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Newton e l’ostrica filosofo. Il ruolo dell’entretien nella «Philosophie de la nature» di Delisle de Sales

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Newton e l’ostrica filosofo.

Il ruolo dell’entretien nella «Philosophie de la nature» di Delisle de Sales

1. Un’«ottima persona, molto cordialmente mediocre»

Delisle de Sales, nato a Lione il 29 aprile del 1741 e morto a Parigi il 22 settembre del 1816, rappresenta una figura emblematica di quel momento di crisi e trasformazione che fu il tournant des Lumières, ossia quella del poligrafo desideroso di ripercorrere, ma con scarso successo, le orme dei philosophes. La sua strabordante produzione conta più di ottanta titoli a stampa, che spaziano dal teatro alla storia, dalla politica alla critica letteraria, sino a giungere alla filosofia, che Delisle de Sales considerò sempre il proprio terreno di elezione. Scrisse infatti numerose opere, per lo più apertamente ispirate al suo «maestro» Voltaire – che nutrì nei suoi confronti amicizia e stima – dedicate alle tematiche più eterogenee, ma sempre à la mode. Si possono ricordare, a titolo puramente esemplificativo, un Parallèle entre Descartes et Newton del 1766, un’utopia in sei volumi del 1793, intitolata Éponine e ispirata alla

Repubblica di Platone, unaHistoire philosophique du monde primitif in sette volumi,

pubblicata lo stesso anno, e una Philosophie du bonheur data alle stampe due anni dopo1.

L’opera che gli conferì una discreta notorietà, ma che lo fece anche condannare all’imprigionamento a vita allo Châtelet (sentenza poi commutata in una breve reclusione grazie all’intervento di Voltaire2), fu La Philosophie de la nature, pubblicata per la prima volta in tre volumi nel 1770 e costantemente ampliata dall’autore in sette ristampe successive, sino a contare dieci volumi nel 18043. 1 Cfr. D. de Sales, Parallèle entre Descartes et Newton, La Haye, s.e., 1766; Éponine, ou de la

République, ouvrage de Platon découvert et publié par l’auteur de la Philosophie de la nature, 6 voll., Paris, s.e., 1793 (ristampa anastatica, a cura di P. Malandain, Paris, Les Belles Lettres, 1990); Histoire philosophique du monde primitif, 7 voll., Paris, Didot l’aîné, 1793; De la Philosophie du bonheur, 2 voll., Paris, s.e., 1796.

2 L’anziano Voltaire contribuì con una cifra molto elevata, 500 lire, alla sottoscrizione per lo

scarceramento di Delisle de Sales. A titolo comparativo, Rousseau contribuì pochi anni dopo alla costruzione di una statua di Voltaire con una donazione (considerata generosa dai contemporanei) di due luigi, ossia 48 lire. Voltaire parla del processo di Delisle in Le prix de la justice et de l’humanité, a cura di R. Granderoute, in Les Œuvres complètes de Voltaire, 80 b: Œuvres de 1777-1778 (1), a cura di R. Granderoute e S. Mason, Oxford, Voltaire Foundation, 2009, p. 131.

3 La data della prima edizione – pubblicata ad Amsterdam dall’editore Arkstée et Merkus – è

controversa. Beuchot, Quérard, Ersch e Cioranescu indicano il 1769; Lanson e Malandain il 1770, come riporta anche l’esemplare dell’originale conservato alla Bibliothèque nationale de France. Tutte le nostre citazioni rimanderanno alla settima e ultima edizione dell’opera, l’unica di cui l’autore si dichiarò soddisfatto:De la Philosophie de la nature, ou Traité de morale pour l’espèce humaine tiré de la philosophie et fondé sur la nature, 10 voll., Paris, Gide, 1804 [edizione indicata nel prosieguo con la sigla PN seguita dal numero romano del volume].

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Nonostante quest’opera sia stata un successo editoriale, letta e praticata ancora per buona parte del diciannovesimo secolo dai grandi scrittori romantici, essa non contribuì in alcun modo a conferire a Delisle de Sales, né in vita né presso i posteri, la gloria letteraria che tanto desiderava. Tra le poche testimonianze dei contemporanei rintracciabili sulla sua figura, spicca quella di Chateaubriand. Nei Mémoires

d’outre-tombe, egli descrive impietosamente Delisle de Sales come un’«ottima persona,

molto cordialmente mediocre», dipingendone un ritratto poco lusinghiero: «Grasso e trasandato, si portava dietro un rotolo di carta unta che gli sporgeva dalla tasca; alle cantonate vi annotava quanto gli passava per la testa. Sul piedistallo del suo busto di marmo aveva vergato di suo pugno quest’iscrizione, ripresa dal busto di Buffon: Dio,

l’uomo, la natura, tutto ha spiegato […]. Scommetterei che tra quanti leggono questa

frase c’è chi si crede uno scrittore di genio, pur non essendo che uno sciocco»4. Un altro aneddoto5 racconta che uno dei colleghi di Delisle de Sales all’Institut de France, probabilmente François Andrieux6, aggiunse di nascosto un secondo verso all’iscrizione del busto – Ma nessuno prima di lui se n’era accorto7– suscitando le ire

dell’autore della Philosophie de la nature.

