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8.2. Giovanna Dall'Ovo e gli alunni della classe III A del Liceo Scientifico Statale Teresa Gullace Talotta di Roma - Il metodo scientifico fondamento di tutte le scienze

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IL METODO SCIENTIFICO:

FONDAMENTO DI TUTTE LE SCIENZE

Alunni: Elena Avitabile, Sara Ferrigno, Giulio Gambino, Federico Palmeri, Matteo Passafiume, Tiziano Villanacci. (Classe III A Liceo Scientifico Statale “Teresa Gullace Talotta” Roma)

Coordinatrice: Prof.ssa Giovanna Dell’Ovo.

F. Palmeri, G. Gambino, E. Avitabile, T. Villanacci, S. Ferrigno e M. Passafiume

Come si può facilmente immaginare il pensiero scientifico si è evoluto in paral-lelo all’uomo, dalle sue origini ai giorni nostri; perciò, è impossibile parlare del percorso storico della scienza in maniera completa ed esauriente nel poco spa-zio a nostra disposispa-zione. Si è deciso dunque di operare una selespa-zione delle tappe fondamentali. Queste sono: il periodo degli “Egizi”, scelti in quanto rap-presentanti di una vasta categoria di popolazioni antiche (come i Sumeri, i Cre-tesi, i Maya, ecc...), i quali svilupparono un certo tipo di scienza di cui si parlerà a breve; il periodo dei Greci; è a loro, infatti, che si deve la nascita della “mater scientiarum” (madre delle scienze), ovvero la filosofia, che per diversi secoli racchiuse tutto il sapere scientifico dell’umanità;il periodo della filosofia scola-stica medioevale, che racchiude in sé, per quanto si è appena detto, la scienza del Medioevo; il periodo del rinascimento con la figura di rilievo di Leonardo da Vinci, il quale anticipò, sotto alcuni aspetti, il pensiero del vero fondatore del metodo, ovvero Galileo Galilei. A questo punto, si può cominciare a parlare de-gli Egizi. Ciò che più ci interessa di loro è che: se da una parte nelle loro attività “scientifiche” applicavano criteri effettivamente rigorosi (quindi scientifici),

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come si può dedurre dalla loro approfondita conoscenza dei moti astrali o del-l’anatomia umana; dall’altra erano grandemente influenzati dalla superstizione religiosa. Questo ci impedisce, pertanto, di definire “scienza” quella di tali po-polazioni antiche, ancora troppo “schiave delle loro molteplici divinità”.

Fatte queste considerazioni sugli albori della scienza, si può incominciare a par-lare, invece, dei filosofi greci. Dato il fervore culturale della Grecia, essi furono moltissimi, in questo momento, però, ci limiteremo a trattare tre filosofi, rite-nuti fondamentali per lo sviluppo del pensiero scientifico. Questi sono: Talete, Aristotele e Pitagora.

Si è deciso di parlare di Talete, perché egli fu il primo filosofo, quindi, il primo uomo dell’antichità a porsi delle domande sulla “Fisis” (che in greco indica la natura, e da cui deriva anche la parola “fisica”, intesa come scienza che studia i fenomeni naturali) e a tentare di rispondere ad esse, non con l’aiuto delle divi-nità, bensì con quello della propria mente, quindi del ragionamento “scientifi-co”. E’ importante sottolineare, però, che le conclusioni a cui questi filosofi giunsero furono spesso errate o possono apparire ingenue agli occhi di noi con-temporanei. L’importante, infatti, non stava nelle risposte alle domande che i filosofi si ponevano, bensì nel nuovo modo con cui essi tentavano di risponde-re.

