«r-»* .*n *>* \£ ’N i/ 'tl DI ATENEO .. m: -< ECHE
IL
NUOVO ISTITUTORE
nd’ Istruzione e di educazione.
A n n o D ecim o .SALERNO,
STA B ILIM EN TO T I P . N A Z IO N A LE .1878.
An n o X . Salerno, 19 G e n n a i o 1 8 7 8 . N . ' 1 e 2 .
IL NUOVO ISTITUTORE
GIORNALEI S T H X r a O N E E
m
E D U C A Z I O N E PREM IA TO CON MEDAGLIA D I ARGENTOAL V II CO NG RESSO P E D A G O G 1G O .
II giornale si pubblica Ire volte al mese. Le associazioni si fanno a prezzi anticipali mediante vaglia postale spedito al Direttore. Le lettere ed i pieghi non francati si respingono: nè si restituiscono manoscritti — P r c z / o : anno L. 5 ; sei mesi L. 3 ; un numero separato di otto pagine, Cent. 3 0 ; doppio Cent. 50.
Giornali, libri ed opuscoli in dono, s’ indirizzino — Alla Direzione del Nuovo Istitutore,
Salerno.
SOMMARIO — Le solite chiacchiere d i Capodanno — La m orte del Re — Lo flesso a r
gomento, poesia — Il Telefono M agnetico— Cronaca d e ll’ is tru z io n e — Carteggio laconico.
A I L I T T O R I
Sono dieci anni benedetti eh’ io povero Istitutore,
quando gli altri se la spassano o si fregan le mani pro
mettendosi una giornata serena , sto qui solo solo a
lambiccarmi il cervello e ad almanaccare intorno agli
augurii e alle cortesìe. Le prime volte, che la terra era
molle, lieta e dilettosa; due fiori, fra tanti che ridevano
in quel verde , m’ era lieve fatica d’ andarli cogliendo
e, in vago mazzolino, presentarli a voi ; ma ora eh’ è
un arido deserto, ingombro di triboli e di spine, dove
ho io a battere il capo per avere i g i g li, le rose e le
viole? — Or, come l’ aspetto d’ un campo mietuto , cui
nè verde rallegri nè fiore consoli, invita l’ anima a un
mesto raccoglimento e rendela o muta o scarsa di pa
role ; così mi sento io , più disposto a tacere, che a
fare il solito chiasso e le solite prediche. Dicono che
più si vada innanzi negli anni e più cresca la voglia
delle chiacchiere, e che i vecchi perciò Orazio li chiami
loquaci, queruli, brontoloni , laudatores tem poris acti.
L ’ ha detto lui , lo scolaretto di sèr Orbilio , e sarà.
Ma, se ho da dire i fatti miei, qui a quattr’ occhi, che
nessuno ci senta, io ero un po’più chiacchierino prima;
pigliavo subito fuoco ; vedevo d’ ogni intorno color di
rosa ; avevo più fede , e il verde della speranza mi
facea più pronto all’ amore, allo sdegno, alle sparate;
tanto che un certo valentuomo, che si chiama Pietro
Fanfani, mi dedicò un predicozzino del Piovano A r
lotto, perchè quasi quasi gli somigliavo nel predicare (1).
E un altro , di quelli che s’ adorano sotto il baldac
chino, e a cui i baffi grigi fumano per davvero, rin
carò la dose, e disse che io sonavo la gran Gassa (2).
Intendiamoci bene , ve’: non è già eh’ io non sappia
più menare il mazzuolo ; chè due stamburate a tempo
e a luogo pur so darle e ci vogliono ; ma , al para
gone, la lingua 1’ avevo più lunga p r im a , che non ora,
che m ’ è più grato il sonno e l esser d i sasso. Pu re i
grandi uomini son sempre t a li , anche quando scappan
loro di bocca le corbellerìe ; e se non dovento con
gli anni più chiacchierino, com e vuole Orazio, dovento
(1) Il Fanfani pubblicò, quattro o cinque anni sono, un ghiottissimo libro , inti tolato Democritus ridens , e raccolse in esso la più parte degli sc r itti capricciosi ,
dedicandoli agli amici. A me toccò il Prologo del Piovano Arlotto con questa garbata
letterina : « A chi dedico questo predicozzino del Piovano Arlotto ? A voi, caro Oli vieri, che tanto disdegnosamente torcete il muso a’ vizi del tempo nostro, e tanto zelo avete di potergli correggere. Il Piovano tornò al mondo con questo fine , ma il suo fu un lavare il capo a ll’ asino. E voi e i pochi vostri pari che farete? U hm !.... basta, vedremo; ma ho una gran paura che anche voi altri lascerete il tempo che trovate. »— Altro, mio caro Fanfani, che lasciare il tempo che trovo ! — (Vedi Democritus ridens, Firenze, Tip. del Vocabolario, pag. 97.)
(2) Vedi una lettera del Viani a pag. 67 del Nuovo Istitutore,anno VI, e la pre fazione d’ esso anno.
però più borbottone o piagnone, che m ’abbia a dire.
Oh 1 il tempo, miei cari, fa passar tanti grilli dal capo
e disperde tante illusioni ! e dieci anni di vita non
sono sì leggiera soma da non sentirsene gravi le spalle.
Ma oggi è giorno di festa, di riso, d’ allegria; e
le facce rannuvolate, gli occhi torti, le amare lam en
tazioni ci stonano in mezzo alla musica gentile dei
lieti augurii e delle melate parole. E poi quel girel-
lajo del Doni disse , che insino a oggi si son venduti
p iù P iovan i Arlotti che Senechi; e la gente non ne vuol
sapere di malinconie. Dunque allegri e buona salute;
c h è
se il libro dei sogni non la sgarra , quest’ anno
qui si ci
h ada scialar bene, perchè
è 1’anno
g e n e r o s o.Salerno, il capo d’ anno del 1878.
Il Nuovo Istitutore.
È MORTO!
O quante
Lacrim e al nobil sasso Italia serba!
Le o p a r d i.
Oh! qual mai profeta di sventure poteva prenunziar-
cela sì grave, sì amara, sì spietata ? S ì, a capo d’ anno,
il cuore l’ avevo io scuro scuro, e più volte la penna, a
lasciarla correre da sè , sarebbe riuscita in una lamenta
zione di Geremia. Se vi lasciassi cader gli occhi su certi
rabeschi, che, provando e riprovando, io tiravo sulla carta
quasi senza avvedermene; voi certo direste: Oh il cuore
non s’ inganna! Ma già non è il senno di poi, di cui mi
vo’ far bello, che ne son piene le fosse; e chi guarda in
quelle quattro parole di proemio (1), vede bene la nebbia
di tristezza che le offusca, e s’ accorge che quel po’ di riso
che spunta in sulla fine, non è schietto e sereno, e quasi
muor sulle labbra in sul primo apparire. Però un colpo
sì fiero, un fulmine sì tremendo, un uragano sì impetuoso,
nè io, nè voi, nè quanti ci viviamo in questa dolorosa
valle, potevamo mai immaginare che ci scoppiasse sì im
provviso sul capo e ci si scatenasse addosso con tanta ira
e con tanta furia. E poi quell’ Ercole d’ Italia, quell’ altis
simo campione dei nostri diritti e del nostro onore, quel
Cavaliere senza macchia e senza paura, quel miracolo di
Re: l’ Italia insomma in petto e in persona; bella del sor
riso dei suoi cieli, delle grazie e incanto d’ arte e di na
tura, di glorie antiche e moderne ; balda di gioventù e di
forza ; secura dei suoi alti e gloriosi destini__ ahi ! a tanto
strazio non mi regge il cuore; e non v’ è industria d’ in
gegno umano, che valga con le parole a significare il co
mune affanno e a ritra rre lo spettacolo sublime, commo
vente, solenne di tutto un popolo, il quale piange la morte
del suo Re e leva unanime un grido di disperato dolore.
I
Re ci paiono quasi d’ altra creta, che non siamo im
pastati noi : ci adusiamo a guardarli da lungi, quasi il loro
capo fosse velato da nubi, circonfuso di certa aureola mi
steriosa, che fa male agli occhi e offusca il vedere. E poi
destano nella fantasia una certa idea non so ben dire se
d’ orrida o terribile maestà, che ci fa trem ar le vene e i
polsi ; e se ci scopriamo il capo innanzi a lo ro , l’animo non
si apre all’amore, perchè li sente troppo alti e lontani dalla
comune schiera. Così ce li presenta la storia, e così la
più parte dei Re è uso il popolo di considerarli. Ma il
nostro Vittorio era come uno di famiglia: gli si voleva da
tutti il miglior nostro bene: era il più Italiano degli
Ita-(1) Le p arole d ’ introduzione all’ anno nuovo, che, secondo il solito, fingo le dica il giornale.
liani, il Veltro profetato da Dante Alighieri, l’ eroe di Pale
stra e di S. Martino, quegli che sentiva i nostri dolori, che
ci raccolse insieme in una sola famiglia, ci donò una P a
tria , vegliava con amore e senno sulle nostre sorti : era
insomma il più leggiadro astro di questo bel cielo d’ Italia.
