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Derivati piridin-2-oni quali potenziali modulatori allosterici del recettore cannabinoide CB2

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Academic year: 2021

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UNIVERTITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

Tesi di Laurea:

Derivati piridin-2-oni quali potenziali

modulatori allosterici del recettore cannabinoide CB2

Relatori: Candidato:

PROF.SSA CLEMENTINA MANERA FEDERICO IADAROLA

DOTT.SSA FRANCESCA GADO MATRICOLA 533558

Settore Scientifico-Disciplinare: CHIM – 08

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Indice

1. INTRODUIONE GENERALE………3 1.1. Cannabis Sativa L………. ...4 1.2. Fitocannabinoidi………...5 1.2.1. Delta-9-tetraidrocannabinolo……….6 1.2.2. Cannabidiolo………..6 1.2.3. Cannabinolo………...7 1.2.4. Cannabigerolo………7 1.2.5. Cannabinocromene………7 1.2.6. Tetraidrocannabivarina………..8 1.3. Il sistema endocannabinoide………9 1.3.1. I recettori cannabinoidi………..9 1.3.2. Endocannabinoidi……….13

1.4. Applicazioni terapeutiche del sistema endocannabinoide………..19

1.5. Modulatori allosterici dei recettori endocannabinoidi………21

1.5.1. Modulatori allosterici del CB1……….24

1.5.2. Modulatori allosterici del CB2……….27

2. SCOPO DELLA TESI………...31

3. PARTE SPERIMENTALE………40

3.1. Materiali e metodi………..41

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3

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1.1

Cannabis Sativa L.

La Cannabis Sativa L. (Figura 1), comunemente chiamata canapa, è una pianta erbacea dioica annuale appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. Originaria dell’Asia centrale ed occidentale è conosciuta e coltivata fin dall’antichità per le sue proprietà analgesiche ed antisettiche ma anche come strumento ricreativo date le sue proprietà psicoattive. Presenta fusti eretti di 2-3 metri, più o meno ramificati, ispidi in cui si inseriscono foglie per lo più alterne, palmato-composte dai segmenti ineguali, lanceolati, ellittici e dentati. I fiori maschili (staminiferi) hanno 5 sepali e 5 stami e sono riuniti in racemi ascellari mentre i fiori femminili (pistilliferi) in spighe glomerulate disposte a coppie all’altezza di una brattea e presentano un calice urceolato a circondare l’ovario [1].

Figura 1. Illustrazione di Cannabis Sativa L.

Interessante è la numerosa presenza di peli ghiandolari (tricomi) sulle brattee delle infiorescenze femminili che non si riscontra invece sulle foglie. Questi tricomi sono i responsabili della secrezione della resina (Figura 2), la parte della pianta più ricca in principi attivi [1].

Inizialmente il genere Cannabis veniva diviso in 3 specie principali: C. Sativa, usata per la fibra, C. Indica, usata invece per produrre la resina e C. Ruderalis dalle proprietà intermedie. Grazie alla selezione artificiale oggi si preferisce una classificazione monotipica, con C. Sativa come unica specie che viene poi suddivisa in 5 diversi chemiotipi che si differenziano tra di loro sulla base della composizione quantitativa dei composti chimici presenti [2].

• Chemiotipo I: piante da cui si ricava la resina che presentano una predominanza di cannabinoidi ad azione psicoattiva.

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• Chemiotipo III & IV: piante con un abbondante presenza di cannabinoidi non psicoattivi ed una ridotta presenza di cannabinoidi psicoattivi usate principalmente per produrre la fibra.

• Chemiotipo II: comprende piante dalla proprietà intermedie.

• Chemiotipo V: piante con una concentrazione molto ridotta di cannabinoidi usate esclusivamente per produrre fibra .

Figura 2. Fiore femminile di Cannabis Sativa L. In evidenza anche i tricomi ed i

cristalli di resina.

1.2

Fitocannabinoidi

La Cannabis Sativa L. è caratterizzata da una complessa composizione chimica che include terpeni, carboidrati, acidi grassi ed i loro esteri, ammine, ammidi, composti fenolici, fitosteroli e i fitocannabinoidi, definibili come i composti naturali contenuti nella Cannabis Sativa (cannabinoidi naturali) [3].

I fitocannabinoidi sono composti terpenofenolici, composti da 21 o 22 unità carboniose, ottenuti dall’alchilazione di un alchil-resorcinolo con un’unità terpenica. Si tratta di molecole liposolubili biosintetizzate nella resina secreta dai tricomi delle femminili, nei quali vengono inizialmente accumulati in forma carbossilata per poi andare incontro a una decarbossilazione spontanea con l’età e con il riscaldamento per formare i corrispettivi derivati in forma neutra (Figura 3).

I cannabinoidi più presenti nelle piante, soprattutto in quelle utilizzate per recuperarne la resina, sono l’acido Δ9-tetraidrocannabinolo (Δ9-THCA) e il Δ9-tetraidrocannibinolo (Δ9

-THC). Tra gli altri cannabinoidi troviamo l’acido cannabidiolico (CBDA) e l’acido cannabigerolico (CBGA) e le loro forme decarbossilate cannabidiolo (CBD) e cannabigerolo (CBG), rispettivamente. Altri cannabinoidi di minor importanza includono l’acido cannabinolico (CBNA) e il cannabinolo (CBN), rispettivamente i prodotti ossidati

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6

del Δ9-THCA e del Δ9-THC, oltre all’acido cannabinocromenico (CBCA) e al

cannabinocromene (CBC) (Figura 3) [2].

Figura 3: Strutture chimiche dei principali cannabinoidi presenti in Cannabis Sativa L.

L’azione fisiologica di questi composti è data dal fatto che interagiscono con i recettori cannabinoidi, CB1R e CB2R. Tra i principali fitocannabinoidi troviamo (Figura 4):

1.2.1 Delta-9-tetraidrocannabinolo (Δ

9

-THC)

Il delta-9-tetraidrocannabinolo (Δ9-THC) (figura 4) venne isolato da Gaoni Y nel 1964, ed è il costituente più psicoattivo e maggiormente studiato della Cannabis Sativa. Esso mostra un’alta affinità di legame e un’attivitò di agonismo parziale nei confronti dei recettori CB1 e CB2. È dotato di attività psicotropa, euforizzante, antinausea, antiemetica, stimolante dell’appetito e antiossidante. Oltre ai recettori CB1 e CB2 è stata ipotizzata la sua azione sul recettore GPR55, come antagonista del recettore della serotonina 5 HT-3A e come modulatore allosterico dei recettori oppioidi [4]. Attualmente sono in commercio diversi farmaci contenenti THC o derivati sintetici per il trattamento della nausea in pazienti chemioterapici e come stimolanti dell’appetito per pazienti con HIV/AIDS.

1.2.2 Cannabidiolo (CBD)

Il cannabidiolo (CBD) (Figura 4) è il principale fitocannabinoide non psicotropo, costituente circa il 40% dell’estratto. Non presenta dunque l’attività psicoattiva propria

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del Δ9-THC ma ne mantiene le proprietà terapeutiche, tra cui le proprietà antiossidanti,

antiinfiammatorie, antiemetiche e antipsicotiche. E’ un agonista inverso dei recettori CB1 e CB2, nei confronti dei quali a differenza del Δ9-THC mostra una scarsa affinità.

Tuttavia, studi recenti condotti nel 2017 dal gruppo di ricerca di Martinez- Panilla riportano il comportamento del CBD come ligando allosterico negativo del recettore CB2[4].

Il CBD esercita effetti farmacologici persino attraverso una vasta gamma di target molecolari non appartenenti al sistema endocannabinoide; esso infatti presenta, ad esempio, un’azione come ligando parziale nei confronti del recettore 5 HT-1A e come modulatore allosterico dei recettori oppioidi, soprattutto Δ e μ. E’ stato inoltre ipotizzato che le attività terapeutiche del CBD fossero collegate all’attività agonista sul recettore PPARγ e alla modulazione del rilascio intracellulare del calcio [5]. Attualmente è disponibile in commercio il Nabiximols (commercializzato come Sativex), un farmaco sviluppato dalla azienda britannica GW Pharmaceuticals e che venne approvato in Canada nel 2005. E’ formulato con i due estratti naturali THC e CBD con un rapporto pari a 1:1. Questo farmaco si è dimostrato molto efficace come trattamento aggiuntivo per il sollievo sintomatico del dolore neuropatico associato alla sclerosi multipla, incluso il dolore cronico.

1.2.3 Cannabinolo (CBN)

Il cannabinolo (CBN) (Figura 4) è un derivato ossidato del Δ9-THC, di cui è il principale

metabolita. È un agonista parziale a livello dei recettori CB1R e CB2R, ma con un’affinità molto minore rispetto al THC. Oltre ai CBR è stato dimostrato che il CBN ha una potente azione come agonista del TRPA1 e come antagonista dei canali TPRM8 [4].