Per quanto riguarda Aristotele, invece, bisogna dire che egli fu il più grande pensatore dell’antichità, perciò il suo operato risulta essere vastissimo e impos-sibile da trattare nella sua interezza. Sono state selezionate, dunque, le cose più importanti. In primis si può fare un’interessante osservazione su come il fi-losofo vedesse la scienza; egli, infatti, riteneva che una scoperta scientifica e la scienza in generale fossero tanto più importanti, quanto più esse risultavano inutili nella pratica; esattamente il contrario di quanto accade ai giorni nostri in cui una scoperta scientifica acquista rilievo solo se apporta qualche miglioria al-la società. Ciò non significa che Aristotele si dedicò soltanto a “vaneggiamenti di carattere filosofico”, anzi, fu molto “concreto” nel suo operato scientifico, il che ci porta a dire, in sintesi che: la scienza, per lui, non è sottomessa a fini pra-tici ma si fonda comunque su basi concrete. Da ricollegarsi a questo è il discor-so sulla classificazione delle scienze secondo Aristotele. Egli le divide in: teore-tiche, pratiche e poietiche. Le prime, ovvero, metafisica, fisica e matematica, sono le più importanti, proprio perché non hanno alcun fine pratico; le secon-de, ovvero, etica e politica, sono svilite rispetto alle prime, perché sottomesse ad un fine pratico, il quale, però, è abbastanza sublime da permettere al filoso-fo di distinguerle dalle scienze poietiche (o discipline o arti). Queste sono tutte quelle attività umane che necessitano dell’applicazione di criteri scientifici ma che sono strettamente connesse alla pratica. Un esempio banale può essere

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l’arte del costruire, la quale necessita della conoscenza dei principi della statica, ma che rimane comunque legata alla sua finalità primaria, ovvero quella di co-struire un edificio che stia in piedi.

Esaurito questo discorso, si può passare a spiegare alcune delle teorie scientifi-che del filosofo importanti per il nostro discorso. La prima di cui parliamo è quella dei luoghi naturali che si ricollega al discorso fatto in precedenza su Tale-te. Con essa Aristotele tentava di spiegare il fenomeno della caduta dei gravi. Egli pensava che: all’infinito verso l’alto esistesse l’elemento primigenio del-l’aria e quello del fuoco, quindi il loro luogo naturale, ovvero il posto verso cui tende ad andare tutto ciò che sulla nostra terra è igneo o “arioso” (quindi ecco spiegato perché la fiamma della candela punta verso l’alto e l’aria si trova sopra e non sotto la terra), viceversa risulta chiaro che all’infinito verso il basso si tro-va il luogo naturale della terra e dell’acqua, verso cui tutto ciò che è solido o li-quido tende a cadere. Risulta evidente che questa teoria è palesemente errata e anche ingenua, si ricorda, infatti, che l’importante passo che la scienza compì fu il semplice fatto di uscire dalla “coltre di misticismo” che l’ammantava nei secoli precedenti e non il fornire risposte corrette alle domande sulla natura. Un’altra teoria del maestro, forse una delle più note, è quella sulla struttura dell’universo. Egli, infatti, come risaputo, pensava che la terra fosse al centro dell’ universo e che intorno ad essa ruotassero nove cieli concentrici, ovvero, quello della luna, delle stelle fisse, del sole, e degli altri pianeti allora conosciuti. Anche questa teoria è errata, ma fu accolta dalla chiesa come assolutamente vera, perciò, i primi scienziati come Galileo e Copernico dovettero faticare non poco per sostituirla con quella attuale (scientificamente esatta). Un’ultima teo-ria importante di Aristotele è la logica formale. Egli infatti fu il teorizzatore della Logica. Questo vuol dire che si rese conto dell’importanza di quei meccanismi mentali, elementari ma “potentissimi”, alla base del nostro pensare logico (e quindi scientifico) e che li mise per iscritto sotto il nome di “sillogismi”, di cui ri-cordiamo i principali, ovvero: il “modus ponens”, “il modus tollens”, e il “sillogi-smo ipotetico”. L’importanza di questi banali modelli di ragionamenti sta nel fatto che sono alla base delle dimostrazioni matematiche, fondamentali, come avremo modo di dire a breve, per il metodo scientifico.

