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Lo schema di dlgs di riforma della disciplina delle intercettazioni: qualche rilievo critico

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Lo schema di decreto legislativo relativo alla riforma della disciplina delle intercettazioni. Qualche rilievo critico.

di Leonardo Suraci 1. Premessa.

‹‹Il fulcro della riforma […] è la tutela della riservatezza ed il baricentro attorno al quale deve necessariamente orbitare tale riforma è quella della rigorosa osservanza della legge che regola i vari profili della materia››.

Così si esprimeva la dottrina che si è occupata delle disposizioni della l. 23 giugno 2017, n. 103 relative alla delega legislativa per la riforma della disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni (A. Zampaglione, La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, a cura di Spangher, Pisa, 2017, p. 112) ed in effetti le linee di sviluppo dell’intervento novellistico della disciplina processuale-penalistica che si prospetta sono facilmente individuabili – si prescinde, in questo momento, da quanto previsto in relazione al captatore informatico – nella predisposizione di modelli di garanzia finalizzati a sottrarre alle modalità documentative tipiche del mezzo di ricerca della prova i contenuti irrilevanti e nella più puntuale scansione del procedimento selettivo di acquisizione delle conversazioni e comunicazioni.

Una visione d’insieme, può tuttavia già anticiparsi, consente di individuare diverse connotazioni negative della prospettata riforma, la prima delle quali consistente nel ricorso ad un linguaggio complesso e capace di irrigidire inutilmente le specifiche fattispecie. Allo stesso tempo non persuade la mancata realizzazione di interventi integrativi del versante sanzionatorio, scelta che pone come in passato la premessa per la possibile vanificazione dell’effettività delle disposizioni maggiormente innovative ma che, in virtù di una scelta siffatta, rimangono imperfette.

Ancora, è dato rilevare in diversi segmenti dell’articolazione normativa casi di scostamento – significativi e sostanziali, dunque di rilievo costituzionale – dai principi e criteri direttivi stabiliti dal legislatore delegante.

2. La riforma del procedimento acquisitivo.

Il legislatore delegato è intervenuto sulla materia delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni in maniera penetrante, rivedendo sia la fase esecutiva, sia quella acquisitiva, sia, infine, quella documentativa.

In relazione alla prima fase, l’esigenza di protezione della riservatezza che costituisce, come già detto, il dato effettuale di riferimento viene soddisfatta attraverso un generale ridimensionato del dovere, stabilito dall’art. 268, co. 2 c.p.p., di trascrizione sommaria del contenuto dei dialoghi intercettati nel verbale delle operazioni, escludendosi in prima battuta che si possa procedere alla trascrizione di conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini (art. 268, co. 2-bis c.p.p.).

La norma, i cui meccanismi vengono richiamati dal novellato art. 103, co. 7 c.p.p. al fine di rafforzare le garanzie tipiche delle comunicazioni intercorrenti tra l’indagato ed il difensore, è chiara nell’escludere dal divieto le conversazioni o comunicazioni riguardanti dati ex lege sensibili allorché rilevanti – esse, chiarisce infatti la norma, devono essere: “parimenti non

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rilevanti” – mentre il ricorso al requisito della rilevanza è da solo sufficiente a delineare con precisione la fattispecie preclusiva, essendo ultroneo ed a tratti fuorviante il successivo riferimento, evidentemente inteso come qualificativo della irrilevanza, all’oggetto della conversazione ed ai soggetti in essa coinvolti.

La trascrizione a verbale è, in questo caso, sostituita dall’indicazione di dati esteriori identificativi della conversazione (data, ora e dispositivo contenente la registrazione), mentre i contenuti di essa devono essere trascritti in un’annotazione con la quale la polizia giudiziaria procedente informa il pubblico ministero di quanto captato e non trascritto in quanto (ritenuto, appunto, in prima battuta) irrilevante.

L’annotazione è funzionale alla avvio di una fase incidentale di verifica dell’effettiva irrilevanza del contenuto della captazione, all’esito della quale il pubblico ministero può, con decreto motivato, disporre la trascrizione tardiva della stessa, se rilevante ovvero, trattandosi di dialogo concernente dati sensibili, necessaria (rectius: indispensabile!) ai fini della prova dei fatti per i quali si procede.

