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(1)

Firenze University Press

Reti Medievali Rivista, 19, 1 (2018)

<http://www.retimedievali.it>

di Ivana Ait

Roma religiosa.

Monasteri e città (secoli VI-XVI)

(2)

Il patrimonio delle clarisse di San Lorenzo

in Panisperna tra XIV e XV secolo: prime indagini

di Ivana Ait

Il saggio affronta attraverso l’analisi di fonti documentarie, conservate nei fondi della Curia ge-neralizia dei Frati minori, nell’Archivio Capitolino e nell’Archivio di Stato di Roma, la gestione delle proprietà fondiarie e immobiliari dell’antico e ricco monastero di San Lorenzo in Pani-sperna dagli inizi del XIV secolo. Risale a quel periodo il trasferimento delle clarisse per opera del cardinale Giovanni Colonna al fine di dotare il proprio casato di uno strumento utile per controllare estesi patrimoni fondiari e immobiliari a nord-est di Roma, presso i domini dei loro diretti rivali, gli Orsini. La crescita del patrimonio mette in luce la capacità gestionale delle ba-desse, appartenenti a potenti famiglie romane – Sant’Eustachio, de Prefectis, Orsini, Savelli, di Vico, Conti –, talora ritiratesi in convento dopo la morte del marito. Risulta evidente l’interesse di queste casate baronali e di potenti famiglie aristocratiche a controllare la vasta ricchezza patri-moniale del monastero attraverso la presenza, specie nella funzione di badesse, di figlie, sorelle o vedove. L’incremento delle proprietà fondiarie, a seguito di donazioni pie, lasciti testamentari, acquisti e, non da ultimo, permute, dimostra l’importanza per il monastero a dotarsi di proprietà coese nei dintorni di Roma, con modalità di conduzione alimentate da un vivace spirito impren-ditoriale con il ricorso a personale specializzato laico. Dalla seconda metà del Trecento si segue un passaggio decisivo, ossia una strategia insediativa rivelatrice del valore a investire all’interno di Roma: l’aumento delle proprietà immobiliari attesta una nuova attenzione da parte di alcune badesse verso le aree urbane centrali in linea con la fase espansiva della città.

Through the analysis of archival sources from the Archivio Capitolino and the Archivio di Sta-to di Roma, this essay deals with the management of the real estate and land-holdings of the monastery of San Lorenzo in Panisperna, since the beginning of the fourteenth century. At that time, cardinal Giovanni Colonna moved the Poor Clares there, aiming for his family’s control over large swathes of landed property and buildings North-East of Rome, in close proximity to the Orsini, the direct rivals of the Colonna. The growth of their estate elucidates the managerial competences of the abbesses, who came from some of the most powerful Roman families – such as the Sant’Eustachio, de Prefectis, Orsini, Savelli, di Vico and Conti –, and sometimes joined the convent upon widowhood. Ostensibly, having a sister or a daughter as an abbess gave these families the opportunity to control this vast property. The growth of the estate, thanks to dona-tions, legacies, acquisitions and, last but not least, transfers, shows the interest of the monastery in gaining possessions in the area surrounding Rome, whose management was fostered by a lively entrepreneurial spirit and by resorting to the expertise of lay aides. From the second half of the fourteenth century onwards, we observe a different settlement strategy: the increase of real property testifies to a new attention, on the part of the abbesses, towards the central urban areas, in step with the city’s expansion.

Medioevo; secoli XIV-XV; Roma; Clarisse; proprietà fondiarie; patrimonio immobiliare. Middle Ages; 14th-15th Century; Rome; Poor Clares; Land-Holdings; Real Estate.

ISSN 1593-2214 © 2018 Firenze University Press DOI 10.6092/1593-2214/5637

Roma religiosa. Monasteri e città (secoli VI-XVI),

(3)

Di antica fondazione, il monastero di San Lorenzo in Panisperna si trova

sul colle Viminale

1

, nel rione Monti, area molto ampia ma periferica nel

perio-do qui considerato. Non mi soffermo sulle vicende riguardanti la fondazione

e i successivi passaggi, e mi limito a ricordare come a seguito dell’abbandono

del cenobio da parte dei monaci cavensi, incaricati da papa Eugenio III di

ri-formarlo, Bonifacio VIII lo cedette alla basilica di San Giovanni in Laterano.

Tuttavia nel 1308 i canonici, nell’impossibilità di affrontare i costi per la

risi-stemazione dell’edificio, lo donarono al cardinale Giacomo Colonna

2

. Dietro

a tale operazione si intravede, oltre al potenziamento dei francescani

nell’Ur-be

3

, un’oculata operazione politica condotta dal potente fratello del porporato,

il senatore Giovanni Colonna

4

, che già nel 1285 aveva portato a compimento

la prima grande trasformazione di un monastero, quello di San Silvestro in

Capite, affidato alla nuova comunità delle suore minori recluse

5

: «in questo

modo la famiglia Colonna acquisiva il controllo [di] vasti possedimenti»

6

,

spe-cie nell’area a nord di Roma in cui erano potenti gli Orsini. Alla luce

dell’os-servazione di Giulia Barone va, a mio avviso, inquadrata la strategia messa

in atto anche nel caso del monastero di San Lorenzo in Panisperna. Così, con

l’elezione di Clemente V, papa non ostile ai Colonna

7

, Giovanni poteva avviare

1 Sorge sul luogo ove fu martirizzato Lorenzo, originario dell’Aragona; per queste vicende e le fasi della storia del monastero, fino al passaggio della proprietà al Ministero degli Interni, rinvio al saggio di Guido, Il monastero di San Lorenzo in Panisperna. Sulla fondazione si veda anche Montenovesi, San Lorenzo in Panisperna.

2 L’operazione fu condotta da Pietro Capoccia, vicario dell’arciprete della basilica lateranense. La pergamena contenente la donazione, redatta in data 26 aprile 1308, risulta deperdita; un sintetico regesto si trova in AOFM, SLP, sotto l’antica segnatura mazzo 9 n. 4. Di questa docu-mentazione già dal XVIII secolo furono approntate delle copie; cfr. il Repertorio generale delle scritture esistenti nell’Archivio del nostro Monasterio, redatto tra il 1763 e il 1768. Trascrizioni o regesti si leggono nel manoscritto di P. Galletti, conservato presso la BAV, Vat. Lat. 7929 e 7955; cfr. Rehberg, La portio canonica, p. 467 n. 1.

3 Sulle motivazioni si sofferma Giulia Barone nell’introduzione a questa sezione monografica; in particolare per quanto riguarda l’insediamento delle clarisse nei due monasteri di San Lorenzo in Panisperna e in quello di San Silvestro in Capite si veda ora il saggio di Rehberg, Nobiltà e monasteri in questa sezione monografica; ringrazio l’autore per avermi fatto leggere il testo del suo contributo. 4 L’interesse dei Colonna è al centro di vari studi, mi limito a Carocci, Baroni di Roma e Vassalli del papa, e Rehberg, Kirche und Macht im römischen Trecento.

5 Si deve al senatore di Roma, Giovanni Colonna, capostipite del casato, la stesura della vita del-la soreldel-la Margherita, per dimostrarne del-la santità e documentare del-la realizzazione del monastero; cfr. Barone, Margherita Colonna.

6 Ibidem, p. 804.

7 Lo stesso giorno della creazione cardinalizia del 1305, Clemente V, aveva fatto reintegrare nel Sacro Collegio dei cardinali i due Colonna, Pietro e Giacomo, che erano stati destituiti da Boni-facio VIII: Paravicini Bagliani, Clemente V.

Abbreviazioni

AOFM = Roma, Archivio della Curia Generalizia dei Frati minori SLP = Fondo pergamene del convento di S. Lorenzo in Panisperna BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana

ASC = Roma, Archivio Storico Capitolino ASR = Archivio di Stato di Roma

Il saggio è corredato da una carta delle proprietà immobiliari e fondiarie delle clarisse realizza-ta da Susanna Passigli alla quale va il mio più vivo ringraziamento.

(4)

il progetto di dotare il proprio casato di uno strumento utile per controllare

estesi patrimoni fondiari e immobiliari questa volta a nord-est di Roma e

an-cora una volta presso i domini dei diretti rivali della sua famiglia, gli Orsini

8

.