E perciò al subito sparir di tanto raggio ci si sono oscu
rati gli occhi, ci s’è gonfiato il cuore; e l’Italia, l’ Europa,
il Mondo civile sciolgono sulla lagrim ata urna un cantico
di lodi, d’ ammirazione, di verace dolore, che non morrà;
e la grande e nobile figura di Vittorio Emanuele, le sue
rare virtù di Re prode e generoso, quel suo aspetto bello
di marziale fierezza, quell’ occhio fulmineo dove scintillava
tanta luce e tanta v ita; quei modi franchi, aperti, leali,
che innamoravano tanti cuori ; quella sua parola m aschia,
v igorosa, a rg u ta , improntata di tanto senno e di tanto
a rd ire , che feriva sempre giusto e scoteva gli anim i, co
me luce vivissima di baleno dardeggia gli occhi ; quel suo
magnanimo cuore dove ardeva tanta carità di P atria e tanta
fiamma di generosi affetti; oh! no, queste care memorie
non cadranno mai dal petto degli Italia n i, e il nome di
Vittorio Emanuele vivrà onorato e benedetto, finché il Sole
risplenderà sulle opere magnanime e generose.
E le opere magnanime e generose sono monumenti più
perenni del bronzo, e invano l’ ala del tempo, come dice
il Poeta, vi batte intorno per coprir tutto d’oblìo. Muore
1’ uomo, cadono le città, rovinano i regni, passano le ge
nerazioni, tutto cangia e si rinnova quaggiù ; ma Dio non
cangia, non si rinnova, non passa, o rovina o cade o muore
giammai ; nè passano o cadono in dimenticanza le virtù
e le gloriose imprese di coloro, nei quali Dio stesso volle
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
e visibile, che nel fatto provvidenziale della redenzione
italiana ? Dove sfolgoreggia più bella e nobile la virtù ,
eh’ è cosa divina, se non nel rigenerare una Nazione, op
pressa, avvilita da secolari sventure, e illustre e gloriosa
per antichi vanti d’ arte, di religione, di civiltà, d’ingegno,
di valore ? E chi più di Re Vittorio ha avuto e senno e
ardire e affetto all’ I ta lia , e più di Lui corso maggiori
p ericoli, vinto maggiori ostacoli, lottato più eroicamente
per farla tornar regina la terza volta, e ridonarle 1’ antico
splendore e l’ antica gloria? Chi operò il miracolo della
u n ità , dell’ indipendenza e libertà italiana ; il sogno di tanti
secoli e l’aspirazione di tante anime generose? — E l’Italia,
opera del suo fervido e costante amore e dei suoi eroici
sfo rzi, è il più grande e degno monumento dell’ immor
tale e glorioso suo nome. Ma non vive e vivrà solo in
questo grandioso monumento , eh’ è la P atria redenta da
Lui : Egli vive di una vita più palese, più appariscente,
nel sangue suo, nelle virtù trasfuse nei figli, nel suo Um
berto , che educato all’ alta scola p atern a, di buon’ ora ne
imitò gli sfolgorati esempi, e combattè da prode a Custoza;
dove in mezzo a un pugno di valorosi fece rinverdire gli al
lori dello storico castel di granito di Marengo. In Re Umber
to vive e s’infutura Re Vittorio: vive nel Principe Amedeo,
che per nobiltà fece il gran rifiu to , e vive e pare più bello,
più etereo, più raggiante di luce, in quell’angiolo di bontà e
fiore di virtù, eh’ è la Regina M argherita; sangue pur essa
di casa Sabauda e nobilissimo rampollo d’una stirpe d’ eroi.
Dunque Re Vittorio v iv e, perchè la virtù non muore giam
m ai; e il suo grande Spirito palpita e batte gagliarda-
mente nel cuore di Umberto I.° e agita e commuove il
petto di 27 milioni d’ Italiani, che lo sentono nel compian
to generale d’Europa, nei singulti del cuore; lo veggono
nei sogni rotti e affannosi della n o tte, nelle mille
bene-dizioni che si levano al suo nome, e in tutta quanta Ita
lia, immagine vivente e duratura del magnanimo Re. (1)
G.
Ol i v i e r i.17 Gennaio 1878.
PE R LA INFAUSTA NUOVA DELLA MORTE DEL RE
p A L L A S E I^ A A L M A T T IN O
Im p r essio n i
M oriva il giorno : e il ciel grigio e nebbioso Infondeva ne’ petti una profonda
M estizia arcana; quando incerta intorno L ’ infausta voce si diffuse : è morto Il magnanim o Re, che il flebil grido Di tutta Italia accolse; e poi successe Un lugubre silenzio, e uno stupore Tutti gli animi invase. A him è, che eterna N otte angosciosa e triste! oh non è figlio D’ Italia n o stra e non h a cuore in petto Chi dormi quella notte! oh fosse un sogno, Oh fosse un sogno il triste vero ! e 1’ alba Lo risolvesse in nebbia! oh se domani Dato ci fosse leggere qualcuna
Di quelle altere e libere parole Che Italia gl’ ispirava! Ed il pensiero, Rifuggendo dal ver, mille si crea Immagini ridenti. Eccolo altero E m aestoso sul frem ente e baldo ♦ Suo cavallo di g u erra e col vessillo
D’ Italia fra le mani, ove più fiera A rde la m ischia, si sospinge e pugna, E fra gl’ inni d’ un popolo redento Glorioso ritorna. È morto ! grida L a triste voce, m a non crede il cuore
(1) Queste parole.sono p arte d’ un d isco rso , che ieri ho pronunziato ad A ngri nelle solenni e splendide o n o ran ze, rendute da quel Municipio alla m em oria del Re V ittorio Emanuele.
AH’ im m ensa sventura, e confidente Am a illudersi ancora. Ecco invocato N ella bella P artenope che oblia
In quest’ ora di gaudio i lunghi affanni, E n tra Vittorio, e gli sfavilla in volto L a speranza d’ Italia. 0 lieti giorni D ella p atria risorta, oh sorridete, Oh sorridete al mio pensiero in queste Angosciose incertezze! È morto! è m orto! Com’ esser può, se 1’ eco ancor ripete Quelle parole sue che di sublime Orgoglio inebbriàr quanti fra noi Sentono am or d’ Italia? E in altre belle Immagini la m ente erra. Dall’ alto
Del Campidoglio Ei g rida al mondo : il voto C he sulla tom ba di mio padre io feci, È sciolto : allo stran ier chiuse son 1’ alpe, U na e lib era è Italia. E d o ra è m orto, G rida la voce; m a il pensiero ad altri Tem pi lunge trasvola. Ecco la bella F ra le città d’ Italia, ove è diffuso Tanto riso di cielo, o ra è nel pianto E nel dolore im m ersa. Ahi fra gli aranci E i cedri un velenoso alito sp ira (*) Che la desola! in tutte le sue vie
È un silenzio di m orte, a quando a quando Interrotto d a’ gem iti e dal cupo
C igolar delle c a rra affaticate
Dagl’ innumeri m orti. Ecco improvviso Un grido si diffonde: in mezzo a noi Viene il Re generoso! E sotto un denso Nembo di fiori incede, e benedetto Il suo nome risuona. Ei per l’ asilo Dall’ um ana pietà schiuso ag l’ infermi Che non han dove riposare il capo, C onsolator si a g g ira , e al paventato Letto si asside de’ morenti, e a tutti Volge un riso di am ore. Ed o ra è m orto! G rida la voce, m a il pensiero oblia In altre vaghe illusioni il vero.
E cco: spenti gli antichi odii e le gare,
Su’ lidi del Danubio e della Sprea Move, e lo seguon della P atria i voti, E ovunque passa, un popolo plaudente Gli si accalca d’ intorno, e in lui saluta Il R edentore dell’ Italia. È m orto ! No, non è ver: risuonano tuttora I lieti auguri che d’ intorno a lui
Sull’ ali d’ or volavano dell’ anno Nel primo di. Ve’: lieto oltre l’ usato, Preso zaino e m oschetto, esce alle cacce II nostro Re: risuonano le valli
A lo scoppiar delle fulminee canne: Ecco a’ suoi piedi fulm inata giace La difficile preda.