L’annotazione realizza un primo e parzialissimo – in quanto limitato a specifiche conversazioni, tra l’altro così come trascritte dalla polizia giudiziaria – momento di contatto tra il pubblico ministero e le risultanze dell’attività investigativa, posto che la trasmissione dei verbali e delle registrazioni avviene soltanto appena scaduto il termine – originario ovvero prorogato ex art. 267, co. 3 c.p.p. – indicato per lo svolgimento delle operazioni e costituisce il presupposto per l’avvio di una articolata procedura conoscitiva preordinata a rendere quanto più possibile efficace e compiuto il successivo momento acquisitivo.

Sebbene il nuovo art. 268, co. 4 c.p.p. finalizzi la trasmissione predetta alla conservazione nell’archivio riservato di cui al nuovo art. 269, co. 1 c.p.p., la sistematica normativa potrebbe orientare l’interprete a privilegiare – non senza tentennamenti, tuttavia, anche alla luce della direttiva di cui all’art. 1, co. 84, lett. a) n. 2 della legge di delega – una ricostruzione diversa, tesa cioè a posticipare il momento conservativo alla definizione della procedura acquisitiva, fermo restando che le esigenze di tutela della riservatezza non hanno comunque reso possibile lo sganciamento della ricezione degli atti da parte del pubblico ministero dall’automatico ed integrale deposito di essi – fatta salva l’ipotesi di proroga già prevista dall’abrogato art. 268, co. 5 c.p.p. ed ora ribadita dall’art. 268-bis, co. 3 c.p.p. – in segreteria unitamente ai decreti dispositivi, autorizzativi, di convalida e proroga delle intercettazioni.

La ricezione è concatenata al deposito, così come quest’ultimo si correla alla successiva procedura di acquisizione, da iniziare entro cinque giorni.

Ricorrendo però il pericolo di un grave pregiudizio per la prosecuzione delle indagini, si è ribadito, previa autorizzazione del giudice il deposito può essere ritardato “non oltre la chiusura delle indagini”, formula che, in assenza di qualsiasi precisazione ulteriore, non può che essere letta nel senso che sia esso che l’avvio della procedura di acquisizione devono precedere la notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, anche al fine di assicurare una tendenziale conformità della nuova disciplina con quanto disposto dall’art. 1, co. 84, lett. a) n. 5 della legge di delega.

Difatti, la disposizione appena citata colloca inequivocabilmente la fase acquisitiva “ritardata” – riferita, al tempo, alle previsioni dell’art. 268, co. 6 e 7 c.p.p. – in un frangente che precede l’avviso (ovvero la richiesta di giudizio immediato) allorquando il pubblico

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ministero riscontri la presenza di conversazioni o comunicazioni inutilizzabili o irrilevanti: soluzione che, di tutta evidenza, se da un lato pone l’indagato nella posizione di potersi difendere anche alla luce delle risultanze investigative scaturenti dalle intercettazioni, per altro verso pregiudica la possibilità di usufruire del quadro cognitivo completo offerto dalla notifica dell’avviso al fine di formulare un giudizio compiuto in punto di rilevanza.

Nello stesso frangente il pubblico ministero deve formare e depositare in segreteria un elenco dei dialoghi che ritiene rilevanti ai fini della prova dei fatti per cui procede e dei quali chiederà l’acquisizione, elenco che integra il materiale che, nel complesso, potrà essere esaminato dai difensori previa ricezione di uno specifico avviso di deposito.

La fattispecie acquisitiva descritta dagli art. 268-bis, ter e quater c.p.p. si presenta come una fase particolarmente complessa e articolata, attenta a realizzare un soddisfacente bilanciamento tra istanze di protezione del riserbo sul contenuto dei dialoghi intercettati ed esigenze partecipative dei protagonisti del procedimento penale e globalmente finalizzata – così come imposto dall’art. 1, co. 84, lett. a) della legge di delega laddove prevede l’adozione di prescrizioni che diano un “precisa scansione procedimentale” per la selezione di materiale intercettativo – a razionalizzare, puntualizzare e rendere effettivo un momento selettivo che, per quanto essenziale, si era dimostrato nella versione precedente del tutto inefficace.

Viene chiarito, in primo luogo, che l’acquisizione costituisce l’effetto di un atto formale che tendenzialmente si colloca nella fase delle indagini preliminari e si sostanzia nell’inserimento di alcuni tra i dialoghi captati (a breve si vedrà di quali si tratta, quelli non acquisiti continuando ad essere conservati nell’archivio previsto dall’art. 269, co. 1 c.p.p.) nel fascicolo di cui all’art. 373, co. 5 c.p.p.

