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Letteratura circostante e disillusione della critica: prove di mappatura della letteratura italiana contemporanea

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Anno 34, 2019 / Fascicolo 2 / p. 122-123 - www.rivista-incontri.nl – http://doi.org/10.18352/incontri.10321 © The author(s) - Content is licensed under a Creative Commons Attribution 3.0 Unported License - Publisher: Werkgroep Italië Studies, supported by Utrecht University Library Open Access Journals

Letteratura circostante e disillusione della critica

Prove di mappatura della letteratura italiana

contemporanea

Recensione di: Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante.

Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino,

2018, 454 p., ISBN: 9788815274977, € 29,00.

Isabella Pinto

Gli studi sulla letteratura italiana contemporanea vivono, attualmente, di un rinnovato interesse. In questo contesto si inserisce il poderoso saggio di Gianluigi Simonetti, La letteratura circostante. Narrativa e poesia nell’Italia contemporanea, che si apre con una introduzione in cui l’autore esplicita la propria rinnovata fiducia nell’analisi formale dei testi. Il seguito del volume è suddiviso in due parti: Storia delle forme circostanti, in cui l’autore srotola il filo della storia letteraria facendo emergere fenomeni che preparano al cambio di paradigma avvenuto negli anni ‘90, e Le forme circostanti. Un panorama, in cui al centro dell’analisi tematica viene posta la narrativa degli anni Zero.

Il volume ha sicuramente il pregio di operare un’ampia mappatura delle scritture emerse negli ultimi trent’anni in Italia, scegliendo come punto di svolta l’esperienza degli “scrittori cannibali”. Formalmente, una delle prime rotture con la tradizione narrativa novecentesca insiste sulle diverse modalità di costruzione del tempo del racconto. Il tempo del racconto viene infatti messo in crisi da un desiderio di velocità (41), ponendo il lettore di fronte a romanzi che mirano a un’alta leggibilità, elemento che asseconda la lettura al ritmo veloce del consumo. Il cambiamento tra lettura lenta e lettura veloce viene posizionato da Simonetti proprio a metà degli anni ’90 del Novecento, dove la letteratura enfatica, iperbolica e sensazionalista dei “cannibali” (46) sbaraglia la lentezza delle modalità di lettura ricercate dai narratori della generazione precedente. Ma gli anni ’90 sono anche il momento in cui il romanzo italiano contemporaneo incontra il postmoderno statunitense e occidentale, un incontro che ha dato vita a scritture che traggono forza e ispirazione da ‘stimoli culturali diversi e transmediali’ (47), piuttosto che dalla tradizione letteraria.

Tuttavia se i “cannibali” usavano tecniche che imprimevano velocità alla lettura per fini prevalentemente antirealistici, nella letteratura degli anni Zero Simonetti intravede un nuovo cambio di rotta. Infatti oggi il ricorso a tecniche narrative che imprimono velocità alla lettura ha fini prevalentemente realistici e mimetici (83). In questo contesto il nostro autore si interroga sul tipo di realtà che tali narrazioni mettono al centro della scena, facendo emergere una tensione tra il ‘mito della realtà’

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e la percezione che si ha di essa. In questa contraddizione operano dispositivi di derealizzazione, in cui autori e autrici sono alla continua ricerca di spettacolari ‘effetti di realtà’. Per Simonetti dunque non siamo di fronte a una ‘fame di realtà’, quanto a ‘un’esigenza contraddittoria di immagini realistiche’ (92). In tale modalità narrativa irrealistica della realtà, Simonetti individua due rischi per il realismo (inteso positivamente come genere dall’alto valore euristico e letterario). Il primo è quello di una tendenza a risolvere la complessità della costruzione letteraria con l’ibridazione di genere, come mostrano le così dette “scritture di frontiera”. Un secondo rischio è quello di creare un’etichetta dell’impegno, per cui il giudizio estetico rischia di essere sostituto dal ‘ben peggiore giudizio morale’ (126-127). Peccato che Simonetti inciampi continuamente in questo tipo di dicotomie dialettiche in cui, per differenziarsi dalla critica contemporanea e per essere fedele a un certo gusto della provocazione, sembra seguire i passi del proprio mentore, Walter Siti, arrivando a parteggiare per posizioni, anch’esse parziali e ideologiche, in cui il rischio è quello di elevare il proprio gusto estetico a gusto politico neutro e universale (127).

La prima parte del volume prosegue con un secondo capitolo dedicato alla poesia. Da un lato riscontriamo criticamente che nella ricognizione di Simonetti l’Italia della poesia va da Roma in su. Dall’altro, invece, bisogna notare positivamente la centralità data alla poesia di Milo De Angelis, il quale, soprattutto con la raccolta Somiglianze, imprime nuova intensità al presente senza dover ricorrere al lirismo di Montale o dei postmontaliani. D’altro canto negli anni Ottanta emerge una seconda reazione alla tradizione del Secolo Breve, rinominata da Simonetti ‘nevrosi della fine’, ovvero una tendenza lirica malinconica che ‘prende atto della frattura intervenuta nella dialettica storica e induce ad assumere un atteggiamento e uno stile postumi rispetto alla modernità’ (168). In anni più recenti infine è l’ibridazione a segnare l’intero campo poetico, elemento che apre a uno spazio sostanzialmente post-lirico.

La seconda parte del volume torna sulla narrativa, ma a differenza di quanto detto in apertura del volume Le forme circostanti. Un panorama vuole essere una mappatura della letteratura degli Anni Zero redatta attraverso l’analisi di alcuni nessi tematici. Desiderio, merce, cinema, identità, esotismo, sono questi i poli che l’autore mette in relazione alla letteratura degli anni Zero, accostando con disinvoltura Moccia, Volo, Ferrante, Starnone, Piccolo, Siti, Ravera, Palandri, Tondelli, Costanzo. Particolarmente interessante il capitolo finale, in cui il nesso tra letteratura ed esotismo viene indagato analizzando la trasformazione della trattazione narrativa della “borgata” quale topos (contraddittorio e ambivalente) pasoliniano. Dice bene Simonetti quando sostiene che il topos della ‘borgata […] celebra la crisi delle certezze borghesi’, tuttavia narratori come Mazzantini tornano su di esso per rovesciare paradossalmente, e a proprio favore, l’assunto pasoliniano. Il libro si chiude con l’analisi della tensione tra letteratura e lotta armata. Il modo di raccontare la violenza terroristica per cui parteggia il nostro autore è quella che agisce ‘non come nostalgia dell’azione spettacolare, e proposta (spesso velleitaria) di astratti valori civili, ma come rumore di fondo, traccia incerta e enigmatica contemplata in un clima di incertezza morale e politica’ (411).

In ultima analisi Simonetti allestisce un volume che ingloba una gran parte delle scritture prodotte negli ultimi trent’anni, rigettando e negando tuttavia qualsiasi possibilità trasformativa della letteratura, riconsegnando così al lettore una critica abile a illuminare esclusivamente il proprio lato descrittivo e decostruttivo.

Isabella Pinto

Via Alessio Baldovinetti 15 00142 Roma (Italia)

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