Questi giudizi, per quanto severi, si sono rivelati profetici. La figura di Delisle de Sales è a lungo completamente scomparsa dalla letteratura critica dedicata al tardo Settecento, o è stata al più citata con superficiale condiscendenza. Una imponente monografia di Pierre Malandain, pubblicata nella celebre collana «Studies on Voltaire and the Eighteenth Century» nel 1982, ha provato a mettere in luce il ruolo non irrilevante di questa figura poco conosciuta nella storia della cultura, pur senza nasconderne gli evidenti limiti filosofici. Come osserva lo stesso Malandain, infatti, «il contenuto nozionistico della Philosophie de la nature non presenta alcun elemento veramente originale, né si compone in sistema»8. Ciò nonostante, l’opera di Delisle de Sales meriterebbe di essere maggiormente frequentata, in quanto si tratta di una testimonianza preziosa del modo in cui molte problematiche care al pensiero dei lumi (il primitivismo, la nozione di catena degli esseri, l’esistenza di una lingua originaria, la questione della teodicea, ecc.) sono state trasmesse e hanno influenzato il 4 F.-R. de Chateaubriand, Mémoires d’outre-tombe, a cura di M. Levaillant e G. Moulinier,

Paris, Gallimard, 1961, pp. 152-153; trad. it. Memorie d’oltretomba, 2 voll., a cura di C. Garboli e I. Rosi, Torino, Einaudi-Gallimard, 1995, vol. I, p. 144.

5 Cfr. la voce «Lisle (Jean-Baptiste Isoard) de», inBiographie universelle, ancienne et moderne,

Paris, Michaud, 1819, vol. XXIV, p. 563; voce «Lisle de Sales», in Encyclopédie catholique: répertoire universel et raisonné des sciences, des arts et des métiers, Paris, Parent Desbarres, 1847, vol. XIII, p. 644.

6 François-Guillaume-Jean-Stanislas Andrieux (1759-1833) fu un avvocato, poeta e autore

drammatico, celebre soprattutto per alcuni pamphlets anticlericali ispirati apertamente a Voltaire.

7 La rima si perde nella traduzione italiana: «Dieu, l’homme, la nature, il a tout expliqué / Mais

personne avant lui ne l’avait remarqué».

8 P. Malandain, Delisle de Sales, philosophe de la nature 1741-1816, 2 voll., Oxford, Voltaire

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diciannovesimo secolo. Tale invito è tuttavia rimasto quasi completamente inascoltato e il pensiero di Delisle de Sales è a tutt’oggi oggetto di rari contributi, costituiti per lo più da qualche pagina di libri dedicati ad altre tematiche9.

Sembra lecito domandarsi, alla luce di tali premesse, se valga effettivamente la pena soffermarsi su di un autore che è «un semplice trasmettitore d’idee già presenti»10. La volontà d’interrogarsi sull’evoluzione del genere letterario dell’entretien nel corso del diciottesimo secolo, e in particolar modo sul suo uso filosofico, fornisce un valido elemento per rispondere affermativamente alla questione. Se la Philosophie de la nature non riveste un grande interesse filosofico per i suoi contenuti, essa può tuttavia rivelarsi feconda, nella prospettiva della storia delle idee, grazie alle modalità espressive con cui tali contenuti, di per sé convenzionali, vengono esposti. Si proverà a mettere in luce come proprio l’uso dell’entretien, coniugato in maniera originale a un altro genere letterario particolarmente in voga nel tardo Settecento – ossia l’histoire naturelle – consenta a Delisle de Sales di far emergere implicitamente la propria concezione della pratica filosofica, conferendo un elemento di coesione decisivo a un’opera caratterizzata da una linea argomentativa piuttosto fragile e frammentaria.

2. La storia naturale e l’entretien: un’inedita alleanza

La Philosophie de la nature, che reca come sottotitolo Traité de morale pour

l’espèce humaine tiré de la philosophie et fondé sur la nature, si presenta non solo

come una vera e propria enciclopedia della storia della filosofia e della religione (nonostante la condanna dell’opera in quanto blasfema, Delisle de Sales è un apologeta del deismo e dell’immortalità dell’anima), ma anche come un compendio delle teorie sulla formazione della terra, sull’embriogenesi, e su molte altre questioni scientifiche. Una simile volontà di fornire una spiegazione omnicomprensiva del mondo naturale e della società umana riflette fedelmente i tratti caratteristici del genere letterario dell’histoire naturelle, di cui l’opera di Delisle de Sales si può considerare un esempio paradigmatico. Questo genere letterario – che risulta particolarmente dispersivo agli occhi di un lettore contemporaneo – ha goduto di un incontestabile favore lungo tutto il corso del diciottesimo secolo, tanto da diventare un genere autonomo a cui venne riconosciuto non solo un valore scientifico, ma anche letterario e filosofico. Il suo straordinario successo è confermato dalle indagini condotte sulle biblioteche private parigine la cui costituzione è databile tra il 1750 e il 9 Cfr. A. Gerbi, Un ammiratore-avversario di de Pauw: Delisle de Sales, in La disputa del

Nuovo Mondo. Storia di una polemica (1750-1900), Milano-Napoli, Ricciardi, 1955, 19832, pp. 158-166;R. Darnton,Delisle de Sales, Jean-Babtiste-Claude Isoard, in The Forbidden Best-Sellers of Pre-Revolutionary France, New York,W.W. Norton & Company, 1996, pp. 48-49.

