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Fattori predittivi di eventi tromboembolici nel paziente oncologico portatore di CVC port: studio clinico.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva

e del Dolore

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare

e dell’ Area Critica

Tesi di Specializzazione

Fattori predittivi di eventi tromboembolici nel paziente oncologico

portatore di CVC port: studio clinico

Candidato: Relatori: Dottor Alberto Pastore Professor Francesco Forfori Dottoressa Adriana Paolicchi Dottoressa Lara Tollapi

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Introduzione:

Il paziente oncologico sottoposto a chemioterapia necessita molto spesso di un accesso venoso efficiente per alcuni mesi o anni. La scelta tra i diversi presidi è dettata da vari fattori, tra cui le caratteristiche del paziente (età, prognosi, stato generale) e il programma oncologico (tipologia e durata prevista di chemioterapia, utilizzo del presidio per supporto nutrizionale, per idratazione o altre terapie endovenose).

I farmaci chemioterapici, molto spesso, impongono la loro somministrazione nelle vene di grosso calibro, in quanto le loro caratteristiche in termini di pH, osmolarità e le loro proprietà urticanti o vescicanti ne controindicano l’ infusione in vena periferica. L’ accesso alle vene di grosso calibro è possibile tramite un catetere venoso centrale (CVC), che, per definizione, ha la punta situata a livello della giunzione cavo-atriale o in vena cava inferiore. Parlando di CVC, occorre distinguere tra CVC con accesso centrale, quindi con ingresso direttamente nelle vene di grosso calibro (vena giugulare interna, vena ascellare/ succlavia o vena femorale comune) e CVC con accesso periferico, ossia tramite le vene di minor calibro alla periferia del corpo (vena basilica, vena brachiale, vena cefalica).

Il port è un tipo di catetere venoso centrale totalmente impiantatile, introdotto nei primi anni Ottanta, che prevede un accesso centrale ed è costituito da un catetere la cui punta è situata a livello della giunzione cavo-atriale (o in vena cava inferiore nel caso di un accesso in vena femorale comune) e la cui estremità opposta è collegata ad una camera (port), chiusa da un lato da una membrana in silicone perforabile; quest’ ultima consente di creare, una volta perforata con un apposito ago non carotante (ago di Huber), un collegamento tra l’ esterno del corpo e il torrente ematico del paziente. L’ ago di Huber ha il foro per la fuoriuscita delle soluzioni in posizione laterale e non in punta: in questo modo, crea un sottile taglio nella membrana in silicone del port senza danneggiarla (è detto appunto “ago non carotante”), come invece farebbe un ago tradizionale, permettendo alla membrana di rimanere sigillata. La membrana del port può così essere perforata fino a 2000 volte.

Le componenti del port possono essere costituite da materiale diverso (catetere in silicone o poliuretano; camera in resina epossidica, polisulfone o titanio).

La procedura di posizionamento di questo dispositivo è eseguita in sala operatoria o in ambulatorio chirurgico, generalmente in anestesia locale: essa prevede il reperimento ecoguidato del vaso scelto come sito di accesso per il catetere e la creazione di una tasca sottocutanea in cui allocare il port.

Il fatto di essere un dispositivo completamente impiantatile lo rende particolarmente adatto all’ utilizzo nel paziente oncologico, il quale ha una prospettiva di terapia di lungo

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termine (mesi o anni); in questo modo, l’ impatto sulle attività quotidiane e sulla vita di relazione è sicuramente minore, non limitando il paziente nello svolgimento delle più comuni mansioni.

Generalmente, il paziente oncologico che ha posizionato un CVC non intraprende alcuna terapia antitrombotica a scopo profilattico. Tale questione, però, è abbastanza controversa.

Il tromboembolismo venoso (TEV) è tra le più importanti cause di morbilità e mortalità nei pazienti con cancro, che hanno una probabilità di sviluppare eventi tromboembolici sei volte maggiore rispetto al paziente non tumorale. Anche eventi arteriosi (stroke e infarto miocardico) sono più frequentemente osservati in questa categoria di pazienti [1].

I pazienti oncologici, oltre ai fattori notoriamente associati al rischio tromboembolico, presentano una serie di altri fattori specifici della patologia tumorale e degli eventuali presidi di cui sono portatori (tra cui, appunto, i cateteri venosi centrali). Tali fattori di rischio, infatti, possono essere suddivisi in: fattori correlati al paziente (età, sesso, etnia, comorbidità - obesità, immobilità, infezioni, malattie metaboliche, cardiache, renali o polmonari), fattori correlati alla patologia tumorale (tipo di tumore primitivo, sottotipo istologico, storia naturale del tipo di tumore) e fattori legati al trattamento terapeutico (presenza di cateteri venosi, chemioterapia, terapie di supporto - fattori stimolanti il midollo osseo, trasfusioni di emazie concentrate o di piastrine) [1].

I pazienti con il rischio maggiore sono quelli con malattia metastatica (rischio aumentato di 4-13 volte rispetto a pazienti con primitivo non metastatizzato [2, 3] ); tra i tumori primitivi, quelli per i quali è riportato un rischio maggiore sono i gliomi, il carcinoma del polmone, dell’ utero, della vescica, del pancreas, dello stomaco e del rene [2]. Tale rischio aumenta in corso di chemioterapia, divenendo 7 volte maggiore, se paragonato a pazienti non oncologici [4], e anche nel paziente ospedalizzato tale rischio sale [4]. Lo sviluppo delle complicanze tromboemboliche ha importanti ripercussioni sulla qualità di vita dei pazienti oncologici, oltre che sulla loro prognosi [5]: avere una trombosi espone a rischi aggiuntivi, quali infezione del trombo, embolia polmonare, malfunzionamento del CVC e perdita dell’ accesso venoso stesso [6].

