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La responsabilità medica nelle ultime decisioni della Corte di Cassazione

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NOTIZIARIO

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La responsabilità medica nelle ultime

decisioni della Corte di Cassazione

Dirigenti responsabili delle strutture complesse – La Corte di Cassazione ha affermato

che il dirigente medico responsabile di una struttura complessa è tenuto a rispettare l’orario di lavoro. Il richiamo esplicito dell’orario di lavoro dei dirigenti, ai fini proprio delle modalità di espletamento della prestazione serve proprio a dare contenuto all’orario di lavoro dei dirigenti responsabili delle strutture complesse, quale misura minima esigibile, nell’ambito di un incarico dove, semmai, è richiesto un maggiore impegno – al quale corrisponde una più elevata retribuzione – per le esigenze della struttura sanitaria. La flessibilità oraria, infatti, non costituisce, infatti, una sorta di privilegio per detta dirigenza, ma rappresenta un meccanismo di maggior responsabilizzazione e di orientamento al risultato, nel senso che l’assolvimento di un debito orario minimo non può esaurire, per il dirigente, la prestazione lavorativa, richiedendosi, poi, anche il raggiungimento del risultato, ma certamente non se ne può ragionevolmente prescindere. (Cassazione Penale Sentenza n. 35414 del 1°/8/19)

Il nesso causale nella responsabilità medica – Nella valutazione della sussistenza

del nesso causale, ai fini dell’assoluzione dell’imputato, medico in servizio al PS, è sufficiente il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sul rapporto di causalità tra la condotta e l’evento. La formulazione del giudizio sul nesso di causalità deve possedere la certezza che, in presenza della condotta omessa, l’evento non si sarebbe verificato, quanto a tempi di decorso e contenuto, negli stessi termini in concreto avutisi. La condanna deve, invece, fondarsi su un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi, richiedendosi che la colpevolezza dell’imputato sia provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. (Cassazione Penale Sentenza n. 36435 del 27.8.19)

Responsabilità dell’anestesista e del direttore sanitario – Rientrano nei principi della

professione di anestesista gli obblighi di informarsi sulla storia del paziente e di gestione dell’approvvigionamento delle sacche ematiche e di provvedere alla trasfusione in caso di necessità. Anche in relazione a tale profilo rileva l’impossibilità di appellarsi al principio di affidamento. La Corte di Cassazione ha affermato che, in caso di condotte colpose indipendenti non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità. Al direttore sanitario vanno riconosciute plurime attribuzioni, tra le quali vanno ricomprese quelle di carattere manageriale e medico-legale, in quanto egli verifica l’appropriatezza delle prestazioni medico-chirurgiche erogate, la corretta conservazione dei farmaci, organizza la logistica dei pazienti e, soprattutto, governa la gestione del rischio clinico. Il direttore sanitario è il garante

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ultimo dell’assistenza sanitaria ai pazienti e del coordinamento del personale sanitario operante nella struttura, affinché tale attività sia sempre improntata a criteri di qualità e di sicurezza Al direttore sanitario di una casa di cura privata spettano poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza ed organizzazione tecnico-sanitaria, compresi quelli di predisposizione di precisi protocolli inerenti al ricovero dei pazienti, all’accettazione dei medesimi, all’informativa interna di tutte le situazioni di rischio, alla gestione delle emergenze, alle modalità di contatto di altre strutture ospedaliere cui avviare i degenti in caso di necessità e all’adozione di scorte di sangue e/o di medicine in caso di necessità. Il conferimento dei suindicati poteri comporta l’attribuzione al direttore sanitario di una posizione di garanzia giuridicamente rilevante, tale da consentire di configurare una responsabilità colposa per fatto omissivo per mancata o inadeguata organizzazione della casa di cura privata, qualora il reato non sia ascrivibile esclusivamente al medico e/o ad altri operatori della struttura. (Cassazione Penale Sentenza n. 32477/19)

