• Non ci sono risultati.

La lingua tra globalizzazione, identità nazionale e identità minoritarie

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La lingua tra globalizzazione, identità nazionale e identità minoritarie"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

La lingua tra globalizzazione, identità nazionale e identità

minoritarie.

*

1. Pluralismo e identità linguistiche nella Costituzione italiana – 2. La politica europea di tutela delle minoranze linguistiche. – 3. La disciplina delle lingue all’interno dell’Unione Europea: i limiti del multilinguismo. – 4. Per un’identità linguistica multilivello.

1. Pluralismo e identità linguistiche nella Costituzione italiana

La lingua è un importantissimo elemento di identità e di integrazione: uno degli aspetti che più accomunano un gruppo di persone o una società è infatti proprio la comunicazione, il modo di parlare, le espressioni usate.

All’inizio della Bibbia, nell’Antico Testamento, si narra l’episodio della torre di Babele e di come l’orgoglio umano sia stato punito impedendo agli uomini di continuare a cooperare per costruire una torre che sfidasse l’Onnipotente, proprio mescolando le lingue e rendendo impossibile la comprensione reciproca1. Nel Nuovo Testamento, negli Atti degli Apostoli si

descrive invece come un effetto dello Spirito Santo l’inspiegabile potere acquisito dagli Apostoli di farsi comprendere da chiunque, superando le barriere culturali e linguistiche che separano i popoli2 .

La lingua è il principale strumento di comunicazione tra cittadini, ma anche tra cittadini e istituzioni. Per questo la lingua è stata sempre considerata un elemento fondamentale della nazionalità, che Pasquale Stanislao Mancini definiva «una società naturale di uomini da unità di territorio, di origine, di costumi e di lingua confortati a comunanza di vita e di coscienza sociale»3.

Ed è appunto a seguito della formazione degli Stati nazionali e dello Stato moderno che nasce l'idea della coincidenza tra Stato e nazione4 e, di

conseguenza, sorge il problema delle minoranze nazionali, religiose e linguistiche5.

* in Il Libro e la bilancia - Studi in memoria di Francesco Castro, vol. II,

Istituto per l'Oriente C.A. Nallino, Roma, 2010, pagg. 451-466

1“Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è

l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro»” Gen 11, 6-7.

2“ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue...la folla si

radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio»” Ap 2, 4-11.

3 P.S. MANCINI, Della nazionalità come fondamento del diritto delle genti (1851), a cura di E.

JAYME, Torino, 1994, 44 s.

4 C. ESPOSITO, Lo Stato e la Nazione italiana, in Arch. Dir. Pubbl., 1937, II, 409 ss.

5 Cfr. G. JELLINEK, Das Recht der Minoritäten, Wien, Hölder, 1898, spec. 9 ss., 13 ss. e 16 ss.;

C. LIPARTITI, voce Minoranze nazionali, in Noviss. Digesto, X, Torino, 1964, 749 ss.; A.C.

JEMOLO, I problemi pratici della libertà, 2ª ed., Milano, 1972, 136 ss.; J.C. KELLAS,

Nazionalismi ed etnie (1991), tr. it., Bologna, 1993, 37 ss.; C. ZANGHÌ, Le minoranze. Storia

semantica di un’idea, in Riv. internaz. dir. dell’uomo, 1992, 46 ss.; F. SALERNO, Le minoranze

(2)

Già alla fine dell'800 la più attenta dottrina riconosce pertanto che l’unità del popolo implica l’eguaglianza e il principio di maggioranza, ma dove non c’è questa eguaglianza occorre garantire i diritti delle minoranze6. Si avverte

altrimenti il pericolo che il processo di democratizzazione possa condurre ad un livellamento generale delle culture nazionali, con effetti negativi sull’intera civilizzazione7.

Secondo Schmitt, invece, “Uno Stato nazionalmente omogeneo appare … come qualcosa di normale; uno Stato a cui manca questa omogeneità, ha qualcosa di anormale, che minaccia la pace”. Pertanto, se “nella realtà politica non esiste l’omogeneità nazionale, poiché uno Stato è formato da diverse nazioni o contiene minoranze nazionali”, sono possibili due soluzioni: una violenta e l’altra pacifica. La prima consiste nella “abolizione dell’elemento straniero con l’oppressione, l’evacuazione della popolazione eterogenea e simili”, mentre la seconda implica “la discussione e la separazione pacifica, oppure l’assimilazione pacifica e graduale alla nazione dominante”. Il diritto internazionale tende a seguire un metodo pacifico, che garantisce al singolo “l’eguaglianza, la libertà, la proprietà e l’uso della sua lingua materna”, ma in questo modo, come osserva Schmitt, tutela i singoli e non la minoranza come nazione8.

Concepire il diritto alla lingua come diritto solo individuale e non collettivo significa però negare la lingua come elemento di integrazione e di identità di una collettività intermedia, e ciò per salvaguardare una concezione statica ed accentrata di Stato.

