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Aspetti del meridionalismo di Pasquale Saraceno

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77 BANCHE, STORIA E CULTURA

spetti del meridionalismo di Pasquale Saraceno

Francesco Dandolo

Università di Napoli Federico II

A

L’impegno meridionalista di Pasquale Saraceno (Morbegno 14 giugno 1903 - Roma, 13 maggio 1991) si concre-tizza con la nascita dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mez-zogiorno (Svimez) sul finire del 1946. Saraceno ritornerà spesso a riflettere sul momento fondativo dell’Associa-zione come stagione decisiva della ri-flessione meridionalista, dopo che nel corso del ventennio fascista era stata affermata l’insussistenza della que-stione meridionale. La feconda colla-borazione con Rodolfo Morandi, Francesco Giordani, Giuseppe Para-tore, Donato Menichella, Stefano Si-glienti e Giuseppe Cenzato costituirà per Saraceno un riferimento impre-scindibile nell’intento di porre la que-stione meridionale come tema cen-trale per la ricostruzione del Paese. Scriverà in una lettera del settembre 1970: «Era speranza dei fondatori del-la Svimez, all’atto deldel-la sua costitu-zione, nel lontano 1946, che in essa si manifestasse la solidarietà degli italia-ni dopo le tragiche vicende della guerra appena finita»1.

Nasce così il «nuovo meridionali-smo», da distinguere dal «meridiona-lismo classico» di Francesco Saverio Nitti, con una discriminante ben precisa: la fiducia nei meccanismi del mercato, cui si accompagna l’inter-vento dello Stato per fare fronte al

dualismo, accentuatosi nel corso del-la seconda guerra mondiale, con il fi-ne di concorrere all’unificaziofi-ne eco-nomica e sociale del Paese2. Si coglie

una palese continuità di uomini e nuclei concettuali con la «formula Iri», che trova la sua compiuta realiz-zazione nell’istituzione nel 1950 del-la Cassa per il Mezzogiorno. D’al-tronde, Saraceno sarà sempre un te-nace sostenitore dell’intervento straordinario, convinto che il Mezzo-giorno non possiede un proprio ade-guato meccanismo di sviluppo: «In altri termini è una economia che, la-sciata a se stessa, manifesta una ten-denza al ristagno, ossia alla perpetua-zione delle situazioni di bassa produt-tività e di basso reddito di cui essa soffre»3.

E anche in anni in cui l’intervento straordinario è oggetto di dure criti-che, la sua difesa sarà netta:

«Gli elementi più significativi ai fini di un giudizio possono quindi essere ottenuti non tanto ragionando in termini di divari nei redditi e nei lo-ro aumenti, quanto analizzando per il solo Mezzogiorno le principali com-ponenti del grande mutamento che vi è avvenuto dopo l’inizio dell’inter-vento straordinario, tenendo presen-te che è la qualità più che la entità del cambiamento che va presa in considerazione»4.

Con lo schema Vanoni si ipotizza l’in-tensificazione dei «tempi della politi-ca meridionalista»5. Ma dopo

qual-che anno Saraceno, presidente del «Comitato per lo sviluppo dell’occu-pazione e del reddito», rileva che la «localizzazione nel Mezzogiorno degli investimenti industriali ha avuto luo-go nel quadriennio 1955-58 in misura inferiore a quella prevista dallo “Schema”»6. Si impone, pertanto,

l’e-sigenza di un secondo tempo della po-litica meridionalista, «anche se il pri-mo tempo era ben lungi dal conclu-dersi»7. Nel 1956 si vara la nascita del

Ministero delle Partecipazioni Stata-li, mentre l’anno successivo si appro-va la legge che rifinanzia l’intervento straordinario del Mezzogiorno e l’Ita-lia entra a far parte del Mercato Co-mune Europeo. Su questa fase Sarace-no concentra le sue speranze: pur dando un giudizio nel complesso posi-tivo per i sette anni precedenti 1951-1957, successivi all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, egli ritiene che si sia in una nuova fase, «fase nel-la quale nel-la composizione

dell’investi-mento sia modificata, nel senso di

da-re maggior posto alla formazione del capitale industriale»8.

In collaborazione con Giulio Pastore, che dal 1958 sarà ministro per il Mez-zogiorno per circa un decennio, ec-cetto una breve interruzione causata

1 Archivio Centrale dello Stato (d’ora in poi Acs), fondo Saraceno, b. 11, lettera all’amministratore de-legato del Credito Italiano del 22 settembre 1970. 2 P. Saraceno, Il nuovo meridionalismo, Istituto Italiano per gli Studi filosofici, Napoli, 1986, pp. 6-7. 3 P. Saraceno, «Nord e Sud nella prospettiva del Mercato Comune», in Mondo Economico, n. 26, 29 giugno 1957, p. 12.