1.2.4 Cannabigerolo (CBG)

Il cannabigerolo (CBG) (Figura 4) è un fitocannabinoide non psicoattivo presente in grandi concentrazioni nella pianta. Il suo acido (CBGA) è un precursore di molti altri fitocannabinoidi. E’ un’antagonista del CB1 (a bassa affinità) e antagonista CB2. Il CBG presenta poi azione come forte agonista del recettore adrenergico α2 e come antagonista del recettore della serotonina 5-HT1A [4].

1.2.5 Cannabicromene (CBC)

Il cannabinocromene (CBC) (Figura 4) è tra i composti più abbondanti nella pianta. Non presenta particolare affinità per i recettori cannabinoidi e, come il CBG, va ad inibire il riassorbimento dell’anandamide. Presenta invece un importante azione a livello dei canali TRP in quanto è stato dimostrato che il CBC è il più potente agonista del canale TRPA1 [4].

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1.2.6 Tetraidrocannabivarina (THCV)

La tetraidrocannabivarina (THCV) (Figura 4) è’ un antagonista dei CB1R a basse dosi, mentre a dosi elevate (10 mg/kg) agisce da agonista. Può attivare inoltre i CB2R, nei confronti del quale si comporta come agonista.

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1.3

Il sistema Endocannabinoide

Il sistema endocannabinoide è un sistema neuromodulatorio di segnale ampiamente distribuito a livello del sistema nervoso centrale e periferico e in molteplici organi. E’ costituito dai recettori cannabinoidi CB1 e CB2, dai corrispondenti ligandi endogeni (endocannabinoidi), anandamide (AEA) e 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), e dagli enzimi responsabili della loro biosintesi, degradazione e trasporto. Agisce come modulatore ad ampio raggio di una gran parte delle funzioni del corpo umano [6].

1.3.1

I recettori cannabinoidi

I recettori cannabinoidi (CBRs, CB1R e CB2R) sono recettori associati a proteine G (GPCRs) che mediano le risposte funzionali degli endocannabinoidi AEA e 2-AG e di molecole esogene, fra cui il Δ9-THC. Possiedono una porzione ammino-terminale

(N-terminale) glicosilata extracellulare ed una porzione carbossi-terminale (C-(N-terminale) intracellulare che entra in contatto con la proteina G associata al recettore. La struttura è costituita da 7-α eliche transmembranali (7TM), unite da 3 loop extracellulari (ECL) e 3 loop intracellulari (ICL) (Figura 5) [7].

Figura 5. Struttura dei recettori cannabinoidi.

Il recettore CB1 fu scoperto alla fine degli anni ‘80 e successivamente riprodotto nel 1990 sulla base della sua risposta al Δ9-THC. Nell’uomo il CB1R è codificato dal gene CNR1, localizzato nel cromosoma umano 6q 14-15, ed è composto da 472 aminoacidi. Sono state identificate due isoforme del sottotipo recettoriale CB con il dominio N-terminale più corto: il CB1a è caratterizzato da una catena amminoacidica più lunga ed è maggiormente espresso a livello del cervello e del muscolo scheletrico, mentre il CB1b

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(con delezione di 33 aminoacidi nella parte N-terminale) è espresso nel fegato e nelle cellule delle isole pancreatiche.

Il recettore CB2 invece fu isolato nel 1993 usando una strategia, basata sulla PCR, pensata per isolare i GPCRs nelle cellule mieloidi differenziate. Il CB2 è codificato dal gene CNR2, localizzato nel cromosoma 1p36, e nell’uomo è costituito da 360 aminoacidi. Il CB2 condivide il 44% della struttura amminoacidica con il CB1, presenta quindi un profilo di binding simile anche se mantiene alcune differenze. Nell’uomo sono state identificate due isoforme del CB2, una delle quali è maggiormente espressa nel testicolo e in minor percentuale nel cervello, mentre l’altra è espressa principalmente nella milza. Di entrambi i recettori sono inoltre stati scoperti diversi polimorfismi [8].

Il recettore CB1 fu scoperto per la prima volta nel cervello. Usando tecniche immunochimiche, di autoradiografia e di ibridazione in situ è stato poi dimostrato essere il recettore della famiglia dei GPCRs più presente al livello del cervello umano. Tra le aree con la maggior espressione di CB1 troviamo il cervelletto, l’ippocampo, il bulbo olfattivo e le cellule del nucleo caudale. Una moderata presenza del recettore CB1 si può trovare nella corteccia cerebrale, nell’ipotalamo, nell’amigdala e nelle corna dorsali del midollo spinale mentre una bassa presenza può essere riscontrata nelle corna ventrali del midollo spinale e nel talamo [12].Il CB1 è abbondantemente espresso anche nel sistema nervoso periferico oltre che in altri tessuti del corpo come il tratto gastrointestinale o il sistema cardiovascolare (Figura 6) [9].

Il recettore CB2 fu invece scoperto nei macrofagi della milza. Diversi studi hanno dimostrato la sua maggiore espressione a livello periferico, in particolar modo in organi con funzione immunitaria, quali macrofagi, milza, tonsille, timo e leucociti (Figura 6). Di conseguenza, ci sono numerose evidenze sperimentali a sostegno delle attività antinfiammatorie e immunosoppressive provocate dall’attivazione dei recettori CB2 a livello periferico. Seppur in misura minore, questo sottotipo recettoriale è stato rilevato anche in altri distretti, fra cui cuore, muscolatura liscia dei vasi, colon, pancreas, fegato, tessuto adiposo, osso e sistema riproduttivo (Figura 6). Recenti studi ne hanno rivelato la presenza anche nel sistema nervoso centrale, nonostante ad un livello molto inferiore al recettore CB1 [9]. E’ espresso infatti in piccole popolazioni di neuroni all’interno del tronco encefalico e del cervelletto. Un altro esempio di presenza del CB2 a livello centrale è dato dalle cellule della microglia, macrofagi con funzione protettiva nei confronti dei neuroni. Questi macrofagi non esprimono il recettore CB2 in un tessuto sano ma solo in caso di neuroinfiammazione. In caso di danno tissutale l’up-regolazione del recettore e la conseguente azione degli endocannabinoidi su di esso, regolano l’azione delle cellule della microglia incrementando la loro proliferazione ed il loro movimento e diminuendo il rilascio di molecole come i radicali liberi o il fattore di necrosi tumorale [42].Questo suggerisce che il CB2 possa costituire una vera e propria risposta endogena di tipo protettivo a condizioni potenzialmente dannose, tale da renderlo un possibile bersaglio farmacologico nel trattamento delle malattie neurodegenerative.

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Figura 6. Distribuzione dei CBRs nel corpo umano.

L’attivazione dei recettori CB1 e CB2 da parte dei ligandi endogeni ed esogeni provoca un ampio spettro di risposte biochimiche a livello cellulare. Entrambi i CBRs risultano accoppiati ad una proteina G inibitoria (Gi/o) (Figura 7). La loro attivazione inibisce

l’adenilato ciclasi provocando un abbassamento della concentrazione di cAMP all’interno della cellula [7]. Tuttavia, in alcuni casi, è stato riportato che il CB1 è in grado di attivare altri tipi di proteine G, a seconda del tipo di cellula e di ligando. I CB1 possono infatti legare anche delle proteine Gs/q eccitatorie, portando all’attivazione dell’adenilato ciclasi

tramite subunità Gβγ. Esso, infatti, può stimolare il cAMP accoppiandosi ad una proteina G stimolatoria (Gs) quando il recettore dopaminico di tipo 2 (D2R) è attivato simultaneamente in colture di neuroni del nucleo caudale o quando la Gi è bloccata dalla tossina della pertosse (PTX) in cellule CHO-K1 trasfettate oltre che in risposta ad un’alta concentrazione di un agonista forte dei CBR (WIN 55, 212-2) nelle cellule del globo pallido dei roditori. E’ stato inoltre dimostrato che la stessa concentrazione di WIN aumenta la concentrazione degli ioni calcio intracellulari tramite la proteina Gq/11 in cellule trasfette HEK-293 e in culture di neuroni dell’ippocampo con recettori endogeni espressi. Questo fenomeno viene riscontrato solo con l’uso di WIN ma non con altri agonisti dei recettori cannabinoidi.

Il CB1 inoltre modula l’azione di diversi canali ionici, inibendo i canali del potassio accoppiati a proteine G (GIRK), e quelli del calcio di tipo N nelle colture di neuroblastomi e nei neuroni dell’ippocampo e del cervelletto dei roditori. Recentemente è stato anche provato che il CB1 regola il flusso degli ioni calcio per ridurre il rilascio di acido γ-amminobutirrico (GABA) nelle cellule dell’ippocampo dei roditori tramite la modulazione dell’attività del canale del calcio di tipo N presinaptico. L’attività di altri canali del calcio, tra cui quelli di tipo R e di tipo P/Q, viene regolata negativamente dal recettore CB1 in vari sistemi. Studi precedenti hanno inoltre dimostrato che la via della

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fosfatidilinositolo 3-chinasi (IP3K/Akt), importante per la sopravvivenza delle cellule, è regolata positivamente dall’attivazione del recettore CB1 [9]. La stimolazione del CB1 porta anche alla fosforilazione e all’attivazione delle MAP-chinasi (mitogen-activated protein kinase) (Figura 7), come la p38 MAPK e la c-Jun N-terminal chinasi, le quali possono influenzare la trascrizione nucleare [10].