Il riconoscimento dei diritti delle minoranze, e dunque la scelta del pluralismo, è all'opposto la scelta di un ordinamento più dinamico e più complesso, basato sulle autonomie e sul rispetto delle diversità, che riconosce un livello «collettivo» della libertà che si contrappone ad un livello «individuale» e che si collega ad un diritto al congruo trattamento differenziato (e quindi alla diversità)9.

ss.; R. HOFMANN, Minderheitenschutz in Europa. Überblick über die völker- und

staatsrechtliche Lage, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht,

52/1 (1992), 4 ss.; A. PIZZORUSSO, Minoranze e maggioranze, Torino, 1993, 106 ss.; A.M. DEL

VECCHIO, La tutela delle minoranze nei sistemi di cooperazione internazionale, in Riv. internaz. dir. dell’uomo, 1994, 557 ss.; E. GREPPI, voce Minoranze, in Grande Dizionario

Enciclopedico, XIII, Torino, 705 ss.

6 G. JELLINEK, Das Recht der Minoritäten, cit., 27 s. 7 Ibidem, 43.

8 C. SCHMITT, Dottrina della Costituzione (1928), tr. it., Giuffré, Milano, 1984, 303 s.

9 G. LOMBARDI, Spazio e frontiera tra eguaglianza e privilegio: problemi costituzionali fra storia e diritto, in Diritto e Società, 1985, 56: con riferimento alle minoranze linguistiche, lo

stesso A. sottolinea però una «posizione di tendenziale ostilità» con «propri caratteri differenziali intesi spesso come appello emotivo a forme di arcaiche società chiuse», secondo «la logica del separatismo» (ivi, 60). Sulla dimensione collettiva dei diritti delle minoranze cfr. A. PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno, Milano, 1967, 255 ss.; ID., Verso il riconoscimento della soggettività delle comunità etnico-linguistiche?, in Giur. Cost. 1972, IV,

65 ss.; ID., Art. 6, in BRANCA (a cura di), Principi fondamentali (Art. 1-12), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975, 306 ss. e 319 ss.; A. CERRI, Libertà, eguaglianza,

pluralismo nella problematica della garanzia delle minoranze, in Riv. trim. dir. pubbl., 1993; E.

CASTORINA, Pluralismo e socialità delle minoranze etnico-linguistiche nella giurisprudenza

della Corte costituzionale, in Quaderni regionali, 1994, 765 ss.; W. KYMLICKA, Multicultural

Citizenship. A Liberal Theory of Minority Rights, Oxford, 1995, spec. 152 ss.; N. TORBISCO, Il

dibattito sui diritti collettivi delle minoranze culturali. Un adeguamento delle premesse teoriche, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo 2001, 117 ss.; F. PALERMO-J. WOELK,

(3)

La nostra Costituzione ha optato molto chiaramente in questa direzione. L’art. 2 cost. definisce inviolabili e pone sullo stesso piano i diritti dell’individuo e quelli delle formazioni sociali. Letta insieme agli articoli 1 e 3 cost., questa disposizione implica che individui e formazioni sociali esercitano la sovranità, e sono quindi soggetti attivi del nostro ordinamento, con pari dignità, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, nelle forme e nei limiti della Costituzione, e dunque attraverso il Parlamento nazionale, ma anche attraverso i consigli regionali e locali, i partiti politici, le associazioni e così via.

Ne deriva un’idea di sovranità popolare che si colloca nel quadro dialettico fra unità nazionale e pluralismo delle autonomie10.

Pluralismo e formazioni sociali sono infatti ulteriormente garantiti all’art. 5 (insieme al titolo V) con riferimento alle autonomie territoriali, all’art. 6 con riferimento alle minoranze linguistiche, all’art. 8 con riferimento alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, all’art. 18 con riferimento alle associazioni, agli articoli 29 e 31 con riferimento alla famiglia, all’art. 49 con riferimento ai partiti politici.

In base all’art. 9 cost. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura”. Anche questa disposizione va letta nel contesto pluralistico accolto negli articoli immediatamente precedenti: la cultura che la Repubblica si fa carico di promuovere non è solo la cultura della maggioranza, ma la cultura in cui si riconoscono e si identificano, con pari dignità, singoli e formazioni sociali di ogni sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali11.

Le uniche minoranze definite tali dalla Costituzione sono tuttavia quelle linguistiche: queste ultime hanno infatti, più delle minoranze religiose, o politiche, o culturali, una dimensione fortemente collettiva, collegata, anche per esigenze pratiche ed organizzative, ad un certo territorio in cui la minoranza è concentrata. Solo all’interno di un certo territorio si possono infatti predisporre scuole bilingui, uffici pubblici con personale bilingue, la toponomastica nella lingua minoritaria e così via. La concentrazione territoriale delle minoranze, che la stessa toponomastica vale a delimitare e a rendere facilmente riconoscibile anche all’esterno, tende dunque ad accentuare il carattere collettivo ed identitario dei diritti riconosciuti alle minoranze linguistiche.