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1780: tra i libri più posseduti devono essere annoverati proprio l’Histoire naturelle di Buffon e Le spectacle de la nature dell’abbé Pluche, secondi per diffusione soltanto al Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle, vero e proprio manifesto del protoilluminismo, e alle Œuvres del poeta cinquecentesco Clément Marot. L’ampia circolazione di queste opere filosofico-scientifiche, assimilabile per portata a quella degli scritti romanzeschi, è ulteriormente confermata dal fatto che L’histoire

naturelle des insectes (1700) del naturalista e pittore olandese Jan Goedart e il Telliamed di Benoît de Maillet – un’ardita esposizione delle teorie nettuniste

sull’origine del globo terrestre pubblicata nel 1748 – si ritrovano con una frequenza di poco inferiore a quella dell’Encyclopédie, ma superiore a quella di molti «classici» della cultura settecentesca, come il Contrat social di Jean-Jacques Rousseau11.

Ciò che distingue con nettezza l’opera di Delisle de Sales dagli altri scritti consacrati alla storia naturale non è tanto il mastodontico progetto tassonomico che ne è alla base, quanto il sistematico inserimento al suo interno di testi narrativi dialogici, letterariamente autonomi, che servono a illustrare le questioni affrontate in modo più convenzionale nel resto dell’opera. Delisle de Sales dedicò un’attenzione particolare a questi scritti, aggiungendone continuamente di nuovi e rimaneggiando quelli vecchi nelle edizioni successive dell’opera, che l’occuparono per più di trent’anni. Anche da una lista incompleta dei titoli di questi dialoghi è possibile rendersi conto della loro eterogeneità contenutistica: Dialogue entre Locke, et le

jésuite Letellier; Dialogue du gouvernant et du gouverné; Entretien d’un roi par la grâce de son épée, avec un roi par grâce de sa vertu; Dialogue entre un théiste et un athée; Le Parisien et le Caraïbe, dialogue; Dialogue entre Leibnitz et Charles XII; Entretien entre un philosophe qui fait des livres, et un philosophe qui fait des révolutions; Entretien de Christophe de Beaumont, archevêque de Paris, avec une Américaine, ecc.12. Ciò che è importante sottolineare sin da subito è tuttavia come, al di là di qualche oscillazione linguistica, si tratti sempre non di semplici

conversations, ma di veri e propri entretiens, coerentemente con la distinzione tra le

forme dialogiche tracciata da d’Alembert nell’Encyclopédie, secondo cui «si

11 I dati sono tratti dal classico contributo di D. Mornet, Les enseignements des bibliothèques

privées (1750-1780), in «Revue d’histoire littéraire de la France», 17, 1910, n. 3, pp. 449-492. Per ulteriori indicazioni bibliografiche cfr. P. Duris, voce «Histoire naturelle», in Dictionnaire européen des Lumières, a cura di M. Delon, Paris, Presses Universitaires de France, 1997, pp. 543-547 e J. Stalnaker, The Unfinished Enlightenment: Description in the Age of the Encyclopedia, Ithaca (NY), Cornell University Press, 2010.

12Cfr. D. de Sales, Dialogue entre Locke, et le jésuite Letellier, PN I, pp. 173-178; Dialogue du

gouvernant et du gouverné, PN II, pp. 235-240; Entretien d’un roi par la grâce de son épée, avec un roi par grâce de sa vertu, PN II, pp. 255-263; Le Parisien et le Caraïbe, dialogue, PN IV, pp. 24-36; Dialogue entre Leibnitz et Charles XII, PN IV, pp. 335-354; Entretien de Christophe de Beaumont, archevêque de Paris, avec une Américaine, PN IX, pp. 34-47.

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definisce conversazione in generale qualsiasi tipo di discorso reciproco, mentre l’entretien è un discorso reciproco che sviluppa un soggetto specifico»13.

L’idea d’illustrare una tesi attraverso un dialogo immaginario o una vicenda romanzesca era in sé abbastanza diffusa all’interno delle opere di storia naturale. Può essere sufficiente ricordare, a tale proposito, come Paul et Virginie, destinato a diventare uno dei romanzi più celebri del tournant des Lumières, figurasse originariamente nel quarto tomo della terza edizione delle Études de la nature (1788) di Bernardin de Saint-Pierre, dove aveva il preciso compito di presentare al lettore, da un punto di vista differente, la dottrina della teodicea delineata nello scritto teorico14. Se la sinergia tra storia naturale ed esposizione letteraria era in sé convenzionale, è tuttavia incontestabile che nessuna delle opere più significative del genere presenta un’alleanza tanto stretta e reiterata tra entretien e argomentazione teorica da poter essere paragonata, neppure lontanamente, alla Philosophie de la nature. Questa peculiarità si manifesta non solo su un piano quantitativo, ma soprattutto – ed è l’aspetto più interessante – su quello qualitativo.

Delisle de Sales non si limita a servirsi sistematicamente dell’entretien, ma giunge a delinearne implicitamente una vera e propria teoria al contempo estetica e morale, che si manifesta, innanzitutto, nella scelta dei personaggi che intavolano la discussione, i quali appartengono a tre categorie specifiche. La prima è quella dei filosofi, sia antichi sia moderni, che sono incaricati di confutare una specifica opinione comunemente accettata, coerentemente con il metodo di procedere di Delisle de Sales, riassumibile nella formula secondo cui bisogna «leggere tutto per poter tutto confutare»15. Una seconda categoria è rappresentata da personaggi storici o letterari celebri, come il sovrano Carlo XII o il barone Wolmar della Nouvelle

Héloïse, che diventano per lo più l’emblema di alcune posizioni che vogliono essere

condannate dall’autore: nei casi citati, l’esistenza ascetica del sovrano di Svezia (passato alla storia per la sua assoluta astinenza e la sua totale mancanza di emotività) e l’ateismo del personaggio di Rousseau, che gli impedisce di comprendere la morte di Julie e di trovarvi una qualsiasi consolazione. La terza categoria, connotata in maniera meno rigida sul piano valoriale rispetto alle prime due, è quella che si può definire delle «tipologie» umane – il governatore, il gesuita, il selvaggio, ecc. – che, 13 J. le Rond d’Alembert, voce «Conversation, entretien», in Encyclopédie, ou Dictionnaire

raisonné des sciences, des arts et des métiers, par une société de gens de lettres, 17 voll., a cura di D. Diderot et J. le Rond d’Alembert, Paris-Neuchâtel, Briasson, David, Le Breton-Durand, 1751-1772, vol. IV, p. 165.

