• Non ci sono risultati.

" Diritto penale e Restorative Justice: un rapporto complesso".

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "" Diritto penale e Restorative Justice: un rapporto complesso"."

Copied!
168
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione ed ipotesi di lavoro . . . 1

Capitolo I Definizioni e fondamenti del lessema complesso “Restorative justice” Premessa . . . 5

1.1 Il problema definitorio . . . 6

1.2 Il paradigma vittimologico . . . 9

1.3 Il paradigma comunitario . . . 12

1.3.1 Un’ interessante evoluzione del paradigma comunitario . . . 16

1.4 Le definizioni dottrinali . . . 18

1.5 La definizione normativa e la direttiva 2012/29/UE . . . 20

1.6 Strumenti e Programmi di Giustizia Riparativa . . . 25

1.6.1 Caratteristiche dei programmi di giustizia riparativa . . . 26

1.6.2 Gradualità di riparazione nei programmi di giustizia riparativa . . . 27

Capitolo II Analisi degli elementi riparativi nei maggiori istituti dell’ordinamento penale italiano 2.1 Giustizia riparativa nelle competenze penali del giudice di pace . . . 32

(2)

2.1.1 Ratio della riparazione nel sistema del giudice di pace, una premessa teorica . . . 36 2.2 Art. 29 d.lgs. 274/2000 Tentativo obbligatorio di

conciliazione . . . 42 2.3 Art. 34 d.lgs. 274/2000 Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto . . . 48 2.4 Art.35 d.lgs. 274/2000 Estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie . . . 60 2.5 Introduzione alla legge delega 28 aprile 2014 n. 67 65 65 2.6 Art. 131 bis c.p., la nuova clausola di non punibilità per tenuità del fatto . . . 67 2.7 Messa alla prova per gli imputati adulti, profili e problemi sostanziali . . . 74 2.7.1 Contenuti del programma di trattamento . . . 85 2.7.2 Il Lavoro di pubblica utilità . . . 87 2.7.3 La c.d. “nuova finestra per la mediazione penale” . 90 2.7.4 Prestazioni riparatorie e risarcitorie . . . 92 2.8 Il disegno legge A.S. 2067 . . . 94 2.9 Conclusioni provvisorie . . . 104

Capitolo III

Una nuova prospettiva di “Restorative justice”

3.1 La necessità di un nuovo spazio giuridico complesso . . 110 3.2 Approccio sostanziale e tipologia sanzionatoria: un

problema più profondo . . . 116 3.3 Approccio processuale . . . 133 3.4 Il modello austriaco di diversion riparativa . . . 135 3.5 Analisi empirica dei casi di messa alla prova in Italia . 143 3.6 Riflessioni conclusive e una proposta per il futuro . . . . 147

(3)

Bibliografia . . . 152

Sitografia . . . 161

(4)
(5)

~ 1 ~

Introduzione ed ipotesi di lavoro

Scrive Gustavo Zagrebelsky : “ Ammettiamo che il crimine determini

una frattura nelle relazioni sociali. In una società che prenda le distanze dal capro espiatorio non dovrebbe il diritto mirare a riparare quella frattura? Da qualche tempo si discute di giustizia riparativa, studi sono in corso promossi anche da raccomandazioni internazionali. Si tratta di una prospettiva nuova e antichissima al tempo stesso che potrebbe modificare profondamente le coordinate con le quali percepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte, pur rappresentandone il lato patologico. Qualcosa si muove nella giustizia minorile, nei reati punibili a querela. Ma molto resterebbe da fare.”1

La giustizia riparativa, meglio nota con l’anglicanesimo dominante in dottrina di restorative justice, è, in vero, la maggiore novità penale

degli ultimi anni, nonché un fenomeno di rilevanza internazionale. In prima approssimazione, poiché si definirà meglio nelle pagine seguenti, può essere ben definita facendo riferimento alla tradizionale allegoria iconografica della giustizia, rispetto a questa la giustizia riparativa è una giustizia diversa, in quanto, è una giustizia che ha rinunciato alla spada, alla benda e (per alcune interpretazioni) anche alla bilancia.

Ora, Il significato di questi attributi è universalmente noto: la benda simboleggia non tanto l’imparzialità di una giustizia uguale per tutti, quanto l’astrattezza e la generalità della norma, la bilancia l’equità delle decisioni, in cui la pena deve essere proporzionata alla colpa, la spada, infine, rappresenta la forza di cui il diritto si serve per imporsi alla collettività.

1 Gustavo Zagrebelsky, “Che cosa si può fare per abolire il carcere”, in La Repubblica, 23 gennaio 2015, cit. p. 11

(6)

~ 2 ~

Ebbene, la restorative justice offre un paradigma del tutto alternativo a quello classico di giustizia, poiché questo è un paradigma gius-filosofico autonomo di giustizia, che si spoglia di tutti gli attributi tradizionali: rinuncia alla benda e diventa una giustizia che vede,

rectius che deve saper vedere benissimo per distinguere dalla

generalità della norma il caso particolare; abbandona la bilancia, perché si accorge dell’incommensurabilità dei valori in gioco, che ontologicamente non possono vantare un corrispondenza naturale e, soprattutto, dell’iniquità di misurazione astratte e asetticamente oggettive; e rinuncia, da ultimo, anche alla spada, perché ha verificato l’inefficacia e la dannosità di un’imposizione violenta del diritto e perché ritiene che la giustizia si realizzi non tanto attraverso una punizione, quanto attraverso la costruzione di un progetto per il quale vittima e reo possano guardare al futuro insieme, senza essere sminuiti per sempre dall’esperienza del reato2.

In un mondo che procede a vele spiegate verso un’integrazione del sistema di restorative justice nei propri ordinamenti penali, l’Italia, anche alla luce dell’importantissima Direttiva europea 29/2012/UE, non può e non deve restare indietro. Sia perché restare indietro, da un lato, significherebbe negare i diritti connessi alle attuali prospettive di tutela della vittima, proprie della giustizia riparativa, nonché, il ristabilimento della pace sociale per la comunità e una più dignitosa esecuzione della pena per il reo; sia perché restare indietro, d’altro lato, vorrebbe dire non sfruttare la grande opportunità in termini di efficienza connessa a un sistema di giustizia riparativa: la deflazione processuale.

Ed è proprio sul complesso versante della deflazione processuale, che questa tesi gioca la sua partita: a questa si potrebbe giungere tramite una differenziazione delle sanzioni criminali, meglio tramite una

(7)

~ 3 ~

differenziazione della tipologia dei metodi di gestione del conflitto, che possa spezzare l’idea, culturalmente radicata, dell’unicità della detenzione carceraria quale risposta al reato e la giustizia riparativa permette di giungere a tale risultato se si sviluppa il potenziale della vasta gamma di strumenti che ha al suo arco, alcuni dei quali già (discutibilmente) sperimentati come il community service e la mediazione penale.

Tuttavia, ciò dovrà avvenire, lo si precisa fin da adesso, non con un approccio sostanziale, che implicherebbe una contaminazione del sistema del diritto penale, giungendo a un sistema dialogico, insostenibile, ma bensì con approccio processuale, in chiave di

diversion, al quale giungeremo attraverso il richiamo al dato

comparato dell’esperienza austriaca.

Ma per dedurre, nella parte finale, simili conclusioni, si dovrà prima esaminare il dato normativo italiano, dando di conto della grande incertezza e ancora embrionale posizione del ruolo che concretamente la giustizia riparativa ivi ricopre e del rischio del net widdeing effects, che una tale incerta applicazione ha generato.