La scelta del pluralismo, che caratterizza il nostro ordinamento più di molti altri ordinamenti europei12, ha una forte matrice cattolica e fu adottata come

reazione al fascismo, che aveva spento ogni possibilità di opposizione e ogni diversità culturale, linguistica o religiosa.

Al pluralismo e ad una disciplina che tenesse conto anche delle differenze conducevano inoltre lo squilibrio economico e sociale tra nord e sud d’Italia, le particolarità che caratterizzavano le isole e alcune regioni di confine, nonché

CECCHERINI, voce Multiculturalismo, in Dig. Pubbl., Aggiorn., III, Torino, 2008.

10 G. LOMBARDI, Principio di nazionalità e fondamento della legittimità dello Stato, Torino,

1979, 39.

11 Sui collegamenti tra art. 6 e art. 9 cost. cfr. V. PIERGIGLI, Lingue minoritarie e identità culturali, Milano, 2001, 119 ss.

12 Sia consentito rinviare a E. PALICIDI SUNI, Unitarietà della Repubblica e gruppi identitari: il caso delle minoranze linguistiche, in Valori e principi del regime repubblicano. 1.II Sovranità

(4)

la presenza, in tutto il territorio nazionale, di numerose lingue e culture minoritarie.

Il pluralismo era altresì favorito dalla presenza alla Costituente di tre schieramenti contrapposti – cattolici, sinistra e liberali – che avevano contribuito alla resistenza e che erano chiamati a costruire l’Italia del futuro. La ricerca di un’intesa favorì un clima di tolleranza e di rispetto reciproco, che costituisce una delle maggiori ricchezze che i nostri Costituenti ci lasciarono in eredità.

Dal punto di vista della forma di governo, tuttavia, ciò comportò l'adozione di una forma parlamentare scarsamente razionalizzata, e dunque una scelta opposta a quella della Legge Fondamentale di Bonn: in quest'ultima, scritta sotto il controllo delle forze alleate come Costituzione provvisoria, in attesa dell'auspicata riunificazione della Germania, i Costituenti tedeschi, prendendo atto che il nazismo si era affermato in Germania proprio nella debolezza istituzionale che aveva caratterizzato la Repubblica di Weimar, si preoccuparono di consolidare, anziché indebolire, la forza del Governo all'interno delle istituzioni. In Italia, invece, l'incertezza sul futuro assetto delle maggioranze condusse i nostri Costituenti a rinforzare i poteri di controllo del Parlamento sul Governo, senza assicurare a quest'ultimo la stabilità necessaria: ciò di cui i Costituenti non si resero forse sufficientemente conto era che la debolezza del Governo non poteva che condurre ad un indebolimento della maggioranza parlamentare, e con ciò dello stesso Parlamento.

Nonostante queste conseguenze negative sul piano della forma di governo e del rapporto tra le istituzioni, la scelta a favore del pluralismo rappresenta, dal punto di vista della forma di Stato, e quindi del rapporto tra cittadini e istituzioni, uno degli elementi più innovativi della nostra Carta costituzionale.

Tale scelta era forse anche troppo innovativa per un ordinamento che si andava formando sulle ceneri del fascismo e nel quale vi erano fortissime contrapposizioni ideologiche, economiche e sociali, che esplosero a livello politico soprattutto nei primi anni di attuazione della Carta costituzionale: tutto ciò, insieme alla debolezza istituzionale derivata dalla stessa scelta del pluralismo in materia di forma di governo, favorì una soluzione di burocratizzazione e di accentramento, che era opposta a quella delineata dai Costituenti.

Tutte le riforme connesse al pluralismo hanno infatti avuto dei ritardi clamorosi: la Corte costituzionale, creata anche per dirimere le controversie interne ad un ordinamento complesso, entrò in funzione solo nel 1956; la regioni a statuto ordinario furono realizzate negli anni '70; la prima intesa con una confessioni religiosa diverse dalla cattolica si ebbe nel 1984 con la Tavola Valdese; la normativa quadro in materia di tutela delle minoranze linguistiche fu introdotta dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, oltre cinquant'anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione.

Per ciò che attiene alle minoranze linguistiche, occorre ricordare che in precedenza le uniche minoranze tutelate erano tali sulla base, non dell'art. 6 della Costituzione, ma di disposizioni di carattere costituzionale contenute negli statuti speciali delle regioni di confine o in attuazione di specifici accordi internazionali. Si trattava dunque di minoranze “superprotette” in virtù di una

(5)

normativa speciale, indipendentemente dalla previsione generale contenuta in Costituzione13.

La “specialità” di questa tutela ha anche comportato regimi assai diversificati: un sistema di separatismo linguistico per i tedeschi del Trentino-Alto Adige, con scuole separate in tedesco e in italiano, ed un sistema di bilinguismo, con insegnamento in italiano e in francese, in Valle d'Aosta.