14 Cfr. Colas Duflo, «Paul et Virginie», tome IV des «Études de la nature», in Bernardin de

Saint-Pierre au tournant des Lumières: mélanges en l’honneur de Malcolm Cook, a cura di K. Astbury, Leuven, Peeters, 2012, pp. 125-136; Idem, Les aventures de Sophie. La philosophie dans le roman au XVIIIe siècle, Paris, CNRS Éditions, 2013, pp. 219-238. Mi permetto inoltre di rinviare a M. Menin, Entre anthropodicée et eschatologie: la double théodicée de Bernardin de Saint-Pierre, in «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 63, 2016, n. 1, pp. 216-234.

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di volta in volta, si fanno portavoce delle idee che si vogliono analizzare. Ciò che tuttavia è interessante osservare è come, anche quando la posizione di Delisle de Sales risulta più netta, come nel caso della difesa dell’immortalità dell’anima nel dialogo tra Socrate e Wolmar, l’entretien complica e sfuma sempre la questione (non mancano conclusioni aporetiche) rispetto all’equivalente analisi astratta, che appare notevolmente più netta, ma spesso anche più superficiale. Per questa ragione, come ha rilevato Robert Mauzi (riferendosi alla Philosophie di bonheur, ma l’osservazione si applica perfettamente anche alla Philosophie de la nature) «Delisle ha il genio di quegli equivoci in cui la sensibilità e la virtù divengono stranamente complici […]. I ritratti umani che mette in scena nelle sue opere morali si concludono sempre attraverso curiosi ribaltamenti»16.

L’entretien non viene dunque banalmente a configurarsi come una

illustrazione semplificata delle questioni affrontate nelle sezioni teoriche – utile cioè

a spiegare o a rendere più accattivante agli occhi del lettore le tesi dell’autore – ma si caratterizza al contrario come una vera e propria applicazione della filosofia, che permette di «costruire» la verità attraverso la pratica dialogica. In questa prospettiva, paradossalmente, non sono gli entretiens a dover essere compresi alla luce delle idee teoriche esplicitamente espresse nella Philosophie de la nature – idee per lo più frammentarie e raramente arricchite da una strumentazione concettuale originale – ma sono essi stessi a svelare implicitamente l’essenza del pensiero dell’autore, che trova una sua coesione non tanto in una coerenza contenutistica, quanto nella solidità della trama testuale. Se, come osservato da Malandain, «non è d’altronde mai in nome di una idea o di un insieme di idee che Delisle si batte, […] ma sempre per il diritto di costituire ogni cosa in testo», la specifica dimensione letteraria della

Philosophie de la nature può, almeno in parte, rimettere in discussione la sua

debolezza filosofica, facendo emergere come la realizzazione più compiuta della stessa filosofia possa risiedere, agli occhi del nostro autore, nel considerare la pratica della scrittura come un atto morale e un’avventura esistenziale.

Per provare a mettere in luce la validità di questa ipotesi interpretativa, mi concentrerò sull’analisi puntuale di uno specifico entretien della Philosophie de la

nature, ossia il Drame raisonnable inserito nell’opera sin dalla prima edizione.

3. Newton in Senegal

Il Drame raisonnable è un breve dialogo socratico, denso d’ironia, che descrive le avventure immaginarie di Newton – emblema della scienza sperimentale

16 R. Mauzi, L’idée du bonheur dans la littérature et la pensée françaises au XVIIIe siècle, Paris,

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seicentesca e «padre» dell’empirismo dei Lumi17– in Senegal. Newton, che viene qui presentato come una sorta di pitagorico dedito al vegetarianesimo, si reca in Africa per verificare la bontà dei suoi calcoli sulle maree; i suoi piani sono tuttavia stravolti da un inaspettato dialogo con un’ostrica, un tritone e un nativo africano albino sulla moralità o immoralità di mangiarsi vicendevolmente. La scelta di analizzare questo specifico entretien appare giustificata non solo dal fatto che si tratta di una delle produzioni letterariamente più riuscite di Delisle de Sales – come conferma tra l’altro la trasposizione in versi fattane dal chevalier Dorat nelle sue Fables18– ma,

soprattutto, dal fatto che in esso emerge con particolare evidenza la metodologia utilizzata dall’autore.