Parlando della presenza di un CVC, è stato visto che avere un port aumenta ulteriormente il rischio tromboembolico intrinseco del paziente oncologico [7].

C’ è da dire, però, che c’ è una mancanza di dati affidabili riguardanti i fattori di rischio per le trombosi correlate alla presenza del catetere.

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L’ incidenza di trombosi venosa profonda ed embolia polmonare associate alla presenza di cateteri venosi centrali è stata riportata tra il 2% e il 67% in una importante review, fatta da Rooden e collaboratori [6], che ha analizzato 25 studi clinici. I fattori che correlano con il maggior rischio di eventi tromboembolici comprendono: materiale di cui è fatto il CVC, lunghezza e calibro del catetere, numero di lumi, localizzazione della punta del catetere, numero di tentativi di posizionamento, sito di accesso [8-10]. CVC fatti di silicone o poliuretano sono meno associati con trombosi locale rispetto a quelli fatti di polietilene [11-13]. Un maggior numero di lumi correla con una maggiore incidenza di complicanze [14, 15]. La localizzazione della punta del dispositivo in vena succlavia o anonima è associata a maggior incidenza di complicanze trombotiche rispetto alla localizzazione della stessa in vena cava o giunzione cavo-atriale [16]. L’ accesso succlavio sembra avere meno complicanze rispetto a quello femorale [17, 18] o in giugulare interna [19]. Il posizionamento a sinistra è stato associato a un maggior rischio trombotico [20-22]. C’ è comunque da dire che, negli ultimi anni, l’ incidenza riportata per tali complicanze si è ridotta [23], probabilmente in relazione all’ evoluzione dei materiali utilizzati e alle differenze nella popolazione di pazienti.

Gli eventi tromboembolici correlati alla presenza del catetere possono essere asintomatici, ed essere ritrovati come reperto collaterale ad un’ indagine radiologica, o determinare una clinica suggestiva di complicanza (edema, dolore, rossore dell’ arto interessato, o insufficienza respiratoria in caso di embolia polmonare); inoltre, una trombosi occludente il lume del catetere può determinare l’ impossibilità a somministrare la chemioterapia [24].

La percentuale di eventi sintomatici varia tra lo 0 e il 12 %, essendo la maggior parte di tali complicanze asintomatica [25].

Gli studi in letteratura danno risultati contrastanti circa l’ utilità di una profilassi antitrombotica: negli anni Novanta, due studi clinici randomizzati hanno suggerito un ruolo della profilassi con warfarin o eparina a basso peso molecolare (EBPM) nei pazienti oncologici portatori di CVC [26, 27]; 4 studi dei primi anni Duemila hanno invece trovato una bassa incidenza di tromboembolismo venoso correlata al CVC, attestata attorno al 3-4%, senza una differenza statisticamente significativa tra pazienti sottoposti a profilassi o meno [28-31], pertanto le linee guida della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO) non raccomandano la profilassi di routine per evitare complicanze tromboemboliche correlate alla presenza di un CVC (livello di evidenza I a) [4], e

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tantomeno la nona edizione delle linee guida dell’ American College of Chest Physicians (ACCP) raccomanda una tromboprofilassi sistematica dal momento del posizionamento del dispositivo [32].

La profilassi con EBPM, comunque, si è dimostrata più efficace rispetto agli antagonisti della vitamina K [33], i quali comunque sono più problematici da gestire in un paziente come quello oncologico, in cui le interazioni tra antagonisti della vitamina K e farmaci chemioterapici, la malnutrizione e la disfunzione epatica possono portare ad ampie oscillazioni dell’ INR.

Khorana e i suoi collaboratori hanno sviluppato nel 2008 uno score (Tabella 1) predittivo di rischio tromboembolico nel paziente oncologico sottoposto a chemioterapia [1]. Questo modello è validato per identificare pazienti ad alto rischio che potrebbero beneficiare di una profilassi antitrombotica durante chemioterapia, ma non è validato per predire il rischio correlato alla presenza di un CVC [34].

Tabella 1: score di Khorana (modificata da [4])

Materiali e metodi:

Si tratta di uno studio retrospettivo, che prende in considerazione i pazienti oncologici maggiorenni per i quali è stato posizionato un port presso il Servizio Dipartimentale di Anestesia e Terapia del Dolore dell’ Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, nel periodo compreso tra l’ 1 gennaio 2017 e il 30 giugno 2017, e per i quali è stato possibile un

Sito della neoplasia:

- rischio molto elevato: stomaco, pancreas

- Rischio elevato: polmone, linfoma, neoplasie ginecologiche, vescica, testicolo

+ 2 + 1

Conta piastrina pre-chemioterapia ≥ 350000/mm3 +1 Emoglobina < 10 g/dL o uso di fattori di crescita per globuli

rossi +1

Conta leucocitaria pre-chemioterapia > 11000/mm3 +1

BMI ≥ 35 kg/m2 +1 PUNTEGGIO TOTALE: Incidenza di TEV: - ≥ 3 rischio alto: 7% - 1-2 rischio intermedio: 2% - 0 rischio basso: 0,5%

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follow-up di 12 mesi per lo sviluppo di complicanze tromboemboliche. Sono stati inclusi i pazienti con primo posizionamento di port.

