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Space Debris: il problema dei rifiuti spaziali

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Academic year: 2021

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“Nella sala controllo dell’incrociatore tutte le teste sono chine sugli schermi. Le procedure di calcolo di propagazione orbitale per localizzare al meglio il satellite sono state verificate più volte: la precisione con cui accertare la posizione del velivolo spaziale è essenziale per gli scopi della missione. Quando gli indicatori annunceranno l’ingresso del satellite nell’area di visibilità dei sistemi radar della nave, anticipati dalla staffetta delle stazioni di rilevamento terrestri ad inseguire il bersaglio con le antenne puntate sull’orbita, il tempo a disposizione sarà minimo : il satellite resterà visibile per non più di pochi minuti ma saranno solo pochi secondi quelli disponibili per intercettarlo con un vettore lanciato dalla tolda della nave. Per questo le procedure di count-down e di lancio verranno eseguite in automatico. Il conto alla rovescia termina, mentre la nave effettua le manovre di stabilizzazione, con il rombo dei motori che si accendono e aumentano di intensità accompagnati dalle vibrazioni delle strutture. Dopo un volo di alcuni secondi lungo una traiettoria di intercettazione, il vettore colpisce alla quota stabilita il satellite che viene distrutto. I frammenti si spargono in aria mentre continuano a percorrere raggruppati l’orbita fin lì seguita, spinti dalle leggi di gravitazione. Il manufatto diventa così una nuvola di detriti che continueranno a girare fino a disperdersi verso il basso, frenati dall’aria rarefatta, e a cadere sulla superficie terrestre, bruciando nell’atmosfera i più. Qualcuno arriverà ancora consistente a terra e darà avvio a segnalazioni e procedure di ricerca e recupero.”

Così fan tutti

Quello che abbiamo appena descritto è lo scenario tipico di una missione ASAT (AntiSATellite) effettivamente svoltasi il 21 febbraio 2008 nell’Oceano Pacifico dall’incrociatore USS Lake Erie che ha abbattuto con un SM-3 un satellite spia

americano denominato NroL-21, dichiarato fuori controllo, a 247 km di quota e che viaggiava a quasi 30.000 km orari. Qualche tempo prima, l’11 gennaio 2007, i cinesi fecero la stessa cosa con un loro satellite meteo, FENGYUN 1C, abbattuto dallo Xichang Space Centre (Fig. 2).

E’ evidente che questi interventi hanno una valenza anche militare, per la messa a punto cioè di strumenti e procedure operative di abbattimento di satelliti ostili sia da piattaforme mobili che da basi terrestri.

Altrettanto rilevante è però la problematica dei detriti disseminati dalle operazioni di distruzione in orbita. Ad esempio, sette giorni dopo l’abbattimento del Fengyun 1C, circa 2400 parti residue continuavano ad orbitare attorno alla Terra. In entrambi i casi sono state studiate le possibili conseguenze in termini di generazione di residui (da esplosione in un caso, da impatto nell’altro), caratterizzati dalla creazione di nuvole di particelle solide che proseguono sulla stessa orbita disperdendosi attorno ad essa ed aumentando la superficie trasversale in grado di interferire con la traiettoria di altri oggetti volanti.

Una simulazione specifica effettuata dagli USA nel periodo post-Fengyunmostra ad esempio i rischi di intersezione dei relitti con l’orbita della Stazione Spaziale Internazionale che, essendo destinata ad imbarcare astronauti, è sottoposta ad un elevatissimo rischio per le vite umane che si trovano ad abitarla (http://celestrak.com).

N°2 2008

GEOmedia

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di Michele Dussi

TERRA

E SP

AZIO

Il progressivo sviluppo delle attività spaziali genera, come effetto secondario, l’affollamento delle orbite terrestri da parte di satelliti e piattaforme spaziali che, a fine vita, diventano rifiuti parcheggiati in cielo in attesa di ricadere sul

pianeta. Il crescente numero (Fig. 1) di questi detriti spaziali (space debris) impone una cooperazione internazionale per trovare delle soluzioni a quella che, nei prossimi anni, potrebbe rivelarsi una seria minaccia, oltre che per gli astronauti, anche per chi sta a terra.

Figura 1 -Schema dell’andamento della crescita dei detriti (fonte: NASA)

Figura 2 - Modello relativo all’abbattimento del satellite FENGYUN 1C da parte del governo cinese (fonte: NASA)

Space

Debris:

il problema

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I detriti, questi sconosciuti Quando parliamo di detriti spaziali, trattiamo di parti di manufatti - in genere di tipo metallico ma comunque di materiali solidi - che a causa dell’energia cinetica accumulata, sono in grado di provocare un danno da urto nei confronti di un altro velivolo (satellite, stazione, aereo, aerostato, ecc.) o di cose e persone sulla superficie terrestre, se nel rientro essi non vengono consumati del tutto dall’attrito con l’atmosfera.

In generale l’insieme dei detriti può essere costituito da: velivoli orbitanti non più operativi, residui della volontaria distruzione in orbita (peraltro dichiaratamente effettuata per salvaguardare vite umane da impropri rientri) di veicoli fuori controllo o a fine vita, da residui di incidenti in volo - sia endogeni al veicolo sia provocati da urti con altri detriti. Possono essere caratterizzati anche per orbita di

appartenenza: bassa (fino a 2000 km di quota), media (intorno ai 20.000 km) e geostazionaria (36.000 km).