Pertanto, le domande di ricerca di questa tesi sono -dopo aver ricostruito un’ “ontologia condivisa”3 sulla quale poter costruire una condivisa definizione di giustizia riparativa- decifrare i nessi che caratterizzano il complesso e articolato filato dei rapporti fra diritto penale e giustizia riparativa, nonché cercare di teorizzare le funzioni che la restorative justice possa esplicare verso il diritto penale, per capire se questa agisce unicamente come una sorta di terza via residuale, come uno strumento (spuntato) in più nella scatola degli attrezzi del giudice o se invece si possa osare di più e quindi provare a prospettarne un utilizzo, sebbene processuale, che non snaturi il diritto

3 G. Mannozzi., “La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia ripartiva e mediazione penale”, Giuffrè Editore, Milano, 2003, cit. p. 44

(8)

~ 4 ~

sostanziale ma, che anzi lo rafforzi, offrendogli concrete alternative strategiche al carcere, ovviamente da intendersi in un’accezione autenticamente riparativa.

A questi obbiettivi giungeremo attraverso l’esame, tornando alle parole di G. Zagrebelsky, di quanto si è fatto, di quanto si sarebbe potuto fare e (soprattutto) di quanto resterebbe ancora da fare.

(9)

~ 5 ~

Capitolo I: “Definizione e fondamenti del lessema complesso “Restorative justice””

Premessa

Negli ultimi venticinque anni - dal 1992 ad oggi - la resotrative justice ha faticosamente, ma sempre più saldamente, conquistato una propria autonomia e dignità a livello scientifico, nonché un ruolo di primo ordine nella discussione sul ripensamento dei modelli sanzionatori. Complice anche la normativa internazionale, la giustizia riparativa è dunque innegabilmente divenuta nel tempo un leit motiv degli interventi dottrinali penalistici.

Tuttavia, ad una così capillare divulgazione teorica non è sempre seguita un altrettanto attenta attuazione pratica. Come si vedrà, molto spesso la teoria riparativa nelle norme è stata piegata e modellata sulle esigenze processuali e sostanziali del momento, prescindendo dai suoi fondamenti; molte sono state le incoerenze di attuazione del legislatore, dovute a una grande confusione (a volte cattiva conoscenza) che regna sul concetto di riparazione presso gli estranei al mondo accademico.

Si deve tenere presente che la giustizia riparativa è un concetto molto più complesso di quanto a prima vista potrebbe sembrare, questa, come ha rilevato la dottrina, “si può esprimere con (ma non è) un

procedimento di messa alla prova, o con i lavori socialmente utili, o il percorso trattamentale di un ergastolano; ma non coincide di per sé con nessuno di questi istituti”4 . Per questo motivo, riteniamo che,

prima di addentrarci nell’oggetto di studio di questa tesi, enucleando i termini del complesso rapporto fra diritto penale e giustizia riparativa nella teoria dogmatica e nella pratica; sia preliminare ed essenziale far

4 C. Mazzucato, “Ostacoli e pietre d’inciampo nel cammino attuale della giustizia riparativa in Italia”, in AA.VV. “Giustizia riparativa, ricostruire legami

ricostruire persone” G. Mannozzi - G.A. Lodigiani (A cura di), Il Mulino,

(10)

~ 6 ~

chiarezza su questo punto, cioè individuare cosa sia nello specifico la giustizia riparativa, o meglio, cosa si intenda con il “lessema

complesso”5 “ restorative justice ”.

1.1 Il problema definitorio

Negli Stati Uniti d’America intorno agli anni’70 si fa strada un movimento di protesta rispetto all’ insoddisfazione del deficit di tutela penale riservato alle vittime di reato, il c.d. “ restitution moviment ”. Questo viene ad acquisire con gli anni anche una compiuta elaborazione teorica6. In particolare, tale modello si proponeva la ricerca di modelli sanzionatori alternativi a quelle tipici del diritto penale, la promozione di una forma meno intrusiva di rieducazione del reo e il raggiungimento della pace sociale all’interno della comunità. Tali fini, sintetizzando al massimo il pensiero degli autori, dovevano essere raggiunti attraverso l’istanza dell’utilità sociale, infatti l’applicazione di un programma di “restitution” da un lato era satisfattiva per la vittima, che vedeva riparare il torto subito, dall’altro consentiva al colpevole di esplicare la propria condotta lavorativa nelle prigioni, orientando il periodo della detenzione alla realizzazione del bene comune. Influenze di questa dottrina si rilevano anche nelle posizioni della scuola positiva7 per la quale l’esecuzione della pena non dovrebbe essere disgiunta dall’obbligo per il detenuto di prestare attività lavorativa, i cui proventi dovrebbero venir destinanti in parte alla riparazione delle vittime e in parto allo Stato. Nel solco del fervore culturale di questa letteratura e sulla scorta dell’evoluzione di questa ideologia prende le mosse la teorizzazione di quel ulteriore paradigma

5 Per il significato della parola italiana “lessema complesso” e sulle origini della Restorative Justice: Cfr. G. Mannozzi , “Traduzione e interpretazione giuridica nel

multilinguismo europeo : il caso paradigmatico del termine “ giustizia riparativa” e delle sue origini storico-giuridiche e linguistiche”, in rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, pp. 137ss.

6 Cfr. F. Abel- H. Marsh, “Punishment and Restitution: A Restitutionary Approach to Crime and the Criminal ”, greenwood, London, 1984

7 Cfr. R. Garofalo, “Riparazione alle vittime del delitto”, fratelli Bocca, Torino, 1887

(11)

~ 7 ~

gius-filosofico che è oggetto di questa trattazione: la giustizia riparativa.

Già nella prima metà degli anni’90 veniva ad emergere, per una certa dottrina soprattutto criminologa, un vero e proprio modello alternativo alla giustizia penale, criticato dai giuristi, chiamato a confrontarsi con gli esistenti due modelli penali della retribuzione e della rieducazione. In quest’epoca, l’idea di una giustizia alternativa circola ampiamente in Europa, frutto di questo scambio culturale è il breve saggio intitolato “La Giustizia” di G. Del Vecchio del 1922. Proprio tale scritto getta le basi per un’altra grande opera, che sarà composta nel 1959 da A. Eglash “Creative Restitution”, nella quale secondo la dottrina si rinviene la genesi del termine “restorative justice” e la quale, a sua volta, costituirà il primo riferimento in cui lo stesso padre della giustizia riparativa moderna, H. Zehr, apprenderà per la prima volta il termine8.

I punti di forza di questa rivoluzionaria concezione di giustizia, vengono così esaltati in questi dibattiti e dalla dottrina a favore, tanto da arrivare a creare dei veri e propri paradigmi di “giustizia

rovesciata”9, dove cioè la vittima da marginale assume una rilevanza

centrale, che comporta il rovesciarsi della funzione della sanzione che qui serve solo come modalità riparativa del danno a vantaggio dell’offeso, depurata dall’antica radice vendicativa. Sebbene, in questo lavoro ci si distacchi profondamente da questa esaltazione e si cerchi di ricollocare la giustizia riparativa su un piano funzionale al sistema penale classico, c’è però da dire che come sottolinea altra dottrina queste aspirazioni di cambiamento, non avrebbero trovato un

8 G. Mannozzi, “Traduzione e interpretazione giuridica nel multilinguismo europeo: il caso paradigmatico del termine “ giustizia riparativa” e delle sue origini storico-giuridiche e linguistiche” , op. cit. pp.140 ss.

9 G. Mannozzi, “Traduzione e interpretazione giuridica nel multilinguismo europeo: il caso paradigmatico del termine “ giustizia riparativa” e delle sue origini storico-giuridiche e linguistiche” , op. cit., cit., p. 141

(12)

~ 8 ~

terreno così fertile se le istituzioni penali classiche non stessero attraversando un (lungo) momento di profonda crisi10, dovuta soprattutto alla crescita esponenziale del contenzioso ed alle tendenze ipertrofiche del diritto penale moderno. Negli ordinamenti europei e internazionali si cercherà infatti di rispondere a tale crisi istituzionalizzando le istanze della restorative justice.