L’argomento filosofico centrale del Drame raisonnable è in sé convenzionale. Si tratta della dottrina della grande catena dell’essere, dottrina che ricoprì fino all’ultimo quarto del diciottesimo secolo un ruolo determinante nella storia delle scienze, paragonabile a quello che avrebbe avuto nel secolo successivo la teoria dell’evoluzione. Secondo questa idea, la cui storia è stata magistralmente ricostruita da Arthur Lovejoy19, Dio avrebbe creato l’intera natura in perfetta continuità e senza alcuna interruzione. Il compito del naturalista sarebbe così primariamente quello di ricostruire questa graduale successione, sino a comprendere l’armonico progetto divino, a discapito delle possibili «eccezioni» in esso rintracciabili. I tre interlocutori di Newton scelti da Delisles de Sales rappresentano altrettanti momenti emblematici di questo movimento di ascesa biologico-morale. L’albino, o negro bianco – figura resa celebre dall’analisi fattane da Maupertuis nella sua Vénus physique20

rappresenta il livello più basso della specie umana, inferiore persino al negro: «Il Negro-Bianco è un piccolo uomo dal colore pallido, che ha la statura di un Lappone, la pelle del lebbroso, e gli occhi di pernice: troviamo questi esseri insoliti in America e in Asia; ma soprattutto in Senegal sembrano formare un vero e proprio popolo; 17 Sulla figura di Newton nella cultura illuministica, cfr. P. Fara, Newton: The Making of a

Genius, New York, Macmillan, Columbia University Press, 2002; J.B. Shank, The Newton Wars and the Beginning of the French Enlightenment, Chicago, University of Chicago Press, 2008.

18 Cfr. C.-J. Dorat, L’huître et l’homme, fable XIX, in Fables ou allégories philosophiques, La

Haye-Paris, Delalain, 1772, pp. 72-77.

19 Cfr. A.O. Lovejoy, The Great Chain of Being: A Study of the History of an Idea, Cambridge

(MA), Harvard University Press, 1936; New Brunswick-London, Transaction Publishers, 2011; trad. it di L. Formigari, La grande catena dell’Essere, Milano, Feltrinelli, 1981. Lovejoy cita Delisle de Sales solamente in una breve nota relativa al barone d’Holbach, assimilando la sua opera alla vulgata coeva. Cfr. ivi, p. 368, nota 52; trad. it. cit., p. 291, nota 56.

20 P.-L. Moreau de Maupertuis, Vénus physique, parte II, cap. 4, Des Nègres-blancs, in Œuvres

de Monsieur de Maupertuis, Lyon, Jean-Marie Bruyset, 1756, vol. II, pp. 115-119. Per una ricostruzione del dibattito sull’albinismo nella modernità, si rinvia a K. Pearson, E. Nettleship e C.H. Usher, A Monograph on Albinism in Man, London, Dulau, 1911, pp. 11-196 e a R.G. Mazzolini, Albinos, Leucoæthiopes, Dondos, Kakerlakken: sulla storia dell’albinismo dal 1609 al 1812, in La natura e il corpo. Studi in memoria di Attilio Zanca, a cura di G. Olmi e G. Papagno, Firenze, Olscki, 2006, pp. 161-204.

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vengono chiamati Albini, e sono molto disprezzati dai Negri, che sono a loro volta disprezzati dai Bianchi»21. L’uomo marino, ossia il re dei pesci, era convenzionalmente considerato – a partire per lo meno dalla pubblicazione del già menzionato Telliamed di Benoît de Maillet – l’esponente del livello più alto del mondo animale. Egli contendeva il primato all’orango in un’accesa disputa che viene ricostruita da Delisle de Sales con dovizia di particolari nella sezione teorica dell’opera che precede la pièce narrative22. L’ultimo personaggio dell’entretien – ma

che si rivelerà esserne in realtà il protagonista – è un’ostrica. Anche in questo caso la scelta è particolarmente significativa. Nel dibattito naturalistico dell’epoca, infatti, il genere dei molluschi era considerato come il gradino più basso della scala degli esseri, come una sorta di problematico anello di congiunzione tra il mondo animale e il mondo vegetale. In una lettera del 1770 (che è curiosamente lo stesso anno della pubblicazione del Drame raissonable) indirizzata all’abate Galiani, in cui esprime le proprie opinioni sull’Histoire naturelle des oiseaux di Buffon, Madame d’Épinay nasconde a stento il proprio fastidio per l’ossessione classificatoria dell’histoire

naturelle, incarnata proprio dall’immagine dell’ostrica: «Perché farsi panegirista di

ogni specie di cui si parla? Si è come si è. Bisognava mostrare l’esistenza della catena dell’essere […] dalla quercia sino all’ostrica, e dall’ostrica passare in rassegna tutti gli animali sino all’uomo, per fissare il limite di tutti gli esseri e per non confonderli gli uni con gli altri»23.

L’argomento dell’entretien di Delisle de Sales, assolutamente convenzionale, è qui coniugato a fonti letterarie facilmente individuabili e per nulla dissimulate. Il modello del dialogo messo in scena nella Philosophie de la nature è senza alcun dubbio l’Aventure indienne di Voltaire del 1766. In questo racconto Pitagora, che ha appena imparato alla scuola dei brahamani il linguaggio degli animali e delle piante, si appresta ad inghiottire un’ostrica che ha trovato in riva al mare, fermandosi tuttavia quando la sente deprecare il proprio destino: «Noi, povere ostriche, invano siamo difese da una doppia corazza; degli scellerati ci mangiano a dozzine a colazione, ed è finita per sempre. Che destino spaventoso quello di un’ostrica, e come sono barbari gli uomini!»24. L’episodio rende consapevole Pitagora dell’enormità del crimine che stava per commettere e gli fa abbracciare «quella legge mirabile secondo cui è vietato

21 D. de Sales, Drame raisonnable, PN IV, p. 190.

22 Le fonti principali di Delisle de Sales sono Buffon, De Pauw, Maupertuis, Voltaire e Robinet.

A partire proprio da queste premesse, Daniel Droixhe ha proposto d’interpretare il Drame raisonable alla luce del dibattito contemporaneo sul trasformismo. Cfr. D. Droixhe, «Le Drame raisonnable» de Delisle de Sales. Une esquive du transformisme?, in Entre belles-lettres et disciplines. Les savoirs au XVIIIe siècle, a cura di F. Salaün e J.-P. Schandeler, Ferney-Voltaire e Paris, Centre international d’étude du XVIIIe siècle-Aux Amateurs de Livres International, 2011, pp. 103-134.

