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Gli altri siciliani: il poema sul Sacrificio di Isacco in caratteri ebraici

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(1)
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(3)

Dai pochi ai molti

Studi in onore di Roberto Antonelli

a cura di

Paolo Canettieri e Arianna Punzi

tomoii

(4)

Tutti i diritti riservati

Prima edizione: febbraio 2014 ISBN 9788867281367

viella

libreria editrice

via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it

Il volume è stato realizzato anche con il contributo della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Uni-versità di Roma La Sapienza

Redazione

Anatole Pierre Fuksas, Annalisa Landolfi, Gioia Paradisi, Roberto Rea, Eugenia Rigano, Gio-vanna Santini

(5)

tomoi

Paolo Canettieri, arianna Punzi

Premessa XIX

alberto abruzzese

Contro l’umanesimo e i suoi dispositivi 1

annamaria anniCChiariCo

La Biblis di Joan Roís de Corella

(introduzione, edizione critica, traduzione) 15

rossend arqués

Dante y Octavio Paz: poética moderna y erotismo 37

Valentina atturo

Languor carnis.

Echi di memoria salomonica nella fisiologia emozionale dei trovatori 49

anna maria babbi

«Je sui la pucele a la rose»: ancora sul Guillaume de Dole 79

sonia maura barillari

La «coppia d’Arimino» fra il Triumphus cupidinis e il Purgatorio di san Patrizio.

(Una ballata per Viola Novella dal codice Magliabechiano VII, 1078) 89

maria Carla battelli

Il karma e la letteratura: insegnare in India 115

Fabrizio beggiato, antoni rossell

(6)

Pietro g. beltrami

Il Manfredi di Jean de Meun

(esercizio di traduzione dal Roman de la Rose) 135

ViCenç beltrán, isabella tomassetti

Refrains ed estribillos: dalla citazione all’imitazione 145

Valentina berardini

«Praedicatio est manifesta et publica instructio morum et fidei…».

How did preachers act on the pulpit? 169

FranCesCa bernardini naPoletano

«Difficoltà di vita» e «ragioni dell’anima».

Lettere di Alfonso Gatto a Enrico Falqui 179

Fabio bertolo

Minima filologica:

quattro lettere inedite di Bruno Migliorini a Ettore Li Gotti 195

Valeria bertoluCCi Pizzorusso

«… non so che “Gentucca”»: analisi di Purgatorio XXIV, 37 199

simonetta bianChini

«Il mio tesoro» (Paradiso XVII, 121) 205

dominique billy

La Complainte de Geneviève de Brabant ou l’inconstance de la césure 215

Piero boitani

Identità europea e canoni letterari 231

Corrado bologna

Gli «eroi illustri» e il potere “illuminato” 241

massimo bonaFin

Rileggendo Les Vêpres de Tibert

(branche 12 del Roman de Renart) 261

luCiana borghi Cedrini, Walter meliga

La sezione delle tenzoni del canzoniere di Bernart Amoros 273

merCedes brea

Esquemas rimáticos y cantigas de refrán 289

margaret brose

Leopardi and the gendering of the sublime.

(7)

Furio brugnolo

Esercizi di commento al Dante lirico:

Ballata, i’ vòi che tu ritrovi Amore (Vita nuova, XII [5]) e

Tutti li miei penser’ parlan d’Amore (Vita nuova, XIII [6]) 307

giusePPina brunetti

Per un magnifico settenario 331

rosanna brusegan

Una crux della Passione di Ruggeri Apugliese: «bistartoti» 343

eugenio burgio

Achbaluch, «nella provincia del Cataio».

(Ramusio, I Viaggi di Messer Marco Polo, II 28, 6-7) 359

rosalba CamPra

Costumbre de Primavera 375

Paolo Canettieri

Politica e gioco alle origini della lirica romanza:

il conte di Poitiers, il principe di Blaia e altri cortesi 377

nadia Cannata, maddalena signorini

«Per trionfar o Cesare o poeta»:

la corona d’alloro e le insegne del poeta moderno 439

mario CaPaldo

Eine altrussische sagenhafte Erzählung über Attilas Tod 475

maria grazia CaPusso

Forme di intrattenimento dialogato:

la tenzone fittizia di Lanfranco Cigala (BdT 282, 4) 491

maria Careri

Una nuova traccia veneta di Folchetto di Marsiglia e Peire Vidal

(Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 89) 513

attilio CastelluCCi

La sovrapposizione semantica di morriña e saudade 521

simone Celani

A empresa fornecedora de mitos.

Un inedito di Fernando Pessoa tra ironia e mitopoiesi 535

maría luisa Cerrón Puga

¿Espía o traductor?

(8)

Paolo CherChi

Il rito della visita omaggio al maestro 563

Claudia Cieri Via

Qualche riflessione sull’ekphrasis nell’arte del tardo Quattrocento:

da Leon Battista Alberti ad Alfred Gell 581

Fabrizio Cigni

Il lai tristaniano Folie n’est pas vasselage e i suoi contesti

(con edizione del manoscritto braidense) 587

mariella Combi

Qualche riflessione antropologica: ri-mappare i sensi e le emozioni 597

anna maria ComPagna

Il sentimento tradotto: da Ausiàs March a Baltasar de Romaní 611

emma Condello

Gentil donsella, l’amourousou visou:

un nuovo testo poetico in margine alla scuola poetica siciliana? 627

silVia Conte

Il principiare del canto. Per una nuova edizione di Marcabru,

Al departir del brau tempier (BdT 293, 3) 637

Fabrizio Costantini

Su alcune rubriche del canzoniere Laurenziano:

paratesto, struttura, metrica 667

marCo Cursi, maurizio Fiorilla

Un ignoto codice trecentesco della Commedia di Dante 687

alFonso d’agostino

Gli occhi di Lisabetta (Decameron IV 5) 703

FranCo d’intino

Raccontare lo Zibaldone 721

silVia de laude

«Is Cardinal Roncalli still alive?».

Sull’edizione italiana di Mimesis di Erich Auerbach 733

gabriella de marCo

I luoghi del fare arte. L’atelier dell’artista

(9)

tullio de mauro

Dieci neosemie e neologismi d’autore 771

silVia de santis

La similitudo dantesca nelle illustrazioni di William Blake 775

gioVannella desideri

La guerra ’15-’18 di Cacciaguida (ancora su Fortuna in Dante) 793

roCCo distilo

Sguardi sul vocabolario trobadorico:

lessemi e rime (fra ansa, ensa e ilh, ilha) 809

Carlo donà

Marie de France, Alfredo e la scrittura dell’Esope 825

luCiano Formisano

«Dantis erat»: notula sul Fiore di Marin Sanudo 837

anatole Pierre Fuksas

La cobla tensonada e la “dama del torto” di Peire Rogier 843

massimiliano gaggero

L’épée brisée dans le Conte du Graal et ses Continuations 855

gaia gubbini

Amor de lonh: Jaufre Rudel, Agostino e la tradizione monastica 885

saVerio guida

Tremoleta.l Catalas (BdT 305, 16, v. 49) = Pons d’Ortafa? 893

tomoii

marCo inFurna

Ideali cavallereschi in Valpadana:

il Roman d’Hector et Hercule e l’Entrée d’Espagne 931

annalisa landolFi

La “finta innocenza” di Alberico.

Qualche nota sul prologo del Frammento su Alessandro 945

lino leonardi

(10)

moniCa longobardi

Una traducson per Guiraut Riquier 979

lorenzo mainini

Rusticus, civis aut philosophus.

Epistemi a confronto, modelli intellettuali e

una “memoria dantesca” nel de Summo bono di Lorenzo de’ Medici 991

mario manCini

«Qu’il fet bon de tout essaier» (Roman de la rose, v. 21521) 1015

Paolo maninChedda

Amore e politica: una variante del dualismo europeo 1031

luigi marinelli

Tra canone e molteplicità: letteratura e minoranze 1041

sabina marinetti

L’altra interpretazione di «voce» e «vello» 1057

Paolo matthiae

Materia epica preomerica nell’Anatolia hittita.

Il Canto della liberazione e la conquista di Ebla 1075

maria luisa meneghetti

Sordello, perché… Il nodo attanziale di Purgatorio VI (e VII-VIII) 1091

roberto merCuri

La morte del poeta 1103

Camilla miglio, domeniCo ingenito

Ḥāfez, Hammer e Goethe.

La forma ghazal: Weltliteratur e contemporaneità 1109

luisa miglio

Ernesto Monaci, Vincenzo Federici,

il Gabinetto di Paleografia e la Collezione manoscritta 1127

laura minerVini

Gli altri Siciliani: il poema sul Sacrificio di Isacco in caratteri ebraici 1139

mira moCan

Un cuore così illuminato.

Etica e armonia del canto nella poesia dei trovatori

(Bernart de Ventadorn, Marcabru, Raimbaut d’Aurenga) 1155

sonia netto salomão

Carlos Drummond de Andrade:

(11)

roberto niColai

Letteratura, generi letterari e canoni: alcune riflessioni 1197

teresa noCita

Loci critici della tradizione decameroniana 1205

sandro orlando

Un sonetto del Trecento su Bonifacio VIII 1211

mario Pagano

Un singolare testimone del Testament di Jean de Meun:

ms. Paris, B.N., fr. 12483 1221

gioia Paradisi

Materiali per una ricerca su Petrarca e le emozioni

(«spes seu cupiditas», «gaudium», «metus» e «dolor») 1239

niColò Pasero

L’amor cortese: modello, metafora, progetto 1263

rienzo Pellegrini

Pasolini traduttore di Georg Trakl 1271

silVano Peloso

Letteratura, filologia e complessità: il caso del Brasile 1289

gianFeliCe Peron

Realtà zoologica e tradizione letteraria: il “gatto padule” 1299

Vanda Perretta

Nostalgia di buone maniere 1315

marCo PiCCat

La novella dei tre pappagalli 1325

antonio Pioletti

Cercando quale Europa.