Ebbene, volendo iniziare questo studio nel tentativo di ricondurre dentro una definizione, in prima approssimazione, il più esplicativa possibile del significato, dei principi, degli obbiettivi, dei risvolti e delle potenzialità del sistema di “ restorative justice ” è necessario far subito una precisazione: non è facile definire la nozione di giustizia riparativa, poiché “non appena si cerca di abbozzare una definizione

di giustizia riparativa, ci si accorge di avere a che fare con un’entità dai confini molto sfumati, caratterizzata da una forte mobilità dei contenuti, che a sua volta si rispecchia nell’adozione di etichette diverse.”11 In particolare, le definizioni proposte di giustizia riparativa esaltano talvolta le nozioni concernenti i destinatari, altre volte i contenuti delle prestazioni e all’interno di queste due categorie fondamentali si è operato un’ulteriore sotto distinzione fra definizione derivate da interpretazioni che esaltano la posizione della vittima del reato o definizioni orientate sulla comunità e definizioni orientate sui contenuti o sulle modalità della riparazione. Tradizionalmente, quindi, i modelli, le tecniche e gli strumenti di restorative justice sembrano definirsi attorno a tre paradigmi fondamentali: a) paradigma vittimologico b) paradigma comunitario c) paradigma orientato sui contenuti e sulle modalità riparative12. Ma in dottrina c’è anche chi ritiene che sostanzialmente gli approcci possano essere ricondotti a

10 M. Bouchard, “Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa”, in Questione Giustizia, 2015, pp. 66 ss.

11 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, Giuffrè Editore, Milano, 2003, cit., p.44 12 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., pp. 43 ss.

(13)

~ 9 ~

due: paradigma vittimologico e paradigma comunitario13. Nella seguente trattazione, noi aderiamo a quest’ultima impostazione, in quanto riteniamo che il paradigma improntato sulla restauration non sia una specificità, ma sia un minimo denominatore comune ai due paradigmi che analizzeremo.

Sebbene ad oggi disponiamo di definizioni teoriche, che hanno ricevuto largo consenso fra gli studiosi, ma soprattutto di definizione normative dettate da fonti sovranazionali grazie alle quali si è sancito la questione definitoria e si è pervenuti a quella ““ontologia

condivisa” grazie alla quale il riferimento dei termini è fissato con sufficiente precisione, di modo che gli scienziati possono dire di riferirsi allo stesso fenomeno”14; prima di poter fornire un adeguata

definizione del fenomeno è, dunque, fondamentale procedere all’analisi dei suddetti paradigmi.

1.2 Il paradigma vittimologico

Come abbiamo accennato, la maggior parte delle definizioni di giustizia riparativa ha in comune l’orientamento alla vittima. In queste, il pilastro che sorregge l’impianto teorico riparativo è costituito dalla profonda comprensione dell’offesa e dei bisogni (“Harms and

Needs”)15 psicologici, materiali e fisici che il reato ha causato alla vittima, ma anche alla collettività e al reo stesso.

Sotteso a questa prospettiva vi è il superamento della concezione del reato come mera violazione di una norma giuridica e l’accoglimento, viceversa, di una visione allargata del fatto criminoso, che tenga conto che, in realtà, il reato è una realtà molto più complessa, composta di offese multiple, in quanto molteplici sono i soggetti che risentono

13 F. Parisi, “Il diritto penale fra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, in diritto penale contemporaneo, 2012, p. 3

14 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale” , op. ult. cit., cit., p.45

15 H Zehr., “Changing Lenses. Restorative justicefor our times” , Herald Press, Scottdale, 1990, cit., p.32

(14)

~ 10 ~

negativamente del fatto criminoso16, considerazione alla quale è più recentemente avvenuta anche la direttiva 2012/29/UE, la quale ha sottolineato che “ il reato non è solo un torto alla società ma anche

una violazione dei diritti individuali delle vittime”17.

Ne consegue, che nella prospettiva riparativa, la vittima, in quanto soggetto maggiormente danneggiato, viene a guadagnare un ruolo di straordinaria rilevanza nel sistema penale, che fin ad adesso le era stato negato, all’insegna “di un esasperato garantismo nei confronti del

reo”18. Ecco che allora, all’uopo, la giustizia riparativa ha potuto nutrirsi della linfa di quelle correnti dottrinali, che a partire dagli anni’70, hanno teorizzato la “riscoperta della vittima”19. In particolare, queste dottrine hanno mostrato i vuoti di tutela di cui soffre la vittima nel sistema penale moderno, sottolineando l’emarginazione processuale, la mancanza di ascolto e di assistenza dopo il crimine e l’esposizione a diversificate forme di traumatizzazione20; conseguenti a un sistema penale incentrato esclusivamente sul reo. La dottrina e la normativa comunitaria hanno quindi evidenziato le grandi potenzialità che il paradigma riparativo potrebbe avere sul problema vittimologico: se nella Criminal Justice tradizionale la violazione è tale perché il soggetto agente viola una norma statale (e con essa l’ordine costituito) facendo un torto alla collettività, che viene rappresentata dallo stato sulla scia delle migliori dottrine contrattualistiche, e per questo la giustizia richiede una pena proporzionale, valutata su una

16 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., p. 47

17 Considerando 9

18 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., p. 51; sul ruolo della vittima nel

diritto penale Cfr. AA.VV. “Ruolo e tutela della vittima in diritto penale”, E. Venafro-C.Piemontese (a cura di), Giappichelli, 2003

19Portigliatti Barbos M.., Vittimologia, (voce), in Digesto discipline penalistiche, Torino, 1999, pp. 314 ss.

20 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op.cit., p. 4

(15)

~ 11 ~

responsabilità calcolata sul fatto, da un punto di vista oggettivo. Per la giustizia riparativa, invece, il crimine è prima di tutto un’offesa. Pertanto, la risposta sanzionatoria, per la giustizia riparativa, dovrebbe partire proprio dalla ricerca di ciò che sia necessario e possibile fare per poter riparare le ferite che il reato ha provocato. Non solo, l‘azione riparativa necessaria è da intendersi non in una prospettiva compensatoria e d’indennizzo, ma bensì come riparazione del gesto dell’ingiustizia: attraverso i programmi di giustizia riparativa non si ripara l’offesa, ma si progettano -preferibilmente in spazi nuovi aperti alla relazione fra le parti- azioni consapevoli e responsabili verso l’altro, che permettano, a vittima e reo, di guardare al futuro come persone nuove e integre e non sminuite per sempre dall’esperienza dell’offesa.21 Come ricordano i documenti internazionali, i programmi di giustizia riparativa hanno come obiettivo la reintegrazione del binomio vittima – reo; affinché essi abbiano la possibilità di progettare insieme un agire responsabile per il futuro, che possa ricostruire, ove possibile, il legame fiduciario. E questo è possibile perché la giustizia riparativa opera su un piano diverso rispetto al diritto penale e ciò le permette di poter esaltare (meglio) l’aspetto comunicativo-relazionale del conflitto, recuperando la comunicazione tra vittima e autore. Da questo punto di vista, allora, emerge il punto di forza del modus

operandi riparativo: il principio di partecipazione. Questo prevede che

le parti interessate si incontrino per scambiarsi informazioni reciproche sui loro stati emozionali e psicologici conseguenti dal reato. Il dialogo è utile prima di tutto, per aumentare la comprensione tra le parti dei reciprochi dolori causati dal reato, in secondo luogo, l’incontro può essere utile al fine di convenire ad una visione di verità comune; dalla quale capire quale azioni siano necessarie a ripristinare la giustizia, invece di chiedere a una figura autorevole, ma terza come

21 M. Bouchard- G. Mierolo, “offesa e riparazione”, Bruno Mondadori, Milano, 2005, p.89

(16)

~ 12 ~

un giudice, di decidere per loro22. “Il riparare è un atto che scaturisce,

germoglia dall’incontro. Incontrarsi è il primo passo per costruire il positivo dalle conseguenze negative del reato” 23e su questa nozione dell’incontro riparativo la giurisprudenza incrocia una moltitudine di altre discipline, dalla psicologia all’antropologia, proprio perché è nella descrizione del percorso psicologico compiuto dal reo nel riconoscere sè stesso nella vittima, nel riconoscersi con l’altro, e con ciò fare proprio il dolore della vittima, che dovrebbe scattare quel percorso attivo di critica e rielaborazione personale, che dovrebbe condurre al ravvedimento, e quindi al superamento positivo del conflitto.