4 P. Saraceno, «Vecchio e nuovo meridionalismo», in

Mondo Economico, n. 1, 12 gennaio 1974, p. 43.

5 F. Compagna, «Industrializzare il Mezzogiorno (e occidentalizzare l’Europa Mediterranea)», in Mondo

Economico, n. 19, 7 maggio 1955, p. 3.

6 «Riconsiderazione dello “Schema Vanoni” nel quinto anno dalla sua presentazione (Rapporto n. 6 del “Comitato Saraceno”)», in Mondo Economico, 27 giugno 1959, n. 26, p. VII.

7 «Indagine sul Mezzogiorno continentale. 5. - Pun-to di svolta nell’industrializzazione?», in Mondo

Eco-nomico, n. 3, 21 gennaio 1961, p. 11.

8 P. Saraceno, «Le esigenze del Mezzogiorno», in

Mondo Economico, a. XIII, n. 4, 23 gennaio 1958, p. 10. 00-Dandolo (II)_77_80:00-Dandolo (II)_77_80 14/12/12 14:47 Pagina 77

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dalle dimissioni durante il governo Tambroni, l’economista valtellinese elabora le «aree di sviluppo indu-striale», già fonte privilegiata di stu-dio della Svimez. L’approccio di Sara-ceno all’industrializzazione delle re-gioni meridionali è tecnico, ma an-che denso di significato etico-religio-so. In occasione del convegno di San Pellegrino Terme sui fondamenti ideologici della Democrazia Cristia-na, Saraceno fa esplicito riferimento all’enciclica Mater et Magistra di Gio-vanni XXIII, pubblicata il 15 luglio 1961. E ne trae la lezione su come es-sere classe dirigente cattolica: «L’a-zione di un cattolico non si risolve quindi nella diffusione di una ideolo-gia; egli è invece tenuto a realizzare in concreto il bene comune […] È questo il campo della difficile libertà del cattolico. Condizione difficile questa: è certo più comodo disporre di una ideologia utilizzabile come strumento di interpretazione dei fatti e come mezzo per il potere. Ma la realtà non è quella semplificata, e spesso falsamente, delle ideologie, ma è quella complessa, e continua-mente nuova, nella quale noi dobbia-mo identificare quegli obiettivi che valgano a porla in un rapporto con i fini supremi. In questa identificazio-ne di obiettivi si manifesta la fonda-mentale responsabilità del cristiano, la sua effettiva libertà da ogni ideolo-gia e la sua disponibilità di fronte al mondo»9.

Con l’inizio degli anni Sessanta Sa-raceno condivide con Ugo La Malfa

la stagione della programmazione. I rapporti, già molto cordiali, si con-solidano in occasione della redazio-ne della nota aggiuntiva presentata in Parlamento il 23 maggio 1962. Si avverte un clima di grande entusia-smo: in un saggio pubblicato su Nord

e Sud, La Malfa si mostra convinto

che con l’avvio della nuova fase po-litica le sorti del Mezzogiorno posso-no radicalmente cambiare: «Con la politica di centro-sinistra si può spe-rare, per la prima volta nella storia d’Italia e del Mezzogiorno, che una forza democratica e popolare relati-vamente massiccia entri in giuoco, non come forza di opposizione, ma di maggioranza, sì da modificare, in senso democratico, non solo l’equili-brio nazionale, ma l’equilil’equili-brio meri-dionale»10.

Nel corso di un incontro di studio sui problemi della programmazione nel Regno Unito e in Italia, promosso ad Ancona nel dicembre del 1963 su ini-ziativa del Centro studi sullo Svilup-po economico della Svimez, Saraceno evidenzia che la nota segna la neces-sità di un’organica politica economi-ca nell’ambito di un programma po-liennale11.

«In sostanza – osserva Saraceno met-tendo in luce il grande nodo irrisolto della società italiana ereditato dal mi-racolo economico – l’imponente svi-luppo dei consumi individuali, avve-nuto negli scorsi anni, ha determina-to nell’impiego delle risorse di cui la società può disporre un ordine di priorità che non corrisponde a quelle

che si giudicano le reali esigenze del-la società stessa»12.

Organismo imprescindibile affinché questo processo possa realizzarsi è la Cassa del Mezzogiorno: «Principale strumento della politica di sviluppo economico del Sud»13.