Regole tendenzialmente uniformi sono invece dettate dalla legge-quadro n. 482 del 1999 per tutte le minoranze linguistiche storiche individuate dal legislatore, che ha attribuito ai consigli provinciali, sentiti i comuni interessati, la delimitazione degli ambiti territoriali in cui si applicano le misure di tutela. Normative apposite possono tuttavia essere disposte dalle regioni nelle materie di propria competenza.

Le scelte operate dal legislatore del 1999 e il suo stesso intervento sono stati comunque influenzati dalla normativa internazionale ed europea, divenuta più pressante proprio negli anni '90: per dare attuazione al disegno costituzionale sulle minoranze linguistiche, come in altri settori14, si è pertanto

dovuto attendere la presenza di obblighi derivanti dall’ordinamento internazionale.

2. La politica europea di tutela delle minoranze linguistiche.

Inizialmente la normativa internazionale ed europea stentò a riconoscere i diritti delle minoranze: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non contiene alcun riferimento alle minoranze, mentre l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo si limita a comprendere l’appartenenza ad una minoranza nazionale tra le cause di discriminazione espressamente vietate.

Un esplicito riconoscimento dei diritti identitari delle minoranze si ha nel Patto internazionale sui Diritti Civili e Politici, adottato nel 1966 dalle Nazioni Unite, che all’art. 27 così dispone: «Negli Stati ove esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, le persone appartenenti a tali minoranze non possono essere private del diritto di avere, in comune con gli altri membri del loro gruppo, la propria vita culturale, di professare e praticare la propria religione o di impiegare la propria lingua». Il significato di questa previsione fu ulteriormente specificato attraverso la «Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche», approvata nel 1992 dalla Commissione dei diritti umani.

Nello stesso anno il Consiglio d’Europa approvò la «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie», mentre nel 1995 fu approvata la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Carta europea e Convenzione-quadro entrarono in vigore nel 1998, prima dell'approvazione della nostra legge sulle minoranze linguistiche storiche. L'Italia ha firmato la Convenzione-quadro il 1° febbraio 1995 e l'ha ratificata con legge 28 agosto 1997 n. 302. La Carta europea è stata invece firmata il 27 giugno 2000, ma non è ancora stata ratificata dall'Italia.

Più incerto e tardivo è stato il riconoscimento dei diritti delle minoranze nell'ordinamento comunitario.

Nei trattati istitutivi non vi sono specifici riferimenti alle minoranze linguistiche, ma l’art. 151 del Trattato della Comunità Europea, introdotto nel

13 Cfr. E. PALICIDI SUNI, Intorno alle minoranze, 2ª ed., Torino, 2002, 33 ss.

14 Con riferimento alla legislazione di parità tra uomini e donne cfr. E. PALICI DI SUNI, voce Parità di genere, in Dig. Pubbl., Aggiorn., III, Torino, 2008.

(6)

1992, stabilisce che «La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune». In materia di educazione l’art. 149 dispone inoltre che la Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri, nel pieno rispetto delle loro diversità culturali e linguistiche.

La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, approvata a Nizza nel 2000, cui rinvia il trattato di Lisbona del 2007, vieta invece all’art. 21 ogni discriminazione per ragioni (anche) di lingua, mentre all’art. 22 tutela espressamente il pluralismo culturale, religioso e linguistico.

Prima ancora che fosse redatta la Carta di Nizza, tuttavia, nel 1993, il Consiglio europeo di Copenhagen inserì il rispetto e la tutela delle minoranze tra i criteri politici da utilizzare come parametro per valutare l’ammissione dei Paesi candidati ad entrare nell’Unione Europea. La valutazione di conformità a questi criteri, che comprendono anche la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto e i diritti umani, è sottoposta al controllo della Commissione Europea. Il trattato istitutivo dell’Unione Europea prevede ora, all’art. 2, che l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone

appartenenti a minoranze e, all’art. 49, che ogni Stato europeo che rispetti i

valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione.

Che il principio di tutela delle minoranze linguistiche sia riconosciuto come vincolante per i Paesi candidati desta alcune perplessità, se si considera, da un lato, la scarsa considerazione di tale principio nella normativa comunitaria precedente e, dall’altro, la circostanza che alcuni Paesi che aderiscono all’Unione Europea non dimostrano di rispettarlo.