E venne 1’ alba, E ruppe i dolci inganni : oh quella nera Lista dell’ effemeridi in qual cupa
Angoscia i cuori im merse! O h, m a leggiamo! A ltra sventura è forse che si annunzia Con que’ segni di lutto. « U na serena Una pace tranquilla era diffusa
N e’sembianti del R e ; forse in quell’ ora Ei vagheggiava l’opera sublime
Da sè com pita, e innanzi al suo pensiero N ell’ ideal sua luce risplendea
L’ Italia che redense, e il generoso S’ esaltava in sò stesso ».
« A confortarlo Venne il Re de’ dolori; ed egli, erede Della pietà degli avi, umile adora L ’ amoroso m istero, e la preghiera Ultima che gli volge, è per la sua Diletta Italia: o R edentor del m ondo, Obbedendo a la tua legge d’ am ore
Io com piansi agli oppressi, io sciolsi i ceppi D’ una povera sch iav a ; ora mi accogli N ella tua pace. E in così dir più calmo Si fece in volto, e parve si addorm isse In un placido sonno. E quel gentile F ior di beltà, quell’ angiolo d’ am ore Che inginocchiato a piè del letto avea R epresso in cor le lagrim e angosciose, In un pianger dirotto, irrefrenato
Scoppia e al suol si abbandona ». Alme gentili, L asciate in libertà sco rrere il pianto
Da le sue ciglia; è pianto che non trova Alcun conforto. O povera Regina!
P overa M argherita! era l’ orgoglio, E ra 1’ am or del Re ! quando tornava Dagli umili tuguri ove asciugate Molte lagrim e avea, 1’ unico ambito Suo premio era la lode, era il sorriso Del m agnanim o R e; sovra la te rra Sola or si sente, e piange.
Al triste annunzio Un luttuoso vel tu tta dall’ alpe
Insino al m ar l’ Italia avvolse; e questo Infinito dolore una pietosa
Eco di pianto ritrovò nel cuore
D’ un augusto Vegliardo. Ecco egli prega A piè d’ un crocifisso, e quelle mani Che benedir l’ Italia, ei risolleva L a pace ad im plorar sovra la tom ba Del m agnanim o Re. Bella, im mortale F ede degli avi miei, scrivi ancor questo F r a ’ tuoi trionfi; è il più sublime e puro.
Prof. Al f o n s o Li n g u i t i.
Il_ TELÈFONO MAGNETICO
Chi avrebbe detto cent’ anni fa quando il V olta ingegnosam ente in ventò la sua pila e nei salotti gli studiosi e gli oziosi si divertivano a fare iscoccare la scintilluzza fra i due reòfori, che un di quel balocco scien tifico sarebbe usato a fare dei segni di com unicazione fra P ietroburgo e N uova-Y ork e cosi trasm ettere dispacci fra un emisfero e 1’ altro con m aggior prestezza che una staffetta non co rra da un capo all’ altro di una città? (1) Chi avrebbe detto che non solo seg n i, m a si sareb be potuto stam pare i mille chilom etri lontano una novella? (2) che si s a rebbe potuto, non solo s ta m p a re , m a scrivere autog raficam en te, fare un disegno, riprodurre un ritratto ? (3) Ma questo è nulla, o, per m eli) T elegrafo M orse— (2) T elegrafo H ughes — (3) T elegrafo Caselli (Dei quali
glio d ir e , ò ben poca cosa, e chi ha punto punto p ratica di fisica, le trova cose tanto chiare e facili che si rinnova la storiella dell’ uovo del Colombo. Se però si dicesse : non più scrivere e stam pare, m a per telegrafo si p a rle rà ; e il nipote potrà attrav erso 1’ Atlantico far con versazione collo zio a San Francisco o a Sidney, senza indiscreta testi monianza ?.... Voi non credete, leg g itric i, e mi fate bocca da rid e re , per farmi sapere che a voi non si fa bere sì grosso.
Sempre a quel ver che h a faccia di m enzogna Dee 1’ uom chiuder le labbra più eh ’ ei puote, Però che senza colpa fa vergogna ;
Ma qui tacer non posso e....
pel rispetto che vi d e v o , rispondo che non vi pianto c a r o te , m a vi narro cosa, quanto mirabile, altrettanto vera.
In questo m ese (Dicembre ) qui in M ilano , m o lti, e tu tta gente ammodo e di studio, udirono colle proprie orecchie canti, parole, discorsi di persone, che (dirò poi come) eran distanti molti chilometri e con esse conversò comè si fosse a pochi passi. Nè qui è il caso di illusione , nè di altro inganno, chè non si tra tta di fantasm agorie sc e n ic h e , m a di cosa ap erta e ch ia ra , come spero s a rà anche a voi per la sp ieg a zione che vo’ darvi del singolare fenomeno in cui sta tutto il prodigio. Or prim a rifacciam oci da un po’ di storia.
Qualche anno f a , qui in Milano c’ erano alcuni cerretan i.... Che volete? I primi a farsi padroni delle trovate scientifiche, sono sem pre i c e rre ta n i, come nelle scienze fisiche e ch im ich e, così nelle econo miche, politiche e m orali, da Adamo o poco più su fino a noi e certo dopo noi per saecula saeculorum. I cerretani sono anch’ essi provviden zialm ente necessarii ; e se qualche anno fa mi cruciava di vederm ene tanti intorno, in ogni co sa , fin nell’ esercizio della più cristian a virtù, che è la carità, o ra che in istoria son più ad d e n tro , li trovo sto rica mente cosi naturali che.... mi fanno ridere. Si considerano come gli in setti pronubi dell’ umano consorzio , chè hanno ufficio ( il cui m erito però loro non to c c a , avendo solo per fine di succiare il n e tta r e ) di propagare e rendere feconde le id ee; e torno a bomba. Dei cerretan i, dicevo, davano il divertim ento di far conversare a voce due persone molti m etri distanti per mezzo di un filo m etallico. Chi parlava, avvi cinava la bocca ad una pelle di vescica tesa su un cerchio, come un piccolo tam burino da giuoco ; e chi ascoltava , teneva 1’ orecchio a un’ altra pelle di uguale strum ento. Un solo filo m etallico congiungeva i due apparecchi. L a voce vi si udiva abbastanza ch iara da distinguere le sillabe e sentire le p a ro le , benché non fosse che un filo di voce, come di persona so tterra o di m orente che rivela un segreto ad un amico. Come avveniva ? L a pelle tesa dell’ apparecchio trasm ittente raccogliendo le onde sonore della voce, vibrava in diverso modo secondo
le diverse sillabe pronunziate. Il filo, il cui capo s ta v a , per così d i r e , diètro la pellicola a p p o s ta to , trasm ettev a le vibrazioni, e faceva allo stesso mo’ vibrare la pelle dell’ altro apparecchio ; e queste vibrazioni ripro d u cev an o , con indebolimento m a in modo p e rfe tto , la voce del parlan te di là lontano.
È certo cosa mirabile. Ma si sa che i solidi sono buoni condut tori del suono ; e il filo di m etallo fa appunto quest’ ufficio, nè più nè meno che fa una trave, a un capo della quale ponendo l’ orecchio, si ode lo sfregare all’ altro capo dì uno spillo. Così le se n tin e lle , di n o tte , si chinano coll’ orecchio a te rra per sentire le pedate di chi si avvicinasse; e fin d a piccino sentii contare di una sentinella tedesca alla fortezza di A lessandria (1800) che, accortasi di rum ore di passi g u ard in g h i, gridò il Chi va l à ì Ma niuno risponde. Ripete. N iente.
Chi va là ? per la terza volta più terribilm ente. Silenzio ; e intanto il
rum ore dei passi continuava. Pel che la sen tin ella, sp ian a il fucile e tira, vociando nello stesso tempo : heraus ! (fuori). Si d esta tutto 1’ ac cam pam ento, si accorre alle arm i; e la parola F ra m ósen! Franzósen! scorre con un frem ito di bocca in bocca per tutte le file. Gli ordini sono s e r r a t i, i fucili pronti col cane a lto , le miccie fum ano... Ma nessun si muove, nessun s ’ avanza. Cauto e sospettoso, un battaglione m arcia verso il luogo , donde il rum ore veniva... A un certo punto l’ ufficiale che lo com andava, fa cenno di ferm arsi.... In un prato q u al cuno si dibatteva per terra. E ra il ferito dalla sentinella ; e’ non c’ è dubbio. Si va a vedere ; e fra il silenzio si sente g rid are : Ein Esel ! (un asino). E ra proprio un asino c h e , come n e u tra le , credette si po tesse impunemente pascolare anche vicino alle sentinelle. Eheu miselle ! quanto asino era !
