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Una vita da viola

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Academic year: 2021

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Una vita da viola

Il caldo sole di luglio inondava il sentiero al margine di un bosco di quercia.

Mammola, una piccola e timida viola di bosco, osservava incantata il volo nuziale di due magnifiche farfalle arancioni, la femmina apparentemente imperturbabile e il maschio che le danzava intorno.

“Che meraviglioso spettacolo, non trovi?” chiese Mammola alla violetta che le cresceva accanto.

La farfalla femmina, dopo l’accoppiamento, andò a deporre le sue uova sul tronco della quercia, ai piedi della quale crescevano le viole. La videro svolazzare in quei paraggi ancora per qualche giorno, poi scomparve dalla loro vista e presto la dimenticarono.

In agosto l’uovo si schiuse: il piccolo bruco si avvolse in un cuscinetto di seta e si addormentò, nascosto e protetto nelle fessure della corteccia della quercia, in attesa della primavera successiva.

Le viole non ci avevano fatto caso: pensavano che ciò che capitava agli alberi non le riguardasse affatto.

Passavano le loro giornate ad accumulare l’energia catturata dal sole e a conquistare nuovo territorio intorno a loro allungando i proprio stoloni, una sorta di steli

striscianti da cui spuntavano nuove radici e nuove foglie, formando piantine gemelle, in tutto e per tutto simili alle piante madri.

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Venne l’inverno e nevicò. Le viole dormivano sotto la coltre di neve e i piccoli bruchi di pafia, la farfalla arancione (ve la ricordate?), continuavano il loro sonno nei loro cuscinetti di seta nascosti tra gli anfratti della corteccia della grande quercia.

Alla fine di febbraio la temperatura si alzò bruscamente e la neve si sciolse. Per tutte le erbe del bosco cominciò un periodo di attività frenetica. Alberi e arbusti erano ancora spogli e per le piantine più piccole il momento era propizio per fare il pieno di energia e prepararsi alla fioritura. Non si poteva perdere neanche un minuto: entro poche settimane l’ombra gettata dalle chiome dei giganti del bosco le avrebbe messe tutte a dieta, permettendo al sole di far arrivare al suolo soltanto una luce soffusa. Questo era invece il momento di agire, di sfoderare fiori attraenti e ricchi di nettare. Mammola e le viole vicine portavano già i boccioli, gli anemoni di bosco crescevano fitti tutti intorno, ormai quasi pronti a decorare il querceto con i loro numerosissimi fiori bianchi, che paiono preparare il bosco a festeggiare gli accoppiamenti

primaverili degli animali. Qua e là spiccava il rosa di un dente di cane.

Ma torniamo alle nostre violette, che oramai cominciavano a dischiudere i loro piccoli ma graziosi fiori, in attesa degli insetti che li avrebbero impollinati.

Mammola gettò un’occhiata tutt’intorno, per controllare se le viole vicine avessero fiori più attraenti dei suoi e notò un bruco dorato a strisce nere, irto di soffici

protuberanze simili a spine, che scendeva dal tronco della quercia ed era arrivato ormai quasi a livello del terreno. “Guarda che bell’animaletto” gridò entusiasta alla sua vicina.

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“Sì, sì, sarà anche carino, non lo metto in dubbio” mormorò preoccupata la viola accanto a lei “ma è un bruco, e i bruchi mangiano piante ….. ricordati che noi SIAMO piante …..”

I bruchi di pafia in effetti si nutrono proprio di viole: quello di cui stavamo parlando si diresse sulla piantina accanto a Mammola e cominciò a sgranocchiarne

allegramente le foglie, una dopo l’altra fino a lasciarla completamente spoglia.

Mammola però era stata risparmiata, i suoi fiori furono impollinati da un bombo e i semi cominciarono a formarsi nel frutto a capsula. La capsula, maturando, diventò più grossa e lo stelo si piegò sotto il suo peso, fino a toccare terra.

Mammola avvistò una formica che passava poco lontano e la chiamò: “Hey, tu! Sì, dico a te, che ne dici di un ottimo pranzetto offerto dalla casa per le tue sorelline ancora in fasce? Vieni un po’ qua a vedere!”

La formica, conoscendo la generosità delle viole mammole, accorse subito.

La capsula si era spaccata lasciando intravedere il gustoso contenuto: bei semi lucidi con una biancastra e appetitosa appendice di grasso, messa lì apposta per ingolosire le formiche.

La formica chiamò le compagne: “ ragazze, presto, tutte qui! Venite a darmi una mano”.

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Gli industriosi insetti lavorarono instancabilmente fino a che ogni singolo seme fu trasportato nel formicaio e raccolto nella nursery, dove vengono accudite e nutrite le larvette, accolto da strilli di gioia da parte delle piccoline affamate.

Anche le larve di formica, come i bambini, sono un po’ schizzinose e dunque si sbafarono allegramente tutta l’escrescenza di grasso, scartando tutto il resto del seme, proprio come aveva previsto Mammola..

Le sorelle maggiori ripulirono la camera, raccogliendo tutti gli avanzi che

trasportarono fuori dal formicaio insieme a tanti altri rifiuti e li gettarono nella loro “discarica”.

La primavera successiva alla prima pioggia i semini di Mammola, che avevano dormito fino a quel momento, ignari delle avventure che erano loro capitate e del viaggio che li aveva portati lontano dalla mamma, formarono la loro radichetta, le loro prime foglioline e incominciarono la loro nuova vita, ben concimati dagli scarti delle formiche, che avevano anche fornito un morbido e accogliente lettuccio. Non lo potevano sapere, ma la vita per loro era facile, grazie al patto vantaggioso stretto dalla loro premurosa mamma con le formiche.

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