Durante la fase investigativa l’atto acquisitivo riveste forme diverse ed è riservato a soggetti diversi a seconda che le conversazioni ovvero le comunicazioni siano state utilizzate per l’adozione di una misura cautelare.

Se l’assenza di specificazioni ulteriori potrebbe far pensare che il riferimento contenuto nell’art. 268, co. 1-ter c.p.p. sia da intendersi come comprensivo, anche, delle misure di carattere reale – una equivalente genericità si riscontra, parimenti, nella legge di delega – il sistema di interventi ulteriormente previsto dal legislatore delegato, siccome riferito esclusivamente alla garanzia di riservatezza in materia di cautele personali (si allude, ovviamente, alle modifiche apportate agli artt. 291, 292 e 293 c.p.p.: tutte preordinate a circoscrivere entro limiti compatibili con la tutela della riservatezza il segmento espositivo dei provvedimenti cautelari e degli atti propulsivi ad essi connessi), rende preferibile l’interpretazione restrittiva.

Orbene, ricorrendo l’evenienza costituita dall’impiego del materiale intercettato a fini cautelari personali, il provvedimento acquisitivo deve essere adottato dal pubblico ministero e – almeno cosi deve ritenersi – ha forma di decreto (non motivato, stante il silenzio della legge sul punto): ne consegue un effetto acquisitivo che è però instabile, ben potendo il giudice, su richiesta del pubblico ministero comunicata ai difensori, disporre l’estromissione dal fascicolo delle indagini preliminari degli atti che, per effetto di elementi sopravvenuti, siano divenuti irrilevanti.

Nelle altre ipotesi, invece, l’acquisizione è disposta dal giudice per le indagini preliminari che ha autorizzato, convalidato o prorogato le intercettazioni con ordinanza emessa in

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camera di consiglio – di regola non partecipata, a meno che, ravvisandone la necessità in ragione di quanto osservato e dedotto dalle parti nella fase preliminare, il giudice non disponga la fissazione di un’udienza camerale aperta alla partecipazione del pubblico ministero e dei difensori – in relazione alle richieste acquisitive dagli stessi formulate.

Il punto di riferimento dell’itinerario procedimentale destinato a concludersi con l’ordinanza acquisitiva è costituito dall’elenco formato dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 268-bis, co. 1 c.p.p.: esso, infatti, traccia il perimetro iniziale della successiva richiesta di acquisizione, il quale può essere espanso dalle eventuali richieste provenienti dai difensori che, avendolo esaminato ed avendo avuto modo di studiare gli atti ed ascoltare i dialoghi captati – non di ottenere la copia dei primi né la trasposizione dei secondi, stante anche il disposto dell’art. 89-bis, co. 4 disp. att. c.p.p. ed in linea con quanto previsto dall’art. 1, co. 84, lett. a) n. 2 della legge di delega – hanno avuto la possibilità di saggiare le caratteristiche delle conversazioni e la legittimità dei provvedimenti prodromici e, quindi, di determinarsi circa la proposizione di richieste acquisitive ulteriori ovvero di istanze di eliminazione di captazioni indicate dal pubblico ministero ma inutilizzabili o irrilevanti.

Le richieste dei difensori devono essere depositate nella segreteria del pubblico ministero, il quale ne cura l’immediata trasmissione al giudice.

Il meccanismo realizza una canale comunicativo che permette al pubblico ministero di attivare la facoltà, prevista dall’art. 268-ter, co. 5 c.p.p., di integrare la richiesta originaria e di produrre memorie – l’integrazione e le memorie, nel silenzio di un articolato che non compendia un rinvio analogo a quello contenuto nel successivo co. 6, dovranno essere depositate presso la cancelleria del giudice – dirette a contrastare quanto eccepito dalla controparte in punto di utilizzabilità e rilevanza delle conversazioni oggetto della richiesta originaria.