Tuttavia, resta sempre la fondamentale critica che per esserci un confronto critico e per poter attuare quell’idea di incontro e di riconoscimento nell’altro, tanto auspicata dalla dottrina, ci deve essere un riconoscimento della propria responsabilità da parte dell’autore del reato, e dall’altro lato una volontà della vittima.

1.3 Il paradigma comunitario

Per quanto concerne il paradigma comunitario, la riscoperta della

restorative justice è strettamente legata all’idea di un’interdipendenza

funzionale tra giustizia e comunità. Il conflitto qui tornerebbe alla comunità, in quanto, è all’interno di questa che si è sviluppato ed è quindi all’interno di essa che può trovare miglior cura24.

Se la giustizia retributiva classica richiama la comunità in modo astratto e impersonale, la giustizia riparativa rinvia ad una nozione

22 M. Wright, “Restorative justice: a new response to crime and conflict”, in Mediares, rivista semestrale sulla mediazione, 2011, pp. 3 ss.

23 G. A. Lodigiani, “Alla scoperta della giustizia riparativa un indagine

multidisciplinare”, in AA. VV. “Giustizia riparativa, ricostruire legami ricostruire persone” G. Mannozzi - G.A. Lodigiani (A cura di), Il Mulino, Bologna, 2015, cit.,

p. 187

24 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., pp. 4 ss.

(17)

~ 13 ~

molto più ampia e vitale di comunità e tende a promuovere la pacificazione all’interno di questa, anche attraverso la riparazione del legame sociale che il reato ha incrinato o compromesso definitivamente25, “allora sarebbe auspicabile che il crime control

non rimanga prerogativa dello Stato, che lo esercita attraverso le sue articolazioni autoritarie e secondo modalità tecnocratiche ma, possa essere perseguito anche da agenzie di controllo che appartengono alla comunità”26.

È proprio in questa prospettiva che, all’inizio degli anni’ 70, nascono in America i primi esperimenti pratici di giustizia riparativa.

Il coinvolgimento della società nel percorso riparativo può essere poi più o meno ampio, a seconda delle procedure di elaborazione del conflitto che vengono adottate, la massima ampiezza del concetto di comunità si rileva nei crimini internazionali, o comunque di massa, dove è l’intera comunità ad accompagnare il reo nel percorso di conciliazione; mentre la minima ampiezza del concetto di comunità è invece rappresentata nello strumento dei c.d. Family groups

conferencing (FGC) nei quali la comunità è rappresentata solamente

dai gruppi parentali più strettamente collegati alla vittima e all’autore. La comunità entra nel conflitto anche con diverse modalità, potendo esercitare un ruolo diretto o indiretto nella risoluzione del conflitto. Nello strumento, per esempio, del c.d. healing circles la comunità partecipa attivamente alla riconciliazione, anche quando nella sua variante del sentencing circles viene solo considerata per la commisurazione della pena27. Infine, vi possono essere casi nei quali la comunità non interviene direttamente ma, ciò non significa che sia

25 G. Mannozzi, “ La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., pp. 63 ss.

26 G, Mannozzi, “ La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., cit., p. 64

27 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., p. 5

(18)

~ 14 ~

esclusa: la comunità riceve sempre, anche se in questo caso a valle, le ricadute del procedimento di comunicazione fra vittima e autore del reato; con soddisfacente guadagno per quella che tradizionalmente viene definito il benessere sociale28.

Un importante snodo concettuale per comprendere, a pieno, il paradigma comunitario sta nel cogliere quale siano le funzioni che in concreto sono affidate alla comunità. Ben si può pensare alla comunità che si ponga allo stesso tempo nel duplice ruolo di destinataria delle politiche di riparazione e di promotrice del percorso di azione riparativa, in quanto viene responsabilizzata ad accogliere ed a “recuperare” il reo attraverso gli strumenti di giustizia riparativa, ma allo stesso tempo è la beneficiaria del lavoro sociale da quest’ultimo svolto, si pensi a quanto avviene nel community service.

Ebbene, più precisamente, la comunità può essere considerata sotto tre angolature prospettiche: come vittima o danneggiato, qui il problema principale riguarda la titolarità del bene giuridico e in seconda battuta la quantificazione del danno; come mero destinataria degli interventi di riparazione, ovvero destinataria indiretta delle politiche di compensazione e di controllo, cioè come “attore sociale” del percorso di pace tra reo e vittima, si parla all’uopo di giustizia nella comunità29. Quindi, in definitiva, il ritorno del conflitto nella società, significa dotare la società di un ruolo attivo nel predisporre programmi d’intervento volti a riconoscere ed isolare i fattori di rischio per attivare meccanismi di protezione sociale, che le permettano di giungere al rafforzamento del precetto giuridico nei consociati e alla pacificazione sociale (in un’accezione propria della prevenzione

28 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., p. 4

29 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., p. 62 ss.

(19)

~ 15 ~

positiva, che preciseremo più avanti) come fattore di stabilizzazione sociale.

Si accede così a un modello di giustizia di tipo evolutivo, secondo il quale l’opzione criminale nasce come conflitto ma si trasforma in consenso30, i cui strumenti non sono costituiti dalle sanzioni ma dalla gestione comunicativa e comunitaria del conflitto31.

Ad ogni modo, “il coinvolgimento della comunità nella

riconciliazione non deve però limitare il diritto della vittima a contestare (ed aventualmente uscire dal) le regole culturali/comunitarie di riferimento, le quali in talune ipotesi possono invero costituire proprio uno degli elementi che influenzano la realizzazione della condotta criminale. (c.d. soffocamento comunitario della vittima)”32. Ciò è particolarmente vero, laddove, il reato si inserisca nell’ambito dei c.d. reati culturalmente orientati: cioè quando il reato realizzi una fattispecie culturalmente accettata dal sotto gruppo sociale di riferimento per la loro specifica cultura, ma non dall’ordinamento del paese ospitante, in tale ipotesi un applicazione di giustizia riparativa, inspirata a un paradigma comunitario forte, potrebbe concretizzare il paradosso di legittimare aggressioni al soggetto debole del singolo gruppo; oppure più gravemente potrebbe venir frainteso il significato della pratica riparativa, comportando il risultato opposto di indebolire la percezione sociale della obbligatorietà del rispetto delle norme giuridiche e di svilire la serietà delle sanzioni giuridiche previste per la loro violazione33.

30 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., p.72

31 G. Maglione, “Oltre il delitto, oltre il castigo. Teoria, prassi e critica della giustizia riparativa.”, in “L'altro Diritto. Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità”, 2008, pp. 60 ss.

32 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., cit., p. 6

33 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., p. 6

(20)

~ 16 ~

Da simili rilievi si può dedurre che, a garanzia della vittima, quando si debbano valutare i rischi di esposizione durante meccanismi riparativi si debba considerare non solo i rischi di seconda vittimizzazione, ma anche i rischi comunitari e, a garanzia del reo, che il paradigma comunitario non possa mai considerarsi sciolto da quello vittimologico, nel senso che -ad eccezioni dell’ambito dei c.d. reati senza vittima- sia sempre da guardare con sospetto ogni attività realizzabile dall’autore in favore della comunità, che risulti scarsamente collegata con la vittima. Infatti, più il contributo dell’autore sarà indirizzato a una vittima astratta e simbolica, più aumenterà il rischio che la vittima reale sia strumentalizzata per mere esigenze riabilitative-trattamentali del reo34.

1.3.1 Un’ interessante evoluzione del paradigma comunitario

Un’interessante evoluzione del paradigma ripativo comunitario- sul quale vale la pena soffermarsi- è rappresentato dalla introduzione degli strumenti e tecniche riparative tipiche nelle organizzazione cittadine ( scuole, comuni, università ecc..) non più al fine di dare una risposta al reato consumato, ma bensì, nella diversa prospettiva di prevenire la commissione di questo.

