue naturali attitud ini: gentilezza toscana, dignità

(10)

lom barda, ardim ento lig u re, caldo im m aginare napoletano, im peto e fiamma di m ente sicula; m a soprattutto ferm ezza di propositi, ten acia piemontese. Or qui, presso le A lpi, che prima d’ ogni parte della P e ­ nisola veggono il Sole; ma n e’ silenzi delle n ev i, nelle vaste ombre delle foreste simboleggiano i raccoglim enti del pensiero e nei torrenti ruinosi il volere, che sa scavarsi la v ia , mi è bello p arla r di D a n te , Intelletto sovrano, Poeta filosofo, Volontà indomabile e vittoriosa.

I.

Prim a dirò della gioventù del pensiero; poi della gioventù dell’ arte. Il pensiero può considerarsi come facoltà e come vero, che la m ente discopra. Nel primo senso dantesco, quale apparisce dal P o e m a , di­ mostrando tu tte quelle virtù, che fanno la eccellenza del pensiero, io 10 chiamo a buona ragione dotato di gioventù perenne. Egli è fo rte e

animoso, penetrativo, sottilmente osservatore, agile, ampio, sereno, veg­ gente del futuro.

a) Forte e animoso; perchè vinse il tumulto della vita esteriore,

le avversità, i dolori molti dell’ esilio ; tutto ciò, che potesse im pedirne 11 raccoglim ento:

« E qui fu la m ia m ente si ris tr e tta D entro da sè, che di fuor non venia Cosa, che fosse an co r da lei recetta. «

(P u rg ., x v i i ) .

Sali glorioso di colle in colle per le altezze del sa p e re , e contro lo scoglio del dubbio fu som igliante al fiotto vittorioso di O m ero, che intorno alle scogliere s’ arriccia, le sorm onta, e in belle spum e effonde la gloria del m are!

b) Penetrativo; perchè seppe vedere nell’ intimo d’ ogni cosa;

tanto nel cuore della n atu ra, quanto in quello dell’uomo. Ben può dirsi che l’ anim a d’ ogni c re a tu ra , la vis abdita rerum, gli lam peggiasse dinanzi

Come le tiz ia p e r p u p illa vioa.

c) Sottilmente osservatore. Dalle descrizioni e più dalle similitudini

si raccoglie come il P oeta avesse l’abito di tutto osservare ; gli umili fatti della c a sa e i grandi fenomeni del mondo estern o : il tizzo cig o­ lante, il p a p iro , che im bruna, i fantolini bramosi, in atto di pregare, e il subito fuoco delle notti estive, il vento procelloso, i larghi fiocchi della neve sulla cim a silenziosa de’ monti.

d) Agile. Nelle disquisizioni scolastich e, nel proporre e nel r i­

solvere le questioni seconda agevolm ente ogni diram are flessuoso, ogni serpeggiam ento del vivo raziocinio.

(11)

dell’ a ltra investigazione, dell’ una o dell’ a ltra dottrina, quasi chiocciola nel suo guscio ; m a si allarg a ad ab bracciare in lor v asta unità tutte le um ane scienze, com’ aquila, che dall’ alto rig uard a, e nel forte occhio si riflettono lontananze d’ azzurro e di luce. Nè considera le cose da un sol la to , ma da tutti i la ti; e ne avverte l’ ordine e la continuità. P e r questo nella gloria della sua Donna vede specchiata la gloria del firm am ento {Inf. n ) , il governo della F o rtu n a raffronta al movimento dei cieli { I n f , v ii), e il volere umano all’ anim a de’ pianeti e del Sole

{Paraci., x x x m ).

f) Sereno. C hecché altri abbia detto, la passione volgare, il cieco

talento non mai tiranneggia la m ente dello scrittore. C acciato dal suo

bell'ovile, l’A lighieri cerca pace nello studio della n atu ra e del vero:

ne sia testimonio il motto nobilissim o: « F o rs e non potrò dovunque affissarm i negli astri del cielo e contem plare dolcissime verità? » (E p .,ix ); m o tto , ond’ è paragone la parola del Poem a. Spogliato d’ ogni bene della terra, inneggia alla F ortu n a, o meglio alla Mente, che go vern a la vita delle famiglie e dei popoli, contrapponendo la su a celestiale seren ità all’ accapigliarsi e al vocio della gente per 1’ am ore dei beni bugiardi. Le ire di parte gli tolsero pu r troppo la pace della vita, non quella del pensiero; e il g ran P o e m a , docum ento di sapienza e d’arte so v ra n a , fu scritto, cosi come l’ abbiam o o gg i, tutto durante l'esilio dal 1302 al 1321! N o : questo Intelletto sereno non si vuol dipingere, come piacque al volgo, con brutto grifo di vecchia iraconda, m a piut­ tosto con la faccia lum inosa del veglio onesto e con lo sguardo leonino dell’anim a lombarda!

g) Veggente di secoli lontani. Sogna le A m eriche in form a di sacra isoletta, vaticina l’ unità d’ Italia e del m ondo, e presente una

in tera libertà dello spirito , eh’ è anc’ oggi lontana da noi. Se i suoi tempi gli porgevano la ghiaccia dell’ odio, M osca L am berti e U g o lin o , solo il pensiero divinatore poteva creare i sogni dell’ aurora, M atelda e le ripe fiorenti dell’ Empireo.

Or veniamo al pensiero nel senso obiettivo. Anche in questo senso il g ra n Poem a è ricco di gioventù, perchè ci d à , come in g e rm e , le v erità rinnovatrici di ogni scienza. Sceglierò alcuno de’ tan ti esem pi , cosi di verità m orali, come di verità appartenenti a scienze fisiche e astronom iche. Il principio dell’ autorità e della legge riconosce nella n atu ra dell’ uomo {Purg., xvi, 94); afferm a nettam ente 1’ essenza m orale della pena {Purg., xxx, 108) e la libertà rispondente allo svolgimento delle facoltà nostre {P u rg., xxvii, 140); accenn a, forse con vista più larg a e sicura di G iam battista Vico, i Ricorsi delle Nazioni {Inf., vii, 73) ; intravede le m eraviglie di G alassia, le prim avere dei cieli {Par., xiv, 97) ; avverte nelle chiome dei p rati, nella rosa, nei grappoli, nelle verdi e fiorite cime dell’ albero, nell’ insaporare dei frutti la gloria occulta del

(12)

cal ore e della luce {Inf.,n, 127; Paraci.,xxn, 55 ; P u r g .,xxv, 76; xvm, 54 ;

Paraci.,x x v i i , 124); adom bra, im maginando, la virtù propagatrice del- P aria { P u rg ., xxvoi, 109); dichiara, meglio che allora non s’ intendesse, la formazione della pioggia {P u r g ., v, 109) e 1’ erom pere delle m ontagne dal seno della te rra {Inf., xxxiv, 120); pone il fondamento della p a rti­ zione scienziale di tutte le piante { P u r g . , x v i, 114); svela il m istero della generazione, e distingue sottilm ente tra la vita vegetale e la vita animale, dicendo che questa è in via e quella è già a riv a {P u r g .,xxv, 54); nella creazione de’ suoi mondi si giova a m eraviglia della legge di gravità e d’ attrazione, ponendo che tutto quanto è grave, fosco, m al­ vagio cada in vér lo m e z z o , A l qual si iraggon d ' o g n i p a r te i p e s i , o dove o g n i g r a v e z z a si ra g u n a { I n f , x x x i i , 74; xxxiv, 10), tutto quanto è lieve, chiaro e sano sia tratto verso il P unto, che rapisce in lieto giro angeli e sfere { P a r a d . , x x v i i i , 127): riconosce la n ecessità e fe­ condità del dubbio, che ci muove a investigare { P a r a d . ,iv, 130), l’ a r ­ monìa e l’ unità delle scienze {P a ra d ., xvm , 29), il principio suprem o dell’ arte nella sincerità dell’ espressione. {P u rg ., xxiv, 52).