Appunti per un canone euromediterraneo 1335

mauro Ponzi

Goethe e gli “oggetti significativi” del cambiamento epocale 1347

norbertVon PrellWitz

Quando il canone dipende dai centimetri 1365

Carlo Pulsoni, antonio Ciaralli

Tra Italia e Spagna: il Petrarca postillato Esp. 38-8º

(12)

arianna Punzi

Quando il personaggio esce dal libro:

il caso di Galeotto signore delle isole lontane 1395

gioVanni ragone

L’occhio e il simulatore 1423

roberto rea

«Di paura il cor compunto»:

teologia della Paura nel prologo dell’Inferno 1433

eugenia rigano

Tra arte e scienza, la bellezza si fa meraviglia 1447

barbara ronChetti

Arte, scienza e tecnica fra immaginazione e realtà.

Alcune riflessioni attraverso le pagine di Velimir Chlebnikov 1467

luCiano rossi

Les Contes de Bretaigne

entre vanité (charmante) et eternité (précaire) 1491

gioVanna santini

«Or chanterai en plorant». Il pianto di Jehan de Neuville

per la morte dell’amata (Linker 145, 6) 1521

maria serena saPegno

«L’Italia dee cercar se stessa».

La Storia di De Sanctis tra essere e dover essere 1555

elisabetta sarmati

Metanovela, microficciones e racconti interpolati

in El desorden de tu nombre di Juan José Millás 1563

anna maria sCaiola

La passione triste della vergine. Atala di Chateaubriand 1575

emma sColes

«que al que mil extremos tiene / lo extremado le conviene»: il codice cortese fra virtuosismo stilistico

e rovesciamento parodico in un Juego de mandar cinquecentesco 1587

luigi seVeri

La resistenza della poesia:

(13)

emanuela sgambati

L’Ars poetica di Feofan Prokopovič fra teoria e prassi 1619

margherita sPamPinato beretta

La violenza verbale nel tardo Medioevo italiano:

analisi di corpora documentari 1629

giorgio stabile

Favourite Poet.

Alma-Tadema e una promessa in codice per Roberto Antonelli 1647

Justin steinberg

Dante e le leggi dell’infamia 1651

Carla subrizi

«Cercando l’Europa» nel 1945:

dolore e follia nei disegni di Antonin Artaud 1661

giusePPe taVani

Codici, testi, edizioni 1673

steFano tortorella

Archi di Costantino a Roma 1703

luisa Valmarin

Una possibile lettura di Năpasta 1721

gisèle Vanhese

Imaginaire du voyage baudelairien et mallarméen

dans Asfinţit marin et Ulise de Lucian Blaga 1733

alberto VarVaro

Considerazioni sulla storia della Filologia Romanza in Italia 1747

sergio Vatteroni

«Il mistero del nome».

Sull’essenza della poesia nel giovane Pasolini 1751

riCCardo Viel

La tenzone tra Re Riccardo e il Delfino d’Alvernia:

liriche d’oc e d’oïl a contatto 1761

Claudia Villa

Un oracolo e una ragazza:

(14)

maurizio Virdis

Un Medioevo trasposto: il Perceval di Eric Rohmer.

Dalla scrittura letteraria alla rappresentazione cinematografica 1799

hayden White

History and Literature 1811

Claudio zambianChi

Marionette o dei: qualche riflessione su un saggio di Kleist 1817

Carmelo zilli

Su un “errore d’autore” nel Poemetto di Lelio Manfredi 1829

(15)

Nel 1994 Giuseppe Sermoneta ha pubblicato, nella collana di testi dei secoli XIV e XV del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, l’edizione commen-tata di un gruppo di testi in caratteri ebraici, da lui giudicati, pur con qualche dubbio, di area siciliana e di epoca tardo-medievale.1 L’opera, intitolata Alfabetin, non ha

goduto dell’attenzione che pure avrebbe meritato, tanto in ambito ebraistico quanto in quello italianistico: ha pesato probabilmente il suo stato di incompiutezza (Sermo-neta è infatti scomparso senza poter terminare il lavoro), così come il (pre)giudizio, avanzato da alcuni specialisti, che il testo non potesse essere di origine siciliana, per la presunta arabofonia integrale degli ebrei dell’isola.2

Vorrei in queste pagine riproporre all’attenzione dei romanisti, e in particolare di Roberto Antonelli, cultore della poesia dei Siciliani, una delle composizioni più belle degli Alfabetin, quella relativa al Sacrificio di Isacco.

Sermoneta aveva scoperto il testo degli Alfabetin, che per comodità chiame-remo giudeo-siciliani, nel manoscritto Or. 11669 della British Library; si tratta di un siddur, cioè di un libro di preghiere, di piccole dimensioni, ascrivibile su base paleografica all’area italiano-meridionale o greco-bizantina. Il siddur fonde, non senza incongruenze, due fonti liturgiche diverse, per arrivare a coprire il ciclo delle preghiere quotidiane dell’intero anno; è possibile individuarvi tre mani, la seconda delle quali – responsabile delle carte degli Alfabetin (205r-214r) – databile alla fine del XIV o all’inizio del XV secolo.

1. G. Sermoneta, Alfabetin. Traduzione giudeo-siciliana in caratteri ebraici del servizio della

Pentecoste, Palermo 1994. Le informazioni relative al ms. (che avevo avuto modo di esaminare in

oc-casione della pubblicazione del libro) sono tratte dall’introduzione di Sermoneta, pp. xxxi-xxxiv. 2. Si vedano in particolare B. Rocco, Il Giudeo-arabo e il Siciliano nei secc. XII-XV: influssi

reciproci, in Atti del XXI Congresso internazionale di linguistica e filologia romanza, a c. di G.

Ruffi-no, Tübingen 1998, IV, pp. 539-546, alle pp. 539, 544; H. Bresc, Arabes de langue, Juifs de religion.

L’evolution du judaïsme sicilien dans l’environnement latin, XIIe-XVe siècle (2001), tr. it. Arabi per

lingua Ebrei per religione. L’evoluzione dell’ebraismo siciliano in ambiente latino dal XII al XV seco-lo, Messina 2001, p. 41. Esclude dal suo regesto gli ebraismi degli Alfabetin N. Bucaria, L’ebraico nel panorama linguistico della Sicilia medievale, in «Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici

Siciliani», 22 (2010), pp. 125-155, il che lascia pensare che propenda per un’origine extra-siciliana del testo. Tratta con cautela il problema Sh. Simonsohn, Between Scylla and Charibdis. The Jews of Sicily (2011), tr. it. Tra Scilla e Cariddi. Storia degli ebrei in Sicilia, Roma 2011, pp. 352-353, in una prospet-tiva molto più realistica di quella adottata da Rocco e Bresc.

(16)

Gli Alfabetin giudeo-siciliani traducono un gruppo di poemi in aramaico, le cui lettere iniziali formano un acrostico alfabetico e la cui composizione risalirebbe alla tarda antichità e andrebbe localizzata nella regione palestinese. Ispirati al testo bi-blico, questi poemi si basano su fonti orali o su tradizioni interpretative antiche, non sempre accolte nelle posteriori compilazioni di carattere esegetico o omiletico (Midraš); nelle comunità del mondo palestinese e bizantino prima della conquista araba, essi formavano parte della liturgia della Pentecoste (ebr. Ḥag ha-šavu’ot ‘fe-sta delle settimane’), che celebra la Promulgazione della Legge sul Monte Sinai (Es. 19-20). Gli Alfabetin aramaici sono stati trascritti in manoscritti liturgici di area fran-cese, tedesca e italiana fra il XII e il XV secolo – ad esempio nel celebre Maḥazor

Vitry (1100 ca.) – e sono associati alla lettura della parafrasi aramaica del testo

bibli-co (Targum). Nata in origine dall’obbligo di diffondere la bibli-comprensione delle Sacre Scritture, la lettura pubblica del Targum perde di senso una volta mutate le condizio-ni linguistiche degli ebrei e si conserva in Europa, durante il Medioevo, solo nelle celebrazioni della Pentecoste e del settimo giorno della Pasqua. In questa prospettiva si collocano le traduzioni giudeo-siciliane, che risentono evidentemente di quella corrente d’opinione, che in Italia annovera fra i suoi esponenti Yehudah ben Mošeh Romano (1292ca.-1340), favorevole all’uso del vernacolo (ebr. la‘az) nel rituale.3

La versione giudeo-siciliana ricalca abbastanza fedelmente la struttura dei testi aramaici, lasciando però cadere la corrispondenza di ogni strofa del componimento con una lettera dell’alfabeto ebraico. Dopo l’enunciazione del comandamento, la narrazione procede di solito con un monologo affidato al personaggio principale, per concludersi poi con le lodi del Signore e l’esaltazione delle sue opere. L’illustrazio-ne del comandamento è affidata a un episodio biblico, variamente amplificato: così, ad esempio, il primo («Io sono il Signore Iddio tuo») è associato alla storia dei tre giovani gettati nella fornace ardente (Dan. 3:12-30), il sesto («Non uccidere») alla fine di Yo’av, comandante di Davide (I Re 2:28-35). L’episodio destinato a illustrare il quinto comandamento («Onora tuo padre e tua madre») è il Sacrificio di Isacco (Gen. 22:1-19), in ebraico ‘Aqedah, letteralmente ‘legatura’, in riferimento all’azio-ne che precede l’offerta della vittima in olocausto.