Questa grandiosa intuizione deriverebbe, come ha sottolineato la dottrina, dalla grande duttilità della componente di fondo della giustizia riparativa: la sua attitudine relazionale, che permette la ricostruzione del dialogo fra reo e vittima. In questa visione, però, si va oltre; perché le tecniche riparative escono dall’orbita del penalmente rilevante per essere sperimentati nel diverso campo della prevenzione, in un’ottica non meramente post facto ma ante facto; recuperando la gestione positiva del rapporto e prevenendo il

34 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op.cit., pp. 4 ss.

(21)

~ 17 ~

conflitto35. Così mutati i requisiti di riferimento, non è più corretto identificare il fenomeno come restorative justice, bensì si tratta di

“restorative practice” o di “restorative approach”36.

Negli stati americani e in qualche nazione europea, come la Norvegia, nelle quali fin dagli anni settanta questo approccio è stato sperimentato, si è rilevato un forte calo di quei reati legati alla cattiva interazione sociale di più individui in un gruppo, per esempio casi di bullismo scolastico, comportamenti di “mobbing” in ambito lavorativo o addirittura episodi di violenza familiare sono stati arrestati sul nascere tramite una risoluzione di mediazione del conflitto e un reimpostazione del rapporto, rimodellato su una più corretta gestione dello stesso. Questi percorsi sono stati possibili attraverso i centri sociali impiegati all’interno delle istituzioni o più in larga scala sul territorio nazionale37.

In conclusione, a noi pare che, il modello del restorative approach sia uno strumento versatile e utile, che dovrebbe trovare un più largo impiego in tutte le istituzioni cittadine, soprattutto nelle scuole. Se infatti per applicare una pena è necessario che il fatto si sia verificato e poi provarne la colpevolezza, l’esistenza e l’antigiuridicità, a contrario, per instaurare un percorso comunicativo, che cerchi di ricostruire il dialogo fra le parti al fine di disciplinare il rapporto, è

35G. A. Lodigiani- G. Mannozzi “ La giustizia riparativa al lavoro, il progetto di umanesimo manageriale”, in AA.VV. “Giustizia riparativa, ricostruire legami ricostruire persone” G. Mannozzi -G.A. Lodigiani (A cura di), Il Mulino 2015:

Bologna, pp. 209 ss.; Un Caso emblematico di restorative approach è

rappresentato dalla cittadina di Hull, nel regno unito dichiarata prima restorative

justicecity del mondo. Qualcosa di simile è in atto anche in Italia, a Como,

precisamente presso l’Università degli studi dell’Insubria dove la giustizia riparativa, oltre ad essere elevata a materia autonoma degna di insegnamento ad hoc, influenza anche la gestione del personale attraverso il progetto lanciato nel 2014 di “Umanesimo Giuridico” con ottimi risultati, che ho potuto constatare durante la mia visita alla suddetta Università, per la quale ringrazio ancora i Proff. G. A. Lodigiani e G. Mannozzi.

36 G. A. Lodigiani- G. Mannozzi “ La giustizia riparativa al lavoro, il progetto di umanesimo manageriale”, op. cit., cit., p. 210

37 G. A. Lodigiani- G. Mannozzi “ La giustizia riparativa al lavoro, il progetto di umanesimo manageriale”, op. cit., p. 219

(22)

~ 18 ~

sufficiente che vi siano i primi segnali di violenza. Ciò vuol dire che attraverso questo strumento si potrebbe intervenire prima del commissione del reato, riducendo sul nascere gli episodi criminosi, cosa che è di gran lunga preferibile rispetto alla necessità di creare vari e generici riforme a intento deflativo, per agire a posteriori sulla diminuzione della risposta punitiva, in un’ottica di economia della pena.

Ebbene, da quanto illustrato si può dedurre che sostanzialmente paradigma vittimologico e paradigma comunitario possono coesistere in un modello riparativo, anzi questi possono rafforzarsi vicendevolmente e far emergere la prima o la seconda istanza con più forza a seconda del caso concreto.38

Giunti a questo punto della narrazione, si può allora provare a fornire una definizione di restorative justice.

1.4 Le definizioni dottrinali

Partendo dalle definizioni teoriche, in prima battuta, non possiamo non fare riferimento alla definizione di Howard Zehr (1996) tradizionalmente considerato il teologo - da taluno il padre fondatore- del paradigma riparativo. Nella sua opera, che viene considerato il manifesto delle istanze riparative, egli scrive:

“Restorative justiceis an approach to achieving justice that involves, to the exant possible, those who have a stake in a specific offense or harm to collectively identify and address harms, needs, and obligation in order to heal and put things as right as possible”39

La definizione di H. Zehr concretizza bene il suo pensiero: egli è esponente di quella corrente interpretativa che intende la riparazione

38 F. Parisi, “Il diritto penale fra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitari”, op cit., p 5

39 H. Zehr, “The little book of Restorative Justice”, Good Books, New York, 2015, cit., p. 48.

(23)

~ 19 ~

come una modalità per adempiere a quella fondamentale necessità di ripristinare la rottura della relazione sociale fra autore e vittima, includendo la comunità. Questo approccio alla giustizia riparativa, si denomina “relational justice” e si fonda sul fatto di considerare il reato primariamente come una rottura della rete delle relazioni sociali e solo secondariamente come un’offesa contro lo stato, aspetto tipico delle dottrine che propongono una nozione di giustizia riparativa maggiormente incentrare sul paradigma della restoration . In particolare, con varie sfumature, i sostenitori di questo approccio ritengono che la giustizia riparativa sia finalizzata a restaurare la connessione spezzata dal reato fra le parti e con il contesto sociale40. La definizione di H. Zehr è un buon compresso fra le varie nozioni di giustizia riparativa esistenti (paradigma restoration, vittimologico e comunitario) ma appare altresì molto vaga e poco definita, soprattutto sotto il profilo degli strumenti che la giustizia riparativa può adottare per giungere al ripristino della comunicazione.

Per questo motivo, la definizione più apprezzata in dottrina è quella proposta da T. F. Marshall : “ Restorative justiceis a process whereby

all the parties with a stake in a particular offence come together to resolve collectively how to deal with the aftermath of the offence and its implications for the future”41 ; con una formula sintetica Marshall esalta i due concetti chiave della giustizia riparativa: la ricerca di una soluzione al conflitto ideata insieme da reo e vittima e la promozione di una responsabilità attiva, volta alla riparazione del danno. In particolare, Marshall crea due livelli di lettura della giustizia riparativa: un microlivello in cui è prevalente la dimensione

40 Tale interpretazione si rafforza in certe culture anche perché viene a coincidere con taluni concetti religiosi, quale quello della “Shalom” ebraica, termine spesso tradotto con “Pace” o con “completezza”, da intendersi come pace dell’ordine cosmico costituto dalla buona relazione fra tutti gli esseri viventi. O ancora con il termine biblico “alleanza” per indicare il rapporto di giusta convivenza di due parti.

41 T. F. Marshall, “The evolution of restorative justicein Britain”, in Euoropean Journal on Criminal Policy and research, 1996, cit., p. 37

(24)

~ 20 ~

dell’offesa vista nella prospettiva relazionale e un macro livello in cui è predominante la dimensione istituzionale, dove la giustizia riparativa diventa modalità alternativa della giustizia tradizionale42; se non che una tale definizione è stato opportunamente criticata per le potenziali ambiguità che potrebbe generare, manca infatti un’adeguata qualificazione specifica del termine “process” e altresì non vi sono riferimenti alla figura professionale del terzo mediatore. Talché, così privata di requisiti che la incardino in una prospettiva di legalità, “anche le prassi di vigilantismo penale tra fazioni opposte, o le

intermediazioni fra organizzazioni criminali potrebbero rientrare nel campo della restorative justice”43.