Sebbene analoga facoltà sia conferita ai difensori – per tutti il termine finale è, comunque, costituito dalla decisione del giudice – non è previsto un meccanismo comunicativo riferito alle richieste e memorie depositate dal pubblico ministero, né sono previste forme di interrelazione rispetto alle richieste formulate dai diversi difensori interessati al procedimento, di talché l’esercizio del potere integrativo (della richiesta originaria) e l’esplicazione della potestà argomentativa (propria delle memorie) rischiano di non poter usufruire delle sopravvenienze interne all’itinerario acquisitivo.

La funzione del giudice non è meramente notarile, qualificandosi al contrario di una connotazione valutativa la cui complessità – scaturente dalla corposità delle argomentazioni eventualmente proposte dalle parti e dall’entità e qualità delle riflessioni indotte dall’eventuale e sempre possibile ascolto delle conversazioni e comunicazioni – può determinare, come già detto, il passaggio alla forma dell’udienza camerale partecipata.

Il provvedimento del giudice ha un contenuto complesso, dovendosi disporre:

1. l’acquisizione delle conversazioni e comunicazioni che, indicate dalle parti, non siano manifestamente irrilevanti;

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3. la trascrizione sommaria, a cura del pubblico ministero, del contenuto di dialoghi acquisiti su richiesta dei difensori e non trascritti ab initio ai sensi dell’art. 268, co. 2-bis c.p.p.;

4. la restituzione degli atti e dei verbali relativi a conversazioni e comunicazioni non acquisite al pubblico ministero, per la conservazione nell’archivio riservato di cui all’art. 269, co. 1 c.p.p.

L’ordinanza acquisitiva – ovvero, per i casi previsti dall’art. 268-ter, co. 1 c.p.p., il decreto del pubblico ministero – determina, altresì, altri importanti effetti:

1. provoca il venire meno del segreto sugli atti intercettativi inerenti a conversazioni e comunicazioni acquisite, regime che, alla luce di quanto previsto dall’art. 269, co. 1 c.p.p., in generale permane nei frangenti precedenti nonostante le facoltà già conferite dall’art. 268-bis c.p.p. La norma, probabilmente, si pone in non perfetta aderenza con la disposizione di cui all’art. 1, co. 84, lett. a) n. 2 della legge di delega: essa, invece, vincolava alla definizione della procedura acquisitiva soltanto il permanere del divieto di pubblicazione di cui all’art. 114, co. 1 c.p.p.;

2. legittima i difensori ad ottenere la trasposizione delle registrazioni acquisite, fino ad allora soltanto suscettibili di ascolto;

3. delimita l’ambito di una eventuale richiesta di distruzione delle registrazioni non acquisite, ai sensi dell’art. 269, co. 2 c.p.p.

Se la sede tipica dell’attività acquisitiva è costituita dalla fase delle indagini preliminari, la riforma non esclude l’inserimento di appendici in segmenti successivi, potendosi innanzitutto verificare che una richiesta di acquisizione di conversazioni e comunicazioni si collochi nell’udienza preliminare, ipotesi in cui il giudice provvede ai sensi degli artt. 268-ter e qua268-ter c.p.p. (art. 422, co. 4-bis c.p.p.).

Ma l’art. 472, co. 1 c.p.p., nella versione modificata dal decreto legislativo in esame, formalmente compendiante un nuovo caso di dibattimento a porte chiuse nella sostanza prevede che la procedura acquisitiva si completi dinanzi al giudice del dibattimento a fronte di casi di reiterazione di richieste di acquisizione in precedenza non accolte e di proposizione di nuove richieste, gli uni e gli altri determinati, eventualmente dalla sopravvenienza di ragioni che rendono rilevanti conversazioni e dichiarazioni non ritenute tali nei frangenti precedenti.

La fase degli atti introduttivi al dibattimento costituisce, in ogni caso, il segmento in cui si colloca la perizia trascrittiva, ossia lo strumento documentativo tipico delle conversazioni e comunicazioni fruibili in dibattimento.

La collocazione sistematica del nuovo art. 493-bis c.p.p. rende il meccanismo documentativo ivi previsto assimilabile ad una comune richiesta di prova, sottratta però ai parametri di valutazione di cui all’art. 190 c.p.p. (il giudice, prevede infatti la norma, “dispone” la trascrizione richiesta: ossia non può disattendere la richiesta stessa) in ragione del fatto che ogni giudizio di rilevanza è assorbito dall’esaurimento della precedente fase acquisitiva.