La ‘Aqedah ha acquisito nel giudaismo il valore di esempio supremo di sacrifi-cio in obbedienza ai voleri divini e al tempo stesso di simbolo del martirio del popolo ebraico nei secoli; l’intenso processo di esegesi e amplificazione narrativa cui è stata sottoposta ha sviluppato temi e motivi estranei al testo originale, che hanno trovato spesso espressione nella poesia, in particolare quella di carattere penitenziale (ebr.

seliḥah). In questa forma, essa ha trovato posto nelle celebrazioni liturgiche del

Ca-3. Per queste rapide notazioni si vedano, oltre all’introduzione di Sermoneta, Alfabetin cit., pp. xiv-xxxix, I. Elbogen, Der jüdische Gottesdienst in seiner geschichtlichen Entwicklung (1913), tr. ingl. Jewish Liturgy. A Comprehensive History, a c. di R.P. Scheindlin, Philadephia-New York 1993, pp. 151-156, 182-183, 219-237, 271-285; M. Greenberg, A. Rubens, D. Kadosh, Decalogue (The Ten

Commandments), in Enciclopaedia Judaica, Jerusalem 1971, V, pp. 1435-1450; G. Tamani, La lettera-tura ebraica medievale (secoli X-XVIII), Brescia 2004, pp. 32-34. I riferimenti a libri, capitoli e versetti

biblici sono al testo ebraico, Torah Nevi’im Ketuvim. Biblia Hebraica Stuttgartensia, a c. di K. Elliger, W. Rudolph, Stuttgart 1987; le citazioni italiane provengono da Tanakh. La Bibbia ebraica. Pentateuco

(17)

podanno (ebr. Roš ha-Šanah) e del Giorno dell’Espiazione (ebr. Yom Kippur).4 Fra

le composizioni poetiche di età medievale dedicate alla ‘Aqedah spiccano quelle di Yehudah Ibn ‘Abbas (m. 1167), ‘Et ša‘are raṣon, e di ’Efra’im di Bonn (1132-1200),

’Et ’avotay ’ani mazkir, che condividono non pochi motivi con il nostro Alfabet

giudeo-siciliano.5 Il tratto più notevole è certo il ruolo attivo affidato, nelle une e

nell’altro, a Isacco, che si sostituisce a Abramo quale protagonista dell’azione: è lui che si rivolge al padre esortandolo a compiere il sacrificio (l. 10-11, 17-19), si rallegra di esser stato prescelto come vittima (l. 29-30), si preoccupa della corretta esecuzione del rito sacrificale (l. 26-28, 32-33),6 viene rassicurato dal Signore mosso

a pietà dalle preghiere degli angeli (l. 42-43).

Il testo che qui si presenta è quello dell’edizione Sermoneta,7 con qualche

modi-fica nella trascrizione, di cui si darà conto più avanti.

1. Populu

2. meu, figli de Israel, siati solliciti de unurari 3. lu patri toi e la mamma tua, perzò ca allongherainu 4. li iorni vostri supra la terra, chi lu Signuri

5. Deu vostru donanti a bbui.

6. Dissi Yiṣḥaq ad ’Avraham lu patri soi: – Cantu 7. è bbellu l’autaru chi murašti a mia, patri. Ailli, 8. štendi la manu tua e piglia lu curtellu toi, 9. menti ca eu prigu avanti lu Signuri meu. 10. Šcopri lu brazzu toi e cigni li lubbi toa, e si’ 11. comu omu chi feci li nozzi de lu figliu soi. Chistu

4. Per le leggende sviluppatesi intorno al Sacrificio di Isacco si veda L. Ginzberg, The Legends of

the Jews (1925), tr. it. Le leggende degli ebrei. II. Da Abramo a Giacobbe, a c. di E. Loewenthal,

Mila-no 1997, pp. 93-103, 269-274; Mila-nonché il magistrale studio di Sh. Spiegel, Me-agadot ha-akedah (1950), tr. ingl. The Last Trial. On the Legends and Lore of the Command to Abraham to Offer Isaac as a

Sacri-fice. The Akedah, a c. di J. Goldin, Woodstock (VT) 2007 [19691]. Celebre l’analisi stilistica del brano

biblico di E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur (1946), tr. it. Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino 1975 [19561], pp. 8-29. Per il ruolo della ‘Aqedah nella liturgia cfr. Elbogen, Jewish Liturgy cit., pp. 118-119, 183, 227; H.P. Salomon, “The Last Trial” in Hispanic Liturgy, in «Annuario di Studi Ebraici», s.n. (1968-1969), pp. 51-77.

5. I due poemi si possono leggere, in versione ebraica con traduzione inglese a fronte, in The

Penguin Book of Hebrew Verse, a c. di T. Carmi, New York 1981, pp. 357-359, 379-384. ‘Et ša‘are raṣon è cantato nel servizio del Capodanno delle comunità sefardite, e nella stessa funzione si trova, in

diversi rituali stampati fra il XVI e il XX secolo, la sua versione giudeo-spagnola, cfr. Salomon, “The

Last Trial” in Hispanic Liturgy cit.

6. Così va infatti inteso il verbo (in)cammarari (l. 26, 33), documentato in siciliano e in altri dialetti meridionali nel senso di ‘contaminare, guastare; mangiare grasso nei giorni di magro, etc.’, cfr. G. Rohlfs, Lexicon Graecanicum Italiae Inferioris. Etymologisches Wörterbuch der unteritalienischen

Gräzität, Tübingen 1964, pp. 204-205; G. Piccitto, Vocabolario siciliano, 5 voll., Palermo 1977-2002,

I, p. 534.

7. Sermoneta, Alfabetin cit., pp. 22-29. Si numerano le linee del componimento, diversamente dall’edizione Sermoneta, che riproduce fedelmente la disposizione del testo nelle carte del ms. Le parole integrate fra parentesi quadre sono ricostruzioni proposte da Sermoneta, sulla base del testo ara-maico, in punti dove il ms. era illegibile. Il testo è in caratteri ebraici vocalizzati; si tenga conto del fatto che, a eccezione di bb (e in altri Alfabetin anche dd) tutte le consonanti doppie sono congetturali.

(18)

12. è lu iornu chi esserainu dicenti ‘lu patri no

13. [appia]tiau supra lu figliu e lu figliu no s’indi ritindi.’ 14. Comu anderai e dirai a Sara la mamma mia, comu 15. tu parterai de mia ed anderai a la casa? – E basau 16. Yiṣḥaq ad ’Avraham lu patri soi e pregau ad issu 17. e cussì dissi ad issu: – Rantia lu sangu meu supra 18. lo dossu de lu autaru e ricogli la cìnnira mia

19. e portala a màmmama. La vita i la morti tutta a la manu 20. Sua, e laudu eu ad Issu ca cussì isceglisi a mia.

21. In[bia]tu tia, patri, ca esserainu dicenti

22. [chi esseraiu] eu [agnu de] olucaštu a lu Deu vivu. 23. [. . .] a supra li piatanzi toi, patri,

24. [. . .] ca nu appiat[i]a supra lu figliu soi. 25. Com[u . .] piglia lu curtellu toi e šcanna

26. a mia e no cammarari a mia. No sia a la manu tua 27. ca eu me retengu de tia, ca no de la manu tua retegnu 28. la perzuni mia. Perchì cangi? – dissi Yiṣḥaq ad ’Avraham 29. lu patri soi – Inbiatu mia ca asciaglisi a mia

30. lu Signuri de tuttu lu mundu. Pusi lu špiritu meu 31. supra l’autaru, ca comu escimu li doi cu [cori] 32. adinchitu. Lu curtillu acuta a tia, patri, p[rig]u 33. de tia chi no incammarari a mia. Li [occhi mei] 34. vidinu li ligna arriggati e lu focu allumatu a lu iornu 35. de lu qorban meu. Apri la vocca toa, patri, e fa’ 36. berakhah, ed audiraula eu e diciroiu amen. 37. Lu collu meu è štisu a tia, patri, e zo chi è 38. cumandatu a tia, patri, livati e fai. – Li[varu]si 39. li angili a pregari a lu Signuri loru: – Pregamu a Tia, 40. appiatiati supra lu zetellu. Li piatanzi de lu patri

41. nui ni arricordamu, omu chi mangiamu cun issu sali a la casa 42. sua. – Lu Potentissimu dissi ad issu: – No ti špagurari, 43. zetellu, ca Eu so lu ricattaturi che ricatteroiu a tia. – 44. Forti Illu lu Deu noštru, e forti so li operi

45. soi: no ci abi autru comu Issu e no chi assimigliasi 46. ad Issu.