Il trasferimento nel convento delle clarisse provenienti dai monasteri di

Santi Cosma e Damiano in Trastevere e di San Silvestro in Campo Marzio

dovette avvenire non appena ultimati i lavori di restauro della chiesa e del

convento che i Colonna si erano impegnati a realizzare al momento della

succitata donazione

9

. Risale all’agosto del 1316 la prima menzione di una

badessa, domina Francesca, destinataria, a nome del convento, di «omnia

bona» di un tale Pietro «de Capa de contrada Suburra» e della sorella

domi-na Paola

10

. La badessa, appartenente alla potente famiglia dei

Sant’Eusta-chio, legata ai Colonna

11

, compare due anni dopo in un documento rogato

dal notaio romano Tommaso di Bartolomeo Tommaso di Obicione, che

ri-veste un particolare significato per la storia del monastero

12

. La solennità

del rogito, eseguito il 3 novembre del 1318, nella basilica di Santa Maria

Maggiore, alla presenza sia di canonici appartenenti alle maggiori chiese

romane (basilica liberiana, basilica lateranense, Sant’Eustachio, San

Lo-renzo in Lucina) – fra i quali spicca il cardinale Giacomo Colonna, oltre a

due dignitari ecclesiastici legati alla potente famiglia

13

–, sia del vicario del

papa

14

, è legata all’esecuzione delle volontà di Giovanni XXII, che, oltre a

confermare alle clarisse il possesso del monastero di San Lorenzo in

Pani-sperna, le dotava di un lascito di notevole rilievo economico: la chiesa rurale

di Sant’Angelo in Valle Arcese con tutto il suo patrimonio consistente in ben

137 ettari, nel territorio tiburtino

15

. In questo modo il pontefice avvalorava

quanto accordato dieci anni prima da Clemente V al cardinale Colonna, la

cui presenza è una chiara attestazione della volontà di sottoporre il

conven-to all’auconven-torità spirituale del porporaconven-to.

8 Gli Orsini possedevano Monte Sant’Angelo, oggi Castel Madama: Allegrezza, Organizzazione del potere, pp. 50-51.

9 Recenti studi nel ripercorrere le prime fasi della fondazione si sono riferiti principalmente a memorie antiche in particolare all’opera di Andrea da Rocca di Papa, Memorie storiche della Chiesa: Fallica, Sviluppo e trasformazioni della chiesa.

10 Se ne riservavano l’usufrutto; si veda l’atto del 1 agosto 1316 (e non dell’8 gennaio 1316, come riportato nel regesto del citato Inventario, in AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 58, segnatura attuale perg. 065).

11 Fu grazie all’intervento del cardinale Giacomo Colonna, «desideroso probabilmente di fa-vorire i Sant’Eustachio», che nel 1310 venne risolto un contenzioso fra due podestà, Tebaldo di Sant’Eustachio e Riccardo Iaquinti: Carocci, Baroni di Roma, p. 142.

12 Della pergamena deperdita rimane una copia tarda: si veda il regesto dell’atto del 3 novem-bre 1318 in AOFM, mazzo 25 n. 60. Una copia della pergamena si trova in BAV, Vat. lat. 7955/3, p. 57 è segnalata da Rehberg al cui saggio in questa sezione monografica rinvio per i dettagli dell’operazione.

13 Si tratta di Giovanni di Biagio, canonico di Reims e di Matteo Colonna, prevosto di Saint-O-mer; cfr. Rehberg, Die Kanoniker, pp. 36-37 e Rehberg, Nobiltà e monasteri, in questa sezione monografica.

14 Giovanni dell’ordine dei minori fu designato vicarius de Urbe nel 1317 e nominato vescovo di Nepi nello stesso anno da Giovanni XXII; Eubel, Hierarchia, vol. I, p. 363.

(5)

Dalla documentazione finora esaminata non si ricavano peraltro molti

riferimenti alla vita interna del monastero

16

. In alcune occasioni vengono

ri-portati i nomi delle badesse presenti al momento del rogito e talora anche

delle suore. La comunità, composta nel 1318 da 12 clarisse oltre la badessa,

è in aumento costante (intorno al 1330 sono attestate 18 clarisse

17

); ulteriori

elementi si possono ricavare dalla più consistente, anche se frammentaria,

documentazione della seconda metà del XIV secolo. Il confine con il mondo

esterno, per le consorelle, era «ad gratas ferreas»: per il tramite di notai,

inca-ricati di redigere gli atti in momenti significativi della vita conventuale, si

pre-cisano il numero delle convenute e talora anche i loro nomi. Nel 1354 erano 14

le clarisse intervenute in rappresentanza di almeno i due terzi del totale della

comunità

18

; circa trent’anno dopo il loro numero risulta raddoppiato: «in loco

capituli dicti monasterii qui vocatur parlamentum» si presentarono ben 36

clarisse che, convocate dalla badessa, la nobile Giovanna Conti, costituivano

almeno i 2/3 dell’intera comunità

19

. Tale crescita fu indubbiamente favorita da

due fattori che funsero da catalizzatori: la fama di santità che circondava la

figura di Brigida di Svezia che soggiornò presso il monastero e nella cui chiesa

venne sepolta

20

, e il processo di canonizzazione della santa, al quale partecipò

il cardinale Agapito Colonna

21

.

Non mi soffermo oltre su questo aspetto: vorrei piuttosto notare la

pre-senza di atti che, riguardanti questa comunità monastica, si conservano

nei fondi degli archivi romani, in particolare nei registri di imbreviature

notarili

22

, ove si possono trovare donazioni, contratti di compravendita o

locazione, che aggiungono ulteriori elementi su legami e interessi

intercor-renti fra il monastero e il mondo laico, in linea con quanto evidenziato in

altre realtà circa il rapporto fra alcuni ordini religiosi e l’ambiente urbano

23

.

Centrale era la posizione delle badesse per le responsabilità da affrontare,

non da ultimo riguardo alla gestione delle proprietà. Prima di analizzare

questo importante aspetto vorrei tuttavia inquadrare l’origine sociale delle

clarisse al fine di verificare, laddove possibile, legami parentali e

cliente-16 Differente è il caso studiato da Carbonetti Vendittelli, Il registro di entrate e uscite del con-vento domenicano di San Sisto.

17 Questi dati sono sostanzialmente attendibili come confermato, riguardo al numero delle par-rocchie, dallo studio di Passigli, Geografia parrocchiale; resta qualche difformità per quanto attiene l’entità delle monache del convento di San Sisto, il più numeroso nel XIV secolo con 70 monache secondo il catalogo, mentre Carbonetti Vendittelli rileva la presenza di 54-60 mona-che. Cfr. Il registro di entrate e uscite, pp. 96-97.

18 L’atto del 1 luglio 1354 in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 8, perg. 041.

19 La pergamena del 31 dicembre 1387 in ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venet-tini), 3, cc. 5r-6v.

20 Come emerge dal processo di canonizzazione avviato pochi anni dopo: Dykmans, L’Agapito Colonna père du pape Martin V.

21 Il cardinale Agapito Colonna, figlio di Giacomo detto Sciarra del ramo di Palestrina, il 16 marzo 1379 insieme con gli altri cardinali esaminò le testimonianze: Dykmans, Colonna, Aga-pito.

22 Un gruppo di documenti si conserva in ASC, fondo Archivio Orsini.

(6)

lari e i rapporti con altri monasteri. Come è noto, Roma durante

l’assen-za del papa fu teatro di conflitti di potere fra i grandi lignaggi baronali, e

in questo frangente la dialettica politica favorì il casato degli Orsini, che si

mostrarono capaci di fronteggiare la complessità del periodo

24

. Tale

pro-cesso ebbe ripercussioni anche sul controllo del convento di San Lorenzo

in Panisperna: nel 1354 la badessa era la venerabile «domina Ursina»

25

, da

identificarsi con Orsina, figlia di Francesco Orsini e vedova di Pandolfo III

degli Anguillara

26

. Qualche anno dopo tra le oblate figura un’altra domina

appartenente alla nobiltà baronale, Mabilia Savelli

27

: alla morte del marito

Paolo di Poncello Orsini, nipote di Riccardo Fortebraccio, essa entrò a far

parte delle clarisse, tra le quali già si trovava una delle sue figlie, Perna.

Qualcosa cambiò con Urbano VI, salito al soglio papale l’8 aprile 1378,

gra-zie al quale i Colonna riuscirono ad assicurarsi un cappello cardinalizio per

Agapito, figlio di Giacomo detto Sciarra

28

: nel monastero di San Lorenzo in

Panisperna si ritirava a vita claustrale Isabella de’ Conti, vedova di Agapito

IV, nipote del cardinale, diventandone ben presto la badessa

29

. Se per queste

donne la scelta di entrare in monastero poteva essere dettata da fedeltà alla

memoria del marito o dalla ricerca di una soluzione ideale per evitare un

secondo matrimonio

30

, appare indubbio l’interesse da parte del gruppo di

casate baronali o di potenti famiglie aristocratiche al controllo della vasta

ricchezza patrimoniale del monastero attraverso la presenza, specie nella

funzione di badesse, di figlie, sorelle o vedove

31

.