II.

Detto della gioventù del pensiero, verrò a parlare della gioventù dell’ arte.

L ’ arte è più giovane, quanto è più sin cera e più tiene dell’u m ano.

Or 1’ arte dantesca è sincera per eccellenza e 1’ uomo vi si rivela in tutta la sua nobiltà e bellezza: essa non ritrae di seconda m ano, m a dal vivo specchio della n a tu ra , e l’ umano spirito vi cam peggia n el- 1’ azione e nell’ idea. Le due forme dell’ arte oggi più vive e vitali sono la D ram m atica (poesia d’ azione) e la L irica (poesia dell’ idea, dell’ intimo sospiro). E Dante appunto, sebbene, quanto alla v astità del soggetto e allo studio di risalire a’ principii delle cose, sia epico, quanto al modo o alla forma, onde tra tta il suo tèma, è per lo più dram m atico o lirico. Dirò dunque, a dim ostrare la gioventù dell’ arte di Dante, prim a della D ram m atica, poi della L irica nel Poema.

§• 1.

Esem pi insigni di D ram m atica offre l'In fern o: F ran c esca , F a rin a ta , Ugolino; e in ciascuno si ritrae l’ uomo interiore, il dram m a occulto, onde 1’ azione estern a prende moto e suggello. Ogni parola è come lam po, che ci sch iara gli abissi della coscienza. Così in F ra n c e s c a , come in F arin ata , il ricordo della p atria si collega all’ istoria dell’anim a che parla. E 1’ una, ripensando la terra, che siede /

Su la m arin a, dove il P o discende P e r aver pace co’ seguaci sui,

(13)

invidia quasi la pace del Po, quando s ’ a llarg a nel m a re ; l’ altro, a c ­ cennando la nobil patria, non può rim anersi dal m anifestare un dubbio, che lo tra v a g lia nel s u o segreto: « alla qual f o r s e fui troppo m olesto.»

Ugolino, il traditore, tace della p atria propria e dell’altrui, chè il nome di p atria gli echeggia troppo dolorosam ente nell’ anim a. N è v’ hanno descrizioni di luoghi, benché 1’ occasione se ne po rgesse: non la corte di R avenna o di R im ini, nè l’ asp ra valle di Monte A perto o la sala del Consiglio d' Empoli ; e appena è ricordata la m u da, forse perchè si pensi che bene in covo di falchi è tratto ad accovacciarsi chi ebbe fitto l’ artiglio nel cuore della repubblica. L ’ azione è tu tta in terio re , terribilm ente ra p id a e una per alta vena di sentim ento. M a v eg g a si la cosa più da vicino. Le tre terzine, che si congiungono nella parola dell’ am ore, adom brano come tre parti di un dram m a psicologico: 1.° L ’ am ore dei dolci so sp iri; quando al giovane Paolo la donna dalla

bella persona apparve superba visione di cielo, argom ento e conforto

ad opere leggiadre: 2." L ’ am ore violento e procelloso, la battag lia dell’ anim a, dove la delicata donna, dopo lungo repugnare, s’ abbandona disperatam ente a quel fiato maligno, che la co m batte: 3.° Scioglimento e ca ta stro fe; dacché 1’ am ore, prim a visione di p a c e , poi bufera di passione d issen n ata, si m uta in peccato e in m o rte; m utam ento, che som iglia a rovinìo di folgore:

M a solo un punto fu quel che ci vinse.

L ’ anim a, accoppiando principio e fine coll’ intenzione di un dolore ineffabile, ben prova

Come u scir può di dolce sem e am aro ;

e nel nome arcanam ente pauroso dell’ am ore sente il passato e il p re se n te , la te rra e l’ abisso. Le tre p arole: Ancor m 'offende, ancor

non m abbandona, Caina attende sono i ram polli del peccato, rigerm o ­

gliati dalla ripa m aledetta, ove ogni reo sem e s ’ appiglia e trionfa. N ell’ episodio di F a rin a ta è virtù germ inale di dram m a vivo, ma più risposta. Amore di p arte e am ore di p a tria , tutti e due g a g lia r­ dissimi , si contendono il governo dentro lo spirito del C apitano di M onteaperto; e or l’ uno so rm o n ta, or l’ altro. Alla v ista , alle parole del guelfo Alighieri s’ infosca minaccioso l’ am ore di p a rte ; e dapprim a n ’ esce, come sa e tta dalla nuvola, il superbo grido:

Si che p e r duo fia te gli d isp ersi;

poi l’ urlo disperato, dem onìaco:

« Ciò m i to rm e n ta più che questo le tto .»

M a non appena lo strazio e il grande scempio si ravvivano nella m ente del Cittadino, l’ am ore di p a tria vince in lui ogni altro sentim ento, anco il disprezzo pe’ vili p ersecu to ri della su a sc h ia tta ; nella coscienza di­ gnitosa e severa piglia forza nuova, rinfiam m a e rom pe il buio infernale in quel verso, rapido e luminoso come bòlide :

(14)

R appresentazione dell’ um ana coscienza davvero sh ak sp erian a è Ugolino: l’ odiatore selvaggio pur vinto dalla dolcezza dei figli. Il sogno della muda avanza forse di fierezza dram m atica la visione di B osw orth

(Riccardo III, v, 3): nella fantasìa sconvolta e a tte rrita del prigioniero

le immagini s’ avviluppano e si trasform ano; o meglio le paure del cuore, pigliando veste im m aginosa, nelle ricordanze del p assato più recente trovano il simbolo del futuro. Form e um ane e anim alesche si mescono insiem e: e’ vede, il signore di Donoratico, una caccia di lupi; ma a poco a poco nel lupo riconosce s è , ne’ lupicini i figliuoli, come nelle cagne magre i popolani più furiosi, che gli poser le mani addosso il giorno, in cui fu tratto alla muda. N è Re L ear, nè Saul nell’ anim a com battuta ci offrono contrasti così nuovi e potenti. Qui sono due facce o meglio due n atu re ; la belva e l’ uomo m aternam ente affettuoso. Quello stesso Ugolino, che forbisce senza ribrezzo la bocca sanguinosa al capo da lui diretro guasto e p arla e piange e to rn a ad azzannare il teschio con fame rabbiosa di v en detta; quello stesso , dico, sobbalza dal sonno esterrefatto, come le m adri del Foscolo ( Sepolcri, v, 108), e tende l’orecchia e si china su’ figliuoli dorm enti, e interroga il loro viso , e chiude a viva forza entro sè la piena del dolore irrom pente

per non farli più tristi, ne palpa carezzando i cadaveri e li chiam a a

nome per due giorni, come se alla carezza p aterna, al suono della sua voce di pianto potesse raccendersi in quelle fredde m em bra la fiamma della vita. Giù dal fondo del pozso scuro chi direbbe che germ inasse così delicato fiore di affetto ? E che verità cupa, che rapidità fiera di dram m a specchiato nella coscienza di Ugolino! C hiarori ed ombre si alternano e fiamme di sentim ento e gelo d’ orrore. V’ha qualcosa ch e ram m enta il caos, 1’ abisso delle acque e la vorticosa ridda degli e le ­ menti. Piange dirotto al pianto de’ figliuoli, tanto che a ricordarlo esclam a: « E, se non piangi, di che pianger suoli? x>; im pietra, quasi rupe selv ag g ia , al suono dei chiodi ripercossi nell’ uscio della to rre ; prorompe, rapido come fiamma di vulcano, nell’ atto furioso del m o r­ dersi ambo le m an i; m a subito s’ acqueta e si sta muto e fermo due giorni co sì, che lo diresti immagine scolpita: poi di nuovo s ’ avviva e si g etta brancolando sui cad av eri, e piange e grida e carezza. Ma una tenebra di mano in mano più fitta sale, sale, e, velando l’ azione, ne cresce il sublime, la paurosa terribilità. Come il cam m ino, ove la m ala bestia m ena Corso Donati, si perde nel buio della valle infernale

(Purg., xxiv, 82-84), così l’ om bra della m uda si confonde con la notte

della prigione eterna. V 'h a il fioco lume delle rive d’A cheronte; nulla vi si discerne chiaro; non la fiera visione dei lup i, non il pianto dei figli fra ’l sonno, non il chiovare della porta, nè lo sguardo del padre, nè il silenzio, nè il branco lare; ma più 1’ ombra s ’ an nera là sulla fine ne’ momenti che il m orto di fame m al può ram m en tare egli stesso.