Detto questo, si può considerare conclusa la trattazione di Aristotele, e si può passare a fare alcune considerazioni sulla filosofia del medioevo. Già dal fatto che i suoi massimi esponenti furono i padri della chiesa, fra cui ricordiamo San Tommaso d’Aquino, e che essa prende il nome di “scolastica”, perché insegnata nelle “schole”, ovvero i monasteri e i seminari, possiamo dedurre che essa fu prettamente orientata verso la riflessione teologica, piuttosto che verso l’ana-lisi del mondo naturale. Questo ci porta a dire che nel Medioevo l’uomo si inte-ressò di filosofia (e, quindi, di scienza) prevalentemente nella misura in cui essa

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era funzionale a supportare le nascenti teorie teologiche. Nel medioevo, quindi, non ritroviamo quel fervore scientifico che invece caratterizzò il periodo suc-cessivo, ovvero il rinascimento, in cui si inserisce la figura di Leonardo da Vinci. Egli, come annunciato all’inizio del discorso, anticipò in qualche modo il pensie-ro di Galileo, infatti sostenne che alla base della scienza vi dovessepensie-ro essere: da una parte la sperimentazione empirica, ovvero l’osservazione della realtà tra-mite gli esperimenti (fondamentali nel metodo sperimentale di Galileo), e dal-l’altra la dimostrazione matematica; secondo Leonardo, infatti: “Nissuna uma-na investigazione si può dimandare vera scienza, s’essa non passa per le mate-matiche dimostrazioni”. Ciò, appunto, vuol dire che nessuna teoria può essere considerata vera, se essa non è stata prima resa universale tramite la dimostra-zione matematica, che, come è risaputo, è uguale per tutti. Questo è un con-cetto fondamentale per il metodo scientifico, il cui fondatore fu, come già det-to, Galileo, della cui vita parleremo brevemente adesso.

Galileo Galilei nacque a Pisa nel 1564 da un padre musicologo Vincenzo e dalla madre Giulia. Il giovane Galileo fece i suoi primi studi a Pisa sotto Muzio Tadal-di, doganiere della città, e a Firenze, prima con il padre, poi con un maestro di dialettica e infine nella scuola del convento di Santa Maria di Vallombrosa, do-ve do-vestì l'abito di novizio fino all'età di quattordici anni. Vincenzo, nel settem-bre nel 1581, iscrisse il figlio all'Università di Pisa con l'intenzione di fargli

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stu-diare medicina, come a volere che Galileo ripercorresse la tradizione del suo glorioso antenato e soprattutto intraprendesse una carriera che poteva riserva-re lucrosi guadagni. Ma il maturariserva-re di nuovi interiserva-ressi quali, la filosofia e la ma-tematica lo portarono ad abbandonare gli studi intrapresi e si dedicò intera-mente a essi.

Cominciò a studiare la matematica dall'estate del 1583, sfruttando l'occasione della conoscenza fatta a Firenze di Ostilio Ricci da Fermo. Caratteristica del Ricci era l'impostazione che egli dava all'insegnamento della matematica: non di una scienza astratta, ma di una scienza che servisse a risolvere i problemi pratici le-gati alla meccanica e alle tecniche ingegneristiche. Nel 1853 fece la scoperta dell'isocronismo delle piccole oscillazioni del pendolo, osservando, si dice, le oscillazioni di una lampada di bronzo appesa nel duomo di Pisa. Nel breve scrit-to la "Bilancetta” (1586) descrisse la bilancia idrostatica, da lui inventata per determinare con esattezza il peso specifico dei corpi. Galileo cercava intanto una regolare sistemazione economica: oltre a dare lezioni private di matemati-ca a Firenze e a Siena, nel 1587, andò a Roma a richiedere una raccomandazio-ne per entrare raccomandazio-nello Studio di Bologna di un famoso matematico. Nel 1588 fece alcune pubbliche lettere "circa la figura, sito e grandezza dell'inferno di Dante". Nel 1589 divenne professore di matematica a Pisa, dove iniziò la critica del pen-siero aristotelico: di dice che per dimostrare ai suoi allievi l'errore del filosofo greco, secondo il quale la velocità di caduta di un corpo era proporzionale al suo peso, egli abbia lasciato cadere due oggetti di peso differente dalla Torre pendente. Nel 1592 ottenne la cattedra di matematica all'università di Padova, dove rimase per diciotto anni. Nell'ambiente stimolante di questa città, Galileo inventò un "compasso" geometrico-militare per calcolare la soluzione di pro-blemi balistici, e realizzò numerosi esperimenti che lo condussero alla scoperta