24 Allegrezza, Organizzazione del potere, pp. 196-197. 25 Documento citato sopra, nota 18.

26 Il marito di Orsina, Pandolfo III, morì fra il 1327 e il 1329; cfr. Carocci, Baroni di Roma, p. 308 n. 8.

27 Figlia di Giovanni Savelli, nel testamento del 1361 lasciava alle clarisse, fra l’altro, la somma di 540 fiorini d’oro che il papa Urbano V destinava a uso del monastero e dei poveri, con bolla spedita da Avignone e datata 18 novembre 1363 (AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 10, ora perg. 147). Riguardo a Mabilia Savelli, vedova di Paolo Orsini, vedi ASC, Archivio Orsini, II.A.05, 022 e II.A.05, 039; cfr. Allegrezza, Organizzazione del potere, p. 182 e tav. 8 e p. 403 n. 39.

28 Si tratta di Sciarra del ramo di Palestrina, il noto protagonista dell’oltraggio di Anagni, suo figlio, Agapito III, dunque, il 18 settembre veniva consacrato: Dyikmans, Colonna, Agapito, p. 259.

29 L’atto di cessione dei suoi diritti dotali al cardinale Agapito Colonna dell’11 ottobre 1379 è in AOFMP, SLP, mazzo 19 n. 3, perg. 002. Le clarisse sono ricordate nominalmente: Isabel-la, Caterina, Lisabetta, Iacoba, Anna, Leonarda, Giovanna, Lisabetta, Lucia, Andrea, Vittoria, Anastasia, Gemma Francesca, Mattea, Laurentia, Clara, Mattea, Agata, Thomasia e Antonia. 30 Sono le ipotesi formulate in base a un’indagine condotta su alcune abbazie fra XII e XIII secolo: Leclercq, La figura della donna, p. 114.

31 A titolo di esempio si veda la controversia fra il monastero di San Lorenzo e un tale Ange-lo ValAnge-lone di Tivoli riguardo a un immobile situato nel territorio tiburtino, che si concludeva con una sentenza favorevole alle clarisse, la cui badessa era la «venerabilis et honesta domi-na» Francesca Sant’Eustachio, da parte del giudice il domino Tebaldo, anch’esso del casato dei Sant’Eustachio: l’atto del 17 aprile 1336 è in AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 67, perg. 229. Delle suore abbiamo solo i nomi: domina Paola, domina Vittoria, Benedetta, Elisabetta. I Sant’Eustachio compaiono nella lista dei lignaggi baronali, redatta nel 1305, subito dopo gli Orsini e i Colonna: Carocci Una nobiltà bipartita, p. 89.

(7)

1. Modalità di crescita delle proprietà fondiarie

L’importanza patrimoniale di San Lorenzo in Panisperna inizia a

confi-gurarsi dal novembre del 1318, ossia con l’annessione di edifici e proprietà

del cenobio benedettino di Sant’Angelo in Valle Arcese

32

. Come già accennato,

tale operazione, diretta dai Colonna, comportò un consistente allargamento

dei possedimenti nell’area nord-est tanto da divenire «il patrimonio

ecclesia-stico… più ampio» fra gli enti ecclesiastici extra-urbani

33

. Dalle indagini

av-viate da Jean Coste si ricava il quadro dell’assetto di tali proprietà fondiarie,

composte da diversi fondi, fra cui «fundum Merulanum, fundum Flacci e

fun-dum Vallis Arcensis», nella fertile Valle Empolitana

34

. Mi limito a ricordare

come a questo patrimonio, costituito da terreni arativi e pascoli, con tre vigne

e una mezza dozzina di oliveti, per un totale 137 ettari

35

, seppur non

coeren-te, si aggiunse un’altra consistente proprietà, sempre nel territorio tiburtino,

il casale Palazzetto («Palacçectum»)

36

. Indicativa del valore di questi beni è

l’imposta di 14 lire, applicata dal comune di Tivoli nel 1402, che, come

sottoli-nea Carocci, costituisce la cifra più alta corrisposta da un ente non tiburtino

37

.

Sebbene la natura e la consistenza delle fonti pervenute non siano tali

da permettere di ricavare dati quantitativi, si può osservare come l’aumento

dei beni fosse sostenuto in prima istanza da donazioni e lasciti testamentari.

Nelle sue ultime volontà la citata Mabilia, figlia di Giovanni Savelli e vedova di

Paolo di Poncello Orsini, lasciava la metà del castello di Sant’Angelo,

l’odier-no Castel Madama

38

, che nel 1361 passava alle clarisse

39

presso il cui cenobio

la nobildonna si era ritirata portando in dote la consistente somma di 450

ducati

40

. L’ingente patrimonio familiare veniva quindi diviso equamente tra

le due figlie: la clarissa Perna e Golizia moglie di Latino Orsini

41

. Il progetto

32 Lettres communes de Jean XXII, n. 7922 anno 1318, e Carocci, Tivoli, p. 410. Il monastero benedettino di Sant’Angelo in Valle Arcese nel 1302 fu soppresso e il suo patrimonio assegnato ai cistercensi di Santa Maria in Palazzolo: Carocci, Tivoli, p. 409.

33 Ibidem, pp. 373-374.

34 Argomento questo affrontato ibidem, pp. 137-139. 35 Ibidem, p. 367.

36 Per il XIV secolo, circa il 57% delle pergamene riguardano il monastero di Sant’Angelo in Valle Arcese a Tivoli.

37 Carocci, Tivoli, p. 367.

38 L’attribuzione a Castel Madama si deve a Jean Coste, Scritti di topografia, pp. 233-234: in particolare il «castrum S. Angeli» fu dato a Giacomo Orsini nell’arbitrato del 4 maggio 1275, riguardante la divisione di vari castelli fra Giacomo e Matteo di Orso, figli ed eredi di Napoleone Orsini.

39 Rimangono due testamenti di Mabilia: il primo del 1° settembre del 1356 e il secondo del 1° settembre del 1361, entrambi in ASC, Archivio famiglia Orsini, II.A.05, 022 e II.A.05, 039; Coste, Scritti di topografia, p. 236.

40 Il denaro le era stato dato da Riccardo Fortebraccio, nipote del defunto marito; con la bolla datata Avignone 18 novembre 1363 Urbano V diede facoltà di usarlo a favore del monastero: AOFMP, SLP, mazzo 25, n. 10, perg. 147.

41 Il testamento, dettato il 1° settembre 1361, si legge in ASC, Archivio famiglia Orsini, II.A.05, 039. Su questa divisione: Coste, Scritti di topografia, pp. 236-237.

(8)

degli Orsini di ricomporre il dominio familiare

42

poteva attuarsi solo nel 1402

in virtù di un accordo con il quale la badessa, Giovanna Conti, a fronte

del-la cessione deldel-la metà del castello di Sant’Angelo

43

, otteneva due importanti

proprietà nelle vicinanze di Roma: il casale dei Santi Quattro Coronati, fuori

della porta di San Giovanni, e il casaletto Belvedere, dotato di una torre con

case contigue, confinante con il casale Palazzetto

44

.

Si tratta di un’importante penetrazione nel territorio romano in un’area

ove il monastero di San Lorenzo in Panisperna possedeva già altre proprietà

grazie alla transazione conclusa tra la badessa Isabella Conti

45

con il

cardi-nale Agapito Colonna

46

, erede ed esecutore delle ultime volontà

dell’omoni-mo nipote. L’11 ottobre del 1379, al fine di recuperare la parte di proprietà

spettante ai Colonna, il porporato aveva infatti ceduto alcune pediche di terra

«sementaricia» – per un totale di 44 ettari –, che, situate al di fuori di porta

San Giovanni, erano composte da 6 rubbia di terra «in loco qui dicitur Mons

Baroncinus» confinanti con i beni di San Pietro in Vincoli e con il casale del

Quatraro, e da 13 rubbia, limitrofe al monastero di Sant’Eufemia e al casale

Lo Quatraro

47

.

Alla guida del monastero queste esponenti dell’aristocratica famiglia

Con-ti

48

sono protagoniste intraprendenti mostrando una particolare dinamicità

nella conduzione delle proprietà del cenobio; attraverso il ricorso a

permu-te, promossero la formazione di proprietà coese

49

. Esemplari sono alcuni atti

che, originati dai disagi provocati dalla presenza di fondi non coerenti,

porta-rono a una complessa quanto razionale sistemazione di due appezzamenti di

particolare ampiezza situati all’esterno della porta di San Giovanni. La

que-42 Fra i forestieri allibrati nel 1535 si trovano gli eredi di Gentile Orsini che possedevano 78 et-tari di terra nelle località confinanti con il loro Castel Sant’Angelo: Carocci, Tivoli, pp. 381-382. 43 Gentile, figlio di Latino e Golizia, nel 1392 dava in enfiteusi alla badessa di San Lorenzo in Panisperna le terre dei castelli di Bovarano ed Empiglione nella diocesi di Tivoli nei pressi, si specifica, del «tenimentum castri S. Angeli dicti monasterii et dicti Gentilis»: ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 8, cc. 59r-67v.