Quando sussiste responsabilità medica – Sussiste la responsabilità in capo al medico

che abbia gestito in maniera imprudente, negligente e imperita il paziente sottoposto alle sue cure e che sia poi morto; è stata quindi affermata la responsabilità professionale dei medici per gli omessi o superficiali controlli laparoscopici post operatori, i quali, se affrontati con maggiore prudenza, diligenza e perizia, avrebbero consentito di scoprire l’immediata perforazione del retto e, quindi, di porvi adeguato e tempestivo riparo chirurgico, prima dello sversamento del materiale fecale nell’alveo addominale. (Cassazione Penale Sentenza n. 30627/19)

Responsabilità medica di équipe – In tema di colpa professionale, in caso di

intervento chirurgico in “equipe”, il principio per cui ogni sanitario è tenuto a vigilare sulla correttezza dell’attività altrui, se del caso ponendo rimedio ad errori che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenza scientifiche del professionista medio, non opera in relazione alle fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono distinti, dovendo trovare applicazione il diverso principio dell’affidamento per cui può rispondere dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui. (Cassazione Penale Sentenza n. 30626/19)

Dirigenti medici – La Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di truffa

aggravata la condotta del medico pubblico dipendente che si allontani temporaneamente dal luogo di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che questi, conglobati nell’arco del periodo retributivo, siano da considerare economicamente apprezzabili (Cassazione Penale Sentenza n. 29628/19)

Responsabilità medica e linee guida – In mancanza di linee-guida approvate ed

emanate mediante il procedimento di cui all’art. 5 I. n 24 del 2017, non può farsi riferimento all’art. 590 sexies cod. pen.,se non nella parte in cui questa norma richiama le buone pratiche clinico-assistenziali, rimanendo, naturalmente, ferma la possibilità di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico dall’art. 590 sexies cod. pen., che, a regime, quando verranno emanate le linee-guida con il procedimento di cui all’art. 5,

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costituirà il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità penale del medico. Ne deriva che la possibilità di riservare uno spazio applicativo nell’attuale assetto fenomenologico e normativo all’art. 590 sexies cod. pen. è ancorata all’opzione ermeneutica consistente nel ritenere che le linee-guida attualmente vigenti, non approvate secondo il procedimento di cui all’art. 5 I. n. 24 del 2017, possano venire in rilievo, nella prospettiva delineata dalla norma in esame, come buone pratiche clinico-assistenziali. Opzione ermeneutica non agevole ove si consideri che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale, prima ancora che tecnico-operativo, dalle buone pratiche clinico-assistenziali, sostanziandosi in raccomandazioni di comportamento clinico, sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quali sia il percorso diagnostico-terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche. (Cassazione Penale Sentenza n. 28102/19)

Responsabilità medica e nesso causale – La Corte di Cassazione, confermando la

sentenza della Corte d’Appello, ha assolto un ginecologo per assenza del nesso causale tra la condotta omissiva attribuita allo stesso e l’evento lesivo, che, anche in caso di tempestiva diagnosi dell’infezione, non sarebbe stato possibile evitare, poiché all’epoca dei fatti non sussisteva una terapia praticabile per la contrazione da citomegalovirus in gravidanza. (Cassazione Penale Sentenza n. 25137/19)

Responsabilità medica e nesso causale – Sussiste il nesso di causalità tra l’omessa

adozione da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa. (Cassazione Penale Sentenza n. 24922/19)

Condotta anomala del medico di pronto soccorso – La Corte di Cassazione ha

sospeso dalla professione il medico (non ginecologo) di pronto soccorso che ha sottoposto la paziente a visita ginecologica senza il consenso posto che, nel caso di specie, il momento della manifestazione del dissenso non deve ricercarsi nella fase antecedente alla visita (sebbene la vittima, ritenuta pienamente attendibile, abbia più volte riferito di aver manifestato la propria resistenza anche allo svolgimento della visita perché mai sottoposta a controlli ginecologici) bensì nel momento in cui la vittima prima convinta della competenza e professionalità del sanitario, aveva percepito l’anomalia della sua condotta e si era dunque ribellata alla prosecuzione dell’esame, subendo, per questa ragione, un’ulteriore azione violenta. (Cassazione Penale Sentenza n. 24653/19)