Pur non essendo traduzione servile del testo aramaico, la versione giudeo-sici-liana ne riproduce alcuni tratti linguistici. Si segnalano in particolare:

l’uso del participio presente per il presente o il futuro indicativo («chi lu Signuri Deu vostru donanti a bbui», l. 4-5; «chistu è lu iornu chi esserainu dicenti», l.11-12»);

l’assenza della copula («la vita i la morti tutta a la manu Sua», l. 19-20; «forti Illu lu Deu noštru», l. 44);

la preferenza per il possessivo posposto («li iorni vostri», l. 4; «lu figliu soi», l. 11; «la cinnira mia», l. 18; «lu curtellu toi», l. 25, etc.);

– – –

(19)

la trasposizione letterale di preposizioni («l’autaru chi murašti a mia», l. 7; «pre-gu de tia», l. 33; «è štisu a tia», l. 37; «appiatiati supra lu zetellu», l. 40) ed espressioni idiomatiche («a la manu Sua», l. 19-20; «lu Deu vivu», l. 22); un calco sintattico («omu chi mangiamu cun issu sali a la casa sua», l. 41-42). Ancor più significativo è l’uso di un lessico appartenente alla tradizione dei volgarizzamenti giudeo-italiani, oggetto di numerosi studi di Sermoneta e dei suoi allievi. In sintesi, si può dire che la maggior parte delle traduzioni tradizionali della Bibbia e dei glossari biblici sia stata elaborata e utilizzata nell’ambito delle scuole ebraiche; nel tardo Medioevo, nell’Italia centrale si traducevano anche i rituali, a uso soprattutto delle donne. Il tesoro lessicale giudeo-italiano è dunque il prodotto di un metodo di traduzione impiegato nelle scuole delle comunità sparse per la penisola: si può perciò osservare un certo livello di continuità e omogeneità nella tradizione dell’insegnamento scolastico, che coinvolge gli ebrei di Roma come quelli delle re-gioni meridionali. Una volta che i traduttori (terpetatori) stabilivano la corrisponden-za fra una parola ebraica o aramaica e il suo equivalente romanzo – corrispondencorrisponden-za spesso radicata in una più antica tradizione, risalente alle versioni giudeo-latine della Bibbia – questa veniva trasposta nelle diverse varietà regionali giudeo-italiane.8

Nel poema del Sacrificio di Isacco si trovano vari lessemi appartenenti a tale tradizione; li elenco qui sotto, facendo seguire, al termine giudeo-siciliano, il suo equivalente nei testi giudeo-italiani dell’Italia Centrale e la forma ebraica e/o ara-maica corrispondente:

g.sic. adinchitu ‘pieno’ («cu cori adinchitu», l. 31-32), g.it. adenplito, ebr. aram.

šalem

g.sic. appiatiari ‘avere compassione’ («lu patri no [appia]tiau l. 12-13, «nu appiat[i]a supra lu figliu soi» l. 24, «appiatiati supra lu zetellu», l. 40), g.it.

piag-getare, piatare, ebr. aram. riḥem

g.sic. murari ‘costruire’ («l’autaru chi murašti a mia», l. 8), g.it. murare, ebr. aram. banah

g.sic. olucaštu ‘sacrificιο’ («olucaštu a lu Deu vivu», l. 22), g.it. casto, ebr. aram.

‘olah

g.sic. rantiari ‘spruzzare’ («rantia lu sangu meu», l. 17), g.it rentiare, ebr. aram.

zaraq (greco ραντίζω nei Settanta)

g.sic. ricattari ‘redimere’ («ricatteroiu a tia», l. 43), g.it. recattare, ebr. aram.

paraq, ga’al.9

Conformemente a tale tradizione, è piuttosto infrequente l’inserimento nel testo di termini ebraici e/o aramaici: abbiamo qui solo qorban ‘sacrificio’ («lu iornu de lu 8. Cfr. G. Sermoneta, Un volgarizzamento giudeo-italiano del Cantico dei Cantici, Firenze 1974, pp. 17-31; Id., Alfabetin cit., pp. lv-lxiii, e la bibliografia ivi riportata; M. Ryzhik, Lessico delle traduzioni

dei testi liturgici ebraici in dialetti giudaico italiani, in Prospettive nello studio del lessico italiano, a c. di

E. Cresti, Firenze 2008, pp. 165-172. Per quanto riguarda la tradizione giudeo-latina, ci si rifà ancora ai fon-damentali studi di D.S. Blondheim, riuniti nel volume Les parlers judéo-romans et la Vetus Latina. Étude

sur les rapport entre les traductions bibliques en langue romane des Juifs au moyen âge et les anciennes versions, Paris 1925. Ma l’intera questione andrebbe analizzata con dati e strumenti interpretativi nuovi.

9. Cfr. Sermoneta, Alfabetin cit., p. lxiii. – – – – – – – –

(20)

qorban meu», l. 34-35), berakhah ‘benedizione’ («e fa’ berakhah», l. 35-36), ’amen

‘così sia’ («e diciroiu ’amen», l. 36).

La lingua del poema corrisponde per vari aspetti al siciliano scritto del XIV e XV secolo, il quale presenta, come è noto, una forte variazione, attribuibile, oltre che a fattori diatopici e diastratici che in gran parte ci sfuggono, alle dinamiche di contatto fra il modello toscano e le forme locali. Fra le caratteristiche più rilevanti del nostro testo si segnala:

l’alternanza fra forme con vocalismo siciliano e romanzo comune, in sede to-nica e atona: cìnnira (l. 18), štisu (l. 37), ricattaturi (l. 43), Signuri (l. 4, 9, 39),

angili (39), olucaštu (l. 22), cumandatu (l. 38), curtellu (l. 25, con la variante

ipercaratterizzata curtillu [l. 32]), etc., ma feci (l. 11), vocca (l. 35), so ‘sono’ (l. 44), zetellu (l. 43), perzuni (l. 28), pregari (l. 39), arricordamu (l. 41),

Potentis-simu (l. 42), etc.; è riconducibile a influenza toscana la vocale tematica -e- per -a- nel futuro dei verbi di I: anderai (l. 14), allongherainu (l. 3), ricatteroiu (l.

43), etc.;

il betacismo, ossia la confluenza degli esiti di lat. B e V in un unico fonema, realizzato come fricativo in posizione debole e occlusivo in posizione forte, nelle forme a bbui (l. 5) e la vocca (l. 35); ma il fenomeno è reso più opaco dalla possibilità di notare la fricativa, oltre che con la lettera vav, anche con la bet semplice: così, probabilmente, vanno intese le forme abi (l. 45) e lu brazzu (l. 11), mentre in e basau (l. 15) ci si aspetterebbe bb- (ma l’omissione del dageš, cioè del segno di geminazione, è molto comune); cfr. anche le forme lu voi ‘il bue’, arrivelanu ‘ribellano’, abbucatu ‘difensore’, chi bbui, etc., in altri

Alfabe-tin (insieme alle più problematiche laboreriti, li beštii, e bui, etc.);10

la riduzione qua- > ca- in sillaba tonica: cantu (l. 6), e forme analoghe in

al-tri Alfabetin (candu, carta ‘quarta’), oltre a ca (l. 3, 9, 20, etc.) < qua < quia,

comune in siciliano e calabrese. Tale riduzione è documentata sporadicamente in varietà italoromanze in sillaba atona (abr. calungǝ, nap. carcosa, cal.

car-cuno, etc.) e più raramente in sillaba tonica (fior. volg. casi, cande, canti, nap. carche), ed è comune in sardo nelle forme cale, cando, cantu.11 Si trova anche

nei testi giudeo-salentini redatti a Corfù nel XVIII secolo (cali, candu, accanto 10. Per la situazione siciliana medievale cfr. A. Varvaro, Calabria meridionale e Sicilia, in

Le-xikon der Romanistichen Linguistik, ed. G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt, II/2, Die einzelnen ro-manischen Sprachen und Sprachgebiete vom Mittelalter bis zur Renaissance, Tübingen 1995, pp.

232-233; G. Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento, 2 voll., Palermo 2005, II, pp. 369-372; M. Barbato, La

lingua del ‘Rebellamentu’. Spoglio del Codice Spinelli (prima parte), in «Bollettino del Centro di Studi

Filologici e Linguistici Siciliani», 21 (2007), pp. 107-191, alle pp. 127-128.

11. Cfr. G. Rohlfs, Rohlfs, Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihren Mundarten (1949), tr. it. Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, 3 voll., Torino 1966-1969, I, § 163, p. 221; E. Lausberg, Romanische Sprachwissenschaft (1969), tr. it. Linguistica romanza, 2 voll., Milano 1976 (19711), I, § 347, pp. 293-294; A. Varvaro, Aree linguistiche XII. Sicilia, in Lexikon der Romanisti-chen Linguistik, IV, Italienisch, Korsisch, Sardisch, Tübingen 1988, pp. 716-713, alle pp. 720, 727; Id., Calabria meridionale e Sicilia cit., p. 233; R. Librandi, Calabria settentrionale e centrale, in Lexikon der Romanistichen Linguistik cit., IV, pp. 189-199, a p. 193; Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento cit.,

II, pp. 369-370; A. Ledgeway, Grammatica diacronica del napoletano, Tübingen 2009, p. 118.