44 La permuta fu fatta il 1 marzo del 1402 da Giovanna di Giovanni Conti, badessa del monaste-ro di San Lorenzo in Panisperna: ASC, Archivio famiglia Orsini, II.A.10, 043.

45 Isabella era figlia del magnificus dominus Giovanni del domino Paolo, e come accennato era entrata fra le clarisse alla morte del marito, il magnifico Agapito figlio di Sciarra Colonna, portando al monastero i suoi diritti dotali, fra cui una somma di denaro e la metà di alcune proprietà.

46 Si veda la nota 33.

47 Insieme ad altre 5 rubbia: AOFMP, SLP, mazzo 19 n. 3, perg. 002. La natura dell’atto è diversa da quanto riportato da Dykmans, Colonna, Agapito.

48 Famiglia che poteva vantare uomini potenti ma anche letterati cfr. Rehberg, Bonifacio VIII e il clero di Roma.

49 Il 6 giugno del 1341 il monastero effettuava una permuta di terre di pertinenza di Sant’Angelo in Valle Arcese con altre terre di proprietà di Iacomina vedova di Nicolò di Giovanni Saraceno poste in Sant’Angelo in Valle Arcese «sub vocabulo Prussiano»; i due atti in AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 71, perg. 126 e mazzo 25 n. 18 perg. 078. Il 13 marzo del 1342 la permuta fra il rettore della chiesa di San Pietro de Flaccy, Giordano Colonna, e le clarisse riguardava alcune canapine e terreni; dell’atto è pervenuto solo il regesto (AOFMP, SLP, con l’antica segnatura mazzo 25 n. 13). La ratifica di questa permuta fatta il 25 marzo 1342 da Giacomo Colonna, arcidiacono di Tivoli e rettore di San Pietro de Flaccy si trova AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 72, perg. 070.

(9)

stione riguardava una pedica di 9 rubbia di terra, di pertinenza della

comu-nità monastica di San Lorenzo in Panisperna, che, essendo distaccata dalla

tenuta e casale «Gripta Mardonum»

50

, e trovandosi «inter et infra tenimenti»

del casale Palazzetto di proprietà del cenobio di Sant’Eufemia creava non

po-che difficoltà a quanti «animalia, laborantia et culta tenimenti dicti casalis

Palaççecti vadunt et iverunt ad aquandum ad dictam Maranam» e

vicever-sa

51

. Fu così che nel 1387 Giovanna Conti, convocate le consorelle, firmava

l’intesa con Francesca Conti, badessa del monastero di Sant’Eufemia. Per ora

non è stato possibile risalire a un’eventuale parentela tra le due badesse ma

con il raggiunto accordo dietro la cessione delle suddette 9 rubbia di terra e il

versamento della somma di 60 fiorini d’oro al monastero di Sant’Eufemia, la

badessa Francesca Conti si impegnava a trasferire al cenobio di San Lorenzo

in Panisperna le 12 rubbia di terra poste «inter et infra dictum tenimentum

dicti casalis Gripta Mardonum»

52

.

Oltre a tali soluzioni, in linea con modalità di conduzione delle proprietà

alimentate da un vivace spirito imprenditoriale e da un’accorta politica di

in-vestimenti, a sostenere la crescita qualitativa e quantitativa del patrimonio si

aggiunsero interessi e legami familiari. A questi ultimi si deve molto

proba-bilmente una parte tutt’altro che marginale nella donazione effettuata dalla

magnifica domina Lella Conti, figlia di Paolo «Conti de Comitibus» e vedova

del magnifico Giovanni de Supino, alla magnifica et venerabilis domina

Gio-vanna «Conti de Comitibus», badessa del monastero di San Lorenzo in

Pani-sperna. Se anche in questo caso non è stato possibile stabilire la relazione tra

le due donne è interessante la cessione a favore delle clarisse, effettuata il 31

marzo del 1391 da Lella, ritiratasi a vita claustrale, dei diritti da lei vantati su

alcune proprietà: il castello di Supino con il suo territorio «in provincia

Cam-panie», di cui, si riservava l’usufrutto, oltre a 500 fiorini d’oro correnti parte

della sua dote di 2.000 fiorini

53

. Dietro la motivazione di grande generosità

dettata «ob reverentiam omnipotentis Dei et sue matris virginis Marie et

san-cti Laurentii martiris et totius curie celestis», sembra in realtà celarsi un

con-tezioso tra Lella, e le figlie e i fratelli del defunto marito

54

. Inoltre, cedeva al

monastero di San Lorenzo in Panisperna – dove avrebbe voluto essere sepolta

in caso di morte a Roma – il feudo «quondam domini Angeli seu quondam

do-mine Iacobelle Magoti de dicto castro Supino… et omnia terrae feudales» che,

donatele dal marito, le clarisse non avrebbero dovuto in alcun modo alienare,

mentre dava pieno potere al comes Franciscus, figlio del defunto Giovanni

50 Il casale era situato «in loco qui dicitur… lo Latio»; i documenti, del 31 dicembre 1387, sono in ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 3, cc. 5r-6v e cc. 9v-11r.

51 Si tratta del casale Palazzetto situato fuori della porta di San Giovanni, sul quale si sofferma Cortonesi, Il casale romano, pp. 135-139.

52 ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 3, cc. 7r-9r e cc. 11v-13v.

53 Il documento finora inedito si trova in ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venet-tini), 7, cc. 82r-83v.

54 È quanto trapela dal testamento dettato il 4 aprile 1391, ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 7, alle cc. 84v-85v, dalla data topica Lella risulta essere nel monastero.

(10)

conte di Anguillara e guardiano del monastero di San Francesco della città di

Ferentino «de Campania, ordinis minorum», di disporre di ogni altro bene a

suo piacimento

55

. Una chiara conferma, insomma, della volontà di mantenere

intatte le proprietà anche attraverso gesti di munificenza verso enti religiosi

al cui interno i grandi casati avevano propri esponenti, oltre la particolare

attenzione riservata all’ordine francescano.

2. Gestione delle proprietà

Per la conduzione delle loro proprietà la clausura imponeva alle

claris-se di ricorrere a un’importante quanto delicata modalità organizzativa, ossia

il ricorso a personale specializzato: fattori, sindaci, menzionati solitamente

come «negotiatorum gestores». Si tratta di uomini, per lo più laici, che

eb-bero un ruolo chiave per il tipo di attività di intermediazione svolta tra le

clarisse, i lavoratori delle campagne e il mercato, anche in considerazione di

un’ampia libertà di azione a loro concessa. Al momento non è possibile capire

come avvenisse la nomina e per quanto tempo rimanessero al servizio delle

clarisse: sappiamo che nel 1348 a ricoprire l’incarico vi era Nicolaus dello

Ministro

56

, circa dieci anni dopo Lorenzo di Cambio di Foligno

57

e nel 1376

Pietro di Angelone, «providus et discretus vir» di Palombara

58

. In tutti i casi

si trattava di persone in grado di svolgere un’attività complessa ma di grande

rilievo al servizio delle clarisse con le quali sussisteva un rapporto di fiducia.

Nel 1388 Pietro «Iacobi de Cavis», per conto del monastero, dava in locazione

al nobilis vir Nardo Ilperini di Tivoli il casale Palazzetto («Palaççectum»

59

).

Di questa importante azienda agricola rimangono documenti che permettono

di ricavare utili indicazioni sulla conduzione dei beni fondiari. Situata nel

ter-ritorio tiburtino e confinante con Castell’Arcione, col casale di Sant’Antonio,

con Monticelli e Monte Albano

60

, sul modello di altre grandi aziende agricole

61

il casale era dotato di impianti edilizi che, protetti da una cinta muraria,

ser-vivano per il ricovero di uomini e bestie: oltre a due torri e un renclaustrum,

55 In questo monastero voleva essere sepolta nel caso in cui fosse deceduta nel castello di Supi-no; si veda ASC, Archivio Urbano, Sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 7, c. 85v.

56 Al cospetto del notaio Lello Capogalli e di Giovanni «de Ameterninis, iudex maleficiorum», si presentava Pietro Raynonis per accuse mossegli dal suddetto Nicola procuratore del monastero di San Lorenzo in Panisperna: l’atto del 31 ottobre 1348 si legge in Mosti, I protocolli di Iohan-nes Nicolai Pauli, doc. 100 alla p. 53.