Figura 7. Principali via di trasmissione del segnale del recettore CB1.

Per quanto riguarda i CB2, la loro azione è sempre legata ad una proteina Gi/o, provocando dunque l’inibizione dell’adenilato ciclasi e riducendo così la concentrazione di cAMP cellulare. Analogamente ai CB1, la loro stimolazione attiva la via delle MAP-chinasi, specialmente la ERK e la p38 MAPK. Tuttavia, i CB2 non presentano un’attività al livello dei canali del K (GIRK) [11].

I GPCRs in generale, inclusi i CBRs, sono associati anche ad entrambe le isoforme di una proteina chiamata β-arrestina. È noto che la β-arrestina, oltre ad essere direttamente coinvolta nell’internalizzazione dei GPCRs, ha un ruolo attivo nell’attivazione di pathways intracellulari, quali la cascata delle chinasi regolate da segnali extracellulari (ERK1/2), e può partecipare alla regolazione della trascrizione genica a livello nucleare. Come accennato, sono due le β-arrestine rilevanti nella segnalazione mediata dai recettori CBRs: β-arrestina 1 e β-arrestina 2. Le chinasi dei GPCRs (GRKs) fosforilano il recettore dopo il suo legame con l’agonista e questa fosforilazione aumenta l’affinità del recettore per le arrestine, in corrispondenza del dominio C-terminale del recettore (Figura 8). E’ inoltre possibile che la fosforilazione, prima dell’attacco dell’arrestina, riesca ad ostacolare le interazioni recettore-proteina G. Le β-arrestine si legano ai domini del recettore che interagiscono solitamente con le proteine G, prevenendo la cascata di segnali mediata da queste ultime. Il legame della β-arrestina 2 ai CBRs causa desensibilizzazione

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e internalizzazione del recettore; la β-arrestina 1 funge invece da messaggero per il percorso di segnalazione che porta alla fosforilazione e all’attivazione della MAP chinasi extracellulare (ERK).

Figura 8. Interazione della β-arrestina-2 con i recettori CBRs.

1.3.2

Endocannabinoidi

I cannabinoidi endogeni o endocannabinoidi sono una classe di mediatori lipidici che attivi a livello dei recettori cannabinoidi. I principali endocannabinoidi sono l’anandamide (AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) (Figura 9), composti lipidici ω-6 derivati dell’acido arachidonico [13]. Altri endocannabinoidi sono l’N-arachidonoildopamina (NADA), il 2-arachidonoil-gliceril etere (2-AGE) e l’O-arachidonoil-etanolammina (virodamina) che mantengono la struttura ω-6 ed interagiscono con i CBRs anche se con efficacia e potenza minori. Altri composti lipidici ω-3 sono stati proposti come agonisti dei CBR e la cui azione è ancora oggetto di studio: l’N-eicosapentanoil-etanolammina (EPEA) e l’N-docosaesanoil-etalonnamina (DHEA) [43].

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Figura 9. Struttura dell’anandamide e del 2-AG.

L’anandamide (AEA), il primo endocannabinoide scoperto, fu isolato nel 1992 poco dopo l’identificazione dei recettori CB1. Per quanto riguarda la sua distribuzione tissutale possiamo dire che risulta molto simile a quella del CB1: infatti questo mediatore si trova largamente distribuito nell’ippocampo e nel cervelletto, mentre bassi livelli sono presenti nella milza e nel tessuto cardiaco. E’ un modulatore di diverse funzioni fisiologiche non solo del sistema nervoso centrale ma anche del sistema immunitario, del tratto gastrointestinale, del sistema endocrino e dell’apparato riproduttore. L’AEA può poi indurre analgesia, controllare l’attività motoria, stimolare l’appetito e indurre l’ipotermia oltre ad avere effetto come antiemetico [15]. E’ stata poi riportata anche la sua attività come fattore di anti-proliferazione cellulare, ad esempio sulle cellule cancerose della cervice uterina [16]. L’AEA è un agonista parziale di entrambi i recettori cannabinoidi CB1 e CB2 anche se presenta per quest’ultimo un’affinità molto ridotta. E’ stato poi dimostrata la sua affinità verso altri bersagli molecolari: il recettore vanilloide 1 (TRPV1) e la classe dei recettori attivati da proliferatori perossisomiali (PPAR) [14,17].

Il 2-arachidonoil-glicerolo fu isolato per la prima volta nell’intestino canino nel 1993. Presenta un’attività di agonismo totale per entrambi i recettori CB1 e CB2 con un’affinità da bassa a moderata [14]. Come evidenziato da Panikashvili et al., dopo una lesione al cervello del topo i livelli di 2-AG sono risultati circa 170 più alti rispetto a quelli dell’AEA. Inoltre, una somministrazione di derivati sintetici del 2-AG hanno mostrato una riduzione dell’edema cerebrale, un miglioramento nel recupero clinico e una riduzione nella morte cellulare, confermando l’ipotesi di 2-AG come agente neuroprotettivo. L’attivazione dei recettori da parte del 2-AG è associata inoltre a processi infiammatori, alla stimolazione dell’appetito, all’apprendimento ed alla memoria, alla funzione motoria, alla sensazione di ansia e stress, al controllo dell’umore ed alla sensazione nocicettiva [18].

L’AEA e il 2-AG vengono prodotti dall’organismo “su richiesta”, ovvero in risposta a stimoli quali l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare o la depolarizzazione della membrana cellulare. In questo modello la biosintesi ed il rilascio degli endocannabinoidi sono estremamente collegati tra loro: appena prodotti vengono rilasciati per svolgere le loro funzioni e poi immediatamente degradati. Essendo molecole lipidiche, infatti, gli endocannabinoidi non possono essere immagazzinati nelle vescicole sinaptiche, come invece accade per altri neurotrasmettitori, ma vengono sintetizzati all’occorrenza dai neuroni. Recenti studi hanno dimostrato che il 2-AG che presenta un

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tono basale più elevato rispetto all’AEA suggerendo quindi una correlazione meno marcata tra biosintesi e rilascio ed un eventuale presenza di riserve intracellulari di questo endocannabinoide anche in assenza di stimolazione [44,45].

Anandamide e 2-AG possono essere definiti “messaggeri retrogradi”. L’attività postsinaptica porta alla produzione degli endocannabinoidi che poi percorrono in senso contrario lo spazio sinaptico per andare ad agire sui CBR della cellula presinaptica inibendo il rilascio di neurotrasmettitore [19]. Questa ipotesi è supportata dal fatto che gli enzimi per la produzione degli endocannabinoidi sono localizzati a livello postsinaptico mentre i recettori come il CB1 sono presenti a livello presinaptico [14]. Altri studi hanno poi proposto un tipo di trasmissione non retrograda per gli endocannabinoidi. Hanno azione sui recettori TRPV1 e CB1 localizzati a livello postsinaptico oltre che sui CB1 presenti a livello degli astrociti delle cellule gliali che andranno poi a modulare il rilascio di neurotrasmettitore dalla cellula presinaptica tramite glutammato (Figura 10) [19].

Figura 10. Differenti meccanismi di trasmissione del segnale degli endocannabinoidi.

Nonostante le numerose analogie, i meccanismi di sintesi e di degradazione dell’AEA e del 2-AG utilizzano vie enzimatiche diverse (Figura 11,12,13).

La biosintesi dell’AEA avviene in due step (Figura 11). Nel primo step l’enzima NAT (N-acil-trasferasi), in risposta all’aumento di calcio intracellulare, catalizza il trasferimento dell’acido arachidonico dall’arachidonoil-fosfatidilcolina alla fosfatidiletanolammina. Si forma l’intermedio di reazione NAPE (N-arachidonoil-fosfatidiletanolammina) che viene poi trasformato in AEA da una fosfolipasi D specifica, la NAPE-PLD, un enzima che si trova nello strato interno della membrana cellulare e fa parte della famiglia delle β-metallo-lattasi. Sono state poi proposte altre vie biosintetiche per la formazione dell’anandamide. La NAPE può essere convertita in AEA tramite l’azione di una fosfolipasi C (PLC), che idrolizza la NAPE, e in seguito di una fosfatasi che rimuove il gruppo fosfato. L’AEA si può formare anche tramite l’azione di un’idrolasi specifica, l’ABH4, in grado di de-acetilare entrambi i gruppi della NAPE. Si forma così un intermedio, la glicerofosfo-anandamide, che viene poi idrolizzata da una fosfodiesterasi [13,14,20,21].

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Figura 11. Biosintesi dell’anandamide.