(21)

quandu).12 Non si può escludere che ca- sia in questi casi una grafia per /kwa/,

così come per /kja/ o /ca/ (cfr. infra);13

l’assimilazione regressiva -mb- > -bb-, -ng- > -gg- nella forma lubbi < lumbi

‘lombi’ (l. 10), arriggati < arringati ‘allineati’ (l. 34), con riscontri in altri

Alfa-betin anche per i gruppi -mP- > -pp-, -nt- > -tt-, -nk- > -kk-, -ntJ- > -zz-

(cuppa-gnuni, muttagni, coccustai, tištimuniazzu, etc.). Forme analoghe nei documenti

giudeo-arabi di Palermo (XV secolo): quit[a]zzia, tistamettu, nonebbr[u] (o

novebbr[u]).14 Si tratta probabilmente di una reazione ultracorretta al fenomeno

della dissimilazione delle geminate tramite epentesi della nasale, documentato anch’esso nel testo nella forma inbiatu < bbiatu (l. 29), con vocale protetica d’appoggio, e in altre forme degli Alfabetin (menzu < mezzu, zànfino < zàffino ‘zaffiro’, congia ‘pioggia’). Cfr. anche le trascrizioni in caratteri greci (XI-XV secolo) ινβιάσιμυ < bbiasimu, λούββου < lumbu, ‘Ρουμβέρτου < Robbertu, χαγγέμης (e lat. changemus) < ar. ḥaǰǰām ‘barbiere’, etc., e le forme dei dialetti moderni sic. menzu, méntiri, suncursu, cal. m(i)enzu, sumportare, sal. somferto, etc. Le grafie medievali – la cui interpretazione sul piano fonetico è dubbia – sono da collegare ad ambienti grecofoni siciliani, calabresi e salentini, epicentro della crisi dell’opposizione fra consonanti semplici e geminate, propagatasi poi ai sistemi linguistici in contatto sul territorio;15

la reazione ipercorretta all’assimilazione -nd- > -nn- nella forma ritindi (l. 13)

< ritinni, se non si tratta di un lapsus calami dovuto alla prossimità di indi («lu figliu no s’indi ritindi» ‘il figlio non se ne ritrasse’; cfr. anche le forme del pre-sente dello stesso verbo, «eu me retengu de tia», l. 27, «no de la manu tua rete-gnu la perzuni mia», l. 27-28).16 Dell’assimilazione -nd- > -nn-, -mb- > -mm- ci

12. Cfr. G. Sermoneta, Testimonianze letterarie degli ebrei a Corfù, in «Medioevo Romanzo», 15 (1990), pp. 139-138, 407-437, alle pp. 148-149, 152, 165, 168, 414, etc.

13. Da notare la forma aucchi ‘acque’, in un altro Alfabet, e al sing. aucca nelle rubriche della ce-rimonia della cena pasquale, della stessa mano degli Alfabetin (cfr. Sermoneta, Alfabetin cit., p. xxxvii): paralleli in vari dialetti siciliani (cat.-sir. occa, niss. gocca, ocqua, nicos. eucqua, agr. ocqua, trap. occa, etc.) e dell’area mediana (march. mer. okkwa, abr. or. γocca), cfr. LEI III, 1, p. 427, 548, 549; Piccitto,

Vocabolario siciliano cit., III, p. 387.

14. A. Giuffrida, B. Rocco, Documenti giudeo-arabi nel sec. XV a Palermo, in «Studi magrebini», 8 (1976), pp. 53-110, alle pp. 77, 80, 87, 95, 101. Anche in questi testi non si distingue la consonante geminata dalla semplice, come negli Alfabetin (dove però, come si è detto, la lettera bet è spesso munita di segno diacritico, ebr. dageš): quindi, mentre la lettura di lubbi è inequivoca (cfr. Sermoneta, Alfabetin cit., p. lii), le altre forme potrebbero leggersi arigari, cupagnuni, mutagni, cocustai, tistametu, etc. La forma (a)rringari, costruita su rringa ‘linea, fila’, è di documentazione moderna (cfr. Piccitto,

Vocabo-lario siciliano cit., I, pp. 265 e IV, pp. 184-185).

15. Cfr. G. Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo 1983, pp. 78-79; Id., L’elemento

bizantino e arabo, in Tre millenni di storia linguistica della Sicilia, a c. di A. Quattordio Moreschini,

Pisa 1984, pp. 55-103, alle pp. 94-95; F. Fanciullo, Fra Oriente e Occidente. Per una storia linguistica

dell’Italia meridionale, Pisa 1996, pp. 32-39, 80-86; Α. Metcalfe, Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic Speakers and the End of Islam, London-New York 2003, pp. 171-172; A. De Angelis, Sulla riduzione dei nessi in nasale in ambiente greco-romanzo e il grafotipo <(ν)δδ>/<(ν)ττ>, in «Italia

Dialettale», 66-67 (2005-2006), pp. 29-47.

16. Nell’edizione di Sermoneta indirittindi (cfr. Alfabetin cit., pp. 24-25, 93-94); devo la proposta d’interpretare la forma come indi ritindi a Marcello Barbato, che molto ringrazio per questo e altri suggerimenti.

(22)

sono scarse tracce nella Sicilia medievale, ma è probabile che la pronuncia sia apparsa nell’isola a metà Trecento, proveniente dall’Italia centrale; solo nel Cin-quecento essa vi si afferma pienamente, soppiantando quasi ovunque le forme indigene con conservazione dei nessi consonantici;17

la palatalizzazione di s- preconsonantica nelle forme murašti (l. 7), štendi (l. 8), šcopri (l. 10), olucaštu (l. 22), šcanna (l. 25), špiritu (l. 30), štisu (l. 37),

špagurari (l. 42), noštru (l. 44), accanto a vostri (l. 4), vostru (l. 5), con forme

analoghe in altri Alfabetin (šperanza, chištu, šcavi, etc.). Si tratta di un feno-meno comune nel siciliano moderno, anche se non generale, e sentito come volgare; non si conosce la situazione di epoca medievale, non avendo i testi in caratteri latini grafie esplicite.18 Alle forme degli Alfabetin si possono accostare

t[i]št[a]ment[u] (Siracusa, XV sec.?) e maštru (Malta 1476), in testi arabi in

caratteri ebraici, nonché i numerosi casi di /ʃt/ < /st/ in testi giudeo-italiani di area mediana (paštori, noštro, quešto, amašti, etc.);19

lo sviluppo palatale del gruppo PL, tipico del siciliano, nella forma adinchitu (l. 32), mentre in cangi ‘piangi’ (l. 28) ca- va interpretata come una grafia per /kj/ (o /c/) che non si differenzia in alcun modo da quella per /k/; forme analoghe in altri Alfabetin: congia ‘pioggia’, cantu ‘pianto’, camatu ‘chiamato’ (< Cl-), etc.,

da accostarsi a quelle ant. sic. choia, chantu, changiri, chamari etc. L’occlusiva velare sarebbe in effetti un risultato del tutto anomalo dell’evoluzione di Cl e

PL nell’area romanza, dove le soluzioni più frequenti sono la conservazione e diverse forme di palatalizzazione;20

i pron. pers. di 2. e 3. sing. mia (l. 7, 26, 33, etc.) e tia (l. 21, 32, 43, etc.), sempre preceduti da preposizione (a mia, a tia, de tia); alla 3. sing. illu (l. 44) è sog-17. Cfr. A. Varvaro, Capitoli per la storia linguistica dell’Italia meridionale e della Sicilia. Gli esiti

di -ND-, -MB- (1979), in Id., Identità linguistiche e letterarie nell’Europa romanza, Roma 2004, pp.

180-195; Id., Ancora su -ND- in Sicilia (1980), ibid., pp. 196-198. Si vedano anche Rinaldi, Testi d’archivio del

Trecento cit., II, p. 386, e Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (prima parte) cit., pp. 138-139.

18. Cfr. Varvaro, Aree linguistiche XII. Sicilia cit., p. 720; Id., Calabria meridionale e Sicilia cit., p. 233; S.C. Trovato, La Sicilia, in I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, a c. di M. Cortelazzo, C. Marcato, N. De Blasi, G.P. Clivio, Torino 2002, pp. 834-897, a p. 841.

19. Cfr. D. Burgaretta, Un documento giudeo-arabo siciliano conservato a Siracusa, in «Italia», 16 (2004), pp. 7-39, alle pp. 17, 25; G. Wettinger, The Jews of Malta in the Late Middle Ages, Malta 1985, pp. 175, 177; M. Mancini, Sulla formazione dell’identità linguistica giudeo-romanesca tra tardo

Medioe-vo e Rinascimento, in «Roma nel Rinascimento», s.n. (1992), pp. 53-122, alle pp. 100, 105. Negli Alfabe-tin si usano in modo abbastanza sistematico le consonanti šin e samekh per indicare rispettivamente /ʃ/ e

/s/; nei testi giudeo-arabi la notazione è meno coerente, quindi i valori delle sibilanti sono più incerti. 20. Cfr. Lausberg, Linguistica romanza cit., §§ 340-343, pp. 288-290; Rohlfs, Grammatica

stori-ca della lingua italiana cit., §§ 179, 183, 186, 248, pp. 243-245, 247-249, 252-255, 349-352; Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento cit., pp. 380-382; Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (prima parte) cit.,

pp. 137-138. Per la dinamica fra evoluzione locale dei nessi -Pl-, -Cl-, -Fl-, conservazione e

accettazio-ne di soluzioni allogeaccettazio-ne, si veda l’analisi di A. Varvaro, La tendenza all’unificazioaccettazio-ne dalle origini alla

formazione di un italiano standard (1989), in Id., Identità linguistiche e letterarie nell’Europa romanza

cit., pp. 109-126, alle pp. 121-124; M. Barbato, ‘Turpiter barbarizant’. Gli esiti di cons. + L nei dialetti

italiani meridionali e in napoletano antico, in «Revue de Linguistique Romane», 69 (2005), pp.