57 AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 75, ora perg. 072. 58 AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 82, ora perg. 047.

59 Il contratto di locazione quinquennale del casale Palazzetto del 2 novembre 1388 in ASC, Archivio Urbano, sez. I, reg. 785 (not. Nardo Venettini), 4, cc. 110v-111v. La particolarità e sin-golarità di questo atto è evidenziata da Cortonesi, Ruralia, p. 110.

60 La ricostruzione del sito del casale, contraddistinto nella mappa di Eufrosino della Volpaia da due “Torroni”, si deve a Coste, Scritti di topografia, pp. 335-337.

61 Il casale fu «la struttura portante dell’economia romana fra tardo Medioevo ed età moder-na»: Cortonesi, Colture e allevamento, p. 113 n. 65.

(11)

case per i lavoratori stanziali e stalle per gli animali

62

. Nel citato contratto di

locazione della durata di cinque anni il conduttore si impegnava a eseguire un

avvicendamento colturale particolarmente serrato e ben organizzato:

«me-dietatem omnium cultorum», che significava seminare i campi per una parte

maggiore di quella di solito praticata (1/3), «cum 5 recollactionis, 5 herbaticis,

5 spicatis». La quarta parte dei prodotti oltre alla somma di 14 fiorini d’oro

correnti era il canone annuo che Nardo avrebbe corrisposto nelle consuete

due rate: metà a Natale e l’altra metà a Pasqua. Tali modalità, che si situano

all’interno di accordi i cui intenti speculativi risultano essere in linea con la

maggiore dinamicità del mercato dei prodotti agricoli

63

, si trovano ancora nel

contratto quinquennale stipulato nel 1397 con altri due personaggi, Nicola di

Buccio di Giacomo Capocci e Cecco di Renzo «magistri Angeli»

64

.

Alla conduzione indiretta si affiancava la gestione in economia delle

ter-re

65

. Come si è accennato, al fine di ottenere buone rendite le clarisse si

orien-tarono verso l’eliminazione di terre eccentriche in modo da realizzare delle

aziende agricole compatte. La finalità fu raggiunta, come si evince anche dai

canoni imposti, che seguono i valori di mercato, e dall’analisi di un

«inventa-rium rerum et bonorum» del 1397. Quest’ultimo è il resoconto della

conduzio-ne delle proprietà tiburticonduzio-ne, compilato dal fattore, procuratore e «conduzio-negotiorum

gestor», l’oblato Biagio della Sculcula, detto anche «Blasius de Mea»

66

. In

que-sto caso sappiamo che fu a seguito di sospetti e dubbi circa la sua onestà che

fu redatto il prezioso documento: una “resa dei conti” che consente di

acquisi-re diversi elementi utili anche sui rapporti di lavoro. A capo

dell’amministra-zione egli gestiva la manodopera salariata

67

, tra cui anche i lavoratori addetti

alla custodia del bestiame. Biagio provvedeva alla vendita dei maiali

68

, di

die-ci giovenchi, per un prezzo compreso fra i 6 e gli 8 fiorini

69

e di tre vacche, di

valore oscillante tra 6 e 12 fiorini, cifra quest’ultima pagata da un ebreo, tale

Ventura di Tivoli. Anche un altro ebreo, maestro Mosè de Tybure,

verosimil-62 ASR, Pergamene, cass. 34, n. 28, su cui si cfr. Carocci, I possessi degli enti ecclesiastici, p. 99 n. 57 e Carocci, Tivoli, p. 385 nota 4.

63 Come è stato notato i contratti a breve termine si riscontrano nell’area romano-laziale so-prattutto nella seconda metà del XIV secolo, e sono legati alla struttura del casale: Cortonesi, Contrattualistica agraria, pp. 106-108.

64 ASC, Archivio Urbano, Sez. I, reg. 785 bis (not. Nardo Venettini), 1, cc. 7r-8v; cfr. Carocci, Tivoli, p. 553.

65 Carocci, Tivoli, pp. 494-495.

66 La deposizione di Biagio venne rogata il 6 febbraio del 1399 al cospetto del nobile Cola di Angelo Ponsi vicario e luogotenente del nobile Giovanni Blaxii, capomilizia di Tivoli, nella sala maggiore del palazzo comunale, di Giacomo Iannutii Cocanarii, procuratore e scyndicus del monastero di San Lorenzo in Panisperna AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 90, ora perg. 100. Su questo documento si sofferma Carocci, Tivoli, p. 453.

67 La retribuzione poteva esser mista, sia in moneta che in natura.

68 Ben cinque dei sette maiali furono acquistati da un gruppo di macellai tiburtini, Andrea Sciucche e i suoi soci, insieme al maschio destinato alla riproduzione.

69 Tre giovenchi e una giovenca furono venduti ad Antonio Mancino di Castro San Gregorio, due giovenchi a Nardo Sebastiani di Tivoli; AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 90, perg. 100.

(12)

mente l’illustre medico

70

, acquistava da Biagio due giovenche per 16 fiorini.

Il documento fornisce ulteriori indicazioni sull’organizzazione produttiva del

patrimonio. Esemplificativo a questo riguardo è il quadro della produzione

delle terre di Sant’Angelo in Valle Arcese, della chiesa di San Mauro, e del

ca-sale Palazzetto che profila una netta specializzazione cerealicola: il frumento

raccolto si situa al primo posto, con ben 196 rubbia corrispondenti a circa 410

quintali, a seguire la spelta (88 rubbia) – dato questo che ne conferma la

«po-sizione di tutto rispetto nell’ambito della cerealicoltura laziale»

71

– e l’orzo (54

rubbia)

72

– e infine le fave con 7 rubbia. In tutti i casi era Biagio a provvedere

riguardo alla raccolta e alla commercializzazione dei prodotti diretti al

mer-cato locale. La gestione sia diretta con il ricorso a manodopera salariata,

ne-cessaria in determinati periodi legati ai cicli di coltivazione, sia avvalendosi di

contratti ad pomedium di durata triennale o quinquennale, talora con

l’obbli-go per il conduttore di coltivare annualmente «medietas omnium cultorum»

ossia di seminare i campi «per una parte maggiore che la terza»

73

, conferma

la grande intraprendenza delle clarisse

74

.

Tuttavia gli interessi erano rivolti anche ad altri settori e, in modo

parti-colare, all’olivicoltura. Il raffronto con oliveti e ulivi di proprietà degli enti

ec-clesiastici nel territorio tiburtino ha permesso a Carocci di rilevare la

posizio-ne di primo piano che il monastero deteposizio-neva ancora agli inizi del XV secolo

75

:

nelle parcelle destinate esclusivamente all’olivicoltura, che spesso non

con-tavano più di una decina di alberi, spiccano le 185 unità arboree di proprietà

delle clarisse

76

. Orientati a una razionalizzazione degli assetti produttivi

fu-rono gli accorpamenti e le permute di vigneti in vista di una maggiore

produ-zione connessa non solo al consumo diretto ma anche al piccolo commercio

77

e di canapaie in modo da realizzare una compatta area di produzione vicina

alla città di Tivoli. La canapa, una volta raccolta, era affidata alle filatrici per

essere lavorata: le donne, di modesta posizione sociale, sono ricordate da

Bia-70 Cfr. Carocci, Tivoli, p. 338.

71 È quanto osserva Cortonesi, Colture e allevamento, p. 104. 72 Carocci, Tivoli, p. 434.

73 Cortonesi, Ruralia, p. 110.

74 Le stesse modalità si ritrovano nella locazione quinquennale stipulata nel 1397: ASC, Ar-chivio Urbano, sez. I, 785 (not. Nardo Venettini), 1, cc. 7r-8v. A carico dell’affittuario erano le spese per la riparazione delle porte del casale Gripta Mardonum; in cambio le clarisse cedevano l’erbatico «pro tempore hyemis», nonché il pascolo della spiga. L’atto, del 1 ottobre 1422, si legge in ASC, Archivio Urbano, sez. I, 785 bis (not. Nardo Venettini), 8, cc. 95v-97v.

75 Il dato è ricavato dal più antico censimento dei beni sul territorio tiburtino appartenenti agli enti ecclesiastici – ASR, Catasti, 151 –; su questa fonte fiscale ora edita (Il cabreo del 1402) si veda Carocci, I possessi degli enti ecclesiastici.

76 Si tratta di un numero elevato rispetto agli altri enti ecclesiastici come evidenzia Cortonesi, Terre e signori nel Lazio medioevale, in particolare la tab. A, pp. 100-101.