23 F. Galiani e L.F.P. Tardieu d’Esclavelles Épinay, Lettres de l’Abbé Galiani à Madame

d’Épinay, Paris, Charpentier, 1881, vol. I., p. 171. Il passaggio non è riprodotto nella trad. it. Epistolario (1769-1772), a cura di S. Rapisarda, Palermo, Sellerio, 1996, vol. I, pp. 222-223.

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mangiare gli animali nostri simili»25. Un altro precedente significativo è rappresentato dalla quinta Lettre di Maupertuis Sur l’âme des bêtes, in cui l’autore, nel sostenere l’identificazione tra l’anima e il «sentiment du soi», aveva arditamente accostato un’ostrica a Newton: «Ora se è questo sentimento interno, che caratterizza la semplicità, e l’individualità della sostanza, alla quale appartiene: il più leggero e più confuso sentimento che avesse un’Ostrica, tanto suppone una sostanza semplice, e indivisibile, quanto la suppongono le più sublimi, e più complicate speculazioni di Newton»26.

Queste numerose suggestioni filosofiche, scientifiche e letterarie vengono rielaborate con maestria da Delisle de Sales – abile bricoleur delle idee presenti nel dibattito culturale dell’epoca – dando origine a un entretien che trae forza dalla sua ibridità formale. Lo scritto di Delisle de Sales è infatti costruito a partire da un duplice intreccio di piani di lettura, che conferiscono profondità (e ambiguità) alla sua posizione. Una prima tensione è rappresentata dalla contrapposizione tra le parti non dialogiche che introducono il Drame prima e lo commentano poi (intitolate rispettivamente Observations préliminaires e Dernier commentaire sur le «Drame

raisonnable») e l’entretien vero e proprio, che si snoda teatralmente in quattro scene.

Una seconda tensione, completamente interna alla dimensione dialogica, è rappresentata dall’opposizione tra le prime tre scene della vicenda – che vedono l’interazione tra l’ostrica, l’uomo marino e l’albino – e l’ultima scena, caratterizzata dall’intervento di Newton e dal conseguente scioglimento positivo della vicenda: ciascuno dei personaggi rinuncerà a mangiare gli altri e tutti si separeranno in pace e armonia.

A leggere esclusivamente l’apparato non dialogico del Drame, la posizione di Delisle de Sales di fronte alla scala degli esseri sembrerebbe caratterizzarsi per un ottimismo tanto granitico quanto banale. Affermando che «c’è un intervallo immenso tra l’anima di un’ostrica e quella dell’ultimo degli umani»27, l’autore sembrerebbe abbracciare acriticamente una visione antropocentrica e teleologica del mondo naturale, prendendo al contempo apertamente posizione nella polemica sull’anima delle bestie. Ammettendo che tutti gli animali possiedono una qualche forma di ragione, Delisle de Sales riconosce apertamente – contro Descartes – che gli animali possano avere «un’anima puramente sensitiva». Sulla base di questa assunzione, «il 24 Voltaire, Aventure indienne, in Romans et contes, a cura di F. Deloffre, J. Hellegouarc’h e J.

Van den Heuvel, Paris, Gallimard, 1979, p. 281; trad. it. Avventura indiana tradotta dall’ignorante, in Pot-pourri, a cura di L. Bianchi, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 93. Si ricorda che l’Aventure indienne non è ancora comparsa nelle Œuvres complètes de Voltaire pubblicate dalla Voltaire Foundation (cfr. supra, nota 2).

25 Ibidem.

26 P.-L. Moreau de Maupertuis, Lettres, V, Sur l’âme des bêtes, in Œuvres de Monsieur de

Maupertuis, cit., vol. II, pp. 215-216; trad. it. Lettere filosofiche del signor di Maupertuis, a cura di O. Arrighi-Landini, Venezia, Antonio Zatta, 1760, p. 28.

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bruto è ancora un automa, ma un automa senziente»28. La concessione di un’anima alle bestie non scalfisce tuttavia in alcun modo la superiorità dell’essere umano. Tra la ragione umana e quella animale sussiste infatti una decisiva differenza qualitativa, che consiste nel fatto che solo la ragione del secondo ha accesso all’idea della divinità, come ricorda il riassunto che chiude il Commentaire:

Riassumendo tutti i principi che sono sparsi nel dramma ragionevole e nei commentari, possiamo concludere:

Che ogni essere senziente ha una sorta di ragione di cui partecipa. Che gli animali, in qualità di esseri sensibili, ragionano.

Che la ragione dell’uomo appartiene a un ordine infinitamente superiore rispetto a quella dei bruti, poiché essa generalizza le sue idee, lo eleva sino a Dio, e riconosce il valore della virtù29.

Al di là degli evidenti limiti teorici di una simile analisi (che lascia ad esempio in sospeso il problema più spinoso, ossia l’immortalità dell’anima degli animali), essa è evidentemente incentrata sull’idea di un progressivo perfezionamento morale della ragione che coinciderebbe con l’ascesa della grande catena dell’essere.