405-435. La già citata forma šcavi mostra normale evoluzione siciliana del gruppo sCl-, mentre insebbla è

una variante di insembla, forma ben documentata, forse da considerare un gallicismo (cfr. Rinaldi, Testi

d’archivio del Trecento cit., pp. 380, 382).

(23)

getto, mentre issu (l. 16, 41, 45, etc.) è sempre complemento (ad issu, cun issu,

comu issu). Così anche negli altri Alfabetin, in cui si osserva anche l’uso di illi

(soggetto) e issi (complemento) come forme di 3. pl., con totale esclusione di

loru. Le forme mia e tia compaiono in siciliano nella prima metà del Trecento,

anche se la loro diffusione nei testi non è uniforme; la concorrenza fra issu e illu si risolve in epoca post-medievale a favore di quest’ultimo;21

le forme del possessivo di 2. e 3. sing. con -i epitetica toi (l. 3, 8, 10, 25) e

soi (l. 6, 11, 16, 24, 29), sempre posposte al nome; stesse forme nel

manua-le di confessione quattrocentesco Renovamini: lu proximu toy, lu soy Signuri, etc.22 Notevole anche la forma enclitica del possessivo in màmmama (l. 19), con

pàtrima e pàtrita in altri Alfabetin; si tratta di forme frequenti in antico toscano

e compattamente diffuse nell’area a sud di Roma, ma poco documentate nei testi siciliani medievali;23

le forme del futuro 1. sing. audiraula (l. 36), diciroiu (l. 36), ricatteroiu (l. 43), 3. pl. allongherainu (l. 3), esserainu (l. 12, 21), con forme analoghe in altri

Alfabetin (faraiu, esserà, esserai, abinzirainu, etc.). Per le forme della 1. sing.,

occorre partire dal tipo di futuro in -aggio/-aio, ben documentato nell’Italia me-ridionale; audiraula è forse sviluppo di audiraiula, l’uscita in -au nelle forme del futuro essendo finora documentata solo per la 3. sing. e plur. in testi lucani e calabresi (vederau, serau, etc. [3. sing.], jocherau, dirau, etc. [3. plur.]). In

diciroiu e ricatteroiu l’uscita -oiu risulta dall’incrocio dell’autoctona -aiu con

la tosc. -ò (andiroiu, pagaroiu, diroiu, etc., nel Valeriu Maximu, e sic. mod.

faroggiu, viniroggiu); diciroiu è costruito sulla forma non sincopata

dell’infi-nito (come ant. nap. dicirraggio, ant. rom. dicerajo, etc.), mentre in siciliano è più comune diri (ma dic(h)iri non è sconosciuto). Per quanto riguarda il futuro di essiri, forme costruite a partire dalla radice piena anziché da quella ridotta sono documentate in area centro-meridionale (eserai nello Scongiuro cassinese,

esserayo, esseremo in Antonio Sargentino, esserà nel Sidrac salentino, etc.).

Anche per le forme con -i epitetica, in cui la 3. plur. è analogica sulla 3. sing., si possono trovare paralleli in testi siciliani e centro-meridionali: (h)avirai nel

Re-bellamentu, mictiray nel Renovamini, serray, serrayno nei Balneis Puteolanis, diceray, faray nella Regola di San Benedetto lucana, etc;24

21. Cfr. Varvaro, Calabria meridionale e Sicilia cit., pp. 234-235; Rinaldi, Testi d’archivio del

Trecento cit., pp. 404-405; M. Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’. Spoglio del Codice Spinelli (seconda parte), in «Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani», 22 (2010), pp.

37-111, alle pp. 41-45.

22. Cfr. Ordini di la Confissioni «Renovamini». Traduzione siciliana di un trattato attribuito a

Bernardino da Siena, a c. di S. Luongo, Palermo 1989, pp. 93, 122.

23. Cfr. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana cit., II, § 430, p. 125; E. Mattesini,

Sicilia, in Storia della lingua italiana, III, Le altre lingue, a c. di L. Serianni, P. Trifone, Torino 1994,

pp. 406-432, a p. 430; Trovato, La Sicilia cit., p. 844; Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (seconda

parte) cit., p. 51.

24. Cfr. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana cit., II, § 589, pp. 333-334; A. Leone, R. Landa, I paradigmi della flessione verbale nell’antico siciliano, Palermo 1984, pp. 34, 67-71; Var-varo, Aree linguistiche XII. Sicilia cit., p. 723; M. Loporcaro, Il futuro CANTARE-HABEO nell’Italia

Meridionale, in «Archivio Glottologico Italiano», 84 (1999), pp. 67-114, alle pp. 73-84; Rinaldi,

Te-–

(24)

la marcatura preposizionale dell’oggetto animato: «basau Yiṣḥaq ad ’Avraham» (l. 15-16), «pregau ad issu» (l. 16), «e laudu eu ad Issu» (l. 20), «isceglisi a mia» (l. 20, 29), «no (in)cammarari a mia» (l. 26, 33), «pregari a lu Signuri loru» (l. 39), «pregamu a Tia» (l. 39), «ricatteroiu a tia» (l. 43); ma anche: «iati solliciti de unurari lu patri toi e la mamma tua» (l. 2-3). Analogamente negli altri

Alfa-betin: «comu vidiru a Mošeh»; «ricattai e cacciai a bbui»; «iudicau a mia»; «a

mammata unura»; «a li frati toi cubberna», etc., con un unico caso di oggetto inanimato: «perzò benidissi Ddeu lu iornu de lu Šabbat e santificau ad issu». Si può forse pensare che nel caso degli Alfabetin un fenomeno diffuso (anche se non generale) nel siciliano del XIV e XV secolo25 si appoggi alla tendenza a

trasporre in modo letterale le preposizioni spesso presenti del testo di partenza (aram. be-, le-).

Va detto inoltre che, rispetto alla trascrizione di Sermoneta, si è preferito qui considerare puramente grafica la lettera yod inserita nei gruppi consonantici pr-,

-str-: nel manoscritto si legge infatti vosteri (l. 4), vosteru (l. 5), nošteru (l. 44), perigu (l. 9), peregau (l. 16), peregari (l. 39), peregamu (l. 39); forme analoghe si

trovano in altri Alfabetin (perimaru, perisenza, purufeti, toronu, balanduni, vostara, etc.) e in altri testi giudeo-italiani (dentera, labbora, etc.).26 Lo stesso Sermoneta era

incerto sul reale valore di queste grafie, che, qualora realizzate a livello fonetico, testimonierebbero di una tendenza all’epentesi vocalica molto più spiccata di quanto documentato finora nei dialetti italiani estremi; per quanto riguarda il siciliano, cfr. le forme, per lo più di documentazione moderna, alléghiru, mághiru, guranu,

novem-miru, cuòrivu, sèmpiri, etc.27

Infine, si è trascritto con g(i) la lettera zayin nelle forme cangi (l. 28) e

mangia-mu (l. 41, che è correzione di mangiami del ms.): Sermoneta usava invece il segno

∫ (can∫i, man∫ami), considerandolo corrispondente tanto di /ʒ/ quanto di /dz/.28 Si

tratta in effetti di una grafia di difficile interpretazione: oltre che nelle forme sopra citate, essa è usata in altri Alfabetin in parole quali angili, congia ‘pioggia’, gelusia,

salvagina, immenzu ‘in mezzo’, ezia (< etiam), revisanti (dove starebbe per /z/ se la

forma è da collegare al verbo reVisitare, o per /dʒ/ se fosse invece da collegare al fr.

revenger), etc.29

sti d’archivio del Trecento cit., pp. 423-425; Ledgeway, Grammatica diacronica del napoletano cit.,

pp. 421-425; Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (prima parte) cit., pp. 171, 180-183.

25. Cfr. Varvaro, Aree linguistiche XII. Sicilia cit., p. 235; Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento cit., pp. 450-451; Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (seconda parte) cit., pp. 75-78.

26. In purufeti e toronu si usa la lettera vav, in balanduni e vostara un pataḥ sottoscritto. La di-scussione del valore fonetico o grafico di queste forme di scrittura si trova in Sermoneta, Alfabetin cit., pp. xliii-xliv, lii-lv, nonché in Sermoneta, Un volgarizzamento cit., p. 21.

27. Cfr. Varvaro, Aree linguistiche XII. Sicilia cit., p. 721; Mattesini, Sicilia cit., p. 429; Trovato,

La Sicilia cit., p. 837.

28. Cfr. Sermoneta, Alfabetin cit., pp. xlix-l.

29. La zayin risulta complessivamente poco utilizzata nei testi giudeo-italiani in caratteri ebraici di area centro-meridionale, dove può corrispondere tanto alla sibilante sonora quanto all’affricata (pre) palatale; cfr. L. Cuomo, In margine al giudeo italiano: note fonetiche morfologiche e lessicali, in «Ita-lia», 1 (1976), pp. 30-53, alle pp. 30-33.