77 Con una permuta effettuata il 5 ottobre del 1332 il priore dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Tivoli dava alle clarisse una vigna sita a Ponzano nel territorio tiburtino in cambio di una vigna. Qualche giorno dopo, il 20 ottobre, il monastero cedeva una canapina insieme ad alcune terre, situate nei Prati «Mesolani», e un altro terreno in località «Moratella», ai piedi del monte Piccino, ricevendo in permuta una vigna posta in Ponzano. I due atti si leggono in AOFMP, SLP, rispettivamente mazzo 25 n. 3, ora perg. 136 e mazzo 25 n. 9, ora perg. 134.

(13)

gio nella loro condizione di spose di abitanti del luogo. La relazione fornisce

un dettagliato elenco delle quote di canapa distribuite: 6 decine erano presso

la moglie di Matteo Siccharitii di Tivoli, 5 decine dalla moglie di Cifone e altre

4 presso Pietro di Paolo di Castel Sant’Angelo. Appartenevano alle clarisse

taluni strumenti necessari alla lavorazione dei tessuti, come i tiratoi, che

ve-nivano dati in affitto. L’interesse delle clarisse a investire nel settore tessile

con colture specialistiche fra cui il lino emerge, tra l’altro, da un contratto del

1 marzo del 1378 per l’affitto del casale «Mola Pisciamosto» con la sua tenuta

fuori porta San Paolo

78

, a due romani – Giovanni Cecconi, residente nel rione

Pigna e Cecco di Pietro Curresis abitante nel rione Monti – per tre anni con

inizio dal giorno di Natale

79

. A fronte di un’intensa e organizzata produzione

la corrisposta per i due conduttori era di «unam decinam cum dimidia lini

pro quolibet rubro».

Seppur poco documentato, a essere praticato era l’allevamento delle

be-stie minute, più che di animali di taglia grossa. In un atto rogato nel 1362 il

gregge di 700 pecore, di proprietà delle clarisse, fu affidato, nel periodo della

transumanza, a un vergaro, responsabile della gestione dei pastori e dei loro

spostamenti, che si impegnava a riportarlo a settembre a Sant’Angelo in Valle

Arcese

80

. I greggi che si spostavano nel periodo estivo sembrano essere una

presenza non indifferente. Su questa realtà apre uno squarcio un’altra

testi-monianza del maggio 1391: il gregge delle clarisse, ora composto da 1.000

pecore, aggregato a quello ben più numeroso del dinamico e ricco bovattiere

romano, Enrico di Nardo Pleneri, veniva affidato a due uomini di Filettino per

farlo svernare negli alti pascoli dei Monti Simbruini

81

.

3. Il patrimonio a Roma

Come accennato, la crescita della ricchezza immobiliare a Roma, quale

si può seguire a partire almeno dalla metà del XIV secolo, sembra potersi

ascrivere soprattutto a donazioni e lasciti

82

. Non sappiamo quale fosse l’entità

78 Si può identificare con il casale e tenuta di Callisto di Egidio Calisti «de regione Sancti Mar-ci»: il 15 aprile del 1334 il mercante Andrea di Giacomo Rossi, del rione Pigna, vendeva a Lello di Andrea di Randolfo alcune terre poste nel casale «Calisti», situato fuori porta San Paolo, per la somma di 425 fiorini d’oro; il 15 settembre del 1340 il suddetto Lello cedeva a Gregorio di Angelo de’ Sordi la quarta parte di 10 once, su un totale di 12 once, del casale «Calisti», al prezzo di 400 fiorini d’oro. Entrambi gli atti si trovano in AOFMP, SLP, rispettivamente mazzo 25 n. 64, ora perg. 228 e mazzo 21 n. 33, ora perg. 215.

79 ASC, Archivio Urbano, sez. I, reg. 785 (not. Nardo Venettini), 4, cc. 31v-32r.

80 L’atto del 7 maggio 1362 è in Mosti, Due quaderni superstiti, doc. 79, alle pp. 818-819. 81 Il Pleneri possedeva 5.000 pecore: pertanto l’atto per l’estivaggio delle 6.000 pecore, stipula-to il 4 maggio del 1391, si prospetta come «il più grosso contratstipula-to relativo a greggi di pecore che i protocolli romani del Trecento abbiano conservato»: Coste, Un proprietario dell’agro romano, pp. 145-158, a p. 152.

82 Fu invece a conclusione di una causa iniziata il 15 aprile del 1353 che la sentenza, emessa il 27 maggio 1360, riconobbe alle clarisse la proprietà di un immobile posto nel rione di Campo Marzio: AOFMP, SLP, mazzo 17 n. 37, ora perg. 176.

(14)

del patrimonio del monastero allorché nel luglio del 1354 il notaio Cecco di

Pietro Rosani e sua moglie Agnese cedevano la quarta parte, con la riserva

dell’usufrutto di un palazzo di particolare pregio, situato nella centralissima

piazza di Santa Maria della Rotonda, e dotato di un portico colonnato, di sale

e camere

83

. In aggiunta i coniugi elargivano in denaro contante ben 700

fiori-ni d’oro vincolando le clarisse a investire la somma nell’acquisto di immobili

in modo tale da garantire loro una rendita vitalizia.

Dalla seconda metà del Trecento si segue un passaggio decisivo, ossia

una strategia insediativa rivelatrice dell’interesse a investimenti all’interno di

Roma

84

: l’aumento delle proprietà immobiliari attesta la nuova attenzione da

parte delle clarisse, o meglio di alcune badesse, verso le aree urbane

centra-li

85

, in linea con la fase espansiva della città

86

. Un piccolo dossier di documenti

apre spiragli su un passaggio fondamentale sul finire del XIV e gli inizi del XV

secolo. Se nel marzo del 1391 la badessa, Giovanna Conti, con il consenso delle

consorelle, vendeva la metà di una casa, situata nel rione Monti, ricavandone

la somma di 55 fiorini d’oro

87

, grazie alla donazione fatta nel 1401 da Perna

88

,

figlia di Nucciolus detto Coccio di Nepi, moglie di un calzolaio di Firenze,

Cristoforo Cardini, il monastero otteneva un nucleo di case

89

e accasamenta,

ossia complessi immobiliari, forniti di diversi e importanti complementi,

si-tuati nel rione Ponte («cum omnibus salis, cantinis, statiis, cerbinariis,

cella-riis, ortis et puteo et stabulis»

90

). In particolare va evidenziata la presenza di

strutture quali il pozzo, gli orti, stalle, cantine e magazzini oltre la posizione

83 La badessa era la domina Orsina: l’atto del 2 luglio 1354 è in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 8, ora perg. 041.

84 Per le vicende di alcuni enti laici ed ecclesiastici, considerati alla stregua di vere e proprie im-prese, si rinvia a Carbonetti Vendittelli, Il registro di entrate e uscite del convento domenicano di San Sisto; inoltre, ai saggi di Carbonetti Vendittelli in questa sezione monografica, di Hubert, Un censier des biens, di Palermo su Il patrimonio immobiliare, la rendita e le finanze di S. Ma-ria dell’Anima e di Dionisi, Confraternite e rendita urbana. Una recente messa a punto è quella di Palermo, Gestione economica e contabilità negli enti assistenziali medievali, pp. 113-131. 85 Nel rinnovato interesse per il mercato delle proprietà immobiliari e fondiarie a Roma nel tar-do Medioevo, si vedano i saggi diVaquero Piñeiro, La renta y las casas; Gauvain, Il patrimonio immobiliare del Capitolo di San Pietro; Strangio e Vaquero Piñeiro, Spazio urbano e rendita immobiliare a Roma; e ancora Vaquero Piñeiro, Propiedad y renta urbana en Roma e Vaquero Piñeiro, Terra e rendita fondiaria a Roma.

86 Palermo, Sviluppo economico e società preindustriali, in particolare i capp. V e VI. 87 La casa, venduta alla domina Lorenza «Thome Pauli Iugli», moglie di Nicola di Antonio «Sab-becti dicti Sabbectelli», era a più piani, con sale e camere, abbellita da un porticato con colonne e dotata sul retro di un orto: ASC, Archivio Urbano, Sez. I, reg. 785 (not. Nardo Venettini), 7, cc. 54r-56v. La vendita venne fatta adducendo la motivazione di gravosi oneri da affrontare «pro laborando eorum casalia et mundari faciendo terras» in modo da poter coltivare «blada, vinum et alia necessaria».

88 Fu «propter multa gratia et servitia» che la donna entrò in possesso di un immobile nel rione Ponte. L’atto rogato il 14 ottobre 1391 si legge in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 13, ora perg. 035. Da altri documenti di cui è protagonista, risulta che Perna aveva buona disponibilità di denaro liquido e una solida rete di relazioni: lo si evince fra l’altro dal testamento del vescovo di Anagni, Pietro del Bosco.