Il caso più evidente è quello della Francia, che pure è tra i Paesi fondatori della Comunità europea. La Francia ha firmato, ma non ratificato la Carta Europea delle lingue regionali o minoritarie, mentre non ha firmato né ratificato la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che tutti i Paesi di recente adesione hanno invece firmato e ratificato15. In

Francia, in occasione dell'adesione al trattato di Maastricht, si ritenne necessario, con la legge costituzionale 92-554 del 25 giugno 1992, aggiungere all’art. 2 della Costituzione la previsione secondo cui «La lingua della Repubblica è il francese», nel timore che il processo di unificazione europea potesse favorire l’espansione di altre lingue (particolarmente dell’inglese) a danno del francese. Non fu invece approvata la proposta di aggiungere all’art. 2 l’ulteriore previsione secondo cui «La Repubblica riconosce e valorizza le lingue e le culture regionali», e ciò nonostante la presenza nel territorio francese di minoranze linguistiche di una certa consistenza, come i bretoni e gli occitani. In seguito alla revisione costituzionale fu approvata la legge

Toubon nº 94-665 del 4 agosto 1994, sull'uso della lingua francese, dichiarata

parzialmente incostituzionale dal Conseil constitutionnel con la decisione 94-34516. Secondo il Conseil constitutionnel il legislatore è tenuto a «conciliare»

15Non hanno invece firmato né ratificato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie

Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania.

16 Decisione n. 94-345 del 29 luglio 1994, in Revue de Droit Public 1994, 1673 ss., su cui v. J.P.

(7)

la previsione contenuta nell’art. 2 con il principio della libera comunicazione del pensiero e delle idee proclamato all’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Lo stesso Conseil constitutionnel ha tuttavia ritenuto, con la decisione n. 99–412 del 15 giugno 1999, che la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie contenesse delle clausole contrarie alla Costituzione, sicché la sua ratifica avrebbe richiesto una revisione costituzionale. Nel 1999, come nel 1992, fu però respinta la proposta di inserire in Costituzione un riferimento alla tutela delle lingue e culture regionali e il presidente Chirac dichiarò espressamente, con un comunicato del 23 giugno 1999, che non intendeva adottare l’iniziativa di una revisione costituzionale che avrebbe attentato ai principi fondamentali della Repubblica.

In Francia la tutela dell'identità nazionale continua perciò ad avere il sopravvento sulla tutela delle identità minoritarie: una rigida concezione del principio di eguaglianza17 e il principio di indivisibilità del popolo francese18

fanno prevalere la logica dell'accentramento, che è radicata nella cultura francese e che persiste anche a seguito della riforma costituzionale sulle autonomie territoriali approvata nel 200319.

Un difficile equilibrio tra tutela dell'identità nazionale e tutela delle identità minoritarie caratterizza alcuni Paesi europei, dove la lingua nazionale è in posizione di debolezza nei confronti di lingue più forti. É il caso dell'Irlanda, del Lussemburgo e di Malta, da un lato, e delle Repubbliche Baltiche dall'altro.

La Costituzione dell’Irlanda stabilisce, all’art. 8, che la lingua irlandese, in quanto lingua nazionale, è la prima lingua ufficiale. La lingua inglese, riconosciuta come seconda lingua ufficiale, tende tuttavia ad avere il sopravvento. L'art. 24 della Costituzione prevede che per i testi di legge approvati in una sola delle lingue ufficiali debba essere fatta una traduzione ufficiale nell'altra lingua. Fino al 1980 tutte le leggi venivano pubblicate sia in inglese che in irlandese, ma dopo il 1980 questa pratica, ritenuta troppo dispendiosa, cessò. Nel 1988, allo scopo di snellire i lavori della amministrazioni, una circolare stabilì che nessun regolamento fosse tradotto in irlandese, salvo in caso di grave necessità e urgenza. Nel caso O'Beoláin v.

Fahy (230/99), deciso il 4 aprile 2001, Seamus O'Beoláin, chiamato a

rispondere per una violazione della legge sulla circolazione (Road Traffic Act) del 1961, modificata nel 1994, lamentò la mancanza di una traduzione ufficiale di tale legge. La Corte Suprema non accolse il ricorso, dal momento che il ricorrente era stato messo in grado di comprendere le leggi e gli atti del processo, ma sottolineò la necessità che lo Stato ottemperasse ai suoi obblighi costituzionalmente sanciti e provvedesse in tempi rapidi a fornire la traduzione ufficiale delle leggi pubblicate in lingua inglese. Anche in conseguenza di questa decisione, nel 2003 fu approvata la legge sulle lingue ufficiali, il cui regolamento fu adottato nel 2006. La legge disciplina l'uso delle lingue ufficiali in Parlamento e stabilisce l'obbligo di pubblicare le leggi, contemporaneamente, nelle due lingue ufficiali. Ogni comunicazione contenente informazioni rivolte al pubblico deve essere scritta in irlandese o in entrambe le lingue. Nei processi l'uso della lingua è regolato in modo che la persona non si trovi in una posizione di svantaggio. Le pubbliche

17 Sulla quale mi sia consentito rinviare ancora alla voce Parità di genere cit.

18 Cfr. la decisione del Conseil constitutionnel del 9 maggio 1991, riferita allo Statuto della

Corsica, su cui v. L. FAVOREU, La décision “Statut de la Corse” du 9 mai 1991, in Revue

française de Droit constitutionnel, 5/1991, 305 ss.