Sembra chiaro che, trattandosi di richieste acquisitive dibattimentali, la trascrizione debba essere disposta ai sensi dell’art. 507 c.p.p., sebbene l’acquisizione, logicamente precedente, sia presidiata dal criterio valutativo della rilevanza, non a caso richiamato dall’art. 472 c.p.p.

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3. La disciplina del captatore informatico.

L’intercettazione di conversazioni mediate captatore informatico viene effettuata tramite il ricorso ad un software il quale viene installato in un dispositivo del tipo target a distanza ed in modo occulto tramite l’invio con una mail, un sms o un’applicazione di aggiornamento. Il software è costituito da due moduli principali: il primo (server) è un programma di piccole dimensioni che infetta il dispositivo bersaglio; il secondo (client) è l’applicativo utilizzato dal virus per controllare siffatto dispositivo.

Utilizzando il programma informatico appena descritto è possibile, tra le altre cose, attivare il microfono del dispositivo di destinazione e, quindi, apprendere per tale via i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto che ha la disponibilità materiale del dispositivo.

E’ noto che la legge di delega prospettasse, rispetto ad un tema coinvolgente un mezzo di ricerca particolarmente insidioso, un intervento calibrato su tutti i punti, omogeneizzando i limiti di ammissibilità rispetto ai delitti diversi da quelli di criminalità organizzata: quelli, cioè, di cui si era occupata la famosissima Cass. pen., Sez. un., 1 luglio 2016, n. 26889, la quale aveva affrontato proprio la questione relativa al perimetro di ammissibilità di un siffatto mezzo captativo.

Le Sezioni unite, approfondendo gli spunti tratti dall’ordinanza di rimessione e dopo avere ribadito la correttezza della qualificazione giuridica dell’attività investigativa svolta tramite agente intrusore come intercettazione di tipo “ambientale”, avevano affermato i seguenti principi di diritto:

a. deve escludersi la possibilità di compiere intercettazioni nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., con il mezzo indicato, al di fuori della disciplina derogatoria per la criminalità organizzata di cui all’art. 13, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in l. 12 luglio 1991, n. 203, non potendosi prevedere, all’atto dell’autorizzazione, i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico verrà introdotto, con conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l’effettivo rispetto del presupposto, previsto dall’art. 266, co. 2 c.p.p., che in detto luogo “si stia svolgendo l’attività criminosa”;

b. è invece consentita la captazione nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure se non singolarmente individuati e se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa, per i procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, secondo la previsione dell’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152.

La Corte di cassazione aveva poi colto l’occasione per ribadire l’adesione ad una interpretazione ampia della nozione di “criminalità organizzata”, definizione la cui precisazione non costituisce – precisavano le Sezioni unite – un mero esercizio teorico poiché da essa dipendeva l’applicazione delle norme processuali che si riferiscono alla categoria di reati ad essa correlata.

Aveva chiarito, pertanto, che per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata dovessero intendersi non soltanto quelli elencati nell’art. 51, co. 3-bis e 3-quater c.p.p., ma anche quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere ex art. 416 c.p.p., con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

Sul versante procedurale, invece, la legge di delega imponeva un peculiare dovere motivazionale del giudice in punto di necessità della metodologia captativa in discorso

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rispetto a specifiche esigenze investigative, modalità comunque da attuare mediante l’utilizzazione di programmi conformi ai requisiti predeterminati da un apposito decreto ministeriale.

L’esigenza di un controllo continuativo della dinamica esecutiva si poneva, invece, alla base sia della previsione secondo cui l’attivazione del microfono dell’apparecchio di destinazione dovesse avvenire previo invio di un apposito comando e non in conseguenza dell’installazione del captatore, sia della previsione di specifici obblighi documentativi correlati alla durata delle singole registrazioni.

Al fine di garantire integrità e originalità delle registrazioni, invece, era stata inserita la previsione secondo cui il trasferimento delle registrazioni dovesse essere effettuato esclusivamente verso il server della procura della Repubblica, senza, dunque, l’intermediazione di centri collocati presso gli uffici di polizia giudiziaria.

Se l’esigenza di rispettare standards tecnici predefiniti sul versante della garanzia di affidabilità, sicurezza ed efficacia è delineata dall’art. 89, co. 2-bis disp. att. c.p.p. con riferimento alle disposizioni di un decreto del Ministro di giustizia da emanare, precisa l’art. 7 del decreto legislativo, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore di quest’ultimo, la necessità di sganciare la procedura di installazione del captatore dall’effettiva ed autonoma attivazione del microfono dell’apparecchio di destinazione può soltanto dedursi implicitamente dal riferimento contenuto nel nuovo art. 267, co. 1 c.p.p.