1.5 La definizione normativa e la direttiva 2012/29/UE

Per quanto letterariamente molto interessanti, le sole definizioni dottrinali da sole non sono sufficienti a inquadrare il fenomeno a livello giuridico. Non avendo ancora il legislatore nazionale definito il fenomeno, per cercare una definizione giuridica dobbiamo spostarci fra le fonti sovranazionali. Per completezza espositiva si deve accennare al fatto che molti sono i documenti normativi sovranazionali che hanno almeno tentato di proporre una definizione. Tuttavia, fra questi, il più recente e da maggior dottrina concorde ritenuto il più importante intervento normativo è rappresentato dalla direttiva

2012/29/Ue44 del 25 Ottobre 2012, che riprende la definizione data

42 G. Mannozzi, “La giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit., pp. 92 ss.

43 F. Parisi, “La restorative justice alla ricerca di identità e legittimazione”, in diritto penale contemporaneo, 2014, cit., p. 6

44 In G.U. dell’ Unione Europea 14 novembre 2012 L315/57: Il 25 Ottobre 2012 è stata adottata in base all’ art 82 del TFUE, la direttiva del parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE recante norme minime in materia di diritti, assistenza, e protezione per le vittime di reato, la quale sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, la direttiva è stata emanata dall’ UE in base al principio di sussidiarietà art 5 TFUE, poiché non riteneva sufficiente le misure adottate dagli stati membri circa la tutela delle vittime del reato nel assicurare loro i diritti fondamentali di informazione, assistenza, protezione e possibilità di partecipazione ai procedimenti penali.

(25)

~ 21 ~

dall’ONU45. Ai sensi dell’art.2 lettera d) della citata direttiva, per giustizia riparativa si intende :“ qualsiasi procedimento che permetta

alla vittima e all’autore di reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”. Tale definizione è

apprezzabile in quanto menziona direttamente il terzo mediatore imparziale e perché richiede che l’attività riparatoria sia svolta per mezzo di servizi di giustizia riparativa sicuri e competenti46, inoltre la direttiva menziona direttamente gli strumenti principali della giustizia riparativa: il victim offender mediation (VOM) e il Family group

Conference (FGC) esemplificando i casi che vi rientrano47. Tenendo come sfondo i diritti della vittima, la direttiva subordina l’accesso ai programmi di giustizia riparativa alla circostanza che l’autore riconosca prima i fatti essenziali del caso, come a significare che senza ciò non sia possibile nessun tipo di mediazione. Per poter accedere a tali programmi, inoltre, gli stati dovranno stabilire in anticipo le condizioni di accesso a tali servizi, parametrandoli in base ai criteri della gravità del reato, del livello del trauma causato e degli squilibri nella relazione tra vittima e autore e della maturità e capacità intellettiva della vittima, nonché fornire alla vittima un’informazione completa sul procedimento alternativo e sulle sue conseguenze. In definitiva, i punti che secondo la direttiva presentano maggiori criticità, comportando il rischio di una vittimizzazione secondaria e pertanto dovrebbero essere disciplinati esplicitamente dagli stati

45 la nozione di giustizia riparativa contenuta nei basic principles on the use of restorative justice programmes in criminal mater, adottati dalle Nazione Unite il

24 Luglio 2002 è “ qualunque procedimento in cui la vittima e il reo, o laddove

appropriato qualunque altro soggetto o comunità lesi da un reato, partecipano attivamente insieme alle questioni emerse da un illecito, generalmente con l’aiuto di un facilitatore, i procedimenti di giustizia riparativa possono includere la mediazione, la conciliazione, il dialogo esteso a gruppi parentali e i consigli commisurativi”.

46 F. Parisi, “La restorative justice alla ricerca di identità e legittimazione”, op. cit., pp.7 ss.

(26)

~ 22 ~

membri sono: in primo luogo la prevalente mancanza di precisi standard di formazione dei mediatori facilitatori; in secondo luogo, l’assenza di specifiche procedure o orientamenti che tengano conto dei fattori espressamente richiamati dalla direttiva, appena citati, nell’affidare un caso a servizi di giustizia riparativa48.

La direttiva chiede, inoltre, agli stati di creare le condizioni affinché le vittime possano giovarsi di servizi di giustizia riparativa -citando qui gli strumenti della mediazione, il dialogo esteso ai gruppi parentali e i consigli commisurativi- senza incorrere in rischi di vittimizzazione secondaria. Uno dei principali obbiettivi dichiarati del legislatore europeo è infatti quello di diminuire il rischio della c.d. vittimizzazione secondaria, soprattutto per particolare categorie di vittime per le quali detta disposizioni ad hoc. Pur non definendo il concetto di vittimizzazione secondaria, la direttiva incoraggia la prevenzione del fenomeno, attraverso particolari operatori capaci di poter entrare in contatto con le vittime e di accompagnarle nel percorso del procedimento giudiziale.

In sostanza, la direttiva mostra nei confronti della giustizia riparativa un atteggiamento di apertura, ma condizionata: nel riconoscere gli strumenti di giustizia riparativa e nell’affermare che questi possano essere “di grande beneficio per la vittima”49,dall’altro lato essa

mostra di guardare con grande cautela l’utilizzo della giustizia riparativa nei casi più problematici, cioè quelli di particolare vulnerabilità della vittima, ritenendo che il buon esito di tali percorsi possa essere compromesso da fattori quali la natura e la gravità del reato, livello del trauma causato, violazione ripetuta dell’integrità fisica sessuale o psicologica della vittima, età e infine capacità intellettuale della vittima.

48 S. Civello Conigliaro, “La nuova normativa europea a tutela delle vittime di reato”, in diritto penale contemporaneo, 2012, pp.5 ss.

(27)

~ 23 ~

Ma non è tutto, il fatto che la direttiva abbia raccomandato l’utilizzo di strumenti di restorative justice, in primo luogo, potrebbe legittimare l’ingresso di tipici strumenti di giustizia ripartiva a protezione delle vittime nel procedimento penale, da tempo sperimentati in molti paesi di common law, volti a dar rilievo alla dimensione umana-emozionale della vittima, come per esempio i resoconti di vittimazione “victim

impact statements”. Tali istituti, laddove venissero approvati,

segnerebbero una notevole inversione di rotta, accelerando verso quella tendenza c.d. “slancio emozionale del diritto penale o

riemozionalizzazione della legge.” Per la quale“ […] il diritto penale si trova in uno stato paradossale nel confrontarsi con le emozioni ed i sentimenti e cioè quella di vivere in uno spazio necessariamente intriso di componenti emozionali di forte intesità ma di dover (voler) ansiosamente trovare meccanismi di raffreddamento delle emozioni capaci di poter ricondurre queste ultime a valori standard e di sottoporle a parametri di giudizio razionalmente predeterminati.”50,

pertanto, l’idea di meccanismi capaci di introdurre i dolori della vittima nel processo penale non è condivisibile se non fosse altro perché il diritto alla vittima di poter rilasciare memorie sui suoi dolori e patimenti provati per colpa del reato si porrebbe seriamente in contrasto sia con il principio di terzietà ed imparzialità del giudice, sancito dalla Costituzione art. 111, comma 2, sia con tutto l’impianto accusatorio “a doppio fascicolo” del codice di procedura penale. Più razionale parrebbe invece, una singola revisione operata ad hoc sui diritti del difensore di parte civile costituita, magari equiparandoli ai diritti del difensore dell’imputato, per garantire una maggiore presenza della vittima nel processo.

In secondo luogo, il caldo incoraggiamento del legislatore europeo agli strumenti riparativi è stato tale da far maturare in certe dottrine l’idea

50 F. Parisi, “ Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. cit., cit. pp. 9 ss.

(28)

~ 24 ~

della necessità di soluzioni riparative in ogni ordinamento evoluto. È allora il caso di sottolineare che una tale interpretazione fuoriesce dal seminato degli originari intenti della normativa sovranazionale: questa, emanata nell’intenzione di ridurre la distanza fra gli standard minimi di tutela delle vittime necessari e quelli realmente esistenti negli ordinamenti, non pone come mezzo obbligatorio di tal fine la giustizia riparativa e neanche la impone obbligatoriamente in ogni stato come secondo o terzo binario. Anzi, la direttiva si mostra particolarmente rispettosa degli spazi e delle autonomie statali, nel decidere gli strumenti che ogni stato vorrà adottare per attuare tale livello minimo richiesto di garanzie della vittima. La direttiva attua solo un riferimento generico alla giustizia riparativa, nella misura in cui soltanto nel caso in cui, uno stato prevedesse sistemi di giustizia riparativa, allora questi dovrebbero trovare disciplina specifica nei nodi critici segnalati, affinché la vittima non subisca processi di vittimizzazione secondaria a causa di vuoti normativi.