(15)

T alo ra nel g ran Poem a il dram m a s’ intravede di lontano. M emorie di sang ue, seguite da nuove battag lie e dolori, fiam m eggiano di luce verm iglia dal seno dell’ om bra di M osca L am berti, ag itan te i moncherin

per l'aere fosca; e nei fratelli di Val Bisenzio s’ im persona, rin no van ­

dosi d’ impeto e d’ a rte , l’ antica E rinne dei figli di Edipo. Il verso m ichelangiolesco

« L atra n d o lui con gli occhi in giù raccolti »

ci m ette i b rividi, squarciando il velam e di un’ anim a selv ag g ia , che molto som iglia all’ Jago shakspeariano ; e dalle parole

« Qual io fui vivo, ta l son m o rto »

esce, come da sim ulacro di Titano, l’ anim a eternam ente rib elle, che alla fierezza del Prom eteo di Eschilo congiunge la superba febre del Lucifero di Giorgio Byron.

§• 2.

R esta ch’ io dica della gioventù del Poem a nella parte lirica: a r ­ gomento, come la terza C anzone, più dolce e profondo, che ci porta assai più da vicino alle sorgenti m isteriose dell' estro e ci re c a a mente una lunga istoria di dolore e d’ am ore , dal gaio maggio del 1283 in F irenze all’ autunno del 1321 in R avenna. Il fiume bello e corrente della Vita N uova, i nembi m inanti a valle dalla cim a del C a tr ia , i grandi pini del lito di Chiassi, cortesi d’ombre e di silenzi al vecchio E sule, mi fanno udire la loro voce nella p arte lirica del Poem a!

L ’A rte di Dante, significando per tre modi, sotto il velam e de’ tre regni, il sospiro dell'Infinito, si fa specchio all’ universo. Nell 'Inferno, m entre quel sospiro si m uta in rabbia di antiche passioni, la L iric a , pigliando m ovenze violente e fugaci, è per lo più come il fiam m eggiare di abissi tenebrosi, lingua di fuoco prorom pente dal cupo delle menti m alvage: nel Purgatorio, che il buono affetto raffina, eli’ è com’ alba e tram onto su verdi te rre ; crepuscolo riflesso dell’ aria gentile delle anime, che si rinnovano di dolore e di sp eran za: nel Paradiso, dove 10 spirito umano s’ india, rende chiarore di luna in una notte sfavillante di stelle, o piuttosto luce d’ un nuovo Sole; luce più ch iara e soave di quella, che m ette il Sole, onde si ra lle g ra l’ occhio de’ viventi. In ta n ta pace il grido di P ier Damiano e di S a n P ietro som iglia, mi pare, alla nuvola om erica, che sale im provvisa per le am piezze del cielo.

N ella L irica del Poem a è più ricca e varia, che nella Lirica gio­ vanile, la m anifestazione dell’ anim a di D ante; specie nella seconda e terz a C antica, dov’ è palese richiam o ai Canti della giovinezza (Purg., ii, 12, xxiv, 51 ; Parad., vili, 37). L a Vita Nuova e il Canzoniere ci dànno 11 sospiro lirico ancora vago e indistinto; qui l’ antico so sp iro , come sguardo a cui l’ età cresce intenzione, si fa sospiro di libertà, di concor­

(16)

dia, di civile bellezza, di Dio, sem pre più distinto e più forte e puro. Da una parte v’ han come due virtù liriche, due raggi di unica Stella, Beatrice e la Donna G entile; prenunziate nel Prologo del Poem a, in tra ­ viste di mano in mano più da presso, sfavillano nel Paradiso: dall’ a ltra v’ ha un’ anim a asse ta ta di p a c e , innam orata di v irtù , investigatrice operosa di verità, ascendente verso un’ altissim a Idea.

L a Lirica giovanile è men ricca di v arietà; ma questa o ra si veste di nem bi, e ora s’ apre e si schiara come sereno per soffio di venti; scoppia in folgori d’ ir a , e anche genera di sè un’ iride d’ affetto, di pietà, di p re g h ie ra; s’ allarg a nelle v astità luminose della m editazione; si raccoglie, quasi in dolce nido, nella quiete di ricordanze pie; dilegua nelle lontananze dell’ epica, ram m entando i principii delle cose, come in B uonconte, o alzandosi negli abissi del consiglio di Dio, come in Sordello; e pur s ’avviva qua e là d’ impeto e di baldanza dram m atica. Insomma, a ritra rre per immagini questa varietà, non b asta l’epigram m a di Victor Hugo (Contemplations, ni, i); chè alla montagna, alla quercia, al lione, dovrebbe aggiungersi V astro, il fiore e V aquila.

Come gli spiriti per lo scalèo di Saturno discendono e risalgono fiammeggiando, come l’ ebbrezza della vita scende, rug iad a o luce, dai cieli, e risale dalla te rra in colori, in suoni, in frag ran ze; così l’Arte lirica del P oeta dall’ occulto al manifesto e da questo a quello. Dalla zuffa dei prodighi e degli avari alla pace splendente della F o rtu n a , dal vocio dell’ um ana plebe a ’ silenzi dell’ id e a , alla solennità d’ una legge eterna (Inf., v i i): per converso dallo specchio di quella Mente,

In che prim a, che pensi, il pensier pandi,

discende dall’ occhio um ano, alla n av e, alla dolce armonìa, che dai profondi alvei dell’ organo sale e si spande per 1’ ampio delle basiliche

(Parad., xvii, 38-45); dalle altezze dello spirito, ove dapprim a albeggia

l’ idea del b en e , scoppia il germ e dell’ am ore e ram polla il dubbio, generativo di scien z a, alle verdi fronde, all’ ape ronzante sulle ripe fiorite e a'polloni dell’ albero (P u rg., xvm, 49-60; Parad., iv, 130).

Amore e sdegno nella L irica dantesca son veram ente due rivi

d'una stessa vena. Al grido sdegnoso

« Ahi serva Italia »

{Purg., vi)

fa degno riscontro l’ inno a F irenze antica (P arad ., x v ) , la città del vivere riposato e bello;

al grido contro i sim oniaci,

« Deh, o r mi dì quanto teso ro volle »

(In f., xix, 90-117),

e contro i nuovi F arisei,

« Quegli, che u surpa in te rra il luogo mio »

(17)

il canto della fede (Parad., xxiv) e l’ apologia della p overtà m onacale de’ primi tempi {Parad., xi). Ogni movimento lirico, ogni grido si ra c ­ coglie poi ad unità nella preg h iera della buona ramogna {P u rg., x i), ne’ conforti m agnanimi di C acciaguida {Parad., xvii), nell’ inno sublime a M aria ( Parad., xxxm ) , Ideale eterno di bontà e di bellezza. Chi raffrontasse quest’ inno alla Canzone p etra rch e sca « V ergine bella » dovrebbe notare come qui sia più alto e sereno il contem plare del- 1’ anim a nell’ idea vagheggiata. T ra lo spirito del P e tra rc a e M aria si interpongono a quando a quando le ombre d e lla te rra : qui l’ anim a è tu tta ra p ita nella luce del Divino, e in questa luce le si apre la visione del suo passato e del suo futuro.