Il port è stato posizionato in anestesia locale, in ambulatorio chirurgico, da un anestesista dedicato. Durante tutto il periodo considerato, la figura di responsabile del team vascolare è stata rivestita da uno stesso anestesista. L’ accesso preferenziale è stato in vena ascellare, con approccio mediale, che consente il posizionamento del port in una tasca sottocutanea ottenuta in regione pettorale omolaterale senza tunnellizzazione del catetere. In caso di fallimento o controindicazione all’ utilizzo dell’ accesso ascellare/ succlavio, è stato utilizzato l’ accesso in vena giugulare interna o, in ultima istanza, l’ accesso in vena femorale comune; in questi ultimi casi, il posizionamento ha previsto la tunnellizzazione di parte del catetere, in modo da poter posizionare il port in regione pettorale in caso di accesso giugulare o in regione crurale in caso di accesso femorale. Il lato preferenziale è stato il destro, salvo controindicazioni legate alla patologia primitiva, a pregressa chirurgia o altri fattori. Il vaso è stato reperito sempre con guida ecografica e il controllo sul corretto posizionamento del presidio è stato effettuato sia con la guida fluoroscopica, effettuata durante la procedura, sia con una radiografia del torace eseguita presso l’ Unità Operativa della Radiodiagnostica 1 Universitaria dello stesso Presidio Ospedaliero, a fine procedura. La funzionalità del dispositivo è stata testata in tutti i casi subito dopo aver posizionato il port nella tasca sottocutanea, prima di suturare la ferita chirurgica con dei punti riassorbibili. L’ utilizzo del dispositivo è stato possibile fin dal giorno del posizionamento.

Il port che è stato posizionato nella maggior parte dei casi è un Celsite® ST 305 (B. Braun Medical, Germany), con catetere in silicone e camera in polisulfone; un minor numero di pazienti ha ricevuto uno SlimPort® (Bard) con catetere in poliuretano e camera in titanio. L’ individuazione delle complicanze nei pazienti reclutati è stata fatta clinicamente, in caso di eventi tromboembolici sintomatici (clinica suggestiva per trombosi venosa profonda degli arti superiori o inferiori o sintomi compatitili con embolia polmonare), che hanno poi condotto a studi diagnostici mirati (ecocolordoppler dell’ asse venoso interessato o studio TC) o tramite l’ imaging previsto dal follow-up oncologico di stadiazione della patologia tumorale per gli eventi asintomatici.

Nessun paziente ha intrapreso una profilassi antitrombotica per aver posizionato il presidio.

Nei pazienti che hanno sviluppato una complicanza tromboembolica, il trattamento iniziale è consistito in eparina a basso peso molecolare per via sottocutanea al dosaggio terapeutico di 200 UI/kg/die (dalteparina 200 UI/kg una volta al giorno o enoxaparina 100

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UI/kg 2 volte al giorno); tale trattamento si è protratto, in accordo con le linee guida dell’ ESMO, per 1 mese, seguito da un periodo di 5 mesi in cui il dosaggio dell’ EBPM è stato ridotto al 75-80% (livello di evidenza I a).

Obiettivi dello studio:

Lo scopo principale dello studio è di calcolare l’ incidenza a 6 e 12 mesi di eventi tromboembolici associati al posizionamento e alla presenza del port, ossia trombosi venose profonde occlusive dell’ arto sede del catetere, con o senza embolia polmonare, o embolia polmonare isolata di origine non nota, e di identificare dei fattori di rischio predittivi di complicanza, in modo da poter definire un sottogruppo di pazienti suscettibili di tromboprofilassi dopo aver posizionato il dispositivo.

Lo scopo secondario è di individuare l’ incidenza a 6 e 12 mesi di qualsiasi evento tromboembolico, correlato o meno alla presenza del catetere, ossia trombosi venose degli arti inferiori, del braccio controlaterale rispetto alla sede del port o a livello viscerale. Analisi dei dati:

I dati qualitatitivi sono stati riassunti con la frequenza assoluta e relativa, quelli quantitativi con la mediana e il range.

Lo studio dei fattori di rischio della variabile dipendente “trombosi” (età, sesso, tumore primitivo, score di Khorana, sede del port, materiale del catetere, malattia metastatica o recidivata, anamnesi di pregressa altra patologia tumorale, chirurgia del tumore primitivo, chemioterapia, storia di trombosi, eventuale terapia antiaggregante/anticoagulante) è stato eseguito utilizzando il test chi quadrato per le variabili indipendenti categoriali e il test di Mann-Whitney per quelle continue. Utilizzando gli stessi fattori di rischio sono stati analizzati due tipi di variabile dipendente: “qualsiasi tipo di trombosi” e “trombosi su port ed embolia polmonare”.

Tutti i fattori significativamente associati al rischio di trombosi nell’ analisi univariata sono stati analizzati insieme mediante regressione logistica binaria come analisi multivariata per valutare il contributo indipendente di ciascun fattore predittivo. I risultati dei due modelli di regressione sono stati ottenuti con il test di Wald. Inoltre sono stati espressi anche i coefficienti di regressione e gli odds ratio con il relativo intervallo di confidenza al 95%. Infine, per confrontare la frequenza di trombosi legata al tempo trascorso dal posizionamento del port, è stato utilizzato il test chi quadrato.

La significatività è stata fissata a 0,05.

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Risultati:

Dal 1 gennaio al 30 giugno 2017, in 340 pazienti è stato posizionato un port; quelli inclusi in questo studio sono 304, avendo escluso quei pazienti per i quali non è stato possibile eseguire un follow-up completo, quelli con secondo posizionamento del presidio e quelli non oncologici.