19 Cfr. M. MAZZA, Decentramento e riforma delle autonomie territoriali in Francia, Giappichelli,

(8)

amministrazioni sono tenute a predisporre piani che individuino i servizi che saranno forniti in irlandese, quelli che saranno forniti in inglese e quelli che saranno forniti in entrambe le lingue, oltre alle misure che l'autorità adotterà per assicurare in irlandese servizi che attualmente non sono forniti in quella lingua. Viene inoltre istituita una Commissione con il compito di monitorare la legge ed assicurare la sua implementazione. Nel 2006 il Governo ha pubblicato una dichiarazione di intenti come base per una serie di azioni da sviluppare a favore della lingua irlandese, secondo una strategia da sviluppare nei prossimi venti anni: nella dichiarazione viene ribadito il sostegno del Governo allo sviluppo ed alla salvaguardia della lingua irlandese, ritenuta di particolare importanza per la popolazione, la società e la cultura dell'Irlanda e per l'identità del popolo irlandese.

Meno problematica è la situazione del Lussemburgo, dove la lingua nazionale è il lussemburghese, ma le lingue ufficiali sono, oltre al lussemburghese, il francese e il tedesco. Così ha disposto la legge sull’uso delle lingue del 24 febbraio 1984, dato che l'art. 29 cost. affida alla legge di regolare l’uso delle lingue in ambito amministrativo e giudiziario. Le tre lingue ufficiali possono essere usate nelle amministrazioni e nei tribunali, ma la lingua della legislazione è il francese. Il lussemburghese è ampiamente utilizzato nella scuola primaria e la maggior parte dei libri di testo sono scritti in lussemburghese. Nella scuola secondaria il lussemburghese viene gradatamente sostituito dal tedesco e pochi libri sono scritti in lussemburghese, ma la lingua, la storia e la letteratura lussemburghese costituiscono argomento di corsi sia nelle scuole secondarie che nelle università. Nei tribunali la maggior parte degli atti sono redatti in francese o in tedesco, ma è possibile l’uso del lussemburghese. Nei dibattiti parlamentari vengono usate tutte le lingue ufficiali, ma soprattutto il lussemburghese. I documenti e le comunicazioni pubbliche sono generalmente redatti in tedesco o francese e talvolta il lussemburghese è usato come terza lingua. La presenza a Lussemburgo della Corte di Giustizia della Comunità europea e di altre istituzioni comunitarie ha certamente contribuito a favorire e stabilizzare un regime di multilinguismo in quel piccolo Stato.

A Malta la Costituzione prevede, all'art. 5, che il maltese è la lingua ufficiale: la legge può disporre che maltese, inglese e altra lingua siano ufficiali e possano essere utilizzati da e nei confronti dell'amministrazione. Nei processi la lingua è il maltese, ma la legge può prevedere in alcuni casi l'uso dell'inglese. Alla Camera dei rappresentanti spetta regolare l'uso della lingua o delle lingue nei lavori parlamentari. La legge sulle lingue, approvata il 14 aprile 2005, ribadisce che il maltese è un fondamentale elemento di identità nazionale del popolo maltese. Per promuovere la lingua nazionale e l'identità del popolo maltese è istituito un consiglio nazionale della lingua maltese

Molto più complessa è la situazione delle Repubbliche Baltiche.

Lituania, Lettonia e Estonia ebbero storie differenti, ma nel settecento caddero tutte sotto la dominazione zarista e furono sottoposte ad un intenso processo di russificazione. Nel 1918 furono riconosciute come Repubbliche indipendenti e rimasero tali fino a quando entrarono a far parte dell’Unione Sovietica nel 1944 in seguito al patto Molotov–Ribbentrop, stretto nel 1939 tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. Le tre Repubbliche Baltiche tornarono nuovamente indipendenti nel 1991 e nel 2004 entrarono nella NATO e nell’Unione Europea. Questa ripetuta dipendenza dalla Russia e dall’Unione Sovietica ha fatto sì che una consistente minoranza russa, o comunque russofona, sia tuttora presente nelle tre Repubbliche Baltiche. In Lettonia nel 1989 la minoranza russa costituiva, insieme a ucraini e bielorussi, il 40% della popolazione e appena il 52% era di etnia lettone; in Estonia nel

(9)