(25)

Tirando le somme, lo spoglio linguistico ha messo in luce qualche consonanza, a livello morfologico, fra il nostro testo e un gruppo di volgarizzamenti del XIV e XV secolo (Valeriu Maximu, Rebellamentu, Renovamini), riconducibili, probabilmente, all’area messinese. Fra i tratti fonetici-fonologici, l’assimilazione regressiva (NasC >

CC), con il fenomeno contrario della dissimilazione della geminata (CC > NasC),

riman-da a una zona di forte interferenza fra il romanzo e il greco, quale potrebbe essere la Sicilia nord-orientale. Il testo si mostra poi dipendente, soprattutto a livello lessicale, «da una tradizione, scritta o parlata, che rimanda ai dialetti giudeo-italiani dell’Italia centrale»30 e presenta, dunque, una fisionomia piuttosto ibrida, risultato della

stratifi-cazione di interventi diversi nel corso del tempo. Se è improbabile che il traduttore o il copista degli Alfabetin conoscesse La istoria di Eneas o il Libru di li vitii et di li virtuti, come riteneva Sermoneta,31 è invece plausibile che egli avesse una certa dimestichezza

con le scritture, documentarie e/o letterarie siciliane dell’epoca, come suggerito da alcune grafie estranee alla tradizione giudeo-italiana (ng per /ɲ/, lg per /ʎ/, g per /dʒ/, c per /c/), ma che trovano paralleli nella scripta romanza coeva di Sicilia.32

Occorre d’altra parte ammettere la possibilità che il Sacrificio di Isacco, come il resto degli Alfabetin, provenga dall’altra sponda dello Stretto: a questa altezza cronologica è infatti impossibile distinguere con sicurezza i testi di provenienza si-ciliana da quelli calabresi meridionali, e nuclei ebraici di dimensioni variabili sono documentati in molte località della Calabria angioina e aragonese.33 Va però aggiunto

che non c’è motivo di escludere a priori l’origine siciliana di questi testi in base al presupposto, indimostrato e indimostrabile, che gli ebrei dell’isola fossero nel XV secolo interamente ed esclusivamente arabofoni.34

30. Sermoneta, Alfabetin cit., p. 110.

31. Cfr. Id., La traduzione siciliana dell’Alfabetin di Pentecoste e la prova dell’esistenza di un

dialetto siciliano, in Italia Judaica V. Gli ebrei in Sicilia fino all’espulsione del 1492, Roma 1995,

pp. 341-346, a p. 345.

32. Cfr. Id., Alfabetin cit., pp. li, 103, 105; Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento cit., pp. 349-358; Barbato, La lingua del ‘Rebellamentu’ (prima parte) cit., pp. 155-158.

33. Cfr. Varvaro, Calabria meridionale e Sicilia cit., p. 236, nonché F. Fanciullo, Ancora di latino

e di greco di Calabria, in «Italia Dialettale», 66-67 (2005-2006), pp. 49-68, dove tra l’altro si afferma:

«che, linguisticamente parlando, questo [il calabrese meridionale] sia una sorta di appendice del sici-liano, è assolutamente fuori discussione» (p. 65). Per gli ebrei calabresi cfr. S. Vivacqua, Calabria, in

L’ebraismo nell’Italia meridionale insulare dalle origini al 1541, a c. di C. Damiano Fonseca, M.

Luz-zati, G. Tamani, C. Colafemmina, Potenza 1996, pp. 295-310; C. Colafemmina, Per la storia degli

ebrei in Calabria. Saggi e documenti, Soveria Mannelli 2002; G.T. Colesanti, Documenti per la storia degli ebrei in Calabria nel secolo XV, in Hebraica Hereditas. Studi in onore di Cesare Colafemmina, a

c. di G. Lacerenza, Napoli 2005, pp. 27-32.

34. L’idea che il giudeo-arabo sia la lingua scritta e parlata delle comunità ebraiche di Sicilia, mentre il siciliano e l’ebraico rivestirebbero solo funzioni marginali, è espressa da B. Rocco, Le tre

lingue usate dagli ebrei in Sicilia dal sec. XII al sec. XV, in Italia Judaica V cit., pp. 355-369; Id., Il Giudeo-arabo e il Siciliano nei secc. XII-XV cit.; ed è ripresa e amplificata da Bresc, Arabi per lingua Ebrei per religione cit., pp. 41-42, 296-297. Si allinea a questa posizione, pur con qualche distinguo,

Bucaria, L’ebraico nel panorama linguistico della Sicilia medievale cit., pp. 131-132, mentre molto più problematica è la posizione di A. Nef, La langue écrite des juifs de Sicile au XVe siècle, in Mutations

d’identités en Méditérranée. Moyen Âge et Époque Contemporaine, a c. di H. Bresc, Ch. Veauvy, Paris

2000, pp. 85-95. Nettamente contrario Simonsohn, Tra Scilla e Cariddi cit., pp. 343-345. Su questo tema ho già espresso le mie idee in altre occasioni, cfr. L. Minervini, Il contributo di Giuseppe

(26)

Sermo-Questa convinzione si è fatta strada fra gli storici dell’ebraismo siciliano per l’esistenza di una nutrita serie di testi in giudeo-arabo (cioè in una varietà arabo ma-ghribino scritta in caratteri ebraici), fino alle soglie dell’espulsione delle comunità dall’isola: si tratta per la maggior parte di documenti privati (contratti di matrimonio, atti di compravendita, testamenti, etc.), ma vi sono anche alcune iscrizioni, qualche testo di argomento scientifico e delle glosse apposte nei margini di manoscritti ebrai-ci e latini.35 Questi testi nel loro complesso rivelano il perpetuarsi dell’uso

dell’ara-bo, nella scrittura e in qualche misura certo anche nell’oralità, all’interno di varie comunità ebraiche siciliane, in diversi ambiti della vita sociale.

Di tale fenomeno abbiamo altri significativi indizi: così, per esempio, l’attività di traduzione dall’arabo esercitata presso la corte di Carlo d’Angiò (1266-1285) da alcuni intellettuali ebrei di origine siciliana, come Mošeh da Palermo e Faraj ibn Salem di Agrigento; il frequente impiego di ebrei e neofiti come interpreti dall’arabo (turgimanni) nella cancelleria regia, a partire dalla fine del XIII secolo; la frase in arabo a conclusione del Sacramentum iudeorum, il giuramento imposto agli ebrei chiamati a deporre come testimoni in processi fra cristiani; la presenza di qualche libro in arabo (librum moriscum) negli inventari annessi ai testamenti dei beni di ebrei a Palermo, Trapani, Sciacca e Caltabellotta (1433-1484); le firme apposte in giudeo-arabo a circa 200 documenti redatti a Sciacca, Polizzi e Calta-bellotta (1436-1491).36

Una preziosa testimonianza di prima mano ci è fornita dal mistico aragonese ’Avraham Abulafia, che soggiornò a Messina e a Palermo negli anni Ottanta del Duecento:

neta alla storia linguistica degli ebrei siciliani, in «Italia», 13-15 (2001), pp. 125-136; Ead., Le parole e le cose. Vita e cultura ebraica nelle pubblicazioni del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani,

in Ebrei e Sicilia, a c. di N. Bucaria, M. Luzzati, A. Tarantino, Palermo 2002, pp. 257-264.

35. Cfr. J. Wansbrough, A Judeo-Arabic document from Sicily, in «Bulletin of the School of Oriental and African Studies», 30 (1967), pp. 305-313; H. Bresc, Sh.D. Goitein, Un inventaire dotal de juifs siciliens

(1479), in «Mélanges d’archéologie et d’histoire», 82 (1970), pp. 903-917; A. Giuffrida, B. Rocco, Una bi-lingue arabo-sicula, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli», 34 (1974), pp. 109-122; Ead., Documenti giudeo-arabi nel sec. XV a Palermo cit.; E. Ashtor, Palermitan Jewry in the Fifteenth Century, in «Hebrew

Union College Annual», 50 (1979), pp. 219-251; B. Rocco, Un documento giudeo-arabo a Trapani nel

sec. XV, in «Sicilia Archeologica», 51 (1983), pp. 67-69; Id., Iscrizione giudeo-araba a Messina, in

«Ve-tera Christianorum», 29 (1992), pp. 345-357; Id., Lapidi e cofani - Serie II, in L’età normanna e sveva in

Sicilia. Mostra storico-documentaria e bibliografica, Palermo 1994, pp. 144-197; B. Zeitler, “Urbs Felix Dotata Populo Trilingue”. Some Thoughts About a Twelfth-century Funerary Memorial from Palermo, in

«Medieval Encounters», 2 (1996), pp. 114-139; Burgaretta, Un documento giudeo-arabo siciliano

conser-vato a Siracusa cit.; Id., La ketubbah di Caltabellotta, in Hebraica Hereditas cit., pp. 1-26; Id., Ipotesi di rilettura dell’epigrafe in giudeo-arabo di Sicilia conservata a Messina, in «Italia», 19 (2009), pp. 7-21;

A.M. Piemontese, Codici giudeo-arabi di Sicilia, in Ebrei e Sicilia cit., pp. 179-183; M. Perani, Le firme in

giudeo-arabo degli ebrei di Sicilia in atti notarili di Sciacca, Caltabellotta e Polizzi, in Hebraica Hereditas

cit., pp. 143-225; G. Mandalà, Un codice arabo in caratteri ebraici dalla Trapani degli Abbate (Vat. ebr.

358), in «Sefarad», 71 (2011), pp. 7-24; Simonsohn, Tra Scilla e Cariddi cit., pp. 348-351.