L a n a tu ra profondam ente sen tita si congiunge e si m esce a ’ casi della n o stra vita. I paesisti sono spesso freddi in terp reti della natu ra, perch è non sanno esprim erne le seg rete attinenze con lo spirito um ano; m a i p itto ri, come R affaello, che se ne giovano per fondo o campo, sono interpreti delle naturali bellezze più potenti e più delicati. Il saluto dell’ alba nel Guglielmo Teli, o la visione del tram onto nei M asnadieri dello Schiller h a per me profondità di sentim ento lirico , che vince d’ assai le p iù vaghe descrizioni dell’ uno e dell’ altro fenomeno. Or bene, in D a n te la n a tu ra non solo è ritra tta nelle sue relazioni con lo spirito um ano; ma in quanto è p arte viva dell’ anim a dello scritto re: valga ad esempio l’ albeggiare sulla rip a del monte sacro {P u rg., i) e il tram onto nell’ aprica valletta {i vi , v ili) , ove sono le malinconìe dell’ esule p o eta, la ricordanza del giorno d ell’a d ito e il sospiro di una luce, che non tram onta!

Sempre nella L irica il passato e il futuro prendon form a e lume dall’ atteggiam ento dello spirito del P oeta o da ciò, che il Croiset

{Poésie de Pindaro) chiam a sentiments de l’heure presente; m a talora

questo atteggiam ento è cosa tu tta fugace e particolare al P oeta, talora risponde alla coscienza perenne dell’ um anità, anzi n’ è la m anifesta­ zione più splendida. Pindaro, per mo’ d’ esempio, ritraendo il suo sospiro, ci diede il meglio della coscienza a n tic a , l’ am or della g lo ria; Dante, pur ritraendo sè ste sso , il meglio della coscienza m o derna, 1’ amor del Vero.

N ella m ente dell’ antico Fem io {O dissea, x x n , 347) un dio ebbe posto il sem e di c a n ti d’ ogni ragione: così nel Poem a dantesco, mente d’ Italia, è in germ e ogni più bel canto lirico dell’ età nuova. Non dico del G iusti, che più dal verso di D ante, che non d all’ anim a p ro p ria, senti venirgli la voce del suo « S ospiro; » m a bene affermo che i nostri m igliori, in ciò che hanno di più sano e puro, sono figliuoli di Dante e meglio che i nostri (strillino pure contro me rètori e pusilli) alcuni grandi s tra n ie ri: Alfonso L am a rtin e , m editante i silenzi della n o tte ,

(18)

Victor Hugo, m entre, contemplando , s’ affaccia alla ripa dell'Infinito, Federigo Schiller quando, novello Pigm alione, stringe a sè l’ immagine della N atura e la sente avvivarsi e alitare tra le sue giovani braccia. Leggendo, là dove questi tre rendono più alto il sentim ento dell’ Inef­ fabile , ascolto 1’ eco della protasi del P aradiso, dell’ inno all’ ordine (vasto e splendente com’ oceano tranquillo), della intonazione serena del Canto di Pietro, che poi rannuvola e avvampa. Come nelle Chiese del medio evo sculture, dipinti, colonnati ed archi ram m entano la voce d’ Ilario di Poitiers :

« T e pecudes volucresque sonant.... T e venti s tre p ita n t, pelagi te m urm urat

unda »;

così la Lirica m oderna, m entre si leva dalla terra, ram m enta l’ una o l’ altra di queste due parole dan tesch e:

« L a gloria di Colui, che tu tto muove » « L ’A mor, che muove il Sole e 1’ altre stelle. »

Ma si badi bene: affermando che il Poem a di D ante accoglie in sè le virtù germ inali della Lirica m oderna, non intendo dire che abbia anche il germ e dello scetticism o o della negazione desolata. Ben co­ nobbe l’Alighieri, se altri mai, il dubbio travaglioso, il dolore umano nelle sue tan te form e; pur non ci lasciò vestigio, nè traccia di quell’ Io malaticcio e ringhioso, che troppo spesso fa capolino e talvolta si mette fuori alla scoperta ne’ Canti de’ migliori tra ’ m oderni: di quell’ Io, che stoltam ente afferm a, con la vanità delle sue speranze e de’ suoi dolori, la vanità dell’universo! N ella Lirica di Dante è sem pre un’anim a salda, pura, luminosa, che si espande per virtù d’ am ore, sente in sè e fuor di sè 1’ unità delle cose, e, pure affermando la propria piccio- lezza al paragone dell’ universo (Purg., xi, 100-08), s’ inebria del p en­ siero d’ una V ita, che dovunque penetra e risplend e, che infiamma insieme gli astri del Cielo e le fantasie de’ poeti (P arad., x xxm ).

E ’ si fa un gran parlare del Femminino eterno di W olfango Goethe, e il trae lassù, ultima parola del Fa u s t o, mandò eco potente nel cuore

dell’ um anità; m a cotesto « trae lassù » mi par ben poco verso la con­ cezione altam ente lirica della Donna trionfale, che con gli occhi belli di sole e d’ am ore trae l’ uomo di cielo in cielo sin là , dove sfavilla d’ iride arcan a il mar dell’ essere nell’ infinita varietà de’ suoi moti e de’ suoi fulgori !

Se il medio evo non avesse generato la libertà dei Com uni, nè inalzato basiliche m eravigliose, n è, per battaglie e dolori, educato il seme d’ una futura fciviltà, m a solo dato al mondo l’Alighieri, questo poeta dell’ umano spirito nel senso più ampio della p aro la , sarebbe già un’ età grande e degna d’ esser m editata con affezione riverente. Però ben fece T orino, inalzando q u i, accanto alla M ostra n azion ale,

(19)

testimonio di vitale continuità tra la m ente dei nepoti e quella degli avi, il castello m edievale. P ossa questo ca ste llo , come g ià quello di­ segnato d alla fantasìa dantesca là nel IV dell’Inferno, sim boleggiare cose nuove e belle. L ’ animo della risto ra ta N azione, passando come

terra dura la torbida fium ana degli odi antichi e delle m alvage am bi­

zioni, entri nella nobile e saldissim a ròcca della pace op ero sa, della civiltà adunatrice e rinnovatrice del m ondo; nè abbia solo a compagni, come già l’A lighieri, i magni spiriti dell’A ntichità classica , m a tutti gli si stringano attorno quanti sono i m agnanim i d’ ogni tempo e d’ ogni paese. N ella coscienza italiana si specchi e si e sa lti, rinnovellata di splendori più vivi e profondi, la coscienza dell’ um an genere. A llora potrà sentirsi intera la g randezza dell’ Opera d an tesc a; allora ben si

vedrà di quanto l’Alighieri nostro sovrasti ad Omero e a Virgilio :

S o n ar sul T ebro e del Cefiso in riva Canzoni altere, onde le nuove genti L ’ eco sentìan de’ secoli; m a forse Solo p e r T e nella parola, uscita D al vivo cor, palpita il mondo e l’ uomo,

F rem e il tem po e l’ eterno, Iddio lam peggia E nel volto di Dio l’ a rte e l’ am ore!

IL

M OTTO

DEL BERNI.

P regiatissim o Sig. D irettore del

N.

I s t i t u t o r e .

In uno dei giorni passati io stava rileggendo qualche

scritto del

Borghini,

giornale risvegliato dopo dieci anni di

sonno dal Fanfani e dall’ Arila. Nel quaderno segnato del

N.° 13 (1.° gennaio del 1875) m’ imbattei in una mia let­

te ra scritta a Prospero Viani, colla quale in modo amiche­

vole e scherzoso pregavo quel valente filologo a dirmi se

egli avesse tanto in mano da autenticare una frase comu­

nissim a fra ’ campagnuoli del Casentino, cioè

f a r mòtto

( p ro ­

nunziato stretto il primo

o

) non solo per

a n d a re a trovare u n a p e r s o n a

, m a anche per

capitare in u n luogo.

A con­

ferm ar questa frase io aveva citato la seguente terzina

del Berni:

Il qual palco era d’ asse anch’ egli e rotto Onde il fumo che quivi si stillava, Passando, agli occhi miei faceva mòtto.