1989 erano estoni il 62%, mentre russi, ucraini e bielorussi costituivano circa il 35% della popolazione; in Lituania la percentuale di russi è assai meno consistente: nel 1989 i lituani erano l'80%, russi il 9,5% e polacchi il 7%. Nelle tre Repubbliche Baltiche la percentuale dei russi è leggermente diminuita nei primi anni dalla ritrovata indipendenza, ma resta piuttosto elevata, anche a causa delle migliori condizioni di vita e di sviluppo di queste repubbliche rispetto alla Russia. In questo quadro sia la Costituzione della Lituania che quella dell'Estonia sottolineano nel loro preambolo l’intento di preservare e difendere la loro lingua e le loro tradizioni20. La Costituzione dell'Estonia

stabilisce, all'art. 6, che l'estone è la lingua ufficiale e similmente dispongono le Costituzioni della Lettonia (art. 4) e della Lituania (art. 14). Nelle tre Costituzioni si alternano disposizioni a tutela della lingua ufficiale e disposizioni a tutela delle lingue minoritarie. Queste ultime sembrano tuttavia porsi su un piano residuale: i diritti degli appartenenti alle minoranze linguistiche sono garantiti a condizione che si persegua comunque l’obiettivo di rafforzare e sostenere la lingua ufficiale, come elemento di identità delle nazioni baltiche. La Costituzione della Lettonia prevede ad esempio all’art. 104 che ognuno ha il diritto di ricevere risposta dalle istituzioni statali e locali in lingua lettone; agli appartenenti a minoranze etniche è tuttavia garantito il diritto di conservare e sviluppare la propria lingua e la propria identità etnica e culturale (art.114)21. Nel dare attuazione a queste disposizioni costituzionali,

la legge sulle lingue del 1989 autorizzava ad usare il lettone o il russo nei rapporti con le autorità ed erano previsti programmi per incoraggiare l’apprendimento della lingua lettone: questa legge ha però subito numerose modifiche ed ora è divenuto obbligatorio usare il lettone nei documenti ufficiali e nella toponomastica; tutte le lingue diverse dal lettone sono considerate “straniere” e le istituzioni statali, locali e giudiziarie non possono accettare richieste scritte o dichiarazioni da privati in lingue diverse dal lettone, salvo casi di emergenza. Per la cittadinanza si è avuto un processo opposto: subito dopo la dichiarazione di indipendenza, si dispose di riconoscere la cittadinanza solo alle persone che erano cittadini lettoni nel periodo tra le due guerre e ai loro discendenti, escludendo così i russi giunti in Lettonia dall'Unione Sovietica dopo il 1945; la rigidità di tale disposizione fu in seguito temperata e dal 1998 tutti i figli nati in Lettonia dal 21 agosto 1991 diventano cittadini lettoni su richiesta dei genitori, a condizione che superino un test, scritto e orale, per dimostrare la padronanza della lingua lettone; nonostante tali aperture, nel 2004 circa il 25% della popolazione residente in Lettonia non ha la cittadinanza lettone.

Nei Paesi Baltici il problema non è dunque ancora del tutto risolto e permangono alcune tensioni: la convivenza pacifica e l'equilibrio tra l'esigenza

20 Nella Costituzione della Lituania si legge: “The Lithuanian Nation – having created the State

of Lithuania many centuries ago, – having based its legal foundations on the Lithuanian Statutes and the Constitutions of the Republic of Lithuania, – having for centuries staunchly defended its freedom and independence, – having preserved its spirit, native language, writing, and customs, ... adopts and proclaims this Constitution”, mentre il preambolo della Costituzione dell’Estonia si richiama ad un “inextinguishable right of the Estonian people to national self-determination and which was proclaimed on February 24, 1918, ... which shall guarantee the preservation of the Estonian nation and its culture throughout the ages”. Questo riferimento all'indipendenza ottenuta nel primo dopoguerra è ancora più forte nel caso della Lettonia, che dopo il 1991 non ha voluto darsi una nuova Costituzione, preferendo ripristinare, con alcuni adattamenti, la Costituzione del 1922.

(10)

di tutelare l'identità nazionale di queste giovani Repubbliche tornate indipendenti dopo tanti anni e quella di salvaguardare i diritti delle popolazioni minoritarie sono stati tuttavia favoriti dall'opera di monitoraggio svolta dalle istituzioni comunitarie per accertare il rispetto dei criteri politici di Copenhagen.

3.La disciplina delle lingue all’interno dell’Unione Europea: i limiti del multilinguismo

Anche all'interno dell'Unione Europea resta il problema di conciliare identità minoritarie, identità nazionali ed esigenze di comunicazione e di lavoro nelle istituzioni comunitarie.

Prima ancora delle minoranze linguistiche, l'Unione Europea tutela infatti le identità nazionali dei Paesi membri. Il trattato istitutivo prevede che ogni cittadino dell'Unione possa scrivere alle istituzioni europee in una delle lingue previste all’art. 314 e riceverne una risposta nella medesima lingua (art. 21). I documenti ufficiali vengono redatti in tutte le lingue ufficiali dell'Unione. L’art. 314 stabilisce che il trattato sia redatto in unico esemplare, in lingua francese, italiana, olandese e tedesca. In forza dei trattati di adesione, fanno ugualmente fede le versioni del trattato redatte in lingua bulgara, ceca, danese, estone, finlandese, greca, inglese, irlandese, lettone, lituana, maltese, polacca, portoghese, rumena, slovacca, slovena, spagnola, svedese e ungherese.