In ogni caso, precisa l’art. 271, co. 1-bis c.p.p., non sono utilizzabili i dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all’inserimento del captatore informatico.

Il decreto legislativo prospetta una modificazione dell’art. 266 c.p.p. la quale, in primo luogo, ribadisce la collocazione delle intercettazioni mediante captatore informatico nell’ambito delle intercettazioni tra persone presenti.

Inoltre, come prospettato dal legislatore delegante, la captazione “domiciliare” mediante agente intrusore, in generale consentita rispetto a qualsiasi tipologia di reato prevista dall’art. 266, co. 1 c.p.p., viene circoscritta rispetto ai delitti diversi da quelli indicati all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater ai casi in cui vi siano elementi idonei a fare ritenere che nell’ambiente domiciliare sia in corso di svolgimento attività criminosa.

L’intervento sul versante motivazionale viene attuato mediante una duplice previsione che, nel complesso, delinea un obbligo di motivazione rafforzata diversamente calibrato a seconda dell’oggetto del procedimento ma che, per struttura e scopo, consente di intravedere l’intenzione del legislatore di individuare nel ricorso alla metodica investigativa che ci occupa una sorta di extrema ratio.

Invero, sul piano generale il giudice per le indagini preliminari deve esporre nel decreto autorizzativo, accanto alle ragioni di indispensabilità del mezzo di ricerca della prova ai fini della prosecuzione delle indagini, i motivi per i quali appare necessario il ricorso al captatore informatico.

In relazione, invece, ai delitti diversi da quelli di criminalità organizzata – quelli, per intendersi, indicati nel’art. 51, co. 3-bis e 3-quater c.p.p. – è richiesta l’indicazione dei luoghi e dei tempi in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono: indicazione complessa ma necessaria perché coinvolgente un mezzo di captazione installato su un dispositivo itinerante, rispetto alla quale è utilizzabile anche una forma di determinazione che il nuovo art. 267, co. 1 c.p.p. definisce “indiretta” e che, nelle possibili quanto

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prevedibili disquisizioni circa la ricorrenza di un requisito prescritto a pena di inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p., rischia di schiudere le porte verso modalità descrittive poco o per nulla dotate di efficacia delimitativa.

Anche perché, specifica l’art. 271, co. 1-bis c.p.p., i dati acquisiti al di fuori dei limiti spaziali e temporali stabiliti nel decreto sono inutilizzabili.

I delitti di cui all’art. 51, co. 3-bis e 3-quater c.p.p. sono gli unici a poter fruire del mezzo di captazione in discorso secondo la procedura speciale prevista dall’art. 267, co. 2 c.p.p., previa specifica indicazione delle ragioni di urgenza: prescrizione, quest’ultima, che sembra costituire una inutile ripetizione di quanto già previsto dalla norma generale – le ragioni d’urgenza non potendo consistere in altro se non nella prospettazione del pericolo che il ritardo produca un grave pregiudizio alle indagini – e che appare in contrasto con la previsione contenuta nell’art. 1, co. 84 lett. e) n. 6 della legge di delega, ove era prescritto un obbligo motivazionale molto più incisivo, riferito all’indicazione di specifiche situazioni “di fatto” pregiudicanti il ricorso alla procedura ordinaria ed integranti “concreti” casi di urgenza e delle ragioni per le quali il ricorso all’intrusore si manifestasse come necessario. Un ulteriore profilo di contrasto è ravvisabile nella tempistica della procedura di convalida, dal momento che il rinvio operato dall’art. 267, co. 2-bis c.p.p. alla disciplina contenuta nel comma precedente dilata di ventiquattro ore l’itinerario delineato dalla norma delegante, la quale indica nelle quarantotto ore successive all’emissione del decreto dispositivo dell’intercettazione “urgente” il limite entro cui esaurire la procedura di convalida.