Proprio questa idea è messa drasticamente in discussione nel corso dell’entretien. Qui i protagonisti che dovrebbero rappresentare il progressivo sviluppo della razionalità – l’ostrica, l’uomo marino e l’albino – ne incarnano al contrario un’inquietante degradazione o degenerazione. Tutti e tre i personaggi si sforzano infatti di dimostrare la loro natura di esseri razionali, ma solo l’ostrica, vero e proprio «coquillage philosophe», ritiene di non essere la sola creatura a beneficiare di tale qualifica. Essa è non solo disposta a estendere questo riconoscimento a tutti gli esseri viventi, ma biasima con nettezza la convinzione di qualsiasi essere di appartenere a un’unica specie privilegiata: «Non c’è alcun individuo che non sia convinto di appartenere alla sola specie di animali che ragiona»30. L’uomo marino e l’albino, che dovrebbero rappresentare le tappe successive verso la perfezione dell’essere, non solo non mostrano la medesima saggezza dell’ostrica, ma incarnano una posizione che si potrebbe definire – usando un’espressione anacronistica, ma efficace – di «specismo». Esse nutrono cioè la convinzione di avere il diritto di trattare i membri di altre specie in una maniera differente rispetto a quella che sarebbe ammessa per i membri della loro stessa specie.

L’uomo marino, che si ritiene il re dei pesci e il capolavoro della natura, si stupisce che un ammasso informe di schiuma come l’ostrica possa avere idee. Egli non esita pertanto a sostenere la legittimità di divorarla, adducendo a sostegno della propria tesi una definizione hobbesiana della legge di natura, intesa come diritto del più forte: «Ebbene, questa paura che ti ispiro dimostra che ho il diritto di governarti;

28 Ibidem, p. 233. 29 Ibidem, p. 241. 30 Ibidem, p. 197.

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la legge del più forte è la legge della natura, come ha detto molto giustamente uno dei nostri oratori pinnati, in un discorso che è stato premiato dall’Accademia degli squali»31.

Quando l’uomo marino sta per mangiare l’ostrica, egli cade tuttavia nella rete dell’albino, che lo reputa a sua volta un ottimo pranzo. A ruoli invertiti, è adesso l’uomo marino a chiedere clemenza al negro bianco in nome della sua qualità di essere razionale, vedendosi tuttavia ritorcere contro i suoi stessi ragionamenti: «Tu puoi essere il re dei pesci; ma io, in qualità di re degli Albini, ho diritto di metterti sulla griglia che ho appena acceso; ti tratto come alcuni Cannibali chiamati Negri trattano quelli della mia nazione, e come altri Cannibali chiamati Bianchi trattano i Negri»32. Questa argomentazione sofistica viene sviluppata con abilità dall’albino, che vuole dimostrare alla sua vittima che «è la ragione stessa che mi prescrive di mangiarti […]. Così, chiunque tu sia, compirò mangiandoti un atto di giustizia, o addirittura un atto di generosità»33.

Alla fine di questa scena – la terza delle quattro che compongono il dramma –, la stessa idea di ragione sembra pertanto essere messa drasticamente in discussione. L’ostrica, spettatrice impotente, si rivela sempre più scettica sulla possibilità di poter effettivamente ragionare con due esseri che si dichiarano «ragionevoli», ma che sono in realtà mossi da altri impulsi: «Vedo bene che mi è impossibile fuggire all’ingordigia dell’uno e al machiavellismo dell’altro»34. L’uomo marino, da parte sua, sostiene di non essere più nemmeno in grado di fornire una definizione di ragione di fronte alle sue inaspettate incarnazioni in cui si è imbattuto: «Non so più che cosa è la ragione, dal momento che, da un lato, un’ostrica la condivide con me e, dall’altro lato, un uomo si appella alla sua autorità per mangiare un altro uomo»35.

4. Una verità dialogica

La conclusione che si profila sembra in netto contrasto con quanto affermato dallo stesso autore nelle parti non dialogiche dell’opera. Dall’analisi degli anelli inferiori della grande catena dell’essere emerge infatti l’inquietante ipotesi – che avvicina Delisle de Sales più a Rousseau che a Voltaire – secondo cui ci sarebbe non solo una proporzionalità diretta tra violenza e capacità intellettuali, ma secondo cui le seconde renderebbero la prima più sottile e più crudele. Mentre l’uomo marino vuole limitarsi a mangiare l’ostrica, l’albino vuole rivestire la propria azione con una facciata di legalità e rispettabilità. Questo rovesciamento qualitativo della scala degli

31 Ibidem, p. 203. 32 Ibidem, pp. 208-209. 33 Ibidem, p. 210. 34 Ibidem, p. 209. 35 Ibidem, p. 210.

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esseri sembrerebbe trovare conferma anche in un’amara affermazione contenuta nel

Commentaire, secondo cui «su questo sfortunato pianeta, si può osservare che la

razza degli oppressori è sempre più intelligente di quella delle vittime»36.

Il quarto atto del Drame, caratterizzato dal risolutivo intervento di Newton, vero e proprio deus ex machina, sembra tuttavia confutare quest’ultima ipotesi, adducendo nuovamente la soluzione abituale alla questione della grande catena degli esseri. Esattamente come gli altri tre interlocutori, anche Newton si definisce come «un essere ragionevole», suscitando così tutta la diffidenza dell’ostrica: «Ah! Se ragiona, siamo perduti»37. Egli si fa tuttavia portavoce di un messaggio universale di pace e di fratellanza, sino a indurre il mollusco a concludere che «non è semplicemente ragionevole; è qualcosa di meglio»38. Dopo aver convinto gli altri personaggi a non divorarsi vicendevolmente, Newton si pone l’obiettivo di stabilire il confine tra umanità e animalità, domandando ai suoi interlocutori se credono all’esistenza di un Dio. L’ostrica e l’uomo marino ammettono di non averne alcuna idea, mentre l’albino ammette l’esistenza di un Dio, a cui attribuisce tuttavia «la forma di un coleottero». Newton ritiene a questo punto di avere tutti gli elementi per chiudere il dibattito e per trarre la «morale» dell’intera vicenda:

NEWTON. Basta così; il problema è risolto: un’ostrica e un Tritone non possono avere l’anima degli uomini; un Albino la può acquisire.