Con l’avvio della programmazione quinquennale inauguratasi con il 1966, Saraceno ritiene che si debba risolvere la questione occupazionale nel Sud: annota che si vanno creando «situazioni di congestione in numero-se aree delle regioni già sviluppate; si-tuazioni di abbandono e di disgrega-zione sociale in vaste zone della parte economicamente arretrata del Pae-se»14. Ma sono questi anni di

discus-sioni spesso polemiche con i rappre-sentanti dell’industria privata. Ange-lo Costa, presidente della Confindu-stria, afferma: «Troppi investimenti si sono fatti in Italia sia dallo Stato che dai privati, particolarmente con l’aiu-to dello Stal’aiu-to, che non danno reddi-to e perciò rappresentano una distru-zione di capitali»15. La risposta di

Sa-raceno non si fa attendere: in una let-tera che invia al vicesegretario gene-rale della Confindustria Mattei evi-denzia che l’esigenza di attuare una politica di riequilibrio territoriale «sia economicamente conveniente, oltre che socialmente opportuna»16. È

que-sta l’esperienza che di recente si è rea-lizzata in Veneto e in Emilia-Roma-gna, e in generale Saraceno ritiene che i disordini sociali che si riscontra-no in Sardegna e in altre zone del Mezzogiorno, «cui noi assistiamo

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9 Ivi, p. 36. 10 U. La Malfa, «Mezzogiorno e centro-sinistra», in

Nord e Sud, a. IX, gennaio 1962, n. 25 (86), p. 7.

11 Acs, fondo Saraceno, b. 93, «Compendio del rap-porto Saraceno sul programma italiano di sviluppo, incontro di studio sui problemi della programma-zione nel Regno Unito e in Italia, promosso con la collaborazione del Centro studi sullo Sviluppo eco-nomico della Svimez», Ancona, 14-15 dicembre 1963.

12 Ivi, p. 7. 13 Ibidem.

14 P. Saraceno, «L’Italia verso la piena occupazione», in Sottosviluppo industriale e questione meridionale.

Studi degli anni 1952-1963, Il Mulino, Bologna, 1990,

p. 240.

15 Note della redazione, «L’antimeridionalismo del-la Confindustria», in Nord e Sud, a. XIII, aprile 196, n. 76 (137), p. 36.

16 Ivi, lettera del 23 ottobre 1967.

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menti», spinge alla determinazione «che la politica meridionalistica do-vrebbe essere perseguita anche se ve-nissero trascurati gli ingenti valori non economici che l’esodo inevita-bilmente distrugge nelle zone di emi-grazione e la cui conservazione da so-la giustificherebbe una simile politi-ca»17. Né le regioni del «triangolo

in-dustriale» sono state immuni da poli-tiche economiche nazionali volte a salvaguardare i loro interessi: «Fino al Trattato di Roma vi fu nel nostro Pae-se una protezione variabile, a Pae-seconda del settore tra un 20 per cento e un 35 per cento per di più di quelle indu-strie che, nel corso di un trentennio, hanno beneficiato di due grandi infla-zioni, di due ingenti flussi di commes-se belliche, nonché delle svalutazioni di impianti consentite dai risanamen-ti bancari cui provvide lo Stato nel periodo 1921-1933»18.

Aiuti che, se rapportati al sostegno per l’industrializzazione del Sud, sono irri-sori: «Aggiungo subito che se il prezzo pagato negli scorsi decenni per avere un primo nucleo industriale in Italia era il solo modo per avere una indu-stria e far cessare l’emigrazione delle valli lombarde verso la California, è stato bene pagarlo. Ma come stupirsi del fatto che una frazione di tale prez-zo vada pagata per effettuare lo stesso processo nelle regioni che non ne han-no beneficiato prima d’ora?»19.

Ed è sempre di questi anni uno scam-bio di lettere fra Saraceno e Enrico Cuccia, dai toni più personali e cor-diali, ma che ribadiscono analoga

di-stanza fra le posizioni di Saraceno e l’industria privata.

L’accrescersi delle tensioni sociali sul finire degli anni Sessanta e l’imbatter-si con la cril’imbatter-si degli anni Settanta in-ducono Saraceno a temere che la cen-tralità del Mezzogiorno possa essere accantonata. Né si mostra entusiasta dall’avvio dell’ordinamento regiona-le: in una lettera all’onorevole demo-cristiano Vito Scalia annota che «in fatto di regioni sono più che mai con-vinto che il Mezzogiorno ha bisogno di un intervento straordinario che va gestito dal centro e non in sede regio-nale»20. Da più parti si sollevano

cri-tiche sui massicci investimenti, nel Sud, nelle industrie di base, con la creazione della definizione di «catte-drali del deserto». Gioia Tauro ne è il simbolo, ma la presa di posizione di Saraceno è netta: grazie alla creazione di alcuni grandi impianti a elevata produttività – osserva – il Mezzogior-no è per la prima volta parte inte-grante «anche se di peso ancora mo-desto, del sistema industriale italia-no»; pertanto, «nulla di più stolido di quell’immagine di cattedrali nel deserto con cui si è voluto rappresentare il fe-nomeno del sorgere di impianti isola-ti di grande dimensione»21.