In linea – ma soltanto apparentemente, come si avrà modo di evidenziare – con le previsioni della legge di delega, invece, ed in termini derogatori rispetto ad un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i risultati delle intercettazioni telefoniche disposte per un reato rientrante tra quelli indicati nell’art. 266 c.p.p. sono utilizzabili anche relativamente ai restanti reati per i quali si procede nel medesimo procedimento, pur se per essi le intercettazioni non siano consentite, (Cass. pen., Sez. V, 29 aprile 2014, n. 17939. L’impostazione è stata autorevolmente ribadita pochi mesi più tardi, da Cass. pen., Sez. VI, 9 agosto 2016, n. 34765), il legislatore ha previsto che le risultanze dell’intercettazione eseguita mediante captatore informatico possano essere utilizzate esclusivamente al fine di provare i reati oggetto del provvedimento autorizzativo.

Uno scostamento dalla previsione di cui all’art. 1, co. 84 lett. e) n. 7 della legge di delega è, tuttavia, ravvisabile nella successiva disposizione derogatoria, la quale autorizza l’utilizzo delle risultanze medesime anche per delitti diversi, allorché si tratti di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e rispetto all’accertamento dei quali le stesse risultino indispensabili.

La legge di delega, invero, mentre da un lato riferiva l’ipotesi derogatoria all’utilizzazione delle risultanze in procedimenti diversi – la norma attuativa, al contrario, non opera alcuna distinzione sul punto – dall’altro limitava il perimetro di impiego delle stesse all’accertamento di delitti di cui all’art. 380 c.p.p., norma che individua ma non esaurisce i casi in cui è obbligatorio l’arresto in flagranza di reato.

Al di là di ogni questione relativa alla qualificazione del rinvio contenuto nella disposizione delegante, la distorsione rispetto alla previsione medesima è sostanziale ed immediatamente percepibile se solo si considera l’effetto estensivo dei margini di

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utilizzabilità alla luce delle puntualizzazioni fornite dalla giurisprudenza sulla nozione di procedimento diverso.

Ribadendo sul punto un orientamento ben consolidato, la Suprema corte ha infatti chiarito che ai fini del divieto di utilizzazione previsto dall’art. 270, co. 1 c.p.p. occorre fare riferimento ad una nozione sostanziale di “diverso procedimento”, secondo cui la diversità va collegata al dato dell’insussistenza, tra i fatti di reato, di un nesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p. ovvero di tipo investigativo e, quindi, all’esistenza di un collegamento meramente fattuale ed occasionale (Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2016, n. 2608). L’impostazione si colloca lungo la linea tracciata dalle Sezioni unite poco tempo prima, avendo le stesse stabilito che la nozione di diverso procedimento va ancorata ad un criterio di valutazione sostanzialistico, che prescinde da elementi formali, come il numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato, considerando decisiva, ai fini della individuazione dell’identità dei procedimenti, l’esistenza di una connessione tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, ed i reati per i quali si procede sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 32697). Nello stesso frangente la Suprema Corte ha stabilito, altresì, che esula dal campo di applicabilità dell’art. 270 c.p.p. l’ipotesi in cui nell’ambito del medesimo procedimento vengano disposte intercettazioni per un reato e da esse emergano gli estremi di un altro reato: difatti – fa notare la Corte – in tale evenienza si tratta di utilizzare le intercettazioni agli effetti di prova di un reato diverso da quello per il quale la captazione è stata autorizzata e non di utilizzare i contenuti delle conversazioni intercettate in un procedimento diverso da quello nel quale l’intercettazione è stata disposta (Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 41317).

4. Un accenno conclusivo.

Come anticipato in premessa, il decreto delegato predisposto dal Governo presenta diversi aspetti censurabili: procedure particolarmente complesse ma pericolante sul terreno dell’effettività, fattispecie appesantite sul piano descrittivo, difetti di coordinamento rispetto ai contenuti, peraltro abbastanza puntuali, della legge di delega.

E’ percepibile la tendenza legislativa ad ampliare le maglie intrecciate dal legislatore delegante, soprattutto al fine di salvaguardare gli ampi margini di utilizzabilità che la legislazione vigente garantisce e che, nelle intenzioni del Parlamento, avrebbero invece dovuto subire significativi ridimensionamenti soprattutto rispetto alle risultanze acquisite mediante il ricorso al captatore informatico.

Può dirsi, allora, che il pericolo costituito dalla diffusione di possibili prassi devianti è tanto forte quanto attuale è la prospettiva del proliferare di questioni di legittimità costituzionale.

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