Compasso geometrico-militare di Galilei in avorio

delle leggi che regolano la caduta libera dei gravi; studiò il moto dei pendoli e alcuni problemi di meccanica. Per quanto riguarda l'astronomia, egli dichiarò la sua adesione alla teoria copernicana sin dal 1597. L'invenzione del

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cannocchia-le, nel 1609, rappresentò una svolta nella sua attività scientifica: perfezionò lo strumento e lo utilizzò per precise osservazioni astronomiche che culminarono nella scoperta di montagne e crateri sulla Luna, della Via Lattea come ammasso di stelle e di quattro maggiori satelliti di Giove.

Come già detto, a Galileo Galilei dal 1593 fino al 1610 gli verrà affidata la catte-dra di matematica, geometria ed astronomia presso l’università di Padova. Nel 1599 conoscerà Maria Gamba, la quale sarà la sua compagna di vita e con la quale avrà tre figli: due femmine ed un maschio. Sarà proprio in questo periodo che inizierà ad orientarsi verso la teoria copernicana, secondo la quale era il So-le ad essere posto al centro dell’Universo e i pianeti, compresa la Terra, a ruo-tare intorno ad esso. Questo grazie anche all’utilizzo di uno strumento, il tele-scopio, costruito in Olanda tempo prima. Possiamo dire che Galileo era molto entusiasta delle teorie e scoperte che andava diffondendo, ma non sapeva che proprio queste ultime ben presto lo avrebbero portato in collisione con la Chie-sa. La Chiesa prendeva come modello quanto affermavano i Padri della Chiesa (fra i maggiori scrittori cristiani) e quanto scritto nelle Sacre Scritture, poiché ri-tenevano che fossero ispirate dallo Spirito Santo. C’è da dire anche che 300 an-ni prima, intorno agli ian-nizi del 1300 si erano andati a creare anche due nuovi ordini: quello dei Domenicani e quello dei Francescani. Il primo era sorto per combattere le eresie e il secondo per diminuire la troppa corruzione dilagata all’interno della Chiesa a quel tempo. Saranno i domenicani tra i più diretti op-positori di Galileo, tanto è vero che in seguito faranno bollare, per mezzo del-l’Inquisizione ecclesiastica, l’impianto cosmologico da lui portato avanti e inol-tre gli verrà proibito di appoggiare le sue stesse teorie. In seguito verrà messo all’indice anche Copernico. Nell’Aprile del 1630 Galileo intimidito, ma non a suf-ficienza, terminerà di scrivere il “Dialogo sui due Massimi Sistemi del Mondo”, nel quale metteva a confronto la teoria copernicana con quella tolemaica , di-mostrando alla fine la superiorità della prima naturalmente. Concorderà anche con il Vaticano alcune modifiche per poter far stampare l’opera, ma deciderà poi di farla stampare a Firenze, nel 1632. Quando arriverà nelle mani del Papa, costui proibirà la distribuzione e farà istituire dall’Inquisizione un processo con-tro Galileo. Lo scienziato, ormai stanco e malato, giungerà a Roma nel 1633. Verrà costretto ad abiurare pubblicamente (umiliato ulteriormente poiché co-stretto ad indossare un rozzo sacco) e in seguito verrà condannato alla prigione a vita. Si dice che in quest’occasione abbia mormorato fra sé e sé la celebre fra-se “Eppur si muove...”. La pena si trasformerà poi in quella che oggi chiamiamo “arresti domiciliari”, nella sua villa ad Arcetri, vicino Firenze. Morirà il giorno 8 gennaio 1342 nella quasi totale cecità. Solamente trecentocinquanta anni dopo la sua morte (1992) la Chiesa ha riconosciuto formalmente la grandezza di quest’uomo, assolvendolo dall’accusa di eresia.