Asl: recupero somme indebitamente percepite dal medico – La Corte di Cassazione

ha affermato che l’ASL può recuperare solo al netto le somme che il medico ha percepito indebitamente. “Infatti, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte se il datore di lavoro debba recuperare dal lavoratore emolumenti che questi ha riscosso in eccesso (e, quindi, indebitamente), per qualsiasi causa, tale recupero deve essere fatto al netto delle ritenute fiscali, in quanto il datore di lavoro, salvi i rapporti col Fisco, può ripetere l’indebito nei confronti del lavoratore soltanto nei limiti di quanto da questi

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effettivamente percepito, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente”. (Cassazione Civile Sent. N. 21164/19)

Dirigenti medici: danno da demansionamento – Occorre ribadire il principio già

affermato da questa Corte secondo cui “ai fini della distribuzione degli incarichi (nella specie degli interventi chirurgici ai medici del reparto) assumono valore prioritario la competenza e la capacità degli operatori sanitari, dovendosi ritenere una diversa soluzione, che assegni preminenza ad un criterio di equa ripartizione del lavoro, in contrasto con il fondamentale diritto alla salute dei cittadini”. Discende dal principio di diritto enunciato, nonché da quanto si è detto sull’equivalenza degli incarichi, che il dirigente medico non ha un diritto soggettivo ad effettuare interventi che siano qualitativamente e quantitativamente costanti nel tempo, sicché lo stesso non può opporsi né a scelte aziendali che siano finalizzate a tutelare gli interessi collettivi richiamati dall’art. 1 del D.Lgs. n. 502 del 1992, né alle direttive impartite dal responsabile della struttura che perseguano l’obiettivo di garantire efficienza e qualità del servizio da assicurare al paziente. Ciò non significa che la professionalità del dirigente medico non riceva alcuna tutela, perché innanzitutto deve essere garantito al dirigente di svolgere un’attività che sia correlata alla professionalità posseduta, sicché il dirigente stesso non può essere posto in una condizione di sostanziale inattività né assegnato a funzioni che richiedano un bagaglio di conoscenze specialistiche diverso da quello posseduto e allo stesso non assimilabile sulla base delle corrispondenze stabilite a livello regolamentare. (Cassazione Civile Ord. 21473/19)

Medici specializzandi – La Corte di Cassazione ha ribadito tra l’altro i seguenti principi

di diritto:

Non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione, la quale costituisce una particolare ipotesi di “contratto di formazione-lavoro”, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività suddetta e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi.

La inconfigurabilità dei rapporti di formazione specialistica in termini di subordinazione esclude la applicabilità dell’art. 36 Cost..

L’importo della borsa di studio prevista dall’art. 6 c. 1 del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni dal 1993 al 2005.

Ai sensi dell’art. 32 c. 12 della legge L. 27 dicembre 1997, n. 449 e dell’art. 36 c. 1 della L. 27 dicembre 2002, n. 289, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dal c. 1 dell’art. 6 del D. Lgs. n. 257 del 1991.

Non sussiste irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione a decorrere dall’anno 2006/2007 e quelli frequentanti i corsi nei precedenti periodi accademici, ben potendo il legislatore differire nel tempo gli effetti di una riforma, senza che, per ciò solo, ne possa derivare una disparità di trattamento tra soggetti che, in ragione dell’applicazione differente nel tempo della normativa in questione, ricevano trattamenti diversi.