Anche la sintesi del 2-AG avviene in due step (Figura 12). Nel primo step, una fosfolipasi C (PLC) idrolizza il fosfatidilinositolo, un lipide costituente la membrana cellulare, a 1,2-diacilglicerolo (DAG) che viene idrolizzato a sua volta nel secondo step dalla diacilglicerolo-lipasi (DAGL). Una via biosintetica alternativa può avvenire tramite la formazione di un intermedio, il lisofosfatidilinositolo, per azione della fosfolipasi A1 (PLA1) sul fosfatidilinositolo. L’intermedio viene poi convertito a 2-AG da una lisofosfolipasi C (lyso-PLC). Comparata con la via principale però questa via alternativa ha una rilevanza nella formazione degli endocannabinoidi meno chiara [14,20,2].

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La rimozione di AEA e 2-AG dal vallo sinaptico avviene rapidamente attraverso un processo di ricaptazione selettivo grazie ad un trasportatore transmembrana saturabile (EMT). Una volta nella cellula, gli endocannabinoidi vengono degradati a molecole che possono essere riciclate per formare altri eCBs o composti endogeni (es. acido arachidonico) oppure convertiti in metaboliti con attività biologica. Questi processi avvengono all’interno della cellula [14].

L’enzima principale coinvolto nella degradazione dell’anandamide in AA ed etanolammina è l’ammide idrolasi degli acidi grassi 1 (FAAH-1), un enzima che si trova nella membrana cellulare ed è ampiamente espresso a livello del sistema nervoso centrale. Un altro enzima in grado di degradare l’AEA è l’ammide idrolasi degli acidi grassi 2 (FAAH-2) che, nonostante appartenga alla stessa famiglia della FAAH-1, condivide con essa una limitata sequenza genetica (circa il 20%). La FAAH-2 inoltre è maggiormente espressa a livello di alcuni tessuti periferici come il fegato mentre è poco presente nel sistema nervoso centrale [23]. Una particolarità di entrambe la FAAH è la loro triade catalitica Ser-Ser-Lys. Il meccanismo di catalisi di questi enzimi prevede la formazione di un intermedio tetraedrico derivato dall’attacco nucleofilo della Ser241 del gruppo catalitico al gruppo carbonilico del substrato. L’intermedio tetraedrico poi collassa rilasciando l’ammide e il derivato acilico legato all’enzima che viene in seguito liberato grazie all’intervento dell’acqua. In questo modo viene rilasciato l’acido grasso e si riforma l’enzima attivo [24]. Un enzima che degrada l’AEA negli stessi metaboliti formati dall’azione della FAAH è l’amidasi acida idrolizzante l’N-aciletanolammina (NAAA), la quale è presente all’interno dei lisosomi della cellula e non fa parte della famiglia delle serine idrolasi [23].

Per quanto riguarda il 2-AG, esso viene degradato principalmente dalla mono-acilglicerolo lipasi (MAGL), un enzima presente a livello del sistema nervoso centrale oltre che in diversi tessuti periferici come i reni, le ovaie, il tessuto adiposo o il cuore. E’ una proteina dimerica dalla caratteristiche anfitropiche, si trova quindi sia disperso nel citosol che come componente della membrana cellulare. Come altri enzimi della superfamiglia delle α/β idrolasi contiene una triade catalitica Ser-Asp-His. Il substrato riesce a raggiungere la triade catalitica grazie ad un tunnel idrofobico [25,26].

Un minor ruolo nella degradazione del 2-AG viene giocato da altre due idrolasi: l’ABHD-6 e l’ABHD-12. Essendo localizzati in porzioni intracellulari diverse rispetto alla MAGL questi enzimi sono probabilmente deputati alla degradazione di una differente via metabolica del 2-AG [23].

Entrambi gli endocannabinoidi, presentendo analogie strutturali con acidi grassi polinsaturi come l’acido arachidonico, sono anche un substrato per la ciclossigenasi-2 (COX-2). L’azione di questo enzima porta alla formazione di molecole con un importante azione biologica, le prostamidi. La COX-1 si è rilevata invece molto meno efficace nel degradare gli endocannabinoidi [14,23]. Altri enzimi coinvolti nel metabolismo degli endocannabinoidi sono le lipossigenasi (LOX) e i membri del sistema del citocromo P450 in maniera analoga a quella osservata per l’acido arachidonico. Tuttavia, uno studio condotto da Weber et al. nel 2004 suggerisce che queste vie metaboliche alternative possano entrare in gioco quando l’enzima principale FAAH è inibito.

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1.4

Applicazioni terapeutiche del sistema

endocannabinoide

Nonostante i derivati della Cannabis Sativa L. siano stati usati a scopo ricreativo e medicinale per centinaia di anni l’uso clinico ad essi associato è rimasto sempre di carattere empirico e limitato a poche patologie. La scoperta degli endocannabinoidi e dei recettori cannabinoidi CB1 e CB2 ha dato poi il via a numerosi studi riguardanti le potenzialità terapeutiche legate al sistema endocannabinoide (ECS). Questi studi hanno confermato il ruolo del sistema endocannabinoidi in una moltitudine di processi fisiologici all’interno dell’organismo umano sia a livello del sistema nervoso centrale e periferico che a livello dei tessuti periferici. La modulazione del ECS può quindi avere attività terapeutica nella maggioranza degli stati patologici tra cui obesità/disturbi del metabolismo, diabete, malattie neurodegenerative, infiammazione, dolore acuto e cronico, cancro, nausea e vomito indotti da chemioterapia, dermatiti e disturbi gastrointestinali (Figura 14) [46].

Figura 14: Esempi di patologie in cui i cannabinoidi hanno mostrato potenzialità

terapeutiche.

Il blocco farmacologico o l’asportazione delle sequenze geniche delle componenti dell’ECS hanno però mostrato effetti su animali sani pressoché nulli. Questo fatto suggerisce che, in un soggetto sano, il sistema endocannabinoide abbia un’attività basale nulla o molto ridotta. In soggetti con condizioni patologiche invece il ECS ha mostrato un’alterazione del tono basale, incrementando o abbassando l’espressione recettoriale, la presenza degli enzimi deputati alla degradazione degli endocannabinoidi o la loro biosintesi a seconda del tipo di danno tissutale [46].

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Uno dei più importanti usi terapeutici dei cannabinoidi è il trattamento del dolore. Studi preclinici hanno dimostrato che molecole agoniste dei CBR vanno a bloccare la sensazione dolorifica, sia in situazioni di dolore cronico o acuto, ed inoltre attenuano l’infiammazione. Questa azione è stata dimostrata sia da agonisti del CB1 che del CB2 che possono essere usati sia singolarmente oppure in combinazione [47]. Il CB1 è presente a tutti i livelli della via di trasmissione del dolore incluse le vie afferenti primarie, il midollo spinale e nei siti sovraspinali come il talamo o l’amigdala. La stimolazione del CB1 induce un blocco dei canali del calcio e una riduzione della concentrazione di cAMP mentre attiva i canali del potassi e la MAP kinasi. Queste azioni vanno a bloccare la neurotrasmissione del dolore sia a livello centrale che periferico. E’ stato inoltre dimostrato che gli agonisti del CB1, se applicati sistemicamente o localmente, vanno a ridurre l’iperalgesia in situazioni di dolore cronico o acuto [48].

Recentemente è stato dimostrano che gli agonisti del CB2 hanno un azione neuroprotettiva in quanto agiscono sulle cellule delle microglia del sistema nervoso. Il recettore CB2 è considerato estremamente importante nei circuiti del dolore del sistema nervoso centrale in quanto agonizzando tale recettore si ha un rilascio di dopamina nell’area mesencefalica che contribuisce al controllo della via discendente del dolore e all’effetto placebo [47].

L’azione neuroprotettiva dei cannabinoidi ha portato a ricerche sulle potenzialità terapeutiche del ECS nei confronti delle malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi multipla. Questa azione è data dalla propensione dei cannabinoidi a ridurre il danno neuronale andando ad inibire l’eccessiva trasmissione glutammatergica, il flusso prolungato di ioni calcio o alla riduzione dello stress ossidativo [50].

La distribuzione dei recettori cannabinoidi a livello dei circuiti deputati al controllo del comportamento emozionale nel cervello insieme all’azione psicotropa data dai derivati cannabinoidi hanno suggerito un ruolo del sistema endocannabinoidi nel trattamento di vari disordini mentali tra cui la schizofrenia ed il disturbo d’ansia generalizzata. Gli agonisti del CB1, tra cui il THC, possono produrre effetti psicotropi in soggetti sani o peggiorare i sintomi in soggetti già affetti da psicosi. Per questo motivi gli antagonisti del CB1 sono stati ipotizzati come possibile terapia per i sintomi della schizofrenia. I cannabinoidi inoltre hanno mostrato, a basso dosaggio, effetti ansiolitici, antidepressivi ed ipnotici sia in pazienti affetti da dolore cronico che in soggetti sani mentre a dosi più alte hanno causato disforia, ansia, psicosi e paranoia [51].