Il campione è composto da 113 maschi, con età media di 65,7 anni (range: 25-86 anni) e 191 femmine, con età media di 59,7 anni (range: 33-80 anni); l’ età media più bassa nel gruppo delle donne è probabilmente ascrivibile al gran numero di casi di tumore mammario, in donne in età fertile. Tra le patologie oncologiche, infatti, si sono registrati 98 casi di tumore della mammella in soggetti di sesso femminile, 44 casi di tumore del colon-retto (30 in pazienti maschi, 14 in pazienti femmine), 37 casi di tumore del pancreas (16 maschi, 21 femmine), 17 casi di tumore del polmone (11 maschi, 6 femmine), 17 casi di tumore dello stomaco (13 maschi, 4 femmine), 16 casi di tumore dell’ utero, 14 casi di tumore del fegato e delle vie biliari (6 maschi, 8 femmine), 12 casi di tumore dell’ ovaio, 8 casi di tumori testa-collo (6 maschi, 2 femmine), 8 casi di melanoma (7 maschi, 1 femmina), 7 casi di tumore della vescica (tutti maschi), 6 casi di tumore della prostata, 4 casi di mesotelioma (3 maschi, 1 femmina), 4 casi di tumore osseo (2 maschi, 2 femmine), 4 casi di tumore del SNC (2 maschi, 2 femmine), 3 casi di tumore primitivo non noto (tutte femmine), 2 casi di tumore del rene (entrambi maschi), 2 casi di sarcoma (1 maschio, 1 femmina), 1 tumore neuroendocrino (paziente maschio) (figura 1).

I pazienti che hanno sviluppato eventi tromboembolici (comprendendo tutti i casi di TEV) nel follow-up di un anno (fino al 30 giugno 2018) sono stati 42, pari al 13.8%. Si sono riscontrati 15 casi di trombosi pericatetere o dell’ apice (35,7%), 13 di embolia polmonare (31%), di cui uno associato a trombosi del catetere, 9 di trombosi viscerale (21,4%), 4 di trombosi venosa profonda degli arti inferiori (9,5%) e 1 caso di trombosi dell’ arto controlaterale rispetto alla sede del port (2,4%).

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Figura 1: distribuzione del campione di pazienti secondo la sede del tumore primitivo, divisi per sesso.

La tabella 2 descrive le caratteristiche del campione di pazienti e mostra le variabili indipendenti prese in considerazione per lo studio.

mammella (98) colon-retto (44) pancreas (37) stomaco (17) polmone (17) utero (16) fegato e vie biliari (14) ovaio (12) testa-collo (8) melanoma (8) prostata(6) vescica (7) mesotelioma (4) osseo (4) SNC (4) primitivo non noto (3) rene (2) sarcoma (2) neuroendocrino (1) 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 0 1 0 3 2 2 1 0 0 1 2 12 8 16 6 4 21 14 98 1 1 2 0 2 2 3 7 6 7 6 0 6 0 11 13 16 30 0 Maschi Femmine

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Tabella 2: caratteristiche dei 42 pazienti che hanno sviluppato TEV e dei 262 senza complicanza; tra parentesi, percentuale rispetto alla categoria presa in considerazione (“TEV” o “no TEV”)

Variabili indipendenti n. 42 TEV (%) No TEV n. 262 (%) sesso maschi 19 (45%) 94 (35.8%) femmine 23 (55%) 168 (64.2%) età < 70 anni 28 (66.7%) 182 (69.5%) ≥ 70 anni 14 (33.3%) 80 (30.5%) tumore primitivo mammella 8 (19%) 90 (34.4%) pancreas 10 (23.8%) 27 (10.3%) stomaco 3 (7.1%) 14 (5,3%) colonretto 6 (14.3%) 38 (14.5%) utero 4 (9.5%) 12 (4.6%) ovaio 1 (2.4%) 11 (4.2%) polmone 3 (7.1%) 14 (5.3%) fegato e vie biliari 2 (4.8%) 12 (4.6%) vescica 1 (2.4%) 6 (2.3%)

rene 1 (2.4%) 1 (0.4%) prostata 1 (2.4%) 5 (1.9%)

SNC 1 (2.4%) 3 (1.1%)

primitivo non noto 1 (2.4%) 2 (0.8%)

altri 0 27 (10.3%)

Khorana score

rischio basso 14 (33.3%) 149 (56.8%) rischio intermedio 19 (45.2%) 102 (39%)

rischio alto 9 (21.5%) 11 (4.2%)

sede del port

vena ascellare destra 30 (71.5%) 199 (75.9%)

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vena ascellare sinistra 8 (19%) 59 (22.5%) vena giugulare interna destra 0 1 (0.4%) vena giugulare interna sinistra 1 (2.4%) 1 (0.4%) vena femorale destra 3 (7.1%) 2 (0.8%)

materiale

silicone 39 (92.8%) 249 (95%) poliuretano 3 (7.2%) 13 (5%)

malattia metastatica/recidiva di malattia

sì 40 (95.2%) 201 (76.7%) no 2 (4.8%) 61 (23.3%)

precedente tumore

sì 6 (14.3%) 33 (12.6%) no 36 (85.7%) 229 (87.4%)

chirurgia del tumore primitivo

sì 27 (64.3%) 169 (64.5%) no 15 (35.7%) 93 (35.5%) CT già iniziata sì 15 (35.7%) 66 (25.2%) no 20 (47.6%) 170 (64.9%) pregressa 7 (16.7%) 26 (9.9%) storia di TEV sì 12 (28.6%) 28 (10.7%) no 30 (71.4%) 234 (89.3%)

terapia con antiaggreganti/anticoagulanti

no 30 (71.4%) 207 (79%) antiaggreganti 5 (11.9%) 26 (9.9%) anticoagulanti 7 (16.7%) 29 (11.1%) TEV n. 42 (%) No TEV n. 262 (%) Variabili indipendenti