Il regime di multilinguismo dell’Unione Europea è dunque legato alla circostanza che, per i sei Paesi fondatori, era stata stabilita la coufficialità delle quattro lingue nazionali e, in base ai successivi trattati di adesione, si è estesa a tutti gli Stati membri la stessa disciplina.

Le lingue ufficiali dell’Unione Europea sono pertanto divenute ventitre: Lussemburgo non ha imposto il lussemburghese come lingua ufficiale, mentre il maltese lo è. Un così alto numero di lingue ufficiali crea la necessità di molteplici traduttori e interpreti in tutte le istituzioni comunitarie22.

L'Unione Europea ha inoltre riconosciuto lo status di lingue semi-ufficiali a basco, catalano e galiziano: le popolazioni che parlano queste lingue, se lo desiderano, possono ricevere i documenti ufficiali nelle loro lingue regionali, ma la traduzione è pagata dal Governo spagnolo. Catalani e baschi hanno sempre sottolineato che la loro lingua è parlata da un numero di persone molto superiore a quanti parlano lingue ufficiali poco diffuse, come l’estone, il lettone o il danese; come numero di parlanti il catalano è infatti la settima lingua dell’Unione Europea.

Come risulta dall’art. 21 del trattato, appena richiamato, il regime di multilinguismo ha una funzione di garanzia soprattutto nei confronti dei cittadini dell’Unione Europea: poiché alcune fonti comunitarie hanno efficacia diretta, tutti devono essere in grado di comprenderle.

Più in generale, il multilinguismo parrebbe garantire anche un regime di parità tra gli Stati: se solo alcune lingue fossero ufficiali, si creerebbe infatti una gerarchia tra le lingue e tra gli Stati, politicamente inaccettabile.

22 Sui costi dei servizi di traduzione per l’UE A. ORTOLANI, Lingue e politica linguistica

nell’Unione europea, in www.jus.unitn.it/cardozo/review/2002/ortolani.htm; C. CAPRIOLI,

Multilinguismo e diversità linguistica nell'Unione europea: l'esperienza del sito web «Multilinguismo? Sì, grazie» della rappresentanza della Commissione europea a Milano, in

Ianua. Revista Philologica Romanica Vol. 3 (2002), reperibile in

(11)

Tuttavia, come ha affermato la Corte di Giustizia nel caso Kik, il principio di parità delle lingue non è un principio di diritto comunitario. Anche tenendo conto di esigenze di celerità e di efficienza dei lavori, il regime linguistico delle istituzioni comunitarie è più elastico: viene deliberato dal Consiglio all’unanimità, a norma dell’art. 290 del trattato istitutivo della Comunità Europea.

La disciplina del regime linguistico è contenuta nel regolamento del Consiglio n. 1/1958, più volte modificato. L’art. 1 del regolamento stabilisce ora che le lingue di lavoro delle istituzioni dell'Unione sono le 23 lingue ufficiali dell’Unione Europea. A norma dell’art. 6, tuttavia, le istituzioni possono determinare le modalità di applicazione del regime linguistico nei propri regolamenti interni.

Sia per il maltese che per l’irlandese il Consiglio ha disposto, con regolamento, rispettivamente, n. 930/2004 e n. 920/2005, che in via transitoria le istituzioni dell’Unione europea non sono vincolate dall’obbligo di redigere tutti gli atti in maltese e in irlandese, con l’eccezione dei regolamenti.

Per la Corte di Giustizia il regolamento di procedura del 19 giugno 1991 stabilisce, all’art. 29, che la lingua processuale è quella scelta dal ricorrente, salvo diversa richiesta delle parti, e, nei casi di pronuncia pregiudiziale, quella del giudice nazionale.

Il regolamento interno della Commissione delle Comunità Europee, approvato nel 2000, stabilisce, all’art. 18, che negli atti aventi efficacia generale fanno fede tutte le lingue ufficiali delle Comunità e negli altri casi quelle dei destinatari. Rispetto all’uso delle lingue, il regolamento lascia tuttavia alla Commissione ampia discrezionalità, rinviando ad essa di stabilire, in quanto necessario, le modalità di esecuzione del regolamento, nonché di adottare misure supplementari relative al funzionamento della Commissione e dei suoi uffici.

All’interno della Commissione le lingue di lavoro sono l’inglese, il francese ed il tedesco, mentre la lingua di lavoro all’interno della Corte di Giustizia è il francese23.

Il diritto all’uso di tutte le lingue ufficiali è ampiamente garantito all’interno del Parlamento europeo, sia dal suo regolamento, che da un apposito codice di condotta sul multilinguismo, approvato dall'ufficio di presidenza il 4 settembre 2006. L’art. 138 del regolamento stabilisce che tutti i documenti del Parlamento debbono essere redatti nelle