Diversi studi hanno inoltre attribuito ai recettori cannabinoidi un ruolo protettivo nei confronti del rischio cardiometabolico, dell’aterogenesi e dei danni ai cardiomiociti. L’attivazione del sistema endocannabinoide ha mostrato infatti un effetto vasodilatante sul sistema cardiovascolare. L’attivazione del recettore CB1 ha inoltre dimostrato di produrre una prolungata ipotensione. Il recettore CB2 è espresso nei cardiomiociti, nelle cellule dell’endotelio delle arterie coronarie e nelle cellule muscolari lisce. L’espressione del CB2 a livello cardiovascolare e in cellule del sistema immunitario quali leucociti e macrofaghi può essere coinvolta nel controllo dell’infiammazione di tali tessuti e avere un effetto protettivo in caso di patologie cardiovascolari. La modulazione del CB2 è quindi una promettente strategia nel trattare patologie come l’infarto, l’aterosclerosi e l’ictus cerebrale [52].

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I recettori cannabinoidi, in particolare il CB1, hanno un effetto regolatorio sulla pressione intraoculare. Gli endocannabinoidi ed il CB1 sono presenti a livello della retina ed esercitano verso di esse un effetto neuroprotettivo. I cannabinoidi inoltre aiutano a preservare la barriera sangue-retina in caso di retinopatia diabetica. L’uso dei derivati dei cannabinoidi può essere considerata una strategia valida sia nel trattamento del glaucoma sia di malattie oculari degenerative [51].

L’incremento dell’appetito è uno dei primi effetti riconosciuti dei derivati cannabinoidi. Studi più recenti ne hanno ricondotto l’azione alla stimolazione del recettore CB1. E’ stato infatti dimostrato che in cavie a cui era stato rimosso il gene codificante per il CB1 è stato osservato un importante decremento dell’appetito rispetto al gruppo di controllo. Queste ipotesi sono state anche confermate dal fatto che somministrando un antagonista del CB1 alle cavie mancanti il recettore non si è osservato nessun cambiamento nell’appetito, osservato invece somministrandolo alle cavie non modificate. L’uso di agonisti del CB1 può essere quindi usato in caso di perdita grave di peso, ad esempio in pazienti affetti da HIV, mentre l’uso di un antagonista può essere utile nel controllo di situazioni di peso eccessivo [51].

I derivati cannabinoidi sono usati nel trattamento del cancro in associazione con la chemioterapia in quanto riducono effetti collaterali quali vomito, nausea e perdita di peso anche se il loro uso è sempre limitato dall’azione psicoattiva ad essi associata. Diverse evidenze però hanno dimostrato che i cannabinoidi possiedono anche altre azioni non palliative interessanti per il trattamento del cancro [2]. Ad esempio l’anandamide ha dimostrato un azione anti-proliferativa nei confronti del cancro al seno andando a down-regolare l’espressione del recettore della prolattina, dei prodotti del gene brca1 e del recettore delle neutrofine trk tramite l’inibizione della fosfokinasi A. Nel cancro prostatico l’AEA inoltre va ad inibire la proliferazione cellulare mediata dal EGF (epithelial growth factor), l’espressione del recettore del EGF e la proliferazione delle LNCaP (cellule dell’adenocarcinoma prostatico) indotta dagli androgeni. Entrambe le azioni sul cancro al seno ed alla prostata dell’AEA sono mediata dalla sua azione sul recettore CB1 [48]. Studi sempre più numerosi hanno poi associato l’azione anti tumorale dei cannabinoidi ad un inibizione dell’angiogenesi tumorale. Un agonista CB2, il JWH-133,quando usato nel trattamento dei tumori gliali C6 e dei tumori derivati da astrocitomi di quarto grado ha infatti dimostrato di ridurre l’espressione di angiopoietina2, EGF e della metalloproteinasi matrice 2 (MMP), tre importanti fattori pro-angiogenetici che destabilizzano l’integrità dei vasi e ne facilitano la crescita, aumentano la crescita delle cellule endoteliali ed interferiscono con l’organizzazione della matrice extracellulare [49].

1.5

Modulatori allosterici dei recettori

cannabinoidi

Gli agonisti dei recettori cannabinoidi sono stati utilizzati con successo in diversi ambiti terapeutici. In commercio troviamo tre prodotti al momento: il Sativex ®, associazione di Δ9-THC e CD usato per il trattamento del dolore neuropatico in pazienti affetti da

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sclerosi multipla, il Marinol ® (dronabinol) ed il Cesamet ® (nabilone), formati da analoghi sintetici del Δ9-THC ed usati contro il vomito o la nausea provocati dalla chemioterapia o per stimolare l’appetito in pazienti affetti da AIDS. Gli agonisti dei CBR hanno inoltre mostrato un’azione terapeutica promettente nel trattare altre condizioni patologiche come il morbo di Alzheimer, i disturbi d’ansia generalizzata, la sindrome di Tourette, i disturbi gastrointestinali, la sclerosi amiotrofica laterale, l’ipertensione, il glaucoma, l’aterosclerosi e come inibitori dell’angiogenesi e della crescita tumorale [27]. Nonostante le ottime premesse gli agonisti dei CBR hanno presentato effetti collaterali che ne hanno limitato l’uso terapeutico. In particolare agli agonisti del CB1 sono stati associati effetti psicoattivi, forti alterazioni dell’umore, psicosi acute, discinesia ed indebolimento delle funzioni cognitive. Gli agonisti del CB2, al contrario, non producono un’azione psicoattiva ma solo alcuni di essi hanno raggiunto lo stadio di studio clinico probabilmente a causa della forte presenza dei CB2 nelle cellule immunitarie la cui attivazione potrebbe causare immunosoppressione [28]. Per queste ragioni negli ultimi anni la ricerca scientifica si è focalizzata su nuove strategie per lo sviluppo di nuovi ligandi più sicuri ed efficaci. Tra i nuovi approcci troviamo la sintesi di modulatori allosterici dei recettori cannabinoidi. Al contrario dei ligandi tradizionali, che si legano allo stesso sito recettoriale dei ligandi endogeni chiamato sito ortosterico, i modulatori allosterici interagiscono con una diversa porzione del recettore, il sito allosterico [29]. Una volta legati al recettore i modulatori allosterici inducono in esso un cambio conformazionale che si rifletterà a sua volta sull’affinità e/o sull’efficacia del ligando ortosterico per il recettore [30]. I modulatori allosterici sono caratterizzati dalla Kb, la costante di dissociazione, che indica l’affinità del ligando allosterico per il recettore in presenza di ligando ortosterico e dal fattore di cooperatività α che invece caratterizza la sua influenza sull’affinità di legame del ligando ortosterico per il suo recettore. Un fattore α maggiore ad 1 infatti definisce un AM che incrementa l’affinità del ligando ortosterico per il suo recettore mentre un α minore di 1 porta ad una diminuzione di tale affinità. Un α uguale a 10 indica quindi un AM in grado di incrementare di 10 volte l’affinità del ligando ortosterico per il suo recettore. Un AM in grado di influenzare non solo l’affinità del ligando ortosterico con il recettore ma anche la sua attività intrinseca presenterà ulteriori fattori di cooperatività, chiamati β, γ, δ etc., che definiscono il tipo di azione, positiva o negativa, e ne quantificano la portata [32,53].

Esistono quattro tipi di modulatori allosterici (Figura 15) [31]:

• Modulatori allosterici positivi (PAMs): aumentano l’attività del ligando ortosterico e/o la sua attività funzionale a livello del recettore

• Modulatori allosterici negativi (NAMs): al contrario dei PAM, inibiscono l’attività del ligando ortosterico e/o la sua attività funzionale a livello del recettore

• Ago-PAMs o allo-antagonists: composti capaci di espletare rispettivamente una funzione agonista o antagonista anche in assenza di ligando ortosterico

• Ligandi allosterici neutrali (NALs): non influenzano la risposta dovuta al ligando ortosterico ma possono competere con un PAM o un NAM al livello del sito recettoriale

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Figura 15: differenti effetti dei modulatori allosterici su un GPCR.

Rispetto ai ligandi ortosterici i modulatori allosterici offrono diversi vantaggi.

• Il sito allosterico dei GPCRs solitamente è meno protetto rispetto al sito ortosterico quindi il legame degli AM con il loro target è favorito [27].

• L’effetto degli AM è soggetto a saturazione recettoriale data la sua dipendenza dal ligando ortosterico [27]. La saturazione recettoriale non solo rende l’azione degli AM facilmente prevedibile ma riduce anche il rischio di una potenziale overdose [32].

• Presentano una maggiore selettività tissutale. Infatti il modulatore allosterico esplica la sua azione solo dove è presente anche il ligando ortosterico. Questo può essere un grande vantaggio in quanto i ligandi endogeni dei CBR, gli endocannabinoidi, vengono prodotti dall’organismo “su richiesta” in risposta a stimoli (es. infiammazione) in determinate zone. L’AM andrà ad agire solamente sulle zone stimolate al contrario di un agonista recettoriale che invece esplica la sua azione indistintamente [27].