Rispetto all’indicizzazione la richiamata sentenza n. 4449 del 2018 costituisce solo l’ultimo più compiuto arresto di un orientamento in realtà mai incrinatosi, secondo cui “in tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla

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domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l’importo della borsa di studio prevista dall’art. 6 del digs. 8 agosto 1991, n. 257, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dall’art. 7 del d.l. n. 384 del 1992 (ed analoghe normative successive), senza che il blocco di tale incremento possa dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato”. (Cassazione Civile Ord. n. 18400/19)

Medici ospedalieri – Licenziamento disciplinare – La Corte di Cassazione ha affermato

che è legittimo il licenziamento del medico che, essendo inserito nel turno di c.d. reperibilità, avrebbe dovuto recarsi senza ritardo in reparto e visitare il malato, proprio per accertare, personalmente e in ragione delle proprie competenze lo stato della situazione rappresentatagli e adottare tempestivamente le misure ritenute del caso. Considerando, quindi, la posizione del lavoratore nell’Azienda, il grado di affidamento delle mansioni affidategli anche in relazione alla specifica vicenda (capo equipe e dirigente dell’Unità Operativa di Urologia) e dunque facendo applicazione anche del principio di proporzionalità in relazione alla clausola generale della giusta causa, la Corte d’Appello, applicando correttamente i principi enunciati da questa Corte in materia, ha valutato la legittimità e congruità della sanzione inflitta prevista dalla contrattazione, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda, con accertamento dei fatti e successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzione della sanzione espulsiva che, in quanto sorretta da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censura. Il giudice di appello ha, quindi, affermato che costituisce violazione di tali specifici obblighi, e con essi dei più generali doveri di diligenza e buona fede, il comportamento di un medico che, dopo avere eseguito un delicato intervento chirurgico, ed in servizio di reperibilità (sia pure seconda reperibilità), avendo avuto contezza sin dalla h. 22,30 dell’esistenza di una gravissima sintomatologia che indicava l’esistenza di problemi post-operatori e, segnatamente, dell’esistenza di una consistente emorragia in corso (forte ipotensione, fuoriuscita di sangue dal drenaggio, continue trasfusioni e sinanche arresto respiratorio ed intubazione del paziente) ritardi di ben tre ore il proprio arrivo in ospedale. La Corte d’Appello assume la autonomia tra il procedimento penale concluso con l’assoluzione in relazione all’imputazione di omicidio colposo, e il procedimento disciplinare la cui contestazione non consisteva nell’aver cagionato la morte del paziente. (Cassazione Civile Ord. n. 18883/19)

Studi medici – La Corte di Cassazione ha affermato che il medico che ha adibito una

stanza della sua casa a studio medico non ha necessariamente violato il regolamento condominiale che consente soltanto l’uso residenziale abitativo. (Cassazione Civile Ordinanza n. 18082/19)

IRAP medici convenzionati – La Corte di Cassazione ha affermato che incombe al

professionista, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in materia, l’onere di provare l’insussistenza dell’autonoma organizzazione quale presupposto impositivo del tributo in oggetto. (Cassazione Civile Sentenza n. 18300/19)

Trasfusioni – Responsabilità medica – La Corte di merito ha dato conto delle condizioni

molto gravi del paziente e della valida indicazione per la somministrazione delle trasfusioni assumendo, quanto al profilo del consenso informato, che se pure fossero

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stati informati dei possibili rischi delle trasfusioni, i genitori avrebbero certamente dato il loro consenso. La pronuncia ha inteso dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, per poter configurare la lesione del diritto ad essere informato, occorre raggiungere la prova, anche tramite presunzioni che, ove compiutamente informato, il paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute. (Cassazione Civile Sentenza n. 15867/19)

Responsabilità medica: errore diagnostico – In tema di colpa professionale medica,

l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. Nel solco di tale giurisprudenza è stato perciò ritenuto che rispondesse di lesioni personali colpose il medico ospedaliero che, omettendo di effettuare i dovuti esami clinici, aveva dimesso con la diagnosi errata di gastrite un paziente affetto da patologia tumorale, così prolungando per un tempo significativo le riscontrate alterazioni funzionali (nella specie, vomito, acuti dolori gastrici ed intestinali) ed uno stato di complessiva sofferenza, di natura fisica e morale, che favorivano un processo patologico che, se tempestivamente curato, sarebbe stato evitato o almeno contenuto. (Cassazione Civile Sentenza n. 23252/19)

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