Da più decine d’ anni fa il fisico am ericano Page, poi certo H e n ry , poi certi M airan e W erth eim avevano osservato e fatto o sserv are che una verga di ferro m agnetizzata e sm agnetizzata rapidam ente vibrava per lo lungo, dando un suono tanto più acuto quanto m aggiore era la rapidità e l’ interruzione. Ecco però un mezzo di trasm ettere un suono, anzi i suoni, una m usica con tutti i suoi accidenti (via, parlo di quelli m usicali ; non confondiamoci) a qual che sia distanza , bastando di sap er interrom pere a modo e m isura la corrente. E all’ Esposizione di F iladelfia di du’ anni fa era in m ostra un telefono elettrico , inventato da Reuss, e da H eisler perfezionato, col quale si faceva udire il suono di un istrum ento lontano e in più luoghi a un tempo. Da questo a co- stru rre i telegrafi acustici fu breve passo ; e , sem pre in A m e ric a , si sonò telegraficam ente, facendo le veci di sillabe e di parole una scelta convenzionale di note di musica.
E d era già molto. Ma dal trasm ettere una nota m u sic a le , una m usica, pur con tutti i suoi accidenti, al far sentire da voce articolata,
la parola, c’ è l’ abisso, a primo vedere, delle impossibilità. P u r ci do mandiam o: Che è la parola? ei dobbiamo rispon dere: Un complesso
di suoni. Infatti la voce um ana è una m usica anch’ e s s a , m a la più
sublim e, come la più complicata. F ossero c e n to , mille volte più le note m n sicali, non varrebbero mai a ritra rre la m usica della parola. Tuttavia essa non è più che un com plesso di suoni, una m usica; e la b o cca, le la b b ra , la lingua e tutto 1’ apparato vocale non è che uno strum ento che varia di forma ad ogni vocale e c o n so n a n te, con r a pidità sorprendente. E appunto su questo fatto si poterono paziente- mente fabbricare gli automi più o men bene p a rla m ti, da quello di Alberto Magno all’ altro (di fabbrica am ericana, credo, o inglese) che l’ anno passato si faceva vedere e sentire p arlare qui in Milano — con poca soddisfazione degli spettatori, cui quelle parole sten tate che usci vano sillaba per sillaba da una sta tu a , faceva non so se più p au ra o orrore. Il fisico H elm holtz, analizzando così le vocali e cogliendone le diverse n o te , seppe farla ripetere da un organo , che pronunziò , parlò veram ente. E le consonanti ? E sse han per ufficio di modificare le vocali ; tan t’ è vero che noi imitiamo assai bene colla voce, e spesso anche li scriviam o, i rum ori di moltissime cose, per esem pio, il ro teare di una c a rro z z a , il rullo dei ta m b u ri, lo squillar delle trom bette , il sonar delle c a m p a n e , lo scoppio di una b o m b a , il fischiare di una palla ecc. Dal che si vede che la parola non è po’ poi com posta di suoni che non abbian com pagni in n a tu ra ; ed ogni sillaba corrisponde benissimo ad una o due n o te: una se la vocale è so la , e due e forse più se vi si addossa una consonante, quasi suono o rum ore di accom pagnamento.
Ma se la cosa può parere chiara per la vocale sch ietta; l’addos sam ento, come ho detto, della consonante, toglie ogni ardire, pensando come esser ne deve complicato il suono. E qui sta il p u n to , il nodo della questione. Se non c h e , 1’ esperimento di quel balocco da ce rre tani, di cui ho tenuto parola da principio, ci fa vedere un po’ di luce e sperare si possa....
E si potè, si può.
Chi ha 1’ onore di esservi riuscito, è pur un figlio di quella te rra dell’ audacia, di là dell’Atlantico, e si chiam a G raham Bell. L’ anno passato , ne venne la notizia : « Non più s e g n i, non più stam pa pei telegrafi; m a su o n i, note musicali. » Si r is e , dicendo non per nulla essere coloro Americani. Quest’ anno giunge la nuova: « Non più suoni; ma per telegrafo si p arla ! » Abballa che io lego. Che ! l’ A m erica non è la p atria dello spiritismo e dei tavolini parlanti? Pure, la novità questa volta non affogò, come tan te altre nel grande tr a g itto , m a lo rifece più volte, e con spiegazioni, non chiare in verità, m a sufficienti, dopo i sopradescritti trovati di P ag e e comp. da far dire : Può essere !
Ed è certo grandissim o m erito del nostro ingegnere M aroni 1' es sersi tenacem ente attaccato a quel può essere, p er levarne un è. E gli imaginó e ricostrusse 1’ apparecchio ; e da un m ese qui in Milano si telèfona (verbo nuovo; m a se me lo sente dire il Fanfani, mi strap pa un orecchio) e si corre a p ro v a re , a far un po’ di conversazione con una persona che m agari è all’ altro capo della città. E aneh’ io volli levarm ene la voglia, e potei p er la gentilezza d’ uno dei fratella G erosa, m eccanici de’ bravi. Quando mi si presentò 1’ apparecchio — in form a di un grosso rocchetto il quale è attaccato a due fili m etallici m iste riosi che p er un foro nella p arete se ne vanno chi sa dove — mi parve di essere preso a gabbo. Me 1’ accostai all’ orecchio con diffidenza, e udii parole distinte come di persona che fosse in un baule li nella stanza, nascosta. A ccostai all’ apparecchio la bocca e dom andai : Che
giorno è oggi? Subito mi si risp o se: È il dì ventinove di dicembre del 1877. P arevam i di sognare ; mi g u ard av a intorno ; riavvicinava il ro c
chetto all’ orecchio ; lo staccava, lo guardav o e guardavo il filo come avessi a vedere le parole correre su esso ; poi tornava a g u ard are il rocchetto che mi rivolgevo in m ano.... Ve lo confesso? mi faceva pau ra, chè la fantasia raffigurava appiattato in quel pezzo di legno un homun.
culus burlone e m aligno , che si prendeva giuoco di me. F o rtu n a che
agli sgoccioli del 7 7 , nel m ese che una gam ba di legno h a fatto an dare a gam be all’ aria un M inistero che le h a v iv e , certe ubbie non sono più perm esse; se no, v attel’ a pesca. Intanto q uesta invenzione che un secolo fa avrebbe fatto la fortuna di tanti M esm er e Caglio stri, e più addietro sarebbe stato affare d a Sant’Uffizio, oggi è a se r vizio di tutti; e i sullodati fratelli G erosa per 17 lire vi forniscono tutto 1’ apparecchio, il quale senza spesa punto può d urare p er anni e anni. Come è fatto ? mi chiedete. È la più sem plice m acchina ( se cosi può chiam arsi ) , che siasi mai vista. Non c’ è bisogno di p ile , nè di altri simili strum enti che consum ano e si consum ano. Un cilindretto di ferro m agnetizzato, del filo m etallico e una lam inetta di ferro come un’ unghia, e non altro. Eccovi uno schizzo di figura dim ostrativa :
b
b
Orbene, a a è un cilindretto di ferro calam itato, lungo una spanna e grosso un mignolo di fanciullo. A un capo di esso sono avvolte centinaja di metri di sottilissim o filo m etallico, b b, come sui rocchetti degli elettro-m otori. I due capi di questo filo, e c, servono di comuni cazione fra le due stazioni. E a piccolissim a distanza dal capo fasciato
del cilindretto calam itato è una sottil lam ina d d di ferro , a mo’ di piccolo disco, ferm a al foro di un cilindro di legno che fa da astuccio. Ha questo la forma dei ro c c h e tti, su cui è avvolto il filo di cotone o di seta da cucire. Nell’ interno si pone il cilindretto m agnetizzato ; a un foro da un capo che si allarg a a trom betta sta la detta lam ina. Tale è l’ apparecchio per parlare, e tale e quale l’ altro per ascoltare; vo’ dire uno stesso apparecchio serve per due u s i , pur di accostarlo alla bocca o all’ orecchio, come se n’ ha bisogno.
Or che avviene ? Accosto 1’ apparecchio alla bocca e parlo. La lam in a, d d, ad ogni sillaba vibra d iv ersam en te, e rapidissim am ente si avvicina e si allontana dall’ estrem ità del cilindretto calam itato. Ognuno di questi diversi movimenti è cagione di una corrente indotta più o meno forte, a seconda delle vibrazioni, nel filo ravvolto speral- mente. Queste correnti muovonsi pei fili e e che si attaccano al filo dell’ altro apparecchio, e quivi riproducono esattam ente le stessissim e correnti ; quindi gli stessi effetti, per via contraria : però vibrerà la lamina e riprodurrà, anzi riproduce (chè non c’ è spazio di tempo sen sibile) gli stessi suoni, la stessa parola.