36. Cfr. H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299-1499), Palermo 1971, pp. 160, 168, 170, 240, 295; B. Rocco, La formula finale del ‘Sacramentum Iudeorum’, in «Bollettino del Centro di Studi Filo-logici e Linguistici Siciliani», 15 (1986), pp. 408-414; Rinaldi, Testi d’archivio del Trecento cit., p. 55; M. Perani, Le firme in giudeo-arabo degli ebrei di Sicilia cit., pp. 143-225; Simonsohn, Tra Scilla e

(27)

(…) gli ebrei che abitano fra gli ismaeliti parlano come loro la lingua araba, e quelli che abitano in terra di Grecia parlano greco, e quelli che abitano nelle terre d’Italia parlano i volgari italiani [lo‘azot], e gli ebrei di Germania il tedesco, e i gli ebrei di Turchia il turco, e così via. Ma una cosa assai strana accade fra gli ebrei dell’intera Sicilia, che non solo parlano il volgare [la‘az] e il greco, lingue degli italiani e dei greci che abitano con loro, ma conservano l’uso della lingua araba che hanno imparato in passato, quando gli ismaeliti vivevano là.37

Abulafia descrive una situazione di diffuso plurilinguismo, in cui sul territorio siciliano coesistono, con funzioni diverse secondo i gruppi etno-religiosi, l’arabo, il greco e il siciliano. Gli ebrei, che conoscono le altre lingue in praesentia, continuano a servirsi dell’arabo in un’epoca in cui, in seguito alle conversioni, ai massacri e alle deportazioni del XII e del XIII secolo, non esistono più nell’isola nuclei di musul-mani arabofoni.

Molti e diversi sono i motivi della lunga resistenza dell’arabo nelle comunità ebraiche siciliane: in primo luogo l’ininterrotto flusso migratorio proveniente dal Maghrib, dall’Egitto, dalle Baleari, dalla Penisola Iberica, che ingrossa soprattut-to le comunità urbane (si calcola che l’immigrazione sollecitata da Federico II nel 1239 contribuisca a 1/3 degli ebrei di Palermo).38 I motivi di tipo demografico si

intrecciano con quelli professionali: per i mercanti attivi nel commercio marittimo e per i funzionari della Corona che fungono da interpreti e ambasciatori, l’arabo è un indispensabile strumento di lavoro, tanto più prezioso in quanto ormai poco diffuso. Infine i legami familiari ed economici degli ebrei siciliani con i loro correligionari residenti sul litorale nordafricano, in Palestina, in al-Andalus, rafforzano il senso di appartenenza a un mondo giudaico mediterraneo che ha nella Dār al-Islām il suo centro propulsore e che si esprime largamente in arabo.

Non bisogna però dimenticare che le comunità dell’isola, numerose e disperse sul territorio,39 formano gruppi mobili e vari per dimensioni, origine e occupazione,

che attraversano a partire dal XIII secolo una fase di profonda ricomposizione socio-culturale. Si assiste infatti al graduale declino della dimensione internazionale del commercio ebraico, soppiantato dalle iniziative dei mercanti veneziani, genovesi, to-scani, catalani; svolgendo principalmente attività artigianali e di commercio locale, gli ebrei siciliani sembrano ben integrati nel tessuto economico isolano e acquistano una connotazione più nettamente provinciale.40 Essi sono anche impegnati

nell’agri-coltura e partecipano alla produzione del latifondo in quanto portatori di tecniche particolari (come la coltivazione dalla canna da zucchero), detentori di capitali e in-termediari economici; sono spesso proprietari di vigneti e gestiscono la preparazione del vino, dell’olio e dei formaggi destinati ai loro correligionari.41 Infine, all’afflusso

37. A. Abulafia, ’Oṣar ‘eden ganuz, a c. di A. Gross, Jerusalem 2000, p. 313.

38. Cfr. G. Mandalà, La migrazione degli ebrei del ‘Garbum’ in Sicilia (1239), in L’ebraismo

dell’Italia meridionale cit., pp. 179-199.

39. Si identificano 94 insediamenti ebraici sotto il dominio aragonese e spagnolo, cfr. Simonsohn,

Fra Scilla e Cariddi cit., pp. 209-248.

40. Cfr. D. Abulafia, Le attività economiche degli ebrei siciliani attorno al 1300, in Italia Judaica

V cit., pp. 89-95; Id., Le comunità di Sicilia dagli arabi all’espulsione (1493), in Gli ebrei in Italia, I, Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, a c. di C. Vivanti, Torino 1996, pp. 45-82.

41. Cfr. H. Bresc, Dans les pores de la production agricole et au-delà: les juifs, l’activité agricole

(28)

di ebrei arabofoni sopra menzionato fa riscontro, in misura uguale se non maggiore, un’ondata migratoria proveniente dall’Italia continentale, dalla Spagna, dalla Fran-cia, che porta nell’isola un gran numero di ebrei linguisticamente eterogenei, ma per lo più parlanti varietà romanze, per i quali il naturale terreno d’incontro sarà stato, presumibilmente, una qualche forma di siciliano.42

Anche di questo fenomeno non mancano gli indizi: nella città di Palermo a par-tire della metà del XIV secolo i nomi arabi delle strade del Cassero, quartiere in gran-de maggioranza ebraico, sono riportati negli atti gran-dei notai solo in forma siciliana;43

anche l’impronta dell’onomastica araba, ancora forte nel Trecento, va sbiadendo nel corso del Quattrocento.44 Risalgono a quest’epoca numerose citazioni di frasi

pro-nunciate in siciliano da ebrei, negli atti relativi a denunce e querele,45 così come

riferimenti alle versioni siciliane di contratti matrimoniali e testamenti ebraici, che i notai cristiani leggono e fanno ratificare ai diretti interessati.46 Il siciliano affiora

nei documenti giudeo-arabi del XV secolo nella forma tanto di tecnicismi giuridici (copia, podiça, cauziuni, contrattu, notaru, etc.) quanto di termini di uso comune, relativi alla vita materiale (curtina, cannistru, mandili, guardanappi, platti, roba,

iardinu, spitali, cantunera, etc.) e al calendario (maiu, giugnettu, ausu, nonebbru,

etc.).47 La sicilianizzazione investe anche la sfera religiosa, come mostrano le

deno-minazioni delle principali festività in documenti latini: festivitate que dicitur lustrina per Ḥannukkah (1421), festa Tabernaculorum vulgariter dicta la Mortilla per Sukkot (1431), festum Judeorum noncupatum di li Cassati per Šavu’ot (1444), etc.48

Il processo di sicilianizzazione linguistica degli ebrei è stato certamente lungo e discontinuo e non ha coinvolto in modo omogeneo tutte le comunità e, all’inter-no di ognuna, tutti i membri: esso va visto come il risultato dell’accentuazione del carattere localistico del giudaismo siciliano, e rientra nella generale riduzione delle

42. Cfr. Simonsohn, Tra Scilla e Cariddi cit., pp. 249-251, 343-344.

43. Cfr. H. Bresc, In ruga que arabice dicitur zucac...: les rues de Palerme (1070-1460) (1981), in Id., Politique et société en Sicile, XIIe-XVe siècles, Aldershot 1990, § 8; F. Giunta, L. Sciascia, Sui beni

patrimoniali degli ebrei di Palermo, in Italia Judaica V cit., pp. 172-252, a p. 184.

44. Così a Palermo i nomi Muxa e Brachono cedono il posto a Mošeh e ’Avraham, mentre si introducono forme latine come Angelo, Donato, Vita, Gaudio, etc., e si registrano cognomi geografici, descrittivi e professionali come Calabrisi, Romanu, Spagnolu, Catalanu, Aurifichi, Balbu, Barbutu, Bankeri, etc. Cfr. M. Krasner, L’onomastica degli ebrei a Palermo nei secolo XIV e XV: nuove

prospet-tive di ricerca, in «Materia Giudaica», 11 (2006), pp. 97-112.

45. Cfr. M. Gerardi, A. Scandaliato, Studium Judeorum terre Saccae, in Italia Judaica V cit., pp. 438-452, a p. 443; Bresc, Arabi per lingua, Ebrei per religione cit., p. 41.

46. Si vedano i casi trapanesi citati da A. Scandaliato, Momenti di vita ebraica a Trapani nel

Quattrocento, in Gli ebrei in Sicilia dal tardoantico al medioevo. Studi in onore di Monsignor Benedet-to Rocco, a c. di N. Bucaria, Palermo 1998, pp. 167-220, alle pp. 177-178, 182, 218. Per il tesBenedet-to di una ketubbah del 1443, tradotta dall’aramaico in siciliano e allegata ai fascicoli di una controversia fra la

Magione di Palermo e gli eredi degli sposi, si veda A. Giuffrida, Contratti matrimoniali e doti nella

co-munità ebraica palermitana nel 1480, in Ebrei e Sicilia cit., pp. 185-192, alle pp. 190-191; Burgaretta, La ketubbah di Caltabellotta cit., pp. 21-22.

47. I termini citati provengono da Bresc, Goitein, Un inventaire dotal de juifs siciliens cit.; Giuf-frida, Rocco, Documenti giudeo-arabi nel sec. XV a Palermo cit.; Burgaretta, La ketubbah di

Calta-bellotta cit.

48. Cfr. Bresc, Arabi per lingua, Ebrei per religione cit., p. 67; Bucaria, L’ebraico nel panorama

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