• Presentano una maggiore specificità rispetto al sottotipo recettoriale.La sequenza amminoacidica dei siti allosterici varia maggiormente rispetto a quella dei siti ortosterici, che invece presentano grande omologia nella sequenza amminoacidica, rendendo quindi più facile la selettività verso un singolo sottotipo recettoriale [27].

• I modulatori allosterici vanno a stimolare la trasmissione del segnale in maniera pathway-dipendente e probe-dipendente. Lo stesso AM infatti può andare ad influenzare in vari modi vie di trasmissione del segnale differenti o mostrare un’azione intrinseca differente a seconda del ligando ortosterico presente sul recettore. Alcuni AM hanno anche dimostrato di stimolare vie di trasmissione del segnale uniche e non riproducibili con la sola presenza del ligando ortosterico. Mentre un’agonista recettoriale può suscitare effetti collaterali dovuti alla

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stimolazione di molteplici vie un AM può evitare il problema andando a regolare solo specifiche vie di trasmissione del segnale [27,32].

1.5.1

Modulatori allosterici del CB1:

Il recettore CB1 presenta uno o più siti di legame allosterici [32]. Tra i composti che si legano ai siti allosterici del CB1 troviamo:

ORG27569: composto sviluppato dalla Organon, è stato tra i primi AM del CB1 ad essere

studiato. Presenta una struttura indol-2-carbossammidica che include un biciclo arilico ed un frammento ammidico [32]. L’ORG27569 possiede un profilo farmacologico complesso: aumenta l’azione del CP55940, un agonista ortosterico del CB1, mentre diminuisce quella del SR141716A, un agonista inverso, suggerendo un ruolo come PAM, ma in numeroso test funzionali in vitro si comporta come un NAM andando a ridurre l’azione dell’agonista recettoriale [31,27]. Oltre all’ORG27560 esistono altre due molecole dalla struttura ed attività simile, l’ORG29647 e l’ORG27759 (Figura 16) [27].

Figura 16: strutture molecolari di ORG27569, ORG29647 E ORG27759

PSNCBAM-1: composto con struttura diaril-ureica (Figura 17) scoperto nel 2007 dalla

Prosidion Limited. Presenta anch’esso un profilo farmacologico complesso. Diversi test in vitro hanno dimostrato che la sua azione promuove il legame degli agonisti recettoriale con il CB1 ma ne inibisce poi la risposta funzionale. In analogia ad ORG27569 favorisce infatti il legame dell’agonista CP55940 mentre inibisce quello dell’agonista inverso SR141716A. Inoltre favorisce il legame di un altro agonista, WIN55212-2, azione che ORG27569 non ha mostrato. Nonostante queste attività suggeriscano un ruolo come PAM il PSNCBAM-1 ha anche mostrato un azione inibitoria nei confronti del legame della proteina GTPγS in presenza di CP55940 o AEA come ligando ortosterico. Inoltre è stato dimostrato che ad una concentrazione di 10μM il PSNCBAM-1 annulla completamente l’inibizione della produzione di cAMP indotta dal CP55940 e dall’AEA, azione che non è stata rilevata ad una concentrazione di 1μM [27,33].

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Figura 17: struttura molecolare del PSNCBAM-1.

Lipossina A4:

molecola endogena, è un derivato ossigenato dell’acido arachidonico coinvolto nella regolazione del sistema immunitario di cui sono ben conosciute le proprietà anti-infiammatorie (Figura 18) [29]. Non presenta affinità per il sito ortosterico del CB1 e non altera il metabolismo degli endocannabinoidi ma promuove l’affinità di legame dell’AEA per il CB1, potenziandone quindi l’azione sia in vivo che in vitro. Nei roditori ha inoltre mostrato un azione protettiva, legata alla sua interazione con il CB1, verso il danneggiamento della memoria spaziale indotto dalle β-amiloidi [34]. Recenti studi hanno poi dimostrato che in presenza di 2-AG come ligando ortosterico la lipossina A4 antagonizza la trasmissione del segnale del CB1, cosa che in assenza di 2-AG non è stata riscontrata. La molecola agisce come PAM quando il ligando ortosterico è l’AEA mentre quando questo è il 2-AG agisce come NAM [27].

Figura 18: struttura molecolare della lipossina A4.

Pregnenolone:

è un intermedio della sintesi degli steroli (Figura 19) di cui è stata recentemente dimostrata la sua azione come NAM. Legandosi ad un sito allosterico del CB1 il pregnenolone blocca l’attivazione di una ERK (chinasi regolata extracellularmente) e la riduzione dell’attività mitocondriale indotte dal Δ9-THC [35].

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ZCZ011:

molecola sintetica in grado di passare la barriera emato-encefalica riportata per la prima volta da Ignatowska-Jankowska et al. Agisce com PAM aumentando l’affinità di legame per il CB1 di agonisti come il CP55940 o il WIN55-212 mentre diminuisce l’affinità di legame di SR141716A, un agonista inverso. ZCZ011 inoltre aumenta l’efficacia dell’AEA nello stimolare il legame della GTPγS, nel reclutamento delle β-arrestine e nella fosforilazione delle ERK [27,36].

GAT211:

composto strutturalmente molto simile a ZCZ011 (figura 20). Presentando un centro chirale è una miscela di due enantiomeri R ed S isolati con la cromatografia a fluido supercritico [29]. GAT211 ha sia azione di PAM che di agonista allosterico. Esaminando i due enantiomeri si è attribuita l’azione di PAM a GAT229 (enantiomero S) mentre l’attività di agonista allosterico a GAT228 (enantiomero R) [31].

Figura 20: confronto tra le strutture molecolari di ZCZ011 (A), GAT211 (B) ed i suoi

enantiomeri (C,D).

Derivati del tropano:

uno studio ha identificato diversi inibitori selettivi del trasporto della dopamina come PAM del CB1 usando test basati sulla mobilizzazione del calcio. Questi derivati (RTI-370, RTI-371 e JHW007) (Figura 21) incrementano l’attività intrinseca del ligando allosterico CP55940 senza influenzarne la potenza d’azione. In assenza di ligando allosterico nessuno di questi composti ha mostrato un attività significativa sul CB1 [27,37].

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Figura 21: strutture molecolari dei derivati del tropano.

1.5.2

Modulatori allosterici del CB2:

Per il recettore CB2 è stato ipotizzato un sito allosterico posizionato nelle vicinanze del sito ortosterico (Figura 22). Secondo il modello di docking proposto da Feng Z. et al., nel 2014 [38] questa tasca sembra essere formata da residui conservati dei GPCRs tra cui Asn51, Val54, Leu76, Ala77, Ala79, Asp80, Ser120, Leu124, Trp258, Asn291, Ser292, Asn295, Asn296, and Tyr299. Grazie allo studio in questione è stato inoltre possibile identificare la presenza di un canale molto stretto per la presenza di un triptofano (Trp 258) che il sito ortosterico con il potenziale sito allosterico. Questo sito allosterico ha mostrato analogie con un altro sito allosterico recentemente scoperto in altri due GPCR, il recettore oppioide δ ed il recettore A2AAR, che presenta un’alta affinità per gli ioni Na+.

Basandoci sull’alta conservazione dei residui che costituiscono il sito allosterico del CB2 si può ipotizzare che anch’esso vada a legare gli ioni Na+, suggerendone l’azione come

modulatori dell’affinità dei ligandi ortosterici. Alcuni residui del sito allosterico del CB2 (Leu254 e Thr116) sono unici e non si riscontrano negli altri GPCRs e potrebbero essere responsabili della differente affinità di legame dei modulatori allosterici per il CB2 [38].

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28

Tra i modulatori allosterici del CB2 troviamo:

Pepcan-12:

dodecapeptide derivato dell’α-emoglobina (RVD-hemopressin; RVDPVNFKLLSH), nel 2012 è stato identificato come NAM del recettore CB1 (Figura 23) [27]. Studi più recenti hanno poi dimostrato che il Pepcan-12 ha anche azione come PAM del CB2. I livelli di Pepcan-12 sono alti nel fegato, nella milza e nel surrene, moderati nei reni e nei polmoni mentre nel cervello ne abbiamo una presenza limitata che suggerisce quindi un’azione a livello periferico. Test successivi hanno poi dimostrato che il Pepcan-12 aumenta il legame al recettore del CP55940 e WIN55212 e in vitro ha mostrato anche di incrementare l’attività del 2AG nel saggio funzionale GTPγS. In assenza di ligando ortosterico il Pepcan-12 non ha mostrato nessuna attività [39].

Figura 23: struttura molecolare del Pepcan-12.