E d ora non vo’più altro aggiungere, lasciando al lettore alm anac care : (ci si trova tanto piacere! ).
P. Fornari.
CRO N A C A D E L L ’ IS T R U Z IO N E .
——-eeoo»a» < ■■
■ a s v e n t u r a R a z i o n a l e — Ogni cronaca di giornale è piena di notizie sulla morte del Re e sulle straordinarie e solenni onoranze che si rendono alla sua benedetta memoria. Indirizzi di condoglianza e telegrammi piovono da ogni parte : per otto giorni chiuse le scuole, e dappertutto desolazione, com pianto, solenni e commoventi m anife stazioni di pubblico e unanime dolore. Non appena si sparse qui l’ in fausta nuova, i professori spedirono al Ministro della pubblica Istru zione il seguente telegram m a:
M inistro P.a Istruzione — Rom a
All’ unanime grido di dolore, che scoppia irresistibile da ogni petto Italiano per l’ immensa sciagura che ha colpito la nazione, perdendone si improvviso la m aggior gloria e vanto, i Professori tutti de’ varii I- stituti di Salerno, associandosi di g ran cuore, m anifestano a V. E. i sentimenti del loro più profondo cordoglio, e rafferm ando la fede nei gloriosi destini d’ Italia e la devozione nella Illustre C asa di Savo- a, pregano V. E. di farsi interprete de’loro animi presso 1’ Augusto F ig lio e successore di tante paterne virtù e di tanti gloriosi titoli all’ affet tuosa riconoscenza degl’ italiani.
Provveditore — S c riv a n te
I n d i r i z z i d i c o n d o g l i a u a e — F ra i molti indirizzi di condo glianza, scritti nella funesta occasione, mi piace riferir questo del eh. prof. Persico, a nome della R. U niversità di Napoli.
A . S. M . Umberto I.
Quando una nuova corse, come baleno, im provvisa e sin istra per questa città, noi restam m o più che afflitti, stupiti. Quasi non p areva che potesse m orire Chi compi opere m aravigliose e im mortali, Chi fu il sospiro di secoli, Chi con nuovo m iracolo potò dire a un popolo in tero: Sorgi e cam m ina!
Conceda la M aestà V ostra che questa U niversità, la più num erosa d’ Italia, le esprim a il suo immenso dolore. Sono lacrim e come di fi gliuoli che si mescono a quelle di un figlio: chè Vittorio E m an u ele, donando alla M aestà V ostra la v ita , agli Italiani una patria, è v e ra m ente il padre comune.
A ccolga insieme, o Sire, gli om aggi di devota fedeltà di questo Corpo accadem ico e di questa gioventù stu d io sa, che si conforta al pensiero della grande eredità che il suo M agnanim o G enitore le lascia e che nelle sue mani è prom essa sicura di splendido avvenire.
Le scienze e le lettere sono frutti di p a c e , m a non li m atu ra se non il sole della libertà e della g lo ria; e questo sole nella C asa di Savoia non tram onta.
A ccolga i voti di felicità p e r 1’ A ugusta R egina e p er il Principe di Napoli.
Quando la M aestà V ostra volle che la su a cuna ed il titolo rico r dasse questa C ittà, lo ha affidato all’ am ore de’ N a p o le ta n i, e N apoli non vien meno all’ am ore!
Addì XVI di gennaio MDCCCLXXVIII.
S o le n n i o n o r a n z e fu n e b r i — F ra imprimi comuni della P ro vincia è stato quello d’ Angri ad o no rar la m em oria del m agnanim o Re. — M ercoledì, 16 del corrente, alle 1$ a. m., nella v a s ta ch iesa di S. Giovanni, p a ra ta solennem ente a lutto, con scelta o rc h e stra di pro fessori di S. C a rlo , com inciavasi la m estissim a e solenne cerim onia. Sorgeva in chiesa un m aestoso catafalco, illuminato da mille e mille ce ri: tutto il clero officiava; il popolo, le scuole e gl’ istituti pubblici e priva ti dei vicini comuni erano tutti presenti: il consiglier di P refettu ra sig. A - vellino rap p resen tav a il Prefetto, assistev a il R. P rovveditore agli studi, il P reside del Liceo, cav. Colomberi, il seg retario dell’ uffizio scolastico, altri professori, gli ufficiali del R. esercito di stan za a N ocera e a Sca fati, l’ intero consiglio m unicipale d’ Angri col Sindaco, sig. F. D’ A n tonio, a cui si deve in principal modo il pensiero e la solennità e pouipa della funebre cerimonia; e rap p resen tan ze di vicini comuni, ed egregi cittadini e nobili signore: la v asta ch iesa non b astav a ad accoglier tan ta gente. Il Direttore di questo periodico fece il discorso, che già è sotto ì torchi. In quell’ o r a , che durò l’ elogio funebre , molte lagrim e fur vi ste cadere dagli occhi e molti visi im pallidire. L esse dopo acconce p a role il P retore d’A ngri, e poi anche il Sig. Riolo. Alle 3 p. m. finiva la cerim onia, riuscendo solenne, com m ovente e splendida a s s a i, con m olta lode del popolo d ’ Angri.
CARTEGGIO LACONICO
Cai Signori — S . B o tti, A, C e rru ti, A . Castagna, N . de Geronimo, R. di Do»
nato, 0 . Janniello, Portanova — ricevuto il prezzo d ’associazione.
Pr o f. Gi u s e p p e Ol i v i e r i, Direttore.
A n n o X. S a l e r n o , 12 Febbraio 1 8 7 8 . N .1 3 , 4 e 5 .
IL NUOVO ISTITUTORE
GIORNALE30’ X S T K t r a O N E E
m
E B U C A Z X O N E
PREM IA TO CON MEDAGLIA D I ARGENTOAl VII CONGRESSO PEDAGOGIGO.
II giornale si pubblica tre volte al mese. Le associazioni si fanno a prezzi anticipati mediante vaglia postale spedito al Direttore. Le lettere ed i pieghi non francati si respingono: nè si restituiscono manoscritti — F r e n o : anno L. 5 ; sei mesi L. 3 ; un numero separato di otto pagine, Cent. 3 0 ; doppio Cent. SO.
Giornali, libri ed opuscoli in dono, s’ indirizzino — Alla Direzione del Nuovo Istitutore,
Salerno.
SOMMARIO — Una lettera d i Prospero Viani — S u lla Vita d i C risto del Por tuari, Carme del prof. A. Linguiti — Un' elegia del com m. Ferrucci — Del m odo d i d a r
moto e vita a i libri d i lettu ra — Del trionfo della Libertà del M anzoni — A ned doti su Vittorio E m anuele — A n n u n zi bibliografici — Carteggio laconico.
UNA LETTERA DI PROSPERO VIANL
Mio caro Olivieri,
Bologna, 5 Felbrajo 1878.
Patti chiari, amici pari : la prima volta che tu mi fai
arrossire citando il mio noma e ingannando il prossimo ,
come facesti testé nelle solite chiacchiere del capo d’anno,
io ti do querela. Ma tu ’se’ ameno, sai? Se non fosse perchè
perchè.... Via, ti salva dal mio sdegno la comune sventura,
ed anche il tuo merito. Sì, mentre l’ ho teco, debbo, mio
malgrado, lodarti. Tutte le tue parole nell’ Istitutore, gli
affettuosi e bei versi del L inguiti, F elogio funebre da te
pronunciato in Angri mi hanno disarmato, impietosito. La
tristezza non è fiera nè violenta. S ì , ho letto tutto con
penoso amore ; e a sentir le lodi di Vittorio Emanuele vie
più mi affezionavo ai lodatori. Dio ve ne rim eriti tutti.
Tu coll’ elogio, scritto in sì poco d’ ora, hai fatto l’ impos
sibile ; niun savio e discreto può non ammirarsene. Come
è vero che l’ affetto e 1* esercizio dello scrivere o del dire
ajutano ! Bravo, a mio marcio dispetto, bravo !
Molte ladre poesie finora ho letto in morte del nostro
Re : ve ne saranno, o ne verranno , delle belle e buone ;
ma fin qui io non conosco che l’anzidetta del Linguiti e un
canto del prof. Alessandro Chiappetti di Jesi, valentissimo
nel latino e nell’ italiano , al quale modest’ uomo non son
degni di portar dietro le ciabatte molti pettoruti barbas
sori. Le condoglianze in verso e in prosa piovvero e
piovono , segno d’ inestinguibile desiderio e d’ amore indo
mato : fino una Signorina , qui scolara liceale , die’ segno
del suo dolore in versi ; che, per quel che fa la piazza e
fanno i licei , posso forse non vergognarmi a mandarti.