A seconda delle cause che li hanno originati, questi detriti possono avere dimensioni minime - dell’ordine del millimetro – ma essere comunque in grado di provocare, a causa dell’elevata energia cinetica, fori netti o microcrateri nelle paratie esterne dei velivoli, come più volte rilevato sulla ISS o su altri velivoli (Telescopio Spaziale Hubble nel 1997). A questi si affiancano innumerevoli particelle di dimensioni minori del millimetro, non rilevabili se non su base statistica. Vi sono poi detriti che possono arrivare a dimensioni di diversi decimetri e ad un peso di molti kg (serbatoi - di solito tra le componenti più robuste - o stadi di lanciatori – Fig. 3), o anche più per velivoli interi a fine vita (metri e tonnellate) ed essere tali da passare indenni o quasi attraverso l’atmosfera terrestre in una traiettoria di rientro. Si possono avere così reali problemi di sicurezza a terra per possibili incidenti di caduta di detriti. Problema non eludibile anche se la probabilità calcolata di rischio individuale alle persone per

singolo evento sia pari solo a 1 su 6x1013.

“Scrutate il cielo”

Molti certamente ricorderanno l’esortazione finale del film The Thing from Another World del 1951, una delle pellicole più rappresentative della paura di invasioni aliene, che inizia con la notizia della caduta di uno strano velivolo al Polo Nord. Nel nostro caso non di manufatti alieni si tratta ma di prodotti umani che comportano rischi per i loro stessi costruttori e che per questo richiedono lo svolgimento di un’azione continua di sorveglianza dei cieli.

Per far questo gli strumenti messi a punto nel corso del tempo, spaziano dai sistemi ottici molto sofisticati (come il telescopio a riflettore LMT – Liquid Mirror Telescope della NASA realizzato con una superficie di mercurio liquido posta in rotazione costante per ottenere una curvatura parabolica a specchio – Fig. 4) fino ai grandi sistemi radar di terra del tipo phased-array (come l’impianto francese GRAVES di tipo bistatico, con il trasmettitore lontano circa 400 km dal ricevitore.

Con siffatti strumenti, vengono condotte operazioni di monitoraggio continuo, sia da enti militari che civili, capaci di tenere sotto controllo l’insieme dei detriti orbitanti attorno alla Terra a fini di prevenzione. In particolare la NASA, attraverso il suo “Orbital Debris Program Office”, emette un report trimestrale sulla attività di monitoraggio dei detriti che, tra l’altro, riporta l’andamento della crescita numerica degli stessi nel tempo. La lettura di questi dati può però riservare qualche sorpresa. Infatti, la percezione che l’attività spaziale sia svolta nel vuoto e con pochi oggetti lanciati all’anno, può far pensare che gli oggetti in orbita siano rari e che tali rimarranno nel tempo, invece gli studi sulla progressiva crescita dei detriti e la loro rilevazione diretta mostrano che dal 1957 (lancio dello Sputnik 1) ad oggi abbiamo avuto una crescita che attesta un valore stimato di oltre 12.000 oggetti significativi (con dimensioni di almeno 10 cm) in orbita.

Un impegno anche italiano

Nel panorama del settore, l’ASI Agenzia Spaziale Italiana -oltre a collaborare alle iniziative internazionali, provvede a inventariare e monitorare tutti gli oggetti italiani presenti nello spazio, quale che sia il loro stato attuale, operativo o meno, intervenendo anche con le opportune azioni di de-orbiting a fine vita riguardo le proprie missioni (di particolare rilievo quella del satellite SAX nel 2002). Proprio in questo periodo, l’Agenzia ha organizzato un workshop che si terrà il 6 maggio sul tema dei detriti, per fare il punto della

situazione attraverso i contributi dei migliori esperti nazionali, per definire nuove linee di azione in ambito italiano e di cooperazione internazionale. D’altronde il tema - sia per le caratteristiche tecniche del problema sia per i vincoli finanziari connessi - richiede di aggregare ampi fronti di cooperazione sovranazionale per realizzare soluzioni integrate e/o interagenti, mettendo a sistema le diverse risorse nazionali del patrimonio tecnologico europeo, a suo volta integrato con la rete di sorveglianza del resto del mondo. In fin dei conti questo è un tema ad alta priorità per una scelta di cooperazione internazionale, legato com’è, in ultima analisi, al problema della sicurezza civile. E se non per la sicurezza, per cosa cooperare? E se non ora, quando?

N°2 2008

GEOmedia

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Figura 3 - Il serbatoio del vettore Delta2 caduto in SudAfrica nel 2000

Autore

MICHELEDUSSI

midussi@tin.it

Abstract

Space Debris: the space garbage problem The dramatic growth in space activities since 1957 has generated a large amount of “in-orbit garbage”, namely space-debris. Many of these are potentially dangerous for space vehicles and/or for the people on Earth. In an acceptable space security framework, a major role is reserved to cooperative space debris monitoring in order to prevent and to mitigate the effects of the problem.

Da sinistra a destra:

Figura 4 - Il Liquid Mirror Telescope della NASA (fonte: NASA)

Figura 5 – Il ricevitore del sistema radar francese GRAVES

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