(20)

« Ecco la frase

fa r m òtto

— io scriveva — usata dal

Berni nel significato di

fa r capo

,

nella quale la rim a ti a v ­ verte che il p rim o o della voce motto va p r o n u n z ia to stretto

».

Quest’ ultima avvertenza poteva dar luogo a dubbio, ossia

poteva far credere eh’ io stabilissi per canone che il pro­

nunziare larga o stretta una vocale offendesse la legge della

rima. Tal castroneria non mi è passata mai per la mente,

giacché sapevo bene, oltre cento e cento altri esempi, che

Dante aveva detto:

Gittato mi sarei tra lor di sótto

Ma perch’ io mi sarei bruciato e còtto — Inf. 16 - v. 47. ... quegli andò sótto,

N on altrim enti l’ an itra di bòtto — Inf. 2 2 -v . 28.

Ed io sentii chiavar 1’ uscio di sótto

Nel viso a’ miei figliuoi senza far mòtto — Inf. 33 - v. 46.

Nondimeno quella mia avvertenza, posta lì unicamente per

dire che il primo

o

di

mòtto

va pronunziato,

in questo caso,

come il primo

o

di

sótto,

non è bene espressa, è difettosa,

e perciò diede motivo al signor Carlo Gargiolli, eh’ io stimo

grandemente, di farne le m eraviglie. In una lettera al F an­

fani : « Oh diamine ! — egli dice — come c’ en tra mai la rim a

colla pronunzia dell’

o

largo o stretto ? Eppure non è solo

il signor Bartolini ad aver questa opinione ec. » — Si sto rta

opinione io non 1’ ho mai avuta; e perciò scrissi al F anfani

perchè lo facesse sapere al sig. Gargiolli, e gli dichiarasse

che cosa io voleva significare con quella avvertenza per lo

meno anfibologica, tanto mi prem eva che il pregiatissim o

signor Gargiolli non mi tenesse qual seguace di un’ opinione,

che è contraddetta a ogni momento dall’ esempio dei classici.

Io

non so se il Fanfani facesse le mie scuse e mi giu­

stificasse. Perciò prego lei, sig. D irettore, a levarm i questo

bruscolo dagli occhi, e a dar luogo nel suo giornale a questa

oramai vecchia e barbogia dichiarazione.

(21)

Ora tornando alla frase

f a r m ò tto,

mi ram m ento che il

signor Gargiolli scriveva : « far mòtto e far mòtto mi paiono

u n a zu p p a - e u n p a n m o lle .

» — No — avrei dovuto risp o n ­

dergli — ciò non è vero nel caso nostro. Si deve por mente

eh’ io parlava di una m aniera usata dai cam pagnuoli del

Casentino, i quali secondo il modo di pronunziare il primo

o

di

m o tto ,

danno alla frase un significato molto diverso. Ecco

qualche discorso che schietto schietto esce loro di bocca.

« Ieri

f e c i m ò tto

a casa tua, e non ci trovai nessuno. I’ ero

venuto per dirti che di quel discorsaccio ( ormai e’ m ’ era

scappato ) tu non ne

f a c e s s i m ò tto

con anim a n ata : bada

b e n e , acqua in bocca ! — « l ’ ho girato un buon pezzo

per ritro v a r quella m an za, che mi s’ era sbrancata : alla

fine ho

fa tto m ò tto

alla calla, e ho visto eh ’ eli’ era entrata

nella bandita. Di ca rrie ra i’ son ito a riboccarla, e ho fatto

a tempo per l’ appunto, perchè quasi subito ho intoppato

la guardia. La m’ è passata da canto e m’ ha data un’ oc­

chiataccia a traverso, senza però

f a r m i m ò tto ,

nè io a lei ».

Eli’ è cosa evidente che il primo

f a r m ò tto

e il secondo

f a r

m ò tto

non sono

u n a z u p p a e u n p a n m o lle .

Ora poiché il fumo ( nella riferita terzina del Berni )

non p arlav a

( f a c e v a m ò tto)

a ’ miei occhi, m a vi giungeva

( f a c e v a m ò t t o),

bisogna, per ben com prendere il senso della

frase, pronunziare stretto il primo

o

di

m o lto ,

e così sarà

provato che il Berni usò la m aniera scriva scriva de’ nostri

campagnuoli, cioè

f a r m ò tto

per

g iu n g e r e ,

o

f a r c a p o .

Saluto cordialm ente il eh. prof. Olivieri, e lo prego a

far le mie scuse al

N u o v o I s titu to r e

se io, mem ore dell’antica

amicizia, faccio troppo a confidenza con lu i, occupandolo

in tali bazzecole.1

An t o n i o Ba r t o l i n i.

1 Ne m andi spesso di cosiffatte 1’ am ico B artolini : le cose sue son sem pre ghiotte e g a rb a te , e il N. Is titu to re le accog’ie sem pre con tanto di cuore. (£).)

(22)

APPUNTI LETTERARII.

LA CRITICA E I CRITICI NON SEMPRE SI ACCORDANO.

Alla critica g re tta e piccina d ’una volta, che non usciva mai fuori degli angusti limiti della gram m atica e della retto rica , è succeduta finalmente, anche fra noi, una critica più larga, pù com prensiva, più razionale. Essa non è solamente estetica, ma storica; non cerca sola­ mente discoprire le bellezze e i difetti nelle opere di arte, ma di queste indaga ancora l’origine, le vicende, le trasformazioni e l ’ambiente in cui sono nate. Senza tipi prestabiliti o idee p re c o n c e tte , senza preoc­ cupazioni politiche o religiose, ella si pone innanzi l ’opera artistica, e e ricerca come sia n a t a , e s e , così come è , così come è stata fatta dall’autore, sia viva e v e ra ; quanto abbia di vita, di verità e di fre­ schezza, e se nulla ci sia di fattizio e di accademico.

Fin dacché, ro tte le m uraglie della Cina che un tempo separavano noi altri dal resto del mondo, ci fu dato di pigliar p arte al moto in­ tellettuale della rim anente E uropa ; questa critica fu introdotta fra noi, e ai dì nostri ha egregi cultori nel De Sanctis, nello Zumbini, nel Com- paretti, nel D’ Ancona e in parecchi altri. Ad essa certam ente noi dob­ biamo moltissimo; m a i critici, particolarm ente quelli che sono anche a rtis ti, le si mantengono essi sempre fedeli nelle loro opere e nei loro giudizi ? Non pare.

La critica m oderna pone il bello in tutto ciò che, per opera della fantasia, piglia persona, vive, si agita e si muove, e il bru tto in tutto ciò eh ’ è astratto, e che la fantasia non ha avuto la v irtù di vivificare ; in tu tto ciò che non è nato, ma è fatto, e rivela lo stento e lo sforzo della elaborazione riflessiva. Secondo i principii di questa critica, u n ’opera d’a rte più appare spontanea, meglio nasconde il lavorìo della mente : più è bella. P iù una figura è determ inata, più si m ostra vera e reale ; più si accosta alla perfezione. La figura di Francesca da Rimini, quale ci è rappresentata da D a n te , è b e lla , appunto perchè non è u n ’ idea astratta o un simbolo, ma una pei’sona vera, reale, viva e interam ente determ inata ; meno bella è Beatrice, perchè, è tipo, è idea astratta, e rappresenta non sè stessa, ma la scienza religiosa, la grazia o che so io.

Questo dice la critica, ma i critici non sem pre si accordano con essa. La figura di Lucifero o di Satanasso che oggi è divenuta di moda, non è altro che un sim bolo, u n ’ allegoria. Lo dice un tale che di

(23)

queste cose sataniche m ostra d’ intendersi essa, M ario Foresi ; il quale nelle note a’ suoi Canti S a tan a ci ci spiega chiaram ente che cosa si debba intendere per Satana. P e r m e , egli dice, Satana personifica i principii e i sentimenti opposti a quelli che sono la negazione dell’ a- more, del progresso e del bene universale. Dunque Satana è un ’ idea astratta, un simbolo: esso è, secondo voi altri critici, la personificazione dell’ amore, dell’progresso e del bene universale. E se è così, perchè in barba ai principii della critica , ci venite dicendo che questo Sata­ nasso è una bellissima figura poetica, e, a m irarla, andate in visibilio ? Come si accorda questo giudizio co’ principii della critica ?