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Galileo fu un grande innovatore e l’ha dimostrato anche dall’invenzione del metodo sperimentale. Quest’ultimo si basa sull’osservazione di un fenomeno e sull’esecuzione di un esperimento. A seconda del risultato dell’esperimento si possono percorrere due strade: la prima, nel caso di un’ipotesi convalidata, porta all’esecuzione di esperimenti simili, per avere conferma della validità dei dati ottenuti, e quindi a un’analisi statistica. Nel caso di un’ipotesi confutata, si procede alla modifica di quest’ultima e all’esecuzione di nuovi esperimenti. Il metodo sperimentale si articola in due fasi, una induttiva e una deduttiva; la fase induttiva è suddivisa nella fase delle osservazioni e delle misure e in quella in cui viene formulata l’ipotesi, spiegando il fenomeno. La fase deduttiva è sud-divisa, invece, nella fase di verifica dell’ipotesi precedentemente formulata e in quella di formulazione di una teoria, nel caso in cui venisse confermata l’ipo-tesi.

Come esempio di utilizzo del metodo sperimentale ora illustriamo come Louis Pasteur ha eseguito l’esperimento sul carbonchio, nel 1881; l’esperimento coinvolgeva sessanta pecore, che sono state utilizzate in modi differenti.

Quando Pasteur cominciò il suo esperimento, aveva alcuni dati disponibili ri-guardo le pecore: queste ultime si ammalavano se trascorrevano del tempo sui campi infetti o se venivano a contatto con altre pecore malate o con carcasse di elementi morti; inoltre come ultimo dato aveva osservato che nel sangue delle pecore malate compariva un organismo unicellulare a forma di bastoncello, os-servabile anche al microscopio. Lo scopo dell’esperimento era dimostrare se il responsabile del carbonchio era il Bacillus Anthracis oppure i miasmi ambienta-li. Pasteur formulò un’ipotesi, secondo la quale le pecore potevano ottenere l’immunità qualora fossero venute a contatto con il bacillo attenuato, cioè la cui infettività era stata ridotta.

L’esperimento cominciò con la suddivisione delle pecore in tre categorie: dieci di esse furono isolate per controlli, venticinque furono sottoposte all’inocu-lazione del bacillo attenuato, mentre le rimanenti venticinque non furono vac-cinate con il bacillo attenuato; il 31 maggio fu inoculata una coltura virulenta di Bacillus Anthracis fu inoculata sia nelle venticinque pecore vaccinate, sia nelle venticinque non vaccinate. Due giorni dopo, il 2 giugno Pasteur poté verificare alcuni dati: delle venticinque pecore a cui era stata inoculata una coltura atte-nuata, morì solo un individuo, che rappresentava il 4%, mentre delle venticin-que pecore non vaccinate morirono ventitré individui, cioè il 92% di essi e ne rimasero in vita solamente due, ma comunque moribonde.

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Alla luce di questi dati Pasteur poté formulare la sua teoria, secondo la quale il carbonchio era dovuto all’azione del Bacillus Anthracis e che la vaccinazione at-tivava le difese immunitarie.