Nel frattempo, le polemiche contro la Cassa per il Mezzogiorno pongono Saraceno in una situazione di cre-scente isolamento. La difficile condi-zione umana e professionale è spesso argomento delle sue lettere, come an-che l’emarginazione in cui è relegata la questione meridionale. In una

let-tera al ministro delle Partecipazioni Statali Antonio Bisaglia scrive: «A Lei vorrei aggiungere che da parec-chio tempo non partecipo a dibattiti sulla politica generale, quale è il tema del seminario, perché mi turba molto il fatto che la pur sacrosanta politica di risanamento monetario non si pon-ga con la stessa priorità il problema dell’area meridionale, la quale è esclusa dall’aumento di reddito che le regioni industrializzate hanno in con-seguenza dell’aumento della produtti-vità non accompagnato da aumento di occupazione»22.

E in una successiva lettera inviata ad Antonio Maccanico, all’epoca segre-tario generale del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, si lascia andare a espressioni dense di insod-disfazione su come il Mezzogiorno è accantonato nel dibattito sul Paese. Scrive: «I problemi nuovi che, attra-verso la stampa, impegnano l’opinio-ne pubblica del nostro Paese si suc-cedono senza interruzione; non resta così mai uno spazio per il Mezzogior-no. Neppure l’apertura imminente del dibattito parlamentare sulla leg-ge di proroga dell’intervento straor-dinario ha potuto modificare questa triste vicenda. Ora, avendo prepara-to uno studio sulle prospettive dell’e-conomia meridionale nel decennio 1982-1991, abbiamo pensato di dar-ne notizia il 30 giugno scorso attra-verso una conferenza stampa; sono intervenuti solo cinque rappresen-tanti di quotidiani. Comunque nes-sun dibattito ne è seguito e

l’infor-17 Ibidem.

18 Ibidem. Né questo intervento è stato sufficiente per evitare situazioni di crisi di importanti città in-dustriali: «Consideri il caso di Genova; dopo che an-che la S. Giorgio è caduta nel 1948 nelle braccia del-lo Stato l’economia di quella città richiama certo più il modello jugoslavo che quello nordamericano». 19 Ibidem.

20 Acs, fondo Saraceno, b. 13, lettera all’On. Vito Scalia del 26 gennaio 1971.

21 Ivi, p. 49.

22 Acs, fondo Saraceno, b. 36, lettera del 3 settem-bre 1977.

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mazione, quando è stata data, è stata sommaria e non sempre centrata; tutto è subito finito»23.

Negli anni Ottanta l’amarezza si ac-centua: a Gino Martinoli comunica la sua delusione per la mancata riso-luzione del problema della disoccupa-zione nel Mezzogiorno: «Credo che se un solo uomo che vuol lavorare non trova occupazione ogni altro uomo che già lavora dovrebbe essere messo in crisi. Gli esperti che non hanno

niente da dire quando, in base a que-sta immutabile premessa, sono richie-sti di dare il loro contributo»24.

Ed ancora in un’altra lettera a Macca-nico, giustifica l’assenza di contatti in tal modo: «Da tempo non mi faccio vivo con Te; è solo una manifestazio-ne dello sconforto che mi prende quando tratto di Mezzogiorno, tema d’obbligo nei nostri rapporti»25.

La sua visione dell’Italia appare sem-pre più in contrasto con le idee sem-

pre-valenti nel Paese. Sono gli anni della crisi dell’intervento straordinario, della liquidazione della Cassa del Mezzogiorno e della progressiva affer-mazione delle tendenze al localismo nelle regioni settentrionali. Nell’apri-le del 1992 è abolito l’intervento straordinario e la Lega Nord supera alle elezioni politiche l’8% dei con-sensi su base nazionale, ottenendo 80 seggi in Parlamento: Saraceno è mor-to da poco meno di un anno.

23 Acs, fondo Saraceno, b. 8, lettera del 16 luglio 1981.

24 Acs, fondo Saraceno, b. 25, lettera del 26 gennaio 1984.

25 Acs, fondo Saraceno, b. 8, lettera del 22 maggio 1985.

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