89 L’atto del 31 luglio 1401 è in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 21, ora perg. 027.

(15)

strategica, il quartiere di Ponte, che, strettamente collegato alla residenza

pa-pale, al fiume e alle aree commercialmente più vivaci, fu la sede privilegiata di

case e banchi dei «mercatores Romanam Curiam sequentes». In questa sede

mi soffermo solo brevemente su questo aspetto

91

; ma appare evidente come

anche in ambito urbano le clarisse si adeguassero ben presto ai processi di

cambiamento con l’eliminazione di aree eccentriche per compattare le

pro-prietà in modo da favorire la formazione, attraverso permute, vendite e

ac-quisti, di più o meno grandi complessi immobiliari in zone centrali della città.

Così nel rione Colonna a un primo nucleo di case se ne aggiungeva un secondo

nel 1437 attraverso l’acquisizione di un palazzo il cui costo complessivo fu di

ben 480 fiorini

92

. Diversi anni dopo la decisione di vendere questa proprietà a

più di 1.000 fiorini correnti

93

, con l’autorizzazione del provinciale dei minori

conventuali, è motivata dall’intenzione di investire la somma nell’acquisto di

altri immobili

94

. Il disegno delle clarisse di capitalizzare nei rioni divenuti ora

più appetibili e redditizi, è attestato, tra l’altro, dall’acquisto nel 1444 di un

immobile per 470 fiorini che, di proprietà di Luigi Boccapaduli, si trovava nel

centralissimo rione Parione

95

.

Va infine notato come dietro a talune transazioni si celino in realtà

ope-razioni creditizie

96

, a conferma della buona conoscenza da parte almeno di

alcune badesse dei meccanismi del prestito anche dietro garanzia

immobi-liare

97

e dell’esistenza di rapporti favoriti da motivi di fiducia personale oltre

che di sicura riservatezza che intercorreva fra le parti. Mi limito a due casi

esemplari. Il primo attiene a un momento di grave bisogno di liquidità da

parte del monastero che nel 1393 dovette procedere all’alienazione di alcuni

beni in considerazione dell’impossibilità di far fronte al pagamento

dell’im-posta applicata agli enti ecclesiastici da papa Bonifacio IX

98

. Tale è almeno la

motivazione addotta dalla badessa Giovanna Conti al momento di procedere

alla “vendita” di una casa nel rione Ponte e di cinque pezze di vigna che in

realtà costituivano la garanzia del prestito di 500 fiorini d’oro concesso loro

91 Nell’archivio di San Lorenzo in Panisperna, numerosi sono i munimina, ossia i documenti confluiti conservati per comprovare la legittimità dell’acquisizione di diritti di proprietà; fra di essi si può inserire anche una sentenza emessa dai maestri delle strade il 5 maggio del 1361, che dava facoltà a Giovanni e Pocio di Nicolò Scandaglia di costruire un palazzo nel rione Colonna su resti antichi: AOFMP, SLP, mazzo 18 n. 12, ora D/7-17.

92 La pergamena del 25 maggio 1437 in AOFMP, SLP, mazzo 18 n. 16, ora perg. 012. Si tratta di fiorini del valore di 47 soldi.

93 La vendita del 15 luglio 1478 in AOFMP, SLP, mazzo 17 n. 17, ora perg. 216. 94 AOFMP, SLP, mazzo 17 n. 17, ora perg. 216.

95 Di questo contratto rogato il 10 dicembre 1444 rimane il regesto: AOFMP, SLP, mazzo 17 n. 28, Lettera I, c. 3v.

96 Il 28 gennaio del 1336 Berardesca, vedova di Giovanni di Guarino, e sua figlia Giovanna, ambedue di Tivoli ricevevano in prestito dalle clarisse 175 lire provisine dando in garanzia parte del castello «Cicci», AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 56, ora perg. 231.

97 La badessa Giovanna Savelli prestava 21 fiorini d’oro a Margherita Pancrazi che si impegnava a restituire la somma entro il mese di ottobre: l’atto del 24 febbraio del 1410 in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 30, ora perg. 039.

(16)

dalla citata Perna

99

. Nell’altro caso è il fattore e procuratore Biagio della

Scul-cula a ricorrere all’aiuto della badessa: una prima volta Giovanna Conti gli

prestava 20 ducati d’oro, impiegati in parte per l’acquisto di un somaro; una

seconda volta a fronte di 30 ducati d’oro Biagio, come registra nel resoconto,

restituiva 33 fiorini aurei e, infine nel 1398, ricorreva alla badessa per avere

un ulteriore prestito di 25 fiorini

100

. Una finta vendita a favore delle clarisse

si cela in un atto del 1374. Oggetto della transazione è una terra vineata di 4

pezze e 37 quartene, dotata di vasche e di un tino, posta nel rione Monti, nella

contrada detta del Cavallo di Marmo

101

, in prossimità dunque del monastero.

Fu il procuratore, factor, negotiorum gestor, Andrea Martini ad acquistarla

per conto del monastero da Giacomo di Nicola Oddone al prezzo di ben 182

fiorini d’oro

102

. In questo stesso anno e giorno fu stipulato un contratto con il

quale Giacomo si impegnava a lavorare ad usum boni laboratoris,

ricorren-do anche all’opera degli uomini necessari per mettere a frutto queste terre,

impegnandosi a corrispondere al tempo della vendemmia la quarta parte del

mosto puro e mundus e acquaticus, nonché tre «canistra uvarum plena». Ed

è proprio una clausola del contratto – ove si prevede la possibilità per

Giaco-mo di poter riacquistare la proprietà allo stesso prezzo –, che illumina sulla

reale natura dei due atti: un prestito concesso dalle clarisse dietro opportuna

garanzia fondiaria

103

e riscossione di interessi.

Un posto tutt’altro che marginale ebbe il settore vitivinicolo come ben

attesta la presenza tra i beni del monastero di San Lorenzo in Panisperna di

vigneti in città

104

. Per comprare due pezze e mezzo più due quartene di

vigne-to, situato in moenia Urbis in contrada Portarile

105

nel 1375 le clarisse

paga-vano ben 102 fiorini di buono, puro oro e legalis ponderis

106

, la stessa somma

data due anni prima da Silvestro di Giovanni Riccardelli, del rione Monti, a

99 In realtà la somma totale prestata fu di 370 fiorini d’oro, di cui 220 era la quota dovuta per il sussidio di 8.000 ducati richiesto dal pontefice e 150 fiorini per pagare un’altra imposta di 5.000 ducati: AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 16, ora perg. 33. Sull’attività creditizia a Roma si veda Ait, Aspetti del mercato del credito, e in particolare sulla vivace presenza delle donne anche in questo ambito Ait, Elementi per la presenza della donna.

100 La somma fu erogata in ducati d’oro, del valore di 58 soldi di lire provisine per ducato, men-tre la restituzione viene dichiarata nella moneta di conto, il fiorino d’oro del valore di 47 soldi di lire provisine, per nascondere l’interesse: Ait, Domini Urbis e moneta, pp. 345-347.

101 Contrada celebre per i due cavalli che ora si trovano nella piazza del Quirinale.

102 Computata la somma a 37 fiorini d’oro per ogni quartena: l’atto è in AOFMP, SLP, mazzo (25) n. 26, ora D/5-9.

103 Questa seconda parte, una sorta di regesto della cartula locationis è riportata nella succita-ta pergamena: AOFMP, SLP, mazzo (25) n. 26, ora D/5-9.

104 Cortonesi, Terre e signori, pp. 78-84.

105 La vendita era fatta da Silvestro di Giovanni, canonico ad Sancta Sanctorum, a nome an-che della chiesa, il 15 febbraio 1376 in AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 9, perg. 019, an-che si tratti della stessa proprietà lo confermano i confini oltre che il prezzo. L’atto era rogato nell’orto di Simone, presbitero della chiesa di San Marco de Urbe” alla presenza, fra l’altro, del venerabile domino presbitero Angelo rettore della chiesa di San Biagio de Mercato.

106 Nel regesto è riportata erroneamente la somma di 202 fiorini d’oro;AOFMP, SLP, mazzo 23 n. 9, ora perg. 019.

(17)

Nicola di Giovanni Ilperini

107

. Questa proprietà avrebbe dato una buona resa:

«ad quartam reddendam musti puri, mundi et aquatici e due canistra uvarum

secundum consuetudinem»

108

.