CBD-DMH:

derivato sintetico del CBD dove la catena pentilica è stata sostituita con una catena dimeti-eptilica (Figura 24). Al contrario del CBD, che agisce sul CB2 come agonista parziale, il CBD-DMH è un modulatore allosterico. La sua attività allosterica sul CB2 differisce a seconda di quale via di trasmissione del segnale andiamo ad esaminare. Agisce come PAM per l’inibizione del cAMP mediata dal CP55940 mentre come NAM per il reclutamento della β-arrestina-1 [40].

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Figura 24: strutture molecolari del CBD (A) e del CBD-DMH (B).

Trans-β-cariofillene (TBC):

componente degli oli essenziali di diverse piante tra cui anche la Cannabis sativa, è una molecola sesquiterpenica che si trova solitamente come miscela insieme ai suoi isomeri, l’isocariofillene e l’α-umulene, e ai suoi derivati ossidati. Il TBC agisce come agonista selettivo del CB2 ma ha anche mostrato proprietà come ligando allosterico. Maheswari et al. hanno infatti riportato che il TBC è un NAM del recettore CB2 con una particolare azione di allo-antagonismo [41].

Acido diidro-gambogico (DHGA):

derivato dell’acido gambogico, ha mostrato proprietà come NAM del CB2 (Figura 25) [41].

Figura 25: strutture molecolari del TBC e dei due isomeri del DHGA che differiscono

tra di loro per la posizione dell’OH in 4.

EC21a:

molecola sintetica sviluppata da Gado et al. all’Università di Pisa, è il primo PAM del CB2 ad essere scoperto (Figura 26). [28]. Il suo comportamento allosterico è stato evidenziato inizialmente con saggi di binding a livello del CB2R in cui è stata evidenziata un’aumentata affinità di legame da parte dell’agonista ortosterico di riferimento [3H] CP55940. Successivamente i saggi funzionali GTPγS, cAMP e beta arrestina, hanno mostrato come EC21a fosse in grado di aumentare l’attività del CP55940 e, nel caso del GTPγS, anche dell’endocannabinoide 2-AG ma non dell’AEA. Gli stessi saggi funzionali sono stati svolti anche in assenza del ligando endogeno di riferimento e

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l’EC21a non ha mostrato alcuna attività, risultato in linea con la sua natura di puro PAM. E’ stato infine testato anche in vivo sia in un modello murino di dolore neuropatico rivelando una promettente azione antinocicettiva, che in un modello di epilessia mostrando una importante azione anticonvulsiva [54,55].

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Il sistema endocannabinoide (ECS) è un complesso sistema endogeno neuromodulatorio ad ampio raggio distribuito a livello del sistema nervoso centrale e periferico e in molteplici organi. E’ costituito dai recettori cannabinoidi (CBR) CB1 e CB2, entrambi appartenenti alla famiglia dei recettori accoppiati a proteine G (GPCRs), dai ligandi endogeni noti come endocannabinoidi (ECs) di cui i principali sono l’anandamide (AEA) e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), e dagli enzimi deputati alla biosintesi, al trasporto (FAAH, MAGL, ABHD6, ABHD12) ed alla degradazione (EMT) degli endocannabinoidi [8]. Mentre il recettore CB1 è maggiormente espresso a livello del sistema nervoso centrale, il recettore CB2 è principalmente espresso nelle cellule associate al sistema immunitario, dove modula la migrazione cellulare e il rilascio di citochine, moderatamente a livello periferico e in misura minore anche nel SNC, soprattutto nella microglia [11,16]. Data la sua ampia espressione il sistema endocannabinoide è coinvolto nella regolazione di numerosi processi fisiologici. La modulazione dell’ECS si è rivelata quindi una strategia promettente nel trattare patologie tra cui malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer, sclerosi multipla e morbo di Parkinson), infiammazione, dolore acuto e cronico, cancro, nausea e vomito indotti da chemioterapia, dermatiti, disturbi gastrointestinali e aterosclerosi [54]. Questa ampia distribuzione dei CBR e il loro coinvolgimento in numerosi processi fisiologici ha incoraggiato negli anni la ricerca verso l’identificazione e la caratterizzazione farmacologica di ligandi ortosterici dei CBR, come potenziali farmaci per il trattamento di diverse patologie. Nonostante queste ottime premesse ad oggi solo poche molecole di questo tipo hanno ottenuto l’approvazione normativa per determinate indicazioni in quanto presentano numerosi effetti collaterali tra cui effetti psicoattivi, ansia, depressione o immunodepressione, che hanno inevitabilmente limitato lo sviluppo clinico di nuovi potenziali farmaci.

Al fine di ovviare a questi effetti collaterali, negli ultimi anni sono stati sviluppati approcci alternativi di modulazione dell’ECS, tra i quali è da annoverare la modulazione allosterica. I modulatori allosterici sono molecole capaci di legare siti topograficamente e strutturalmente distinti dal sito ortosterico, a livello del quale inducono una modificazione conformazionale che si rifletterà a sua volta sull’affinità e/o sull’efficacia del ligando ortosterico per il recettore [33,34]. I modulatori allosterici possono essere classificati in: modulatori allosterici positivi (PAM) e modulatori allosterici negativi (NAM), la cui azione rispettivamente potenzia o inibisce la funzione recettoriale in presenza del ligando ortosterico, e modulatori allosterici neutri (NAL), composti che si legano al sito allosterico del recettore senza influenzarne l’attività. Si definiscono invece allo-agonisti ed allo-antagonisti quei composti che, legandosi al sito allosterico, rispettivamente aumentano o inibiscono l’attività del recettore in assenza di ligando ortosterico [35]. I modulatori allosterici offrono diversi vantaggi rispetto ai ligandi ortosterici: maggiore specificità per il sottotipo recettoriale (la sequenza amminoacidica a livello dei siti allosterici risulta meno conservata); selettività tissutale (l’effetto si esplica solo dove sono presenti i ligandi endogeni); saturabilità dell’effetto; “signalling” preferenziale e “probe” -dipendenza, ovvero la capacità di attivare selettivamente certe vie di segnale rispetto ad altre, anche a seconda del ligando ortosterico che interagisce con il recettore [31,36].

Nel laboratorio dove ho svolto la tesi è stato sintetizzato il primo PAM del recettore CB2, l’EC21a. Il suo comportamento allosterico è stato evidenziato inizialmente con saggi di binding a livello del recettore CB2 in cui è stata evidenziata un’aumentata affinità di

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legame da parte dell’agonista ortosterico di riferimento [3H] CP55940. Successivamente

i saggi funzionali GTPγS, cAMP e beta arrestina, hanno mostrato come EC21a fosse in grado di aumentare l’attività del CP55,940 e, nel caso del GTPγS, anche dell’endocannabinoide 2-AG ma non dell’AEA. Gli stessi saggi funzionali sono stati svolti anche in assenza del ligando endogeno di riferimento e l’EC21a non ha mostrato alcuna attività, risultato in linea con la sua natura di puro PAM. E’ stato infine testato anche in vivo sia in un modello murino di dolore neuropatico rivelando una promettente azione antinocicettiva, che in un modello di epilessia mostrando una importante azione anticonvulsiva [54,55].

Durante il mio periodo di tesi ho sintetizzato nuovi derivati dell’EC21a (composti A, Tabella 1) andando a modificare in particolare la posizione 4 dell’anello piridinico, per ampliare le conoscenze riguardo la struttura-attività (SAR) di questa classe di composti. Fino ad ora le uniche modifiche apportate in questa posizione sono state la sostituzione del metile con un gruppo ossidrilico o la sua eliminazione. In entrambi i casi i risultati erano stati negativi. Il mio lavoro di tesi si è quindi incentrato nel sostituire il metile con altri gruppi con differenti caratteristiche stereo-elettroniche ed in particolare il metile è stato sostituito con sostituenti aromatici, quali il fenile (A1) e il p-metossifenile (A2), un atomo di cloro (A3), e gruppi etereo (A4) ed ammino (A5) alchilici.

EC21a A1-A5 COMPOSTO

R

A1 A2 A3 A4 A5

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Tabella 1. Strutture dei composti A1-A5.

Lo Schema 1 riporta la via sintetica inizialmente progettata per la sintesi dei composti A1 e A2, aventi rispettivamente un fenile e un p-metossifenile in posizione 4.