Avanti. La critica dice che la poesia è immagine e affetto , non ragionamento, non sillogismo, non dissertazione. Il poeta vede e sente : vede e rifa colla fantasia il mondo esteriore, vede e sente i fatti e i moti dello spirito ; e a queste sue visioni e sentim enti sa tro v are senza sforzo una espressione conveniente ed efficace. O ra leggete questi versi del Carducci su la nuova poesia in una delle sue odi barbare:

Odio l’ u sata poesia: concede

com oda al vulgo i flosci fianchi ec. ec. A me la stro fa vigile, balzante

col plauso e il piede ritm ico ne’ cori p er l ' ala a volo io colgola, si volge ella e repugna ec. ce.

Ponete m ente a questi altri dello stesso auto re su la fantasia :

T u parli, e de la voce e la moile a u ra lenta cedendo, si abbandona l’ anim a del suo p a rla r su 1’ onde ca re z z e v o li. e a stran e plaghe naviga ec. ec.

Questi v e rs i, senza dubbio, sono bellissimi: la form a è squisita­ m ente classica : vi si rivela un ingegno robusto, nudrito di forti studi. Ma che cosa contengono queste due odi ? L ’ una è un insegnamento sulla differenza tra la vecchia e la nuova poesia, e l’ a ltra discorre della virtù della fantasia. Certo, se io dovessi dare una lezione su questi due argomenti, non saprei far altro di meglio che svolgere il contenuto dell’ una e dell' a ltra ; ma come andate a conciliare queste poesie colla critica !

Non basta: la critica riprova i predicozzi e i sermoni nelle opere d arte. A ltro è il poeta, ed altro è il p dre predicatore. La m oralità in un lavoro artistico non dev’ essere esplicita, ma latente ; non deve essere solennemente predicata, ma dee risu ltare da un racconto, da un paragone, da un frizzo, da una interrogazione maliziosa. « Il Man­ zoni, dice uno scrittore, non fa prediche, ma racconta soltanto,

(24)

rac-conta con modo sereno e obbiettivo; i suoi giudizi non li stem pera e non li strombazza, bensì li fa lam peggiare da lievi accenni, da ironie finissime ».

Così dice la Critica; ma non fanno sempre così i critici. Ho riletta la bellissima poesia del Carducci p e r il trasporto delle ceneri del Fo­ scolo in Santa Croce, e vorrei che tu tti i giovani s’ inspirassero nei versi che seguono:

O belle itale fronti

Ove s’ im penna il sogno o r della vita , Se quindi a voi gentil desio non v o li,

Gentil desio di glorie e di dolori ; O Gioventù d’ Italia, in alto i cuori ! Meglio le ingiurie e i danni

D ella virtude in so litaria p a rte , Che assidersi co’ vili a reg ia m ensa; Meglio tra s c o rre r g li anni

N e ll'o m b ra dell’ oblio, che vender l’ a rte A cui d’ignobil fam a au re dispensa; Meglio i nembi sfidare al m onte in cim a,

Che b elar greg g e nella valle opima.

Bellissimi versi (c h i può n eg a rlo ?) ed anche bellissimo sermone ; ma è sempre un sermone, e la critica non vuole i sermoni.

Passiamo ad altro. L a critica prescrive che le opere d’ a rte non si giudichino dal contenuto, ma dal modo come quel contenuto è stato lavorato e tra s f orm ato dalla fantasia. Ognuno, dice il Carducci, ( P r e ­

fazion e alle poesie del Betteioni ) fa quella poesia che vuole ; ognuno

si m ette in quella luce, in quel riflesso, in quell’ om bra di v erità che gli piace : cotesto è il suo dritto. Ma i critici fanno ben diversamente. Essi il più delle volte recano nei loro giudizi le proprie loro preoc­ cupazioni politiche e religiose, e rizzano ancor essi, come già Nabuc- codonosor, la loro statua d’ oro, e vorrebbero poter gettare nella for­ nace chiunque non le pieghi il ginocchio, fosse egli un S idrac, un Misac od un Abdenago.

Y ’ ha di più ancora. L a le tte ra tu r a , e particolarm ente la poesia, dev’ essere popolare, dice la critica ; popolare per il p rin c ip io , perchè deve inspirarsi nei bisogni e nelle aspirazioni del popolo e tr a r r e in luce quei sensi che giacciono occulti nelle m oltitudini; popolare pel

fine, perchè dev’ essere indirizzata al miglioramento m orale e civile

del popolo; popolare pel m ezzo , perchè strum ento della le tte ra tu ra dev’ essere la lingua del popolo ! « Tengo per indubitato, dice il Giusti ( Lettera a Tom m aso G rossi ) che i veri più ardui, senza scemarli di grado, possono esprimersi, starei per dire, con un linguaggio da serve ;

(25)

ma il male è che, scrivendo, ci ballano davanti su per il tavolino le larve accademiche, invece delle moltitudini che chiedono pane, e lume

per vederci ».

Questo è quello che insegna la critica; ma i c ritic i, quando si mettono all’ opera, v’ imbandiscono una sapienza faticosa e d is tilla ta , a cui deve necessariam ente rim anere estraneo il volgo prof'ano ; e vi scrivono versi così difficili, così ardui, così astrusi, che per raccapez­ zarne qualche cosa e p er tra r n e qualche costrutto, se non c’ è bisogno di Edipo a sciogliere 1’ enigm a, certo è necessario ric o rre re ai voca- bolarii mitologici e storici ed avere una profonda conoscenza delle lingue classiche ed una larg a fam iliarità cogli scrittori antichi e moderni. E così, invece di parlare alle moltitudini che hanno bisogno e sete di sapere, si parla alle larve accademiche. Ho letto poco tempo addietro una poesia di questo genere indirizzata ai Triestini per la Ita lia ir r e ­

d en ta ; e scommetto che, se le cose di colassù dovessero dipendere dalla

efficacia di questa poesia, l ’ Impero austro-ungarico potrebbe dorm ir sonni tranquilli, e l ’ Italia Irreden ta rim arrebbe eternam ente irreden ta.

Il Medio evo, dice la c ritic a , è un periodo storico importantissimo, perchè in esso sono i germ i dell’ età posteriore, e senza di esso non sapremmo darci ragione del R inascim ento. Ma i c ritic i, nel giudicare le opere letterarie e scientifiche di quel tempo, vi dicono che il medio evo fu un brusco interrom persi del progresso intellettuale, fu l ’ecclissi totale della rag io n e, e considerano quella età come un vacuo nella storia dell’ umano intelletto, come uno spazio vuoto fra la civiltà antica e il

R inascim ento.

La storia dev’ essere obbiettiva: ecco un altro insegnamento della critica. L a storia, dice il Carducci, è quel che è : volerla rifare noi a nostro senno: voler rivedere n o i, come un tem a scolastico, il gran libro de’ secoli, e inscrivervi sopra con cipiglio di m a e stri, le nostre correzioni e peggio cancellare con un frego di penna le pagine che non ci gustano ecc., tu tto ciò è arbitrio e ginnastica d’ ingegno. Ma non è il vero. Ma i critici, violentando la sto ria, la fanno servire alle loro idee preconcette, e, torcendo e svisando i f a tti, li costringono ad essere una esatta dimostrazione della loro tesi.

O ra quale è la conclusione che si vuol tr a r r e da tu tte queste cose ? Eccola : la critica m oderna sia la ben venuta. Ma i critici ? Oh ! pe’ critici poi è u n altro paio di maniche. P rim a di accoglierli e di ascol­ ta r li, è bene che si riconciliino con la critica, e vivano in buono accordo con essa.