Tutto è legato in natura da una catena invisibile; l’ostrica mi sembra l’anello che lega il regno animale al regno vegetale; l’Uomo-marino, che è il primo tra i pesci, è simile per figura all’Albino, che è l’ultimo tra gli uomini39.

È evidente come questa conclusione non chiarifichi in realtà del tutto il significato dell’entretien. Essa rappresenta il reale pensiero dell’autore o è semplicemente un ossequio all’opinione e alla morale corrente del diciottesimo secolo, che vedeva nella conoscenza di Dio l’elemento discriminante tra umanità e animalità? Se si pone tuttavia al contrario l’accento sul contrasto tra entretien e conclusioni teoriche, non si potrebbe interpretare l’intera pièce narrativa come un ribaltamento della scala di valori comunemente accettati o, almeno, come un monito sull’antinomia tra progresso e bene e sui rischi di un cattivo uso di un’intelligenza superiore? O ancora, concentrandosi sulla discontinuità tra i primi tre atti del Drame e l’intervento di Newton, simbolo di un’umanità superiore, non si potrebbe interpretare l’intera vicenda come l’ironica descrizione di un mondo utopico, a cui lo stesso autore non crede, giustificando così la divergenza tra dissertazione astratta e analisi concreta dei fatti?

36 Ibidem, p. 227. 37 Ibidem, p. 213. 38 Ibidem, p. 214. 39 Ibidem, pp. 419-420.

(13)

Per quanto non sia probabilmente possibile offrire una risposta definitiva a nessuna di queste questioni, l’analisi della costruzione letteraria dell’entretien di Delisle de Sales ne mette in luce l’interesse. Lungi dal poter essere liquidato come un’acritica eco delle contraddittorie tendenze del suo tempo, che non riuscirebbe a coniugare, il Drame raisonnable rivela per tappe la propria fecondità. Esso – oltre a rappresentare una testimonianza significativa di come la fede in una catena degli esseri caratterizzata da una costante progressione verso il meglio si stia ormai incrinando negli anni del tournant des Lumières – si può considerare l’esempio di una forma di «palingenesi letteraria» che mira a produrre un «ibrido sotto forma di discorso incrociato e aperto che riunisce, in un catalogo, tutte le teorie esistenti»40. In tale prospettiva, il messaggio più profondo del Drame raissonable, al di là di alcuni spunti contenutistici comunque non disprezzabili41, risiederebbe proprio nella convinzione che è esclusivamente a partire da un processo «dialogico», inevitabilmente denso di tensioni e contraddizioni, che può costruirsi l’unitarietà di un discorso filosofico in grado di comprendere il mondo naturale. Quest’ultimo è a più riprese significativamente paragonato da Delisle de Sales a un testo composto da numerosi frammenti sparsi che, ci sembra di poter concludere, trova nell’entretien il suo modello euristico privilegiato42.

40 M. Brunet, L’appel du monstrueux: pensées et poétiques du désordre en France au XVIIIe

siècle, Louvain, Peeters, 2008, p. 205.

41 Oltre alla recente ipotesi interpretativa di Droixhe (cfr. supra, nota 22), segnaliamo la lettura

di Carmelina Biondi, che vede nello scritto «una gustosa parodia delle ragioni avanzate dagli uomini bianchi per convalidare la loro superiorità nei confronti degli altri popoli». C. Biondi, Il «Drame raisonnable» di Delisle de Sales: gli ultimi saranno i primi?, in Studi sull’uguaglianza. Contributi alla storia e alla tipologia critica di un’idea nell’area francese, vol. I, a cura di Corrado Rosso, Pisa, Libreria goliardica 1973, pp. 54-64, qui p. 59.

42 «Il testo è per lui [Delisle de Sales] il modello pratico della stessa natura». P. Malandain,

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Abstract:Newton and the philosopher oyster. The role of entretien in Delisle de Sales’ «Philosophie de la nature»

The article aims to highlight how the polygraph Delisle de Sales (1741-1816) treats the literary form of the entretien in his work La Philosophie de la nature, published for the first time in 1770. A new alliance between natural history and entretien emerges through the analysis of a particular text, titled Drame raisonnable. This is a short Socratic dialogue, full of irony, which describes the imaginary adventures of Newton – emblem of the empiricism of the Enlightenment – in Senegal. Newton, presented as a vegetarian, arrived in Africa to check its calculations on the tides. Here he has a conversation with an oyster, a merman, and a native African albino about whether or not they should eat each other. In this case, the entretien is not trivially a simplified illustration of the issues addressed in the theoretical sections of the book (above all the problem of the gradual perfection of the great chain of Being), but rather a genuine application of the philosophy, which brings out the truth through the dialogical practice. In this perspective, the literary form of the entretien allows Delisle de Sales to implicitly articulate his personal conception of philosophical practice and give cohesion – through the strength of the textual frame – to a work characterized by the fragility of its argumentation.

Keywords: Delisle de Sales, entretien [dialogue], natural history, great chain of Being, Newton

Marco Menin, Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione, via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino, [email protected]

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