Il composto di partenza 4-cloro-2-idrossi-3-nitro-piridina, commercialmente disponibile, è stato fatto reagire con benzilcloruro e Ag2CO3 in toluene a reflusso per 5 ore ottenendo

il benzilossi derivato 1 seguendo la procedura riportata in letteratura [56]. Il composto 1 è stato poi sottoposto ad una reazione di cross-coupling in presenza di acido fenil boronico, Ba(OH)2·8(H2O) e bis(trifenilfosfina)-palladio cloruro in H2O/DME a reflusso

per 5 ore, fornendo l’intermedio 2. Quest’ultimo è stato poi solubilizzato in CH2Cl2 e

trattato con acido trifluoroacetico in bagno di ghiaccio, lasciando reagire la miscela di reazione per 4 ore a temperatura ambiente ad ottenere l’intermedio 3 successivamente sottoposto ad una reazione di N-alchilazione. Ad una soluzione del derivato 3 in DME/DMF (4:1) sono stati aggiunti NaH al 60% a 0°C e, dopo 10 minuti, LiBr. La miscela di reazione è stata lasciata sotto agitazione magnetica a temperatura ambiente per circa 15 minuti, e successivamente è stato aggiunto il 4-fluoro-benzilcloruro ed il tutto è stato scaldato a 65°C e per 24 ore. Il derivato N-alchilato 4 ottenuto è stato poi sottoposto a una reazione di riduzione del gruppo nitro in EtOH/ H2O 2:1 in presenza di ferro in

polvere e cloruro d’ammonio a reflusso per 3 ore, per ottenere il derivato amminico 5. L’intermedio 5 è stato fatto reagire con il cloruro dell’acido cicloeptancarbossilico (precedentemente preparato in situ facendo reagire l’acido cicloeptancarbossilico con SOCl2, a 76°C per 3 ore), in presenza di NEt3, a temperatura ambiente per 48 h.

Sfortunatamente, la reazione non ha generato il composto desiderato 6, necessario alla sintesi dei composto finale A1, probabilmente a causa del forte ingombro sterico dovuto al sostituente introdotto in posizione 4.

Questa reazione per la formazione dell’ammide avrebbe avuto lo stesso esito anche per quanto riguarda il composto finale A2, in quanto il gruppo p-metossi fenile in posizione 4 presenta un ingombro sterico maggiore rispetto al gruppo fenilico del composto A1.

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Reagenti e condizioni: i) Benzil cloruro, Ag2CO3, Toluene, 110°C, 5h. ii) Acido fenil boronico,

Ba(OH)2·8(H2O), Pd(PPh3)2Cl2, H20/DME 1:1, 100°C, 5h. iii) TFA, CH2Cl2, r.t., 4h. iv) NaH 60%, LiBr,

DMF, DME, 4-fluro-benzilcloruro, 65°C, 24h. v) Fe, NH4Cl, EtOH/H2O 2:1, 80°C, 3h. vi) cloruro

dell’acido cicloeptancarbossilico, DMF, NEt3, t.a., 72h.

Schema 1. Via sintetica inizialmente proposta per la sintesi dei composti A1 e A2.

Conseguentemente, per la sintesi dei derivati A1 e A2, la via sintetica è stata modificata come riportato nello Schema 2 cercando di andare a diminuire il più possibile l’ingombro delle posizioni adiacenti al gruppo ammidico.

Il composto 7 è stato ottenuto tramite una reazione di N-alchilazione sul prodotto di partenza commercialmente disponibile, la cloro-2-idrossi-3-nitro-piridina, con 4-fluoro-benzilcloruro in presenza di NaH al 60% e LiBr in DME/DMF (4:1) a 65°C per 24h seguendo la procedura riportata precedentemente nello schema 1. Una volta ottenuto il derivato N-alchilato 7, questo è stato ridotto in corrispondenza del suo gruppo nitro (intermedio 8) in presenza di Fe e NH4Cl in H2O/EtOH (1:2) e, a seguire, sottoposto alla

reazione di formazione dell’ammide (intermedio 9), nelle stesse condizioni descritte in precedenza. Il derivato 9 ottenuto è stato poi fatto reagire con l’acido fenilboronico o con l’acido 4-metossi-fenilboronico seguendo le stesse condizioni riportate nello Schema 1, ottenendo così gli intermedi 6 e 10. Quest’ultimi sono stati poi sottoposti a una reazione

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di bromurazione sulla posizione 5 in presenza di una soluzione di Br2 in cloroformio a

temperatura ambiente per 12 ore ottenendo rispettivamente i composti finali A1 e A2.

Reagenti e condizioni: i) NaH 60%, LiBr, DMF, DME, 4-fluro-benzilcloruro, 65°C, 24h. ii) Fe, NH4Cl,

EtOH/H2O 2:1, 80°C, 3h. iii) cloruro dell’acido cicloeptancarbossilico, DMF, NEt3, t.a., 72h. iv) Acido fenil boronico, Ba(OH)2·8(H2O), Pd(PPh3)2Cl2, H20/DME 1:1, 100°C, 5h. v) Acido 4-metossi-fenil

boronico, Ba(OH)2·8(H2O), Pd(PPh3)2Cl2, H20/DME 1:1, 100°C, 5h. vi) Br2, CHCl3, t.a., 12h.

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Reagenti e condizioni: i) Br2, CHCl3, t.a., 24h. ii)BuOH, K2CO3, dry DMF, 100°C, 3h.

Schema 3. Procedura sintetica per ottenere il composto A3 e primo tentativo per

l’ottenimento del derivato A4.

Per quanto riguarda la sintesi del composto A3 (schema 3), essa è avvenuta sottoponendo direttamente il composto 9 ad una reazione di bromurazione sulla medesima posizione 5 seguendo le condizioni precedentemente descritte. Lo stesso intermedio 9 è stato utilizzato inizialmente anche per la sintesi dei composto A4, facendolo reagire con butanolo e K2CO3 in DMF in fiala a 100°C per 3 ore. La reazione non ha portato però

all’intermedio 11 desiderato, necessario per la sintesi del composto finale A4. L’ingombro sterico del gruppo ammidico ha probabilmente impedito l’introduzione del sostituente alchil-etereo in posizione 4.

Alternativamente, abbiamo dunque seguito una via di sintesi differente, illustrata nello Schema 4. La nuova via sintetica ha previsto la formazione dell’etere in posizione 4 direttamente sull’intermedio intermedio 7 N-alchilato, nelle stesse condizioni descritte in precedenza. La reazione ha condotto all’ottenimento dell’etere derivato 12 che, successivamente è stato ridotto in corrispondenza del suo gruppo nitro (intermedio 13) e, a seguire, sottoposto a una reazione di formazione dell’ammide (intermedio 11), nelle stesse condizioni descritte nello Schema 1. Sfortunatamente, l’ultimo step della via sintetica, che consiste in una reazione di bromurazione sulla posizione 5 del core centrale, non ha portato all’ottenimento del composto finale desiderato A4, ma ad una miscela di reazione di difficile purificazione.

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Reagenti e condizioni: i) BuOH, K2CO3, dry DMF, 100°C, 3h. ii) Fe, NH4Cl, EtOH/H2O 2:1, 80°C, 3h.

iii) cloruro dell’acido cicloeptancarbossilico, DMF, NEt3, t.a., 72h. iv) Br2, CHCl3, t.a., 24h.

Schema 4. Secondo tentativo per l’ottenimento del derivato A4.

Per la sintesi del composto A5 è stata inizialmente seguita la via sintetica riportata nello Schema 5. Il composto di partenza 4-cloro-2-idrossi-3-nitro-piridina è stato fatto reagire in fiala con un eccesso di butilammina a 70°C per 3 ore, con lo scopo di inserire il sostituente alchil-amminico in posizione 4 dell’anello centrale. Il composto 14 formatosi è stato sottoposto a una reazione di N-alchilazione in presenza di NaH 60%, LiBr e 4-fluoro-benzilcloruro, come descritto in precedenza, portando così all’intermedio 15. sfortunatamente la reazione di riduzione del gruppo NO2 del composto 15 condotta in

presenza di ferro e cloruro d’ammonio, non ha generato il derivato 16 desiderato, necessario alla sintesi del composto finale A5.

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Reagenti e condizioni: i) BuNH2, 70°C, 3h. ii) NaH 60%, LiBr, DMF, DME, 4-fluro-benzilcloruro, 65°C,

24h. iii) Fe, NH4Cl, EtOH/H2O 2:1, 80°C, 3h. iv) cloruro dell’acido cicloeptancarbossilico, DMF, NEt3,

t.a., 72h. v) Br2, CHCl3, t.a., 24h.

Schema 5. Primo tentativo per l’ottenimento del composto A5.

Per l’ottenimento del composto A5 è stata quindi tentata una via sintetica differente, come riportato nello Schema 6. Il composto 9 (descritto nello Schema 2) è stato fatto reagire con un eccesso di butilammina in fiala a 60°C per 24 ore, ottenendo il composto 17. L’intermedio 17 è stato poi fatto reagire con Br2 in cloroformio a temperatura ambiente

per 5 ore non generando però il composto finale desiderato 5-bromo sostituito A5. Un ulteriore tentativo di inserire il bromo in posizione 5 è stato eseguito facendo reagire il composto 17, solubilizzato in THF e portato a 0°C in bagno di ghiaccio, con NBS (N-bromo-succinimmide) per 45 minuti. Anche in questo caso però lo step di bromurazione non ha condotto all’ottenimento del composto desiderato A5.

Reagenti e condizioni: i) BuNH2, 60°C, 24h. ii) Br2, CHCl3, t.a., 5h. iii) NBS, THF, 0°C, 45 min.

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