Ulteriori ricerche permetteranno di completare un quadro fin qui solo

ab-bozzato. Per concludere vorrei richiamare l’attenzione sulle strategie

econo-miche messe in atto da alcune badesse che introdussero una conduzione più

efficiente delle proprietà di San Lorenzo in Panisperna

109

. Non è solo il

succe-dersi di appartenenti a potenti famiglie dell’aristocrazia romana – Orsini,

Sa-velli

110

, de Prefectis, Sant’Eustachio

111

, di Vico

112

–, a confermare la posizione

raggiunta dal cenobio che, osserva Giulia Barone, «con le sue aristocratiche

Clarisse, rappresenta il punto di forza del francescanesimo femminile in

cit-tà»

113

, sono anche le capacità personali di badesse che permisero al monastero

di divenire un’istituzione «assai florida e decisamente impegnata in una

dina-mica gestione dei propri beni»

114

. E tra le protagoniste spiccano le esponenti

del nobile casato dei Conti, che, non va dimenticato, oltre a poter vantare

uo-mini potenti, annoverava anche letterati

115

.

107 L’atto è rogato nel rione Monti nella contrada «turris Comitis videlicet in contrada de Ilpe-rinis, sub porticali» del venditore Nicola di Giordano Ilperini. Fra i testi figura Cola di Bucio Oddone, speziale del rione Monti, che abitava in detta contrada: AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 9, ora perg. 170. Verosimilmente è il vigneto che si ammira nelle diverse piante del monastero. 108 Secondo quanto indicato dagli statuti di Roma del 1363 nella rubrica «De vineis ad quartam reddendam»: cfr. Re, Statuti della città, p. 54.

109 «La badessa di una grande istituzione esercitava un potere che solo alcune regine hanno conosciuto. La badessa esercitava tutti i poteri temprali degli abati e dei signori»: così Guerra Medici, Sulla giurisdizione temporale, p. 76 ed è quanto conferma la recente analisi sulle bades-se benedettine di Colesanti, Fragnoli, Operatrici economiche, pp. 62-65.

110 AOFMP, SLP, perg. 039, atto del 27 febbraio 1410.

111 ASC, 785 bis (not. Nardo Venettini), 10, cc. 173r-175r, documento del 6 dic. 1426, in Barone, La presenza degli ordini religiosi, p. 357 n. 22.

112 Gregoria, entrata nel monastero di San Lorenzo dopo l’uccisione del padre (Francesco dei Prefetti di Vico) avvenuta a Viterbo nel 1387, compare nella bolla di Bonifacio IX del 4 aprile 1404, con la quale veniva concessa alle clarisse l’esenzione dal pagamento della tassa sul ma-cinato (AOFMP, SLP, mazzo 21 n. 14, perg. 181); sulla vicenda si veda Berardozzi, I prefetti, pp. 161-162, 385-386.

113 La constatazione è di Barone, La presenza degli ordini religiosi, p. 357. 114 Ibidem, p. 357.

115 Circa l’istruzione delle badesse al momento non si sa nulla, ma è probabile che abbiano ri-cevuto un minimo di preparazione dalla famiglia di origine: Rehberg, Bonifacio VIII e il clero di Roma.

(18)

Nicola di Giovanni Ilperini

107

. Questa proprietà avrebbe dato una buona resa:

«ad quartam reddendam musti puri, mundi et aquatici e due canistra uvarum

secundum consuetudinem»

108

.

Ulteriori ricerche permetteranno di completare un quadro fin qui solo

ab-bozzato. Per concludere vorrei richiamare l’attenzione sulle strategie

econo-miche messe in atto da alcune badesse che introdussero una conduzione più

efficiente delle proprietà di San Lorenzo in Panisperna

109

. Non è solo il

succe-dersi di appartenenti a potenti famiglie dell’aristocrazia romana – Orsini,

Sa-velli

110

, de Prefectis, Sant’Eustachio

111

, di Vico

112

–, a confermare la posizione

raggiunta dal cenobio che, osserva Giulia Barone, «con le sue aristocratiche

Clarisse, rappresenta il punto di forza del francescanesimo femminile in

cit-tà»

113

, sono anche le capacità personali di badesse che permisero al monastero

di divenire un’istituzione «assai florida e decisamente impegnata in una

dina-mica gestione dei propri beni»

114

. E tra le protagoniste spiccano le esponenti

del nobile casato dei Conti, che, non va dimenticato, oltre a poter vantare

uo-mini potenti, annoverava anche letterati

115

.

107 L’atto è rogato nel rione Monti nella contrada «turris Comitis videlicet in contrada de Ilpe-rinis, sub porticali» del venditore Nicola di Giordano Ilperini. Fra i testi figura Cola di Bucio Oddone, speziale del rione Monti, che abitava in detta contrada: AOFMP, SLP, mazzo 25 n. 9, ora perg. 170. Verosimilmente è il vigneto che si ammira nelle diverse piante del monastero. 108 Secondo quanto indicato dagli statuti di Roma del 1363 nella rubrica «De vineis ad quartam reddendam»: cfr. Re, Statuti della città, p. 54.

109 «La badessa di una grande istituzione esercitava un potere che solo alcune regine hanno conosciuto. La badessa esercitava tutti i poteri temprali degli abati e dei signori»: così Guerra Medici, Sulla giurisdizione temporale, p. 76 ed è quanto conferma la recente analisi sulle bades-se benedettine di Colesanti, Fragnoli, Operatrici economiche, pp. 62-65.

110 AOFMP, SLP, perg. 039, atto del 27 febbraio 1410.

111 ASC, 785 bis (not. Nardo Venettini), 10, cc. 173r-175r, documento del 6 dic. 1426, in Barone, La presenza degli ordini religiosi, p. 357 n. 22.

112 Gregoria, entrata nel monastero di San Lorenzo dopo l’uccisione del padre (Francesco dei Prefetti di Vico) avvenuta a Viterbo nel 1387, compare nella bolla di Bonifacio IX del 4 aprile 1404, con la quale veniva concessa alle clarisse l’esenzione dal pagamento della tassa sul ma-cinato (AOFMP, SLP, mazzo 21 n. 14, perg. 181); sulla vicenda si veda Berardozzi, I prefetti, pp. 161-162, 385-386.

113 La constatazione è di Barone, La presenza degli ordini religiosi, p. 357. 114 Ibidem, p. 357.

115 Circa l’istruzione delle badesse al momento non si sa nulla, ma è probabile che abbiano ri-cevuto un minimo di preparazione dalla famiglia di origine: Rehberg, Bonifacio VIII e il clero di Roma.

Il patrimonio delle clarisse (da É. Hubert, Espace urbain et habitat à Rome du Xe siècle à la fin

(19)

Opere citate

I. Ait, Aspetti del mercato del credito a Roma nelle fonti notarili, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431), Atti del Convegno, Roma 2-5 marzo 1992, a cura di M. Chiabò, G. D’Alessandro, P. Piacentini, C. Ranieri, Roma 1992 (Nuovi Studi Storici, 20), pp. 479-500. I. Ait, Elementi per la presenza della donna nel mercato del credito a Roma nel bassomedioevo, in Roma Donne Libri tra Medioevo e Rinascimento. In ricordo di Pino Lombardi, Roma 2004 (Roma nel Rinascimento), pp. 119-139.

I. Ait, Domini Urbis e moneta (fine XIII-inizi XV secolo), in Ricerca come incontro. Archeologi, paleografi e storici per Paolo Delogu, a cura di G. Barone, A. Esposito e C. Frova, Roma 2013, pp. 329-349.

F. Allegrezza, Organizzazione del potere e dinamiche familiari. Gli Orsini dal Duecento agli inizi del Quattrocento, Roma 1998 (Nuovi Studi Storici, 44).

Andrea da Rocca di Papa, Memorie storiche della Chiesa e Monastero di S. Lorenzo in Pani-sperna, Roma 1893.

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G. Barone, La presenza degli ordini religiosi nella Roma di Martino V, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (1417-1431). Atti del Convegno (Roma, 2-5 marzo 1992), a cura di M. Chiabò, G. D’Alessandro, P. Piacentini, C. Ranieri, Roma 1992 (Nuovi Studi storici, 20), pp. 353-365.

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S. Carocci, Vassalli del papa. Potere pontificio, aristocrazie e città nello Stato della Chiesa (XII-XV sec.), Roma 2010.

S. Carocci, I possessi degli enti ecclesiastici tiburtini agli inizio del XV secolo, in «Atti e Memo-rie della Società tiburtina di Storia e d’Arte», 55 (1982), pp. 83-131.

S. Carocci, Tivoli nel basso Medioevo. Società cittadina ed economia agraria, Roma 1988. S. Carocci, Una nobiltà bipartita. Rappresentazioni sociali e lignaggi preminenti a Roma nel

Duecento e nella prima metà del Trecento, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio muratoriano», 95, 1989, pp. 71-122.

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ro-mana di storia patria», 101 (1978), pp. 98-219.

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J. Coste, Scritti di Topografia medievale, pp. 225-241.

J. Coste, Un proprietario dell’Agro romano nel Trecento, in J. Coste, Scritti di Topografia me-dievale, pp. 145-158.

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Riferimenti

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