(26)

CHIACCHIERE LETTERARIE.

VII.

Ca r l o — Questa non posso m enartela buona. Che bisogno c’ è di chiamare il Grilli avvocato esercente? Mi pare che basti dirlo avvocato senz’ altro.

P i e t r o — N o , caro mio : è invece opportunissimo appioppargli

quel participio, per la semplice ragione che ci sono molti avvocati

i

quali non si mettono mai la toga, qualche volta perchè hanno da vivere d’ entrata, ma per lo più perchè furono costretti a m utare strada, non avendo trovato clienti. E poi, non sono avvocati anche tu tti i pezzi

grossi e piccini della m agistratura?

C. Poniamo che in ciò tu abbia ragione. Hai per altro il torto marcio quando fai uso di francesismi, tu che alla pedanteria hai una tendenza irresistibile. Senti che cosa scrive il Rigutini nel suo libro sui Neologismi: « Es e r c e n t e. È un participio senza il suo verbo in

italiano (!), come quando dicesi Esercente un mestiere, un’ industria, una professione. Dal qual participio si è fatto poi l’ adiettivo , come Medico, Avvocato esercente; e quindi il sost. per Chiunque esercita un’ arte, u n ’ industria ecc. T utta roba presa dal francese, dove sta bene, essendovi il verbo exercer. »

P . Fammi sapere dunque, di g razia, come si dovrebbe dire in

buon italiano.

C. Non avendo noi che il verbo Esercitare, bisognerebbe dire Avvocato esercitante.

P . Ah ! Ah ! Bellino davvero ! Ma non comprendi che chi lo dicesse

inviterebbe la gente a fargli la baiata, e che gli tirerebbero i torsoli di cavoli perfino le serve? E d ora stammi a sentire. Il tuo autore ne dice una grossa quando asserisce che Esercente è un participio senza il suo verbo in italiano. Scartabella i grandi vocabolari della lingua italiana, non escluso quello della C rusca, e vi troverai precisam ente

Es e r c é r e ed il relativo participio con esempi del buon secolo, ed in particolare del Boccaccio. Straluni gli occhi. Dio m io, ti senti m ale?

C. N o: è stato un effetto dell’ ira che m’ è venuta su da’ precordi nel sentire che il Rigutini mi ha fatto quest’ a ltra gherm inella.

P . Non si tra tta di gherminelle, mio buon Carlo. Le sono pàpere

(27)

colpa non è piccina davvero. Come si fa a sentenziare così alla lesta senza dare u n ’ occhiata ai vocabolari ? Eh, si vede bene che egli crede di avere infusa la scienza filologica, e appollaiato sem pre lo Spirito Santo sul berretto. E bensì vero che i V ocabolari dicono E sercere poco u sato ; ma intanto lo registrarono, perchè usato dagli antichi scritto ri più autorevoli; e ciò basta per escludere che si tra tti di roba p resa

d a l francese. Del resto, non è forse noto che di qualche verbo sono

rim aste nell’ uso alcune voci soltanto, e che altri non hanno la coniu­ gazione com piuta, e si dicono perciò d ife ttiv i? Non c’ è dunque da m aravigliarsi se, andando in disuso il verbo Esercere, è rim asto vivo e verde il suo participio presente. Dalla lingua latina, e non dalla fran­ cese, ci venne questo participio, sicché...

C. Basta : non andare oltre, chè orm ai non faresti altro che sfondare

gli usci spalancati.

P . Si, faremo punto su ciò. Ma intanto perm ettim i di notare quanto più giudiziosi sono stati il Fanfani e l ’A rila. Essi hanno scritto nel

Lessico: « Es e r c e n t e. P a rt. pres. dell’ antico v e r b o E sercere: si usa

spesso come nome sostantivo per dim ostrare Colui che esercita u n ’arte o un’ industria ; ma è un’ affettazione che si può senza scomodo lasciare stare, dicendo: il P ittore, il Legnaiuolo, il Bollegajo, il Caffettiere,

il B arbiere; e con voce collettiva G li a r t i s t i , G li a r tig ia n i, Gl' in ­ d u s tr ia li, 1 v e n d ito ri a m in u to , I bottegai ecc. G uardate se c’ è

proprio bisogno di Esercente! » Questo sì eh’ è un parlare da gente che sa il fatto suo. Il Lessico giustam ante condanna soltanto 1’ abuso che si fa della voce E sercente, e l ’ Ugolini, che p ure non era poco severo, scrisse che, derivando legittim am ente dall’ antica parola E ser­

cere, non è voce da rifiu tarsi, sem pre però nel senso di esercitare un' arte. Il tuo Rigutini monta invece su l cavallo d’ Orlando, e piff!

paff! dà sciabolate a casaccio a destra ed a sinistra. Oh quanto avrebbe fatto bene se anche in questo caso avesse empito il bicchiere alla solita fonte! Un e rro re di meno gli peserebbe sulla coscienza.

C. O ra dimmi un po’ se a te non rim orde la coscienza per avere

usato fin dalle prim e nostre parole M a gistra tu ra per il tu tto insieme dei M agistrati.

P . Niente affatto!

C. Eppure il Lessico, deferendo all’ au to rità del Dal Rio, il quale

notò che * M agistratu ra per M agistrato è falso », dichiara che, es­ sendo il Dal Rio piuttosto di maniche larg h e , è da aver fede in l u i, soggiungendo : « Chi dicesse, per esempio, A quella solennità interven n e

(28)

Magistrato è la p e rso n a , Magistratura è 1’ ufficio. » Dunque tu hai parlato più che im proprissimamente!

P. Ecco: io credo che qui sia da farsi una bella e buona distin­ zione. La nostra lingua conta ormai parecchi secoli, ed è tuttavia vegeta e robusta, senza che vi si notino in ugual grado le alterazioni avvenute in altri idiomi. Così, m entre i francesi intendono a mala pena gli scritto ri del 1300, noi leggiamo i sonetti del P etrarca, e ci sembrano composti ieri. Congratuliamoci per questa forte vitalità della n ostra lingua, ma non esageriam o, chè anche in essa il tempo ha fatto delle sue. Una lingua non diviene lago dalle acque immobili se non quando è m orta: finche vive è fiume irrom pente, che rode le sponde, e come il Mississipì devia talvolta alquanto a destra e talvolta a sin istra, trascinando nei suoi gorghi d’ ogni cosa un po’. Di qui cam biam enti, modificazioni, alterazioni inevitabili. Veniamo a noi. Come ha dim ostrato egregiam ente il Manno, c’ è una fortuna anche p er le parole. Alcune restano, altre spariscono, a ltre si trasform ano, a ltre risuscitano, altre di nobili diven­ tano v ili, altre di bassa lega vengono assunte ai sommi o no ri, altre s’ inventano, altre, che sono straniere, si fanno cittadine. Insomma, per una lingua vivente non c’ è cristallizzazione nè stereotipia. O ra , non c’ è dubbio che anticam ente Magistratura significò soltanto Ufficio del magistrato, e che per denotare tanto un Collegio di giudicanti, quanto un solo membro di esso, fu usata la voce Magistrato. P e r conseguenza, il Dal Rio ed il Lessico che lo segue hanno ragione da vendere, se ci riportiam o a quei vecchi tempi, e dicono bene quando osservano che, volendo stare attaccati strettam ente alla proprietà, non si dovrebbe far di Magistratura un term ine generale comprensivo della università dei m agistrati, o di tu tti quelli che p. e. risiedono in uno stesso luogo. Ma d’ aitra parte, non si può negare che nell’ uso moderno Magistrato significa soltanto P ersona che esercita un ufficio giudiziario con giurisdi­ zione più o meno e stesa, e non più ( almeno comunemente ) qualche altro ufficiale pubblico, come il prefetto ed il sindaco, m entre dicesi Magistraturanon solo quel medesimo ufficio, ma anche il corpo, l’o r­ dine dei m agistrati. Oggi nessuno direbbe che bisogna accrescere il decoro del Magistrato, nè che l'Italia ha un Magistrato incorrotto, volendo accennare all’ intero ordine: tu tti direbbero invece Magistra­ tura. Come e quando e da chi siasi cominciato a fare uso di quest' ul­ timo vocabolo nel detto senso io non potrei dirtelo qui stans pede in uno; ma è indubitato che 1’ uso generale è come te lo riferisco, e che sarebbe deriso come affettazione e pedanteria il dir Magistrato per Corpo giudiziario; sicché bisogna subire la legge di quella consuetudine