La Fisica è una scienza, ed è grazie ad essa che conosciamo la struttura della materia, o il funzionamento del nostro corpo, o il susseguirsi delle stagioni, o a decifrare i mattoni elementari che costituiscono il nostro mondo. In ogni caso, non abbiamo, né credo avremo mai, la sicurezza che il lavoro di fisico possa fornire delle risposte. Quando si vogliono risposte facili e sicure, è meglio far ri-ferimento ad altro, piuttosto che alla scienza. E' Importante mantenere sempre il contatto con il metodo scientifico, che per gli esperimenti significa assicurarsi che il risultato non sia parziale, ma sia stato ottenuto con un metodo riproduci-bile anche da altri e che non dipenda da ipotesi azzardate fatte durante l’ese-cuzione.

Se una teoria non è in grado di predire nessuna osservazione, è una teoria fal-limentare o, per lo meno, inutile. Il Fisico, come disse Richard Feynman, non è interessato a trovare risposte a grandi domande filosofiche, ma estremamente dedicato alla scoperta e alla comprensione del mondo. Secondo il fisico statuni-tense non era importane la formulazione di una teoria, ma la comprensione dei massimi sistemi dell’Universo.

R. Feynman afferma che, se una teoria non può dimostrarsi errata, non significa che non lo sia, ma solo che non si riesce a definirla tale. Per questo le teorie possono essere solo ‘’temporaneamente ‘’ giuste. Ciò che è giusto nella teoria di oggi potrebbe essere errato in quella di domani.

La matematica, la chimica e le altre scienze fondamentali, sono soltanto un lin-guaggio che noi uomini abbiamo inventato di sana pianta per descrivere ciò che vediamo, nessuna lingua può descrivere ad esempio, lo scontro tra due nuclei. Certo, possiamo descriverlo approssimativamente, ma per capire veramente che cosa succede bisogna cambiare lingua, prendere il dizionario e capire che cosa ci sta dicendo la Natura.

Chi volesse sviluppare una teoria fisica, si deve assoggettare al metodo scienti-fico, talvolta noioso, talvolta lento, ma sempre efficace nel determinare la vali-dità di un lavoro scientifico. Seguendo l’approccio scientifico si è in grado di svi-luppare una teoria, o di suffragarla tramite un’osservazione, che ci porta in un certo senso ad una “verità”. Ma questa verità, non è un assoluto, è relativa al contesto in cui si è sviluppata la teoria. Volendo descrivere il comportamento di un elettrone attorno al nucleo, la meccanica Newtoniana fallisce miseramente, e necessita di essere sostituita dalla meccanica quantistica. Vuol forse dire che

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la meccanica classica è sbagliata? No, è perfetta, ma solo nel contesto della sua definizione.

La fisica moderna ha inizio con il XX secolo. Una serie di nuove scoperte metto-no in dubbio i paradigmi della fisica classica, introducendo nuove teorie alla ba-se della spiegazione dell'universo. Le novità più importanti del Novecento sono la teoria della relatività di Einstein e la formulazione della meccanica quantisti-ca di Planck. La teoria della relatività modifiquantisti-ca delle correzioni alla mecquantisti-caniquantisti-ca classica quando un corpo raggiunge la velocità della luce. La meccanica quanti-stica di Planck analizza i fenomeni fisici a livello atomico osservando il compor-tamento dei quanti. Le teorie di Planck e di Einstein ridimensionano la certezza deterministica ed universale della teoria classica, in base alla quale il compor-tamento di un sistema nella fisica può essere previsto analizzando le sue varia-bili iniziali, sostituendola con il calcolo delle probavaria-bilità.

Lasciamo ora una frase di Galileo Galilei sul metodo scientifico:

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(Galileo Galilei,

Discorso e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, III giornata)

Il Dirigente scolastico Prof. Marcello Greco e la prof.ssa Giovanna Dell’Ovo con gli alunni della III A del Liceo Scientifico “Teresa Gullace Talotta” di Roma.

Riferimenti

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