Questo, è stato ulteriormente chiarito dal documento della commissione europea del dicembre del 2013 che contiene le disposizioni interpretative per la trasposizione e l'attuazione della direttiva 2012/29/UE e altresì dalla Corte di Giustizia UE, nella

sentenza Gueye-Sanchez,15settembre201151 nella quale si afferma che è competenza esclusiva degli stati decidere di introdurre o meno meccanismi di giustizia riparativa, nel caso di specie di mediazione, e di scegliere anche eventualmente le tipologie di reato più idonee per l’attuazione di questa. La corte ha ulteriormente chiarito che tale discrezionalità degli Stati membri può essere limitata solamente dall’obbligo di applicare criteri oggettivi ai fini della determinazione dei tipi di reati per i quali la mediazione sia ritenuta inadeguata, ma

51 sent. Gueye-Sanchez,15settembre2011. procedimenti riuniti C-483/09 e C-1/10, disponibile su: www penalecontemporaneo.it

(29)

~ 25 ~

poiché la suprema Corte nel rispondere ai giudici spagnoli non ha specificato quando un requisito oggettivo determini una fattispecie inadeguata, l’unico vincolo imposto agli Stati, alla fine dei conti, pare consistere in un obbligo di corrispondenza di forme allo scopo; con la conseguenza ulteriore che gli stessi criteri che devono presiedere alla individuazione dei reati da parte dei legislatori nazionali finiscono per dipendere dagli obiettivi che i singoli ordinamenti attribuiscono alle procedure di mediazione52.

In conclusione, quindi, ciò che la direttiva chiede è di formalizzare gli ambiti di rischio della giustizia riparativa. Ma a ben vedere, ciò stride fortemente con la natura stessa della giustizia riparativa: se questa si configura tale perché libera dai vincoli formali e tecnici tipicamente processuali, che impediscono lo scambio delle logiche dialogiche riparative, ed è uno strumento che funziona perché capace di adeguarsi caso per caso, l’istituzionalizzazione comunitaria di questa può essere letta come una tendenza “normativizzante” che finirebbe per inaridire e smarrire il concetto stesso di riparazione53.

1.6 Strumenti e Programmi di Giustizia Riparativa

Gli strumenti e le tecniche di intervento di giustizia riparativa sono costituti da una pluralità di programmi ed istituti suscettibili di essere analizzati sotto due differenti chiavi di lettura.

La prima rappresenta le caratteristiche strutturali e qualitative del programma in rapporto alle esigenze teleologiche della riparazione; la seconda, invece, rappresenta quale sia il grado di riparazione presente nei vari programmi.

52 R. Calò, “Vittime del reato e giustizia riparativa nello spazio giudiziario europeo post lisbona”, in diritto penale contemporaneo, 2011, pp. 9 ss. 53 F. Parisi, “Il diritto penale tra neutralità istituzionale e umanizzazione comunitaria”, op. ult. cit., p.12

(30)

~ 26 ~

1.6.1 Caratteristiche dei programmi di giustizia riparativa

In uno studio del 2008 della George Mason University la commissione prof. Shapland et all. indagando gli “Adults Offenders”54 individua quali sono le caratteristiche che un programma di risposta al crimine deve possedere per potersi legittimamente definire riparativo.

La prima caratteristica è l’Inclusione, ossia quello che H. Zehr definisce engagement, è importante cioè coinvolgere tutti gli interessati nel dialogo e nel processo decisionale. È stato riscontrato che le persone sono spesso disposte ad accettare un risultato, anche quello a loro sfavorevole, se sentono che è stato raggiunto attraverso un processo leale in cui il loro punto di vista è stato preso in considerazione. La seconda caratteristica, è che il programma crei una risposta effettivamente riparatoria dei danni e dei bisogni della vittima, emersi durante l’incontro, ma più importante è che quella risposta sia adeguata e soddisfacente anche secondo la vittima. Piuttosto che valutare l’offesa in base ad una scala di gravità etica astratta, a cui corrisponda una cornice edittale altrettanto poco sentita nella realtà dalla vittima, un programma riparativo predilige invece una risposta che materialmente reintegri la vittima del bene, del quale, è stata spogliata o dai dolori che ha patito. “laddove, riparare non significa

riduttivamente controbilanciare in termini economici il danno cagionato. In quanto la riparazione ha una valenza profonda e uno spessore etico che la rende ben più complessa del mero risarcimento”55; la terza caratteristica, riguarda la capacità di risolvere

problemi per il futuro. Questo significa delineare progetti per incentivare la prevenzione speciale, ciò spesso si realizza tramite corsi di gestione della rabbia o mediante l’acquisizione di competenze professionali.

54 Cfr. http://cebcp.org

(31)

~ 27 ~

La prevenzione speciale rappresenta un bene per la vittima, per la società ma anche per il colpevole, “in modo che possa fare un uso

migliore della sua vita”56. Questo ci porta all’ultima caratteristica,

costruzione del capitale sociale e partecipazione alla comunità: un processo riparativo aumenta il capitale sociale portando più parenti, familiari, colleghi possibili nel processo di riparazione.

1.6.2 Gradualità di riparazione nei programmi di giustizia riparativa

La teoria della graduabilità della riparazione nei programmi di giustizia riparativa. È stata teorizzata da T. Wachtel e P. McCold ed espressa da questi nell’agosto del 2003 al XIII congresso mondiale di Criminologia57. Del quale si riporta la rappresentazione grafica.

Grafico 1.1 :”Gli strumenti della giustizia riparativa nel modello Wachtel – McCold”. Fonte : http://www.iirp.edu/index.php?option=com_content&view=article&id=4277:in-pursuit-of-paradigm-a-theory-of-restorative-justice&catid=161&Itemid=736%3f

56 M. Wright, “Restorative justice: a new response to crime and conflict”, op. cit., cit., p. 38

57 Cfr. P. Mc Cold, “Types and Degrees of Restorative Justice”, 1999. pp. 3 ss, disponibile su:

http://www.iirp.edu/index.php?option=com_content&view=article&id=4277:in-pursuit-of-paradigm-a-theory-of-restorative-justice&catid=161&Itemid=736%3f

(32)

~ 28 ~

Nella rappresentazione grafica, proposta dagli stessi autori al suddetto convegno, si può cogliere la rappresentazione nei tre cerchi principali dei soggetti normalmente coinvolti dalla commissione di un reato, ciascuno dei quali portatore di interessi diversi, vittima, reo, comunità. Gli autori hanno poi, ivi collocato tutti gli strumenti pratici di giustizia riparativa, evidenziando i destinatari di tale intervento.

In particolare, Mc Cold et all. propongono a seconda dei destinatari coinvolti nel processo di riparazione, di distinguere tre tipi di approccio: completamente riparativo, principalmente riparativo, parzialmente riparativo. Tale che “When criminal justice practices

involve only one group of primary stakeholders, as in the case of governmental financial compensation for victims, the process can only be called “partly restorative.” When a process such as victim-offender mediation includes two principal stakeholders but excludes their communities of care, the process is “mostly restorative.” Only when all three sets of primary stakeholders are actively involved, such as in conferences or circles, is a process “fully restorative.”58.

Ne deriva che, solo tre strumenti sono totalmente riparativi. In quanto solo tre strumenti sono capaci di coinvolgere parimente tutti e tre i soggetti. Tali strumenti sono: peace circle, (o Sentencing Circles ); il

family group conferencing (FGC) ed il community conferencing59.