(29)

che Orazio chiamò norma loquendi. Ed ove p u r si tra tta sse d ’ un gallicismo, sarebbe tempo perso il gridargli la croce addosso, perchè si è fortem ente abbarbicato; bene a questo proposito avendo scritto il Manno (Be' vizi de' letterati, Lib. II, c. IY) : « perchè, siccome quando le cose son tenere ogni minimo impedimento è assai, così alloraquando il barbarism o è trasm utato in costumanza, il te n ta r di com batterlo fru t­ tuosam ente con tu tti è un volere, come dicesi, dirizzare il becco agli sparvieri. ■» Eppoi, aspetta : voglio leggerti ciò che il Tommasèo lasciò scritto nel suo g ra n Dizionario della lingua italiana. Ecco qua: « A l t a M a g i s t r a t u r a , I m agistrati m aggiori in dignità e autorità. > V ero è eh’ egli aggiungeva : « Ma più spedito I magistrati. » Ad ogni modo, sulla fine del paragrafo dà come accettabile significato di Magi­ stratura: « T utti insieme i m agistrati d’ un luogo, sia città, o provincia o nazione. > D’ a ltra p a r te , se non è un peccato m ortale il fare uso delle figure del linguaggio, non deve parere strano traslato u sa r la voce Magistratura nel predetto senso collettivo, come non è strano usare il vocabolo Miliziatanto nel significato di Servizio m ilitare quanto

nell’ altro di M oltitudine ordinata di soldati.

C. P e r Bacco ! Mi pare che quest' ultim e osservazioni taglino, come suol dirsi, la testa al toro.

P . Ad ogni modo, lasciami aggiungere ch e , come noi diciamo adesso Magistratura p er Università di m agistrati, dicono allo stesso modo Magistrature i Francesi, Magistracy g l’ Inglesi. Al qual proposito dirò che, se p ure si cominciò fra noi a dare a quella voce il nuovo signi­ ficato per im itare un traslato messo in voga di là dall’ Alpi, non sarebbe questa una buona ragione per gridare allo scandalo, m entre la novità non offese le re tte norm e della n ostra lin g u a , nella quale la si poteva in tro d u rre facilmente senz’ ombra d ’ imitazione, come avvien de’ traslati che si formano per le sole norme che regolano ogni linguaggio. Sicché bisogna finire col conchiudere che il giudizio del Dal Rio fu troppo rigido ed arrischiato.

C.È vero. Adesso fammi il piacere di dirm i se ti pare che il Ri­ gutini colga nel segno con quanto scrive sotto Es e r c iz io. Ecco le sue precise parole : « Nel senso di Azienda qualsiasi è un pretto gallicismo ; ed è pure un gallicismo 1’ adoperarlo per La percezione e l’ uso delle rendite pubbliche, ed altresì per Bilancio annuo dello S tato; gallicismi che i Regolamenti e le Leggi hanno regalati all’ Italia. »

P. Eccoci ad u n ’ a ltra violazione della savia regola Ne quid nimis. Il campo è vasto, caro mio. Ad ogni modo, coraggio e avanti. Voglio

(30)

cominciare col farti ridere un poco, chiedendoti se ritieni che sia grande 1’ autorità del V archi in fatto di lingua.

C. V uoi canzonarmi? Chi è che non sappia essere l’ au to re del-l'Ercolano uno scrittore classico, il quale non ha chi lo superi nella purezza e proprietà della lingua?

P. D unque, se il V archi avesse usato Esercizio per Azienda qualsiasi, cred eresti che coll’ autorità del suo esempio si potrebbe ridere d’ un losco filologo il quale avesse vituperata quella voce come pretto gallicismo nel detto senso?

C. Certamente.

P . Leggiamo dunque il tuo au tore a pag. 269. « M o b i l e . Ricchezza mobile. Non per nitro che per far vedere come i nostri antichi dicessero le stesse cose che noi, senza ric o rre re a strani p a rla ri, riferisco un passo delle Storie del V archi ( V . Ili, p. 36, ediz. A rb ib ): « L ’ A r­ bitrio era una gravezza che si pose la prima volta l’ anno 1508, per le spese che s’ eran fatte e si facevano continuam ente nella g u e rra di Pisa : e perchè la non si pose in su’ beni stabili, ma in su gli ESERCIZI e su le faccende che facevano i cittadini, e per coniettura di quel che potevano eglino guadagnare 1’ anno con l’ industria lo ro , fu chiam ata questa gravezza Arbitrio.

»

G. 0 bella, ma bella davvero ! C’ è proprio da sbellicarsi dalle risa.

Il mio povero Rigutini si è data la zappa sui piedi, essendo chiaro ed evidente che il V archi usò Esercizi precisamente nel significato di Aziende, Industrie.

P. Et nunc erudimini! In queste faccende bisognerebbe usare le bilancine dell’ orefice ; ma in Italia ci sono dei filologi che si servono invece della stadera del carbonaio, e bevono grosso, eh ’ è un piacere 10 stare a vedere come sogliono arzigogolare. In una pagina s’ invita a coppe ed in un ’ a ltra si giuoca a danari. « 0 pazienza che tanto sostieni ! », esclamerebbe il Nonno. E aggiungi che, avendo letto l’ intero tema Ex e r c i c e nel dizionario del L ittré, non vi ho trovato fra i tanti significati quello di Bottega, Negozio, Commercio, Azienda, sicché sa­ rebbe da non am m ettersi per dim ostrato che di fatto quel vocabolo abbia anche presso i nostri vicini quel senso particolare. E allora, come fa il Rigutini a bollare per p r e t t o g a l l i c i s m o l ’ uso nostro? Ahim è:

siamo sem pre alle sentenze im provvisate ! Del resto, fra i verbi transitivi 11 più veram ente attivo, anzi faccendiere, è il verbo Fare. G uarda un

vocabolario, e vedrai quanto ciò sia vero ; m a dal canto suo il verbo Esercitare non canzona ; e la sua operosità è di lunga data. N ella sua forma primitiva (Exercere), presso quei Romani che non usavano tenere

Riferimenti

Documenti correlati

The solution is applied to the characterization of transient effects in Raman amplifiers, with a special emphasis on the possibility of generating Stokes pulses with peak powers

On the other hand, the event-based control architectures based on the SSOD method and coupled with a classical time-driven PI (SSOD-PI and PI-SSOD) controller also count with

In the present study we analysed 1,881 consecutive first-ever IS patients aged 18–45 years recruited from Ja- nuary 2000 to January 2012 as part of the Italian Project on Stroke in

It may also be used as the fundamental dynamical principle in theories that attempt to unite mechanics and thermodynamics, such as the Hatsopoulos–Gyftopoulos unified theory

For this vision to materialise, the European Union can count on first class Research in clean energy technologies, a strong industrial base, a dense entrepreneurial ecosystem in clear

By increasing the pump power above 500 mW and suitably adjusting the intracavity PC so that a low net cavity birefringence was obtained, the CW mode of operation of the laser

• The framework is adaptable to quantify any practice carried out by the beekeeper. However, a clear overview on the main actions carried out by beekeepers and their role for

As far as the possible explanation of the wide range of variation of the observed modulational instability frequency as a function of the cavity birefringence, we may suggest