Eravamo all’ entrata dell’ anno e del carnevale, festeggiata
da per tutto, e dovendo verosimilmente andare a una ve
glia , o fingendo d’ a n d a rv i, vi porta l’ orrenda novella
della morte del Re e così comincia ex abrupto la signora
Giulia C avallari:
Fermate, fermate : rompete le danze :
Orrenda novella !__ Più quegli non è,
Che tutte fé’ piene le nostre speranze,
Che libera ed una l’ Italia ne die’ !
0 vergini, o spose — pietose accorrete,
Spogliate le terre di lauri e di fior ;
Un serto all’Augusto, eh’è morto, intessete,
Un serto bagnato dal pianto d’ amor.
Nel campo pe’ nostri pugnando da forte,
Al trono sociando fedel libertà,
Provò colle genti d’ Ausonia risorte
Sol farne la sorte — chi fede terrà.
Son muti dinanzi la spoglia del Grande
Invidia di parti, malnati pensier :
Un lungo lamento per tutto si spande,
Il padre si piange, si piange il guerrier.
E morto : ma seco l’ inciela la gloria ;
La fama lontano col mondo n’ andrà :
E viva ai nepoti la sacra memoria
La man più gagliarda pugnando farà.
L’ Europa dolente s’ inchina al feretro ;
Gli antichi nemici gli cadono al pie :
Trionfo più grande che traggersi dietro
Caterve prigioni di popoli e re !
0 Roma fatale, rinata nel mondo,
Adora la polve del re più leal :
Di pace, d’ imprese sia germe fecondo,
Sia novo prodigio, che duri immortai!
0 vergini, o spose — pietose accorrete,
Spogliate le terre di lauri e di fior ;
Un serto all’Augusto, eh’è morto, intessete,
Un serto bagnato dal pianto d’ amor.
— Oh, se non hai altro da mandarmi, dirai tu, hai ben
poco. — E chi te lo dà per molto ? Anzi fammi un piacere :
mostra questi versi scolareschi ai due professori Linguiti
(ai quali farai per me una riverenza alla cinese), e chiedi
loro : Che voto dareste a questo componimentino, se fosse
d’ un vostro scolaro ? Se gli dànno più del 6 , stampalo ,
se no, straccialo, e tutti pari. Sta sano.
Il Tuo
Pr o s p e r o Via n i.
PER LA PUBBLICAZIONE DELLA VITA DI G. CRISTO
DI VITO FORNARI.
j^A R M E DI y ^L F O N S O J^INGUITI. Dicon che il suon de la m ortai parola
Ha vinto il Verbo che innovò la te rra : Dicon che innanzi alla diffusa luce Della Ragione im pallidisce e muore Il raggio della F ed e, e fatto adulto ,
Vinte le nebbie, al suo m eriggio ascende L ’ um an pensiero, e a solvere 1' enigm a Della v ita m ortai b asta a sò stesso. Ahi m a perchè quel gem ito eh ’ erompe Da tanti cuori e ci co ntrista in mezzo A gl’ inni di trionfo ? e perchè m ai
W e rth e r si uccide, e F austo è irrequieto? P erchè triste è M anfredo, e chiede solo Il silenzio e 1’ oblio ? che son quei solchi Sulla fronte di L a ra ? I loro affanni Son gli affanni d’ un’ anim a che, n a ta Al sorriso, non trova in sulla terra Alcun sorriso che rispond a al suo ; Son gli affanni d’ un’ anim a che asp ira All’ infinito, e sola in un deserto Sente b attere il cuore. Al giovinetto 1 Che tem erario penetrò nel tempio E scoperse l’ im m agine velata, Sparve il sereno della vita, sparve Ogni lieta speranza. U na beffarda Voce or suona d’ intorno e ci con trista :
Gli D ei sen canno. Ahi l’ inno in sulle labbra
Muor del poeta, e spento è il sacro foco Che 1’ a rtista accendea, quando dinanzi Alle forme leggiadre a cui diè vita Il suo pensier, chinava ambo i ginocchi E d adorava. Un forsennato orgoglio Sino ai cieli è salito, ed un deserto Vi h a disteso d’ intorno ; entro a ’ recessi È disceso de’ cuori, e vi h a soffiato Il più reo de’ veleni. I vigorosi
Vanni a P siche h a tarpato, e verm e an ch ’ essa Si striscia nella polvere ; è venuto
Sopra i sepolcri e ne h a disperso i fiori, H a velato il sorriso della Speme, U ltim a diva, e alla d eserta m adre C h’ ivi piang ea sull’ unico figliuolo Che le ra p i la m orte, una parola H a detto di sconforto ; annuvolata H a quella fronte che nel duol seren a E ra rivolta al cielo. E sogghignando T en ta di p en e trar quelle sublimi Tranquille re g io n i, ove sorride
Della bellezza la serena luce, E quel puro oscurar raggio divino Che splende ancora sulle vostre fronti, O bellissim a Ofelia, o B e a tric e , 0 Cordelia, o M atelda.
U na sibilla O scura e paurosa è consultata
Dalle turbe raccolte, e sem pre, I l N u lla , Risponde a tutte loro inchieste. I campi Del pensiero ora sem brano un deserto Lido dal m are flagellato, dove
Non son che avanzi di naufragi.
Invano F ra le ruine accum ulate assorge,
E g rid a un sofo : 2 Se deserto è il cielo Che tan te alm e rapì, che tanti sguardi L assù rivolti h a consolato, ancora Splende il divino sulla te rra ; irrag gia Ancor le nostre menti una serena Luce ideal, m a un gemito risponde : Ahi vana forma è 1’ am orosa idea
Che il m ortale vagh eggia: A spasia è figlia Dell’ um ano pensiero, è un a menzogna. 3 Ma quale eterea luce in fra le nebbie
Che si addensano intorno ? E qual fragranza Come d’ un’ au ra di beati Elisi ?
Scovriamo il capo ! Oh quanta orm a di Dio Sulla sua fronte! or eh’ Ei torna da’cieli, Dove l’ ale acquetò del suo pensiero Il divino Poeta. A lui venite,
Voi che cercando il vero, errate soli, P resso alle rive di deserto fiume Sotto iperboreo ciel. L a sua parola Che nulla cela a noi delle beate Consonanze a cui 1’ anim a sospira , F ia che sgom bri da voi la brum a e il gelo Che sì vi a ttrista, e un’ a ltra volta a voi Quelle forme di eterna giovinezza, Quelle forme d’ am or da voi fuggite, Sorrideranno.
Eletto italo ingegno, Sofo e Poeta che in leggiadri veli Il vero adombri, e il ver converti in bello,
Oh chi diè tan ta libertà di voli Al tuo pensier che rapido trasco rre P er le sublimi vie dell’ Infinito ! Oh non è vero che ta rp a ta è 1’ ala Dello spirto che crede. Ei dall’ am ore A vvalorato, come più si leva,
Più libero si sente ; e presso a Dio Si riposa nel ver, m entre un’ an g u sta M uda ove sb atta un’ aquila le penne, È quel breve confine, ove si muove
L ’ alm a che sdegna dell’ Am or gli am plessi, E nella poca su a virtù confida.