58 P. Mc Cold, op. cit., cit., p. 9

59 i Sentencing Circles sono gruppi di discussione volti a definire, attraverso il consenso comunitario, la commisurazione della pena. L'accezione semantica del predetto istituto deriva dalla disposizione circolare delle parti, che presenziano all'incontro: una collocazione simbolica e rituale per creare un'atmosfera di rispetto e comprensione. i family groups conferencing invece sono una forma di dialogo allargato ai gruppi parentali convergono, a sostegno del mediatore, operatori dei servizi sociali o funzionari dell'amministrazione della giustizia Tale struttura prevede, inoltre, la presenza di soggetti appartenenti all'Autorità che ha inviato il caso (normalmente il corpo di polizia) il cui ruolo è limitato alla descrizione del caso ed al parere circa l'accordo di riparazione formulato. L'iter di conduzione del FGC è similare a quello della mediazione: resoconto da parte dell'Autorità; raccolta di materiale informativo da parte del mediatore; racconto dell'impatto emotivo che la condotta del reo ha cagionato sulla vittima; formulazione di scuse formali da parte dell'autore di reato; predisposizione di un programma di Riparazione. Una

(33)

~ 29 ~

Di stampo principalmente riparativo appaiono, invece, un più largo ventaglio di strumenti, comprendendo questa area tutti gli strumenti di mediazione reo-vittima che escluda la comunità (Victim;Offender

Mediation); gli strumenti di supporto alla vittima e alla comunità che

escludono il reo (victim support circles) ed infine gli strumenti terapeutici e pacificatori fra reo e comunità che escludono la vittima (therapeutic communites)60. Infine, di stampo parzialmente riparativo appaiono gli strumenti che si rivolgono a solo una delle parti in conflitto, è tale per esempio il Risarcimento, meramente economico, della vittima (Crime compensation). Questo infatti presenta solo una riparazione superficiale e immediata del danno prodotto alla vittima, in quanto, non ripara né i rapporti con l’offensore né quelli con la società né l’evoluzione futura del danno psicologico prodotto. Ecco perché sono criticabili quelle pratiche legislative che collegano un

cerimonia di "ri-accoglienza" nei confronti del reo conclude l'esito positivo del FGC; rappresenta, simbolicamente, l'abbandono di una reazione sociale incentrata sulla stigmatizzazione e sull'esclusione del reo in favore della sua diretta

reintegrazione nella comunità. La caratteristica principale del FGC è costituita dal fatto che, nell'incontro di mediazione, la vittima può essere rappresentata da un altro soggetto (un componente della famiglia, un amico, ecc.) e può, altresì, decidere di non prendere parte al gruppo, che viene condotto con l'esclusiva partecipazione del reo, della sua famiglia e/o della comunità. In tal caso lo scopo che il FGC si propone è limitato a promuovere ed incoraggiare la

responsabilizzazione dell'autore di reato, escludendosi la componente riparativa che, se contemplata, è ridotta ad un atto unilaterale di volontà. L'obbligo morale e giuridico di riparare il danno, il cui contenuto deriva da una condotta illecita posta in essere dal soggetto, si rende possibile prescindendo dall'accordo manifestato dalla vittima (è il caso del lavoro prestato a favore di enti o associazioni).

60 Questi si concretizzano in un processo informale in cui l'autore e la vittima, sotto la guida di un mediatore, discutono del fatto criminoso e degli effetti nocivi arrecati dalla sua commissione. Tali programmi conoscono numerose varianti applicative: alcuni sono indirizzati verso specifici destinatari (nel caso l'utenza sia costituita da minori la componente prevalente è quella rieducativa, se, invece, l'intervento si indirizza ad una fascia di soggetti adulti, prevale la componente riparativa) e possono essere distinti in base al tipo di reato. Relativamente

l'applicazione, alcune modalità intervengo prima del processo (mediazione o FGC) mentre altre sono predisposte nella fase processuale o si accompagnano ad essa (Compensation Programs o VIS); altre appartengono alla fase post-release (Victim Community Impact Panel o Diversion After Conviction). Il fondamentale

strumento della Giustizia riparativa è costituito dalla mediazione fra autore e vittima di reato, perché di più larga applicazione nei vari ordinamenti; per un’articolata riesamina di tutti gli strumenti riparativi Cfr. G. Mannozzi, “La

giustizia senza spada, uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale”, op. ult. cit. pp. 132 ss.

(34)

~ 30 ~

qualche effetto sulla punibilità o sul bisogno di pena di un reato a condotta riparatoria intesa in mero senso economico.

(35)

~ 31 ~

Capitolo II “Analisi degli elementi riparativi nei maggiori istituti dell’ordinamento penale italiano”

Recentemente, la dimensione riparativa nel diritto penale sta ricevendo sempre nuove e maggiori conferme. Tanto che per un cospicuo gruppo di studiosi, sarebbe venuto il tempo per gettare le basi per una rinnovata discussione sulla complessa questione della possibile funzione di riparazione come autonomo fine della sanzione penale61. In realtà, l’idea della riparazione come fine della pena è un’idea che ha in sé qualcosa di eterno; fin dall’antichità gli uomini hanno escogitato due forme fondamentali di riparazione: il sacrificio alla divinità, per quei fatti che scuotevano così pesantemente la società da temere una reazione divina e la vendetta, quale forma di riparazione ordinaria per quei fatti che mettevano in discussione il rapporto fra le famiglie, vendetta e sacrificio sono dunque le due forme base di riparazione delle offese62, che vivono in realtà ancora oggi sotto spoglie diverse nella funzione punitiva dei comportamenti illeciti63, nella giustizia penale convivono, infatti, almeno quattro modalità espressive della riparazione: la pena è chiamata a riparare la legge e l’autorità che la pone, nonché la collettività - perché l’offesa è degna di pena quando suscita allarme sociale - e la pena è finalizzata anche alla riparazione del colpevole, tramite la rieducazione. Il passo in

61 Numerosi ordinamenti stranieri hanno già intrapreso la strada della riparazione come nuovo fine della pena: e. g. la riforma del sistema sanzionatorio della Nuova Zelanda adottato nel 2002 con il Sentencing act e con il Parole act , ha modificato gli scopi della pena e le vicende commisurative nella cornice edittale in caso di presenza di una condotta riparativa. Dopo il citato intervento le finalità della pena nel sistema neo zelandese ora comprendono 1) promuovere nel soggetto la consapevolezza della pericolosità della propria condotta; 2) renderlo responsabile verso la vittima; 3) assicurare il rispetto degli interessi della vittima; 4) garantire la riparazione del danno. Nella stessa direzione si è poi più recentemente, mosso l’ordinamento inglese con il Crime and Courts Bill 2012 in base al quale viene riconosciuto al giudice il potere di sospendere la pena per un tempo in cui si possa intervenire sul conflitto con misure di giustizia riparativa per poi commisurare dopo la pena in base all’esito di questo programma.

62 M. Bouchard, “Breve storia (e filosofia) della giustizia riparativa”, op. cit., p. 66

63 Cfr. R.Bartoli, “Il diritto penale tra vendetta e riparazione”, in rivista italiana diritto e procedura penale, 2016, pp.96 ss.

Riferimenti

Documenti correlati

centri storici tracciato storico fiume Montone tessuto urbano SIC. nodi infrastrutturali

Più esternamente si trovano la zona di irraggiamento e la zona convettiva, attraverso le quali l’energia viene trasferita a una zona più esterna, chiamata fotosfera..

La fusione nucleare consiste nella trasformazione di quattro nuclei di idrogeno (il costituente principale del Sole) in un nucleo di elio; la massa di quest'ultimo e'

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi Signore,

Se trasformiamo il petrolio con un lungo procedimento, possiamo creare molte cose diverse.?. Ora rispondi alle domande

Quali sono i colori della campagna descritta da Pasolini. Quali sono

Strang and Braithwaite, however, encourage proponents of restorative justice to adopt both restorative processes and restorative values for a more encompassing and,

Poiché sempre più in futuro le competenze da acquisire saranno digitali, ma di un digitale in forte rapporto con la produzione, gli Its possono candidarsi anche ad offrire