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Variabile dipendente “qualsiasi tipo di trombosi” (tabella 3):

l’ analisi multivariata mostra che le variabili indipendenti che impattano sulla variabile dipendente “qualsiasi tipo di trombosi” risultano essere: lo score di Khorana ≥ 3 (figura 1) e avere una malattia metastatica o recidivata (figura 2). All’ analisi univariata, i tumori di stomaco e pancreas assieme correlano in modo significativo con lo sviluppo di TEV rispetto agli atri tipi di tumore primitivo, ma all’ analisi multivariata questa associazione perde di significatività, in quanto avere un tumore primitivo a carico di tali organi corrisponde in realtà alla classe più alta di Khorana, per cui è quest’ ultima a dare forza alla correlazione. Il tumore della mammella, al contrario, è quello che all’ analisi univariata correla con il minor rischio tromboembolico, se paragonato agli altri tumori; l’ analisi ha preso in considerazione questo dato in ragione dell’ alto numero di casi di tumore della mammella compreso nel nostro campione (98 casi su 304 pazienti totali). Anche questo dato, però, si perde nell’ analisi multivariata.

Aver già iniziato il trattamento chemioterapico al momento del posizionamento del port ha dato una significatività borderline nell’ analisi univariata, non confermata in quella multivariata, ma sembra indicare comunque una tendenza verso il rischio di complicanza in caso di chemioterapia già iniziata o, dato forse più interessante, in caso di chemioterapia pregressa: dalla tabella di contingenza, infatti, si evince che il sottogruppo di pazienti che aveva fatto chemioterapia anni prima (dai 3 ai 10 anni prima) rispetto al posizionamento del port (indicati in tabella con “CT pregressa”) ha un comportamento simile a chi è in corso di trattamento; probabilmente, aver fatto chemioterapia nel passato modifica o danneggia l’ endotelio dei vasi o altera l’ omeostasi coagulativa ematica, che rende così più suscettibili allo sviluppo della complicanza trombotica.

L’ anamnesi positiva per eventi tromboembolici si è dimostrata significativa nell’ analisi univariata, ma non in quella multivariata, sebbene anche qui sembri esserci un trend verso il maggior rischio tromboembolico in caso di anamnesi positiva per pregressa trombosi venosa (p = 0,062).

Il 73,8% delle complicanze trombotiche si è riscontrato nei primi 6 mesi dal posizionamento del port, mentre il restante 26,2% è avvenuto nei 6 mesi successivi (quindi nell’ arco di un anno), con una p = 0,002, quindi i primi 6 mesi dal posizionamento del dispositivo sembrano essere quelli più a rischio per lo sviluppo di eventuali complicanze tromboemboliche.

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Variabile dipendente “trombosi su port ed embolia polmonare” (tabella 4):

anche in questo caso, l’ analisi multivariata mostra che lo score di Khorana ≥ 3 impatta sul rischio di sviluppare una complicanza trombotica sul port o di avere un’ embolia polmonare (figura 3). Avere una malattia metastatica o recidivata, in questo caso, mostra una significatività all’ analisi univariata, non confermata in quella multivariata, dove comunque sembra esserci una tendenza verso l’ associazione tra variabile dipendente e variabile indipendente (p = 0,080). Avere un tumore di stomaco o pancreas, anche in questo caso, mostra una correlazione all’ analisi univariata, ma perde di significato in quella multivariata. A differenza dell’ analisi fatta considerando qualsiasi tipo di TEV, in questo caso mantiene una significatività anche all’ analisi multivariata l’ anamnesi di pregressa tromboembolia venosa (figura 4). Avere iniziato il trattamento chemioterapico o averlo fatto in passato, rispetto a non aver mai fatto chemioterapia, mostra una significatività come fattore di rischio all’ analisi univariata, non confermata nella multivariata.

Un dato interessante, che si evince dalla tabella di contingenza, è il fatto che sembra esserci un trend di associazione tra avere il port a sinistra, considerando solo gli accessi ascellare e giugulare (escludendo quindi l’ accesso femorale), e il rischio di sviluppare complicanza tromboembolica sul catetere; sembrerebbe dunque minore l’ incidenza di complicanze per l’ accesso sul lato destro del corpo.

A tal proposito, è stata fatta un’ analisi univariata, con test di Mann-Whitney, che ha preso in considerazione la variabile dipendente “trombosi su port ed embolia polmonare” e la variabile indipendente “lunghezza del catetere”, considerando solo quei pazienti con accesso ascellare destro e sinistro, in modo da escludere i pazienti con catetere posizionato tramite un accesso che contempli la sua tunnellizzazione, ossia l’ accesso giugulare e quello femorale: il dato interessante è che c’ è una significatività nell’ associazione (p = 0,038), per cui sembrerebbe che, per questo tipo di accesso, più il catetere è lungo e più è a rischio di sviluppare complicanza tromboembolica (figura 5). Il 75% delle complicanze trombotiche pericatetere e delle embolie polmonari si è riscontrato nei primi 6 mesi dal posizionamento del port, mentre il restante 25% è avvenuto nei 6 mesi successivi, con una p = 0,008, quindi anche in questo caso i primi 6 mesi dal posizionamento del dispositivo sembrano essere quelli più a rischio.

Le tabelle 3 e 4 (tabelle di contingenza) mostrano i risultati dell’ analisi uni e multivariata per le due variabili dipendenti “qualsiasi tipo di trombosi” e “trombosi su port ed embolia polmonare”.

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Tabella 3: Analisi uni e multivariata dei fattori di rischio di eventi tromboembolici (tutti)

CR: coefficiente di regressione; OR: Odds Ratio; 95%CI: intervallo di confidenza al 95%.; RLB: Regressione Logistica Binaria

*OR = 2,7 (1,6-4,5) **OR = 6,1 (1,4-25)

Analisi univariata Analisi multivariata (RLB)

Fattore Mediana (Range) o Frequenza p-value CR OR (95%CI) p-value

TEV si TEV no Età 63,5 (42-86) 63 (25-86) 0,339 Sesso 0,244 F 23 168 M 19 94 Primitivo 0,016 -0,04 0,9 (0,4-2,4) 0,935 Upper GI 13 41 Altro 29 221 Primitivo 0,049 0,206 1,2 (0,5-3,1) 0,658 Mammella 8 90 Altro 34 172 Khorana score <0,0001* 0,862 2,4 (1,2-4,5) 0,009 (0):Rischio basso 14 149 (1):Rischio intermedio 19 102 (2):Rischio alto 9 11

Sede port (non femorale) 0,999 Lato destro 30 200 Lato sinistro 9 60 Materiale 0,557 Silicone 39 249 Poliuretano 3 13 Metastasi o recidiva 0,006** 1,727 5,6 (1,3-24) 0,021 Sì 40 201 No 2 61 Altra etp 0,761 Sì 6 33 No 36 229 Chirurgia 0,978 Sì 27 169 No 15 93 CT 0,093 Mai 20 170 In corso 15 66 Pregressa 7 26 Storia di TEV 0,001 0,778 2,2 (0,9-4,9) 0,062 Sì 12 28 No 30 234 Antiaggr/Anticoag 0,506 Antiaggreganti 5 26 Anticoagulanti 7 29 No 30 207 Costante -4,2 0,015 <0,0001

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Tabella 4. Analisi uni e multivariata dei fattori di rischio di trombosi del port ed EP

CR: coefficiente di regressione; OR: Odds Ratio; 95%CI: intervallo di confidenza al 95%.; RLB: Regressione Logistica Binaria. EP: Embolia Polmonare.

*OR = 2,8 (1,6 – 5,1) **OR = 4,6 (1,9 – 10,8)

Analisi univariata Analisi multivariata (RLB)

Fattore Mediana (Range) o Frequenza p-value CR OR (95%CI) p-value

TEV si TEV no Età 64,5 (45-86) 63 (25-86) 0,165 Sesso 0,513 F 16 175 M 12 101 Primitivo 0,037 0,106 1,1 (0,4-3,3) 0,852 Upper GI 9 45 Altro 19 231 Primitivo 0,663 Mammella 8 90 Altro 20 186 Khorana <0,0001* 0,846 2,3 (1,1-4,9) 0,025 (0):Rischio basso 9 154 (1):Rischio intermedio 12 109 (2):Rischio alto 7 13

Sede port (non femorale) 0,109 Lato destro 16 214 Lato sinistro 9 60 Materiale 0,175 Silicone 25 263 Poliuretano 3 13 Metastasi o recidiva 0,019 1,828 6,2 (0,8-48) 0,080 Sì 27 214 No 1 62 Altra etp 0,809 Sì 4 35 No 24 241 Chirurgia 0,695 Sì 19 177 No 9 99 CT 0,049 0,347 1,4 (0,8-2,5) 0,212 Mai 12 178 In corso 10 71 Pregressa 6 27 Storia di TEV 0,0002** 0,974 2,6 (1,1-6,7) 0,040 Sì 10 30 No 18 246 Antiaggr/Anticoag 0,246 Antiaggreganti 3 28 Anticoagulanti 6 30 No 19 218 Costante -4,959 0,007 <0,0001

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Discussione:

Diversi studi condotti nei pazienti oncologici hanno cercato di individuare potenziali fattori di rischio per le complicanze legate alla presenza del port, con risultati contrastanti. Nel presente studio, lo score di Khorana ≥ 3 si è dimostrato predittivo di complicanza tromboembolica, sia considerando la variabile “qualsiasi tipo di trombosi” che “trombosi su port ed embolia polmonare”; nell’ analisi univariata, l’ associazione tra “qualsiasi TEV sì” e le classi di rischio di Khorana aumenta mediamente di 2,7 volte passando da una categoria di rischio a quella successiva rispetto ai pazienti “qualsiasi TEV no”; nel caso delle trombosi su port ed embolia polmonare, l’ associazione aumenta mediamente di 2,8 volte tra una categoria di rischio e la successiva. Tale score non è validato per il paziente portatore di CVC, ma sembra comunque avere un significato in tal senso; un risultato analogo era stato segnalato da Moinat e colleghi [34]. Una differenza importante, rispetto allo studio di Moinat, è che in quest’ ultimo la manovra di posizionamento del port non contemplava la guida ecografica; nel reparto di Anestesia e Terapia del Dolore pisano, invece, la procedura è sempre fatta con l’ uso dell’ ecografo. L’ uso della guida ecografia si è dimostrato utile nel ridurre il rischio di complicanze trombotiche e infettive in tutte le procedure venose percutanee [34].

La malattia metastatica o con recidiva, allo stesso modo, si è rivelata predittiva di complicanza, per quanto riguarda l’ analisi relativa a tutti i tipi di TEV, e con una tendenza comunque all’ associazione con la complicanza nell’ analisi relativa alla trombosi su port ed embolia polmonare; questo dato è in linea con gli studi già presenti in letteratura [2, 3]. Invece, fattori quali età, sesso, aver già fatto l’ intervento chirurgico sul tumore primitivo, il materiale di cui è costituito il catetere (silicone o poliuretano) e aver avuto nel passato un’ altra patologia tumorale non hanno rivelato un’ associazione con l’ aumentato rischio di complicanza trombotica.

Per quanto riguarda la sede di posizionamento del dispositivo, l’ analisi univariata ha rivelato che c’ è una tendenza all’ associazione tra port posizionato a sinistra, considerando gli accessi ascellare e giugulare, e complicanza trombotica su port ed embolia polmonare, rispetto al posizionamento a destra negli stessi vasi; probabilmente questo può essere spiegato con la diversa disposizione anatomica dei vasi tra lato destro e sinistro, che impone al catetere posizionato a sinistra una curvatura tale per cui c’ è un maggior contatto con la parete dei vasi, e di qui maggior stimolazione in senso pro-trombotico. Clark e Barsuk, infatti, parlando di cateteri da dialisi non tunnellizzati, affermano che l’ uso dell’ accesso in vena giugulare interna o succlavia dal lato sinistro può associarsi a un maggior rischio di complicanza rispetto alle stesse vene di destra,

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probabilmente come risultato di un maggior contatto tra il catetere e la parete del vaso, attraverso il percorso anatomico più tortuoso [35]. Sempre in considerazione del lato del posizionamento del dispositivo, la correlazione tra lunghezza del catetere e accesso succlavio destro e sinistro (p = 0,038) sembra suggerire che più il catetere è lungo e più è a rischio di sviluppare trombosi. Dal momento che, per la diversa conformazione anatomica dei vasi, i presidi posizionati in vena ascellare sinistra sono, in linea di massima, sempre più lunghi di quelli posizionati in vena ascellare destra, si potrebbe ipotizzare che l’ accesso sinistro, imponendo una maggiore lunghezza del catetere, si associa a maggior rischio di avere la complicanza anche per questo motivo (figura 5). Yildizeli e collaboratori non hanno individuato differenze nell’ incidenza di complicanze in relazione alla vena usata come sito di accesso (giugulare interna, succlavia o cefalica), ma hanno riscontrato un minor numero di tentativi di posizionamento nel caso dell’ accesso succlavio [36]. Secondo Vardy e colleghi, l’ accesso succlavio garantisce un’ alta percentuale di successo, con un tasso di complicanze molto basso [37]. Tale accesso è quello preferenzialmente usato nel reparto di Anestesia e Terapia del dolore pisano, cui questo studio fa riferimento. Allo stesso modo, Hsieh non individua un importante impatto per l’ accesso scelto, ma dà più peso a fattori quali età avanzata, sesso maschile e cateteri a punta aperta [38]. Secondo lo studio di Narducci [39], l’ incidenza di complicanze non è influenzata in modo significativo dal successo o meno nel cateterizzare la vena inizialmente scelta, dall’ esperienza dell’ operatore, dalla facilità di posizionamento del dispositivo, dalla durata della procedura o dal tipo di port scelto; il fattore che ha un impatto importante sull’ incidenza delle complicanze è l’intervallo tra posizionamento del port e suo primo utilizzo, essendo essa ridotta in modo significativo se tale intervallo supera gli 8 giorni. Una possibile spiegazione per questo risultato potrebbe essere che la guarigione della ferita chirurgica, relativa alla tasca sottocutanea, è ancora non completa e quindi meno “resistente” quando sottoposta a stress prima di 8 giorni dalla sua creazione; la stessa somministrazione di farmaci chemioterapici può influire sulla capacità di guarigione della ferita. Tale dato comunque non viene confermato nello studio di Moinat [34], nel quale i pazienti che utilizzavano il port prima di 8 giorni dalla data di posizionamento non avevano un rischio aggiuntivo di TEV rispetto a chi lo utilizzava dopo tale intervallo di tempo.

Nel campione del presente studio, e in generale nell’ AOUP (Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana), l’ uso del port è consentito fin dal momento del suo posizionamento.

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Secondo Lee e colleghi [8], aver effettuato più di un tentativo di posizionamento, avere un cancro ovarico e aver avuto un precedente CVC sono fattori di rischio associati ad una più alta incidenza di complicanze trombotiche; gli stessi autori comunque affermano che l’ incidenza di complicanze legate alla presenza di un CVC (comprendendo cateteri di Hickman, port e PICC) è bassa e che le complicanze a lungo termine sono poco comuni; hanno osservato che il blocco del catetere è associato in modo significativo con la presenza di trombosi, elemento che fa sospettare il fatto che spesso la trombosi del vaso venoso si associa a trombosi nel lume del catetere. Probabilmente, il più elevato numero di tentativi di posizionamento e l’ aver avuto già un presidio intravascolare predispongono allo sviluppo delle complicanze trombotiche in relazione al danno endoteliale o comunque al trauma sulla parete del vaso. Le pazienti con cancro ovarico, invece, erano spesso pazienti che avevano già ricevuto chemioterapia in vena periferica e che poi erano state indirizzate verso il posizionamento del CVC: probabilmente, la precedente chemioterapia o la ripetuta venipunzione giocano un ruolo come fattori traumatici sulla parete dei vasi venosi [8].

Nel presente studio, il tumore di pertinenza ginecologica (ovaio e utero) non è associato a maggior rischio di complicanza tromboembolica.

Comunque, anche se molti casi rimangono asintomatici, la trombosi legata alla presenza del catetere può causare ulteriori complicanze, comprese l’ embolia polmonare e la sindrome post-flebitica [40, 41].

Nella casistica di questo studio, un solo caso di trombosi pericatetere si è associato a embolia polmonare; in due casi il catetere si è dislocato, con trombosi pericatetere in uno di essi; due port sono andati incontro a complicanza infettiva dopo aver sviluppato la trombosi.

Sempre Lee e colleghi [8] affermano che, nel loro studio, la profilassi con anticoagulanti non riduce l’ incidenza di trombosi sintomatiche. Secondo gli studi di Monreal in pazienti con CVC port in vena succlavia e di Abdelkefi, invece, la profilassi con eparina a basso peso molecolare in pazienti oncologici con CVC è efficace nel ridurre le complicanze tromboemboliche [27, 42]. Gli studi hanno dimostrato una superiorità, in tal senso, dell’ eparina a basso peso molecolare, rispetto agli antagonisti della vitamina K. Purtroppo, la sicurezza della profilassi antitrombotica non è stata ancora ben studiata e nonostante la pubblicazione di linee guida per la profilassi nel paziente oncologico, c’ è ancora molto divario tra raccomandazioni e pratica clinica: da una recente Survey, risulta che la ragione principale per cui il clinico non prescrive la profilassi è legata al rischio di sanguinamento

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per la trombocitopenia, che probabilmente supera il rischio di trombosi nel paziente oncologico [43-45], rendendo la scelta particolarmente difficile. Sotto questo punto di vista, una strategia individualizzata sulla base del singolo paziente e delle sue caratteristiche potrebbe essere potenzialmente utile nel guidare la decisione circa la profilassi anticoagulante [6].

Le linee guida ESMO e ACCP, come già detto, non suggeriscono alcuna terapia profilattica di routine nel paziente che ha posizionato il dispositivo [4, 32]. In questo studio, l’ analisi univariata non ha dimostrato una significativa associazione tra terapia antiaggregante o anticoagulante, assunta dal paziente per altri motivi, e minor rischio di complicanze tromboemboliche nel paziente oncologico portatore di port; questo sembrerebbe in linea con le attuali raccomandazioni.

Per quanto riguarda il trattamento delle complicanze trombotiche legate alla presenza del CVC, ci sono delle controversie; non ci sono studi randomizzati sul miglior trattamento, ma nella maggior parte di essi viene somministrata una terapia anticoagulante; dato interessante, l’ anticoagulazione terapeutica consente ai cateteri con complicanza trombotica di avere una durata di vita al pari dei cateteri senza complicanze: la terapia anticoagulante è quindi sicura ed efficace in caso di complicanze trombotiche [8].

Le linee guida dell’ ACCP [32] [46] sottolineano la superiorità dell’ EBPM rispetto agli antagonisti della vitamina K (livello di evidenza 2 b) e ai nuovi anticoagulanti orali (livello di evidenza 2 c) nel paziente oncologico con TEV e, in caso di trattamento di lungo periodo (superiore a 3 mesi), la prosecuzione dell’ EBPM rimane il trattamento preferenziale [46]. La necessità di rimuovere il catetere in caso di complicanza dipende dalla necessità dell’ accesso vascolare. A causa dell’ alto rischio di complicanze dopo trombolisi sistemica, questa terapia è riservata solo ai casi che mettono a rischio la vita o l’ arto interessato dalla trombosi [6].

Nel presente studio, i pazienti con complicanza trombotica hanno intrapreso una terapia anticoagulante con EBPM a dosaggio terapeutico (200 UI/kg/die), con risoluzione della complicanza nella maggior parte dei casi; tale trattamento si è protratto, in accordo con le linee guida dell’ ESMO [4], per 1 mese, seguito da un periodo di 5 mesi in cui il dosaggio dell’ EBPM è stato ridotto al 75-80%. I casi in cui, al controllo dopo un mese, la trombosi non si era modificata, la terapia con EBPM è stata sostituita con fondaparinux 7,5 mg/die per un mese, seguito poi dal periodo di riduzione della dose nei 4 mesi successivi. In un solo caso, il port è stato rimosso (si tratta dell’ unico caso di port dislocato con associata trombosi pericatetere) e poi riposizionato a distanza di due mesi. A distanza di un anno, il

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port di una paziente con tumore mammario è stato rimosso per espulsione del dispositivo.

Le figure 2, 3, 4 e 5 mostrano i grafici a barre affiancate relativi alle associazioni significative nelle analisi uni e multivariate. La figura 6 mostra il grafico a scatola che rappresenta la distribuzione della lunghezza del catetere nelle due categorie (“sì” - “no”) della variabile dipendente “trombosi su port ed embolia polmonare”.

Conclusioni:

Il presente studio conferma i dati sull’ incidenza di eventi tromboembolici riportati in letteratura. Ciò che emerge è il fatto che lo score di Khorana, pur non essendo validato per questo motivo, correla in modo significativo con il rischio di complicanze tromboemboliche dopo aver posizionato il port, sia che si consideri la totalità degli eventi tromboembolici, sia che si prendano in esame solo le trombosi sul port e l’ embolia polmonare; anche avere una malattia metastatica o recidivata e la storia di pregressa trombosi venosa sembrano essere dei fattori predittivi di complicanza tromboembolica. Tali risultati potranno permettere di definire una popolazione a rischio, suscettibile di tromboprofilassi in uno studio randomizzato.

Il periodo di tempo in cui lo sviluppo di una complicanza tromboembolica è più probabile corrisponde ai primi 6 mesi dal posizionamento del port, per cui l’ eventuale profilassi dovrebbe essere prescritta per almeno questo lasso di tempo.


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(22)

Figura 3: associazione tra “qualsiasi trombosi” e malattia metastatica o recidivata (p = 0,006)

(23)

Figura 4: associazione tra “trombosi su port ed embolia polmonare” e score di Khorana (p < 0,0001)

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Figura 5: associazione tra “trombosi su port ed embolia polmonare” e storia di pregressa trombosi venosa (p = 0,0002)

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Figura 6: grafico a scatola che rappresenta la distribuzione della lunghezza del catetere nelle due categorie della variabile dipendente “trombosi su port ed embolia polmonare”

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