Oh non è ver che un’ alta notte prem e Chi si affisa a’ m isteri ! A te dal mondo
Invisibile scende im m ensa luce Sul visibile mondo. E in ogni cosa Tu miri il nodo che il finito stringe All’ infinito. Un alem anno v ate 4 Vide un deserto nel creato, e pianse L’ età v etusta quando 1’ occhio um ano P e r tutto discernea divine forme ; E il C antor di Consalvo, alm a inquieta, Sitibonda di Dio , nell’ universo
O rm a di Dio non v id e, e gli p area Che quel sorriso di n atu ra e quella
Calm a seren a a’ nostri affanni, a ’ nostri Lutti irridesse, e un grido di dolore M andò dal fondo del suo petto, e sparve. Ma a te 1’ azzurro ciel, le vaghe stelle, 5 L a luna che si leva sorridente
Dietro il Vesevo, e ta c ita si asconde Infra Miseno e Capri in grem bo al m are, L ’ onda che bacia il lido, il dolce canto Degli augelli sull’ alba, ogni arm onia, Ogni vago sorriso di natu ra
A te p arla di Dio. Tu negli errori, Tu ne’ sublimi e generosi affetti, N e’ cupi affanni d’ un’ età superba, N elle lotte dell’ an im a, nel folle 6 Grido che n eg a Iddio, nel concitato Sollevarsi de’ popoli non vedi Che un asp irare all’ infinita Idea ; N elle vicende de’ trasco rsi tempi
Ove altri vide quell’ altern a e cieca Onnipotenza delle sorti umane, Serenatrice a te l’ idea trasp are Che per arcane vie tutto radduce Al trionfo di Dio. Sull’ alba nova Del secolo un poeta 7 a tanti cuori Orfani e soli il vagheggiato aperse Sentier della speranza; e di celesti Fiori P olezzo si diffuse, e quanto Un empio ard ir deriso avea, di pura Luce brillò. Nel secolo che m uore Tu schiudi il cielo agl’ intelletti, erranti P e’ deserti del dubbio. 0 novo vanto D’ Italia nostra, fin dal dì che pianse In sulla tom ba del C antor lom bardo, A te si volse Italia, a te che in alto Sollevasti la fiaccola caduta
Da le m an del Poeta. Ecco B eatrice, « Che lume fia t r a ’l vero e l’ intelletto, » E vocata da te scende dai cieli
A rinnovar le menti, e sugli altari, Del divino A lighier devoti al culto, R isuscita le fiamme, e d’ Accademo F a riviver le selve ove alla p ura A ttica luce in arm onia si sposa Quella che fulse di splendor soave In Palestina. Ed ecco della nuova A rte che i cuori e gl’ intelletti inciela P er te 1’ alito sp ira ; e novam ente P er te risplende e ci rapisce il dolce Aspetto di Gesù ricinto il crine
Di quel serto di rai che un nuovo orgogli Tentò strappargli dall’ eterea fronte. E belli ci sorridono al pensiero Quei lontani orizzonti irradiati Di ta n ta luce, quel tranquillo lago Di Tiberiade, quell’ azzurro cielo Di Galilea, quei profumati campi Quella ca sta beltà della n atu ra Ove posava 1’ am oroso sguardo Il R edentore. Oh ! tutte a noi disserri Quelle soavi imagini celesti
Vision che ti bea, non è l’ arc a n a E stasi che ren d ea stran iere al mondo In a ltra età le peragrine eccelse Anime a te conformi. A’ loro sgu ard i S parian le nebbie della vita : intorno D’ ali am brosie sentian nuova frag ran za, E scendere vedean sovra la terra, C arche le mani di raggianti fiori, Folto stuol d’ angioletti, e fra ’ sospiri, F r a ’ gemiti degli organi soave U ua voce ascoltavano che al cielo Le richiam ava, e dell’ am or sull’ ale Salian, salian oltre la terra, immemori Dell’ um ano dolor. M a in quell’ altezza Sublime ove ascendesti, a te stran iera Non è la te rra ; degli um ani affanni Tu ti commuovi. E d ecco a contristarti Un cupo rombo dalla te rra ascende ! Son concitate plebi, a cui m inistra 8 Armi un cieco furor. D iseredate D alla fortuna, poi che il ciel si vela A’ loro sguardi, nè più lor sorride Il pensier che trasvola oltre la tomba, Vogliono anch’ essi assidersi al banchetto Della vita m ortale, e um ane belve
Corrono al sangue. Del tuo divo Eroe Ahim è si vela il volto, e tutto annunzia Imm inenti ruine ! A te nel petto
Si oscura il cor, m a le dolci parole Del R edentore echeggiano : beati
I p o c e r i di spirto! e dalle mani
Cadon 1’ arm i e le fiaccole, d a’ cuori Cadon l’ ire e gli sdegni ; e ne la spem e D’ un avvenir più bello un’ arm onia Di miti affetti i poveri affratella A’ felici del mondo. E q u a l, se dopo Il furiar d’ un’ orrid a tem pesta Sorge limpido il sol, di nova luce P a r che ridan le valli e i m onti; tale Al folgorar dell’ im mortai paro la Che il ciel prom ette a ’poveri, più bello A ppare il mondo e il vivere civile Ove trionfa Amore. A te dinanzi
Sta pur 1’ enigm a del dolore umano Che tante generose anime affranse, A cui dal petto eruppe il disperato
Grido: 0 virtù, non sei che un nom e, un’ om br Ma a te la voce di Gesù risuona
C onsolatrice d’ ogni duol: Beati
Quei che soffrono in terra ; ed il dolore
Ogni am arezza perde, e si fa sacro, Si fa sublime. In quei sereni templi Ove siedi, anche a te l’ alm a contrista Questo dissidio fra la te rra e il cielo, Onde altri irride agl’ impeti sublimi Dell’ anim a che aspira irrequieta Alla p atria celeste ; altri, velando Le sue parole di pietà bugiarda, A noi contende il generoso affetto Della p atria terrena, e del servaggio La nobil ira. M a nel tuo pensiero
Dell’ Uomo Dio che si fa m esto, e piange Della su a p atria i preveduti affanni, L’ immagine si pinge, e santo appare L’ am or di patria. E in p atria fiamma acceso Al R edentor che d a’ sidonii lidi 9
Volgo all’ Italia 1’ am oroso sguardo, P a r che tu stringa le ginocchia e gridi: A la m ia P a tria benedici, a questa T e rra so rtita a sparg ere nel mondo La tua diva parola. Egli le mani Solleva a benedirla ; e tu, credente E cittadino, di sublimo orgoglio
In te stesso ti esalti. E un dolce am plesso T e rra e cielo rannoda agli occhi tuoi ; E i dissidi del core e della m ente In un am or componi, in un affetto Che all’ Infinito ascende. Ed or eh’ è mai, A te eh ’ è mai, sublime italo in geg n o , Se questa età non sente la dolcezza Che tan ta piove da la tua paro la, Sm arrito suon di m usica celeste In su la te rra ? A te eh’ oltre il creato Spingi il libero sguardo e t’ abbandoni In un m are di luce, a te eh’ è mai La gloria di quaggiù ? Gli’ e ra all’ eletto
Sul Sina asceso a rag io n ar col Nume Del popolo l’ oblio? Riedi a’ seren i, Riedi a ’ fulgóri del tuo ciel ; dal fango, Dall’ ae r cieco non tornò nell’ arca L a candida colomba ? Ancor ti bea F ra le pure d’ am brosia aure tranquille, Finché trionfi il tuo divino Eroe
Sovra la te rra , e si ridesti il senso Dell' infinito, e fia tra poco. Il mondo Non vorrà lungam ente esser sepolto N ell’ inerte m a te ria ; alle im m ortali Anime desiose unica m eta
Non sa rà sem pre la fugace ebbrezza, Il tripudio de’ sensi. Oh! rinnovata L’ ale rip renderà Psiche, e siccom e Giovinetta crisalide che lascia L ’ aride spoglie sulla te rra , e a ’ raggi D’ un limpido m attino al ciel trasvo la, Si leverà sublime. E tu pregusti 10 Quel trionfo d’ amore. Ecco 1’ um ano Spirto da’ regni del pensier ritorna T riste e sgomento. H a soggiogato e vinto L ’ universa natu ra, ed ogni cosa
Al suo cenno obbedisce ; e pur sul volto P o rta i vestigi d’ un dolor profondo, 11 D’ un dolor senza nom e, e con quel grido 14 Che un poeta m andò dall’ imo petto,
Quando sentiva su lla su a pupilla P o sarsi il velo della m orte, ei chiede Un Dio che 1’ ami e che l’ intenda, un Dio C he i suoi gem iti ascolti. Ecco improvviso Si svela il volto di G esù! Soave
Iri che acqueta ogni m ortai p rocella, È il suo sorriso, e la celeste luce Che irrad iav a il tuo pensier, per tutto Si diffonde e dilata ! ecco a ’ tuoi cieli Si arm onizza la te rra , e a la tu a voce Che solo in qualche m esta alm a ec h eg g iav a, Da tutte parti un inno, un trionfale
Inno d’ am or risponde. A cosi bella C eleste vision rim ani assorto
Nel dolce oblio d’ ogni terren a cosa, Come dicendo a Dio : d’ altro non calmi.
N o te
1 Vedi la bellissim a poesia di Schiller: L ’i m m a g i n e v e l a t a.
* Si allude al discorso di E. R enan, profferito all’ Aia nella comm em orazione del 2.° centenario della m orte di Spinoza, e particolarm ente a quel luogo dove si dice : « Se è venuta meno la fede nel soprannaturale personale, re sta l’ ideale eh’ è l’anim a del mondo. Finché nel cuore umano vibrerà una fibra per tu tto ciò che è vero, giu sto ed onesto ; finché ci saranno am ici del vero, capaci di sacrificare il loro riposo alla sc ie n z a , amici del bene che si dedicano alle san te opere della m ise ric o rd ia , cuori di donna fatti per am are ciò che è puro, bello, buono, e artisti che lo rip ro ducono coi suoni, i colori e gli accenti ispirati; Dio vivrà in noi.... Le n o stre asp i razioni, le nostre sofferenze, non meno delle n ostre colpe e delle n o stre audacie a t testano l’ ideale che arde in noi. Sì, la vita um ana è qualche cosa di divino. »
3 A sp asia, nei v e rsi del Leopardi, è un ideale senza o b b ie ttiv ità , u n ’ o m b ra , un
nome sen za so g g e tto .
* V. l’ Ode am m irabilm ente lugubre di Schiller : Agli Dei della G recia ; nella quale il P o e ta , con m esto desiderio’ richiam a al pensiero gli antichi tem pi della Grecia, quando gli Dei allietavano la te r ra della loro presenza, quando
T utto d' un qualche Iddio serbava 1’ orme, Nè l’ occhio discernea che sacre forme.
5 L’ azzurro cielo, le stelle fiamm eggianti, l’ ampio orizzonte, la luna che so rg e ridente dietro al Vesuvio, o silenziosa nascondesi nel m are tr a Capri e M isen o , la cadenza m isu rata delle onde che senza furore vengono a m orire sulla s p ia g g ia , il cantare degli uccelli in sull’ a lb a , le mille segrete arm onie delle n atu re d iv e rse , ed ogni spetiacolo di cose create il quale mi susciti un presentim ento vago e soave dell’ infinito, io lo intendo e vi leggo il simbolo o il ricordo dell’ unione tr a la n a tn ra divina ed um ana in Cristo. V. Fo r n a r i, D ella Vita d i G. C risto, libri tre. Proem io.
“ Neghi l’ incredulo, neghi pure lo spirito, neghi i corpi, neghi sé stesso, neghi tu tto ; non p o trà fare che non resti la sua negazione, cioè un pensiero, cioè una te stim onianza e una prova di Cristo. E così dopo avere trovato Gesù ne’ progressi, negli errori e n e ’ dolori dell’ e tà presente, ne’ culti tr a v ia ti, in tu tta la s t o r ia , nello universo, ne' sospiri del cuore, nelle operazioni dell’ intelletto, finalm ente il troviam o anche nella bestem m ia di chi lo nega. Fo r n a r i, D ella Vita d i C risto .-Proem io.
7 A. Ma n z o n i.
8 Oggimai non è possibile, neanche agli spensierati, di vivere tranquilli dell’ av venire delle nostre società. D a per tutto, m a più in E uropa, sentiam o sotto a ’ nostri piedi, intendo negl’ infimi stra ti sociali, un rom bo cupo, come d ’ un vicino trem uoto. E sono le passioni de’ p o v e ri, le quali ribollono e gonfiano e fremono e , se non hanno sfogo, scoppieranno, e sc a g le ra n n o a ’ q u attro venti in rottam i il civile edificio. Benedetta la bocca che disse: Beati i poveri! Q uesta p aro la leva la n a tu ra di m ale alla povertà, leva dal mondo i pericoli della p o v e ra g lia , riunisce nel genere um ano le lacerate m em bra, gli restituisce unità, sanità, potenza ecc Fo r n a r i, Vita d i Gesù
Cristo.
9 M entre in sulla riva di quel m are (nel territo rio di T iro e Sidon) il sereno sguardo di lui si distende nella mobile pianura delle a c q u e , il profetico pensiero viaggia , e va alle te rre su ’ lidi d irim p etto , viene a noi in E u ro p a , viene a ’ lidi di Grecia e d’ Italia, viene a R o m a , e di qua p erco rre a una a una tu tte le te rre che cingono il vasto bacino. Ed ab braccia il suo cuore tan to paese quanto ne abbraccia l’intelletto; e lo benedice tutto insino da o r a ; e lo destina ad essere tr a due s e tti
mane di anni solcato p er ogni verso dalla luee della su a p a ro la , e secondato dal calore della sua carità. V. Fo r n a r i, Vita d i G. Cristo, lib. Il, Cap. V ili.
10 Dal dolore che oggi è più intenso perchè è più avvertito, il F o rn a ri prende augurio d’ un vicino rinnovam ento morale. Ecco le sue parole : Il cuore, benché può assopire, è im m ortale. E che non sia m orto, ne d à oggi un segno certo con le grida del suo dolore : del dolore, il quale è , dopo la perfezione, il dono più prezioso che Dio faccia alla p red iletta c reatu ra , perchè è lo stim olo alla perfezione : del dolore che da che ci venne, non si è p a rtito mai dalla te rra , m a oggi è più intenso perchè più a v v e rtito ; sì eh’ è divenuto l’accento abituale sulla bocca dell’ uomo : del dolore, che quando cresce in so litam en te, annunzia vicine trasform azioni. Fo r n a r i, V ita d i
G. C risto, Voi. I. Proem io.
11 Q uesto concetto del F o rn ari (V . D ella Vita d i G. C risto, P roem io) è s ta to bellam ente espresso anche dal M ontanelli. « L a scienza ha rap ito alla n a tu ra i suoi s e g re ti; ha tro v ati rimedii p er tu tte le inferm ità fisiche; ha insegnato a distribuire la ricchezza in modo che su ssisten za e benessere non m anchino a nessuno. Sarem o per questo felici? L ’ uomo non vive di solo pane; e ogni anim a cerca invano nelle cose terren e l ' appagam ento di desiderii infiniti; e più le necessità della vita m a te
riale soddisfatte consentono la cu ltu ra della vita m orale, e più questo gem ito inef fabile dello spirito si fa sentire. » G. Mo n t a n e l l i, Mem orie s u ll’ Ita lia ecc. Torino.
S ocietà editrice italiana, 1853.
12 Goethe, m orendo, invocò la lu ce: M ehr L ich t! M ehr Lichit!
IN FV N E R E REGIS ITALIAE
VICTORII EMMANVELIS IX P • F • AVG • PA TRIS PA TR IA E
E le g ia
M ortali ut primum magni com page solutus V ictori sedes attigit ae th ereas
Spiritus ; insigni redim itus tem pora lauro, Lumen et effundens undique purpureu m , Heroum stipante choro, quos vidimus ipsi
F o rtite r hostili procubuisse m an u, A lbertus p a te r occurrit, gnatique petito
Am plexu cupide talia voce re fe rt: Victori, n ostrae laus ingens add ita g e n ti,
Cui m eritum cinxit bina corona c a p u t, V t te ( fata licet nimium prop erantia leto
Immiti exstinctum praeripiunt p atria e ), V t te conspicio, sanguis m eus, advenientem ,
E t te com plexu, nate, libens teneo !
P ugnando postquam densos p rog ressus in hostes Ipsam non timui ponere velie animam,
Ense accinctus adhuc, fortunae victim a iniquae, Rebus in adversis quae fuit una s a lu s,
Italia excedens, regni tibi iura reliqui : O vere faustis scep tra d ata auspiciis ! Nam te consilio praestantem et fortibus ausis
P raescia venturi tem poris Italia
O ptabat regem unanimis votisque vocabat, Vt turpe exueret, te duce, servitium .
Nec vota incassum cecidere precesque rogantis : Tu questu motus tot gem ituque virùm,
Quae prudens bello a p taras, concurris in arm a, Stringis et ultorem iustitiae gladium .
Bellanti ipse aderam , quam quam non visus adesse : A te sunt n o stra tela repulsa manu.
E t lateri comes haerebam , quum plausit ovanti Exceptum que ulnis Itala terra suis
Te Servatorem , te R egem libera dixit, Se attollens tanto laeta patrocinio.
Ipse ego te duxi ad Capitoli immobile saxum : M eta operis posita est inclyta Rom a tui. H aec repetens tacito capiebam gau d ia corde,
G audia venturi nuntia saepe mali.
F lecte illue gem inas acies, illum adspice luctum, Quo numquam toto m aior in orbe fuit, Adspice u t infando m iscentur cuncta dolore,
Quisque tu a et lacrimis funera prosequitur. Sed casus nobis hoc sit solam en a c e rb i,
Hoc et m aerorem leniat Italiae,
Spes certa, ut regni H um bertus qui frena capessit, Lux n ostra H um bertus, deliciae popu li, H aud oblitus avi, m aiorum exem pla secutus,
Iam nunc te referat m ente animoque patrem . D ixerat A lbertus. Solio Deus annuit aureo,
Concordi annuerunt m urm ure caelicolae.
P lS IS . XVII . KAL . FEB IiV A R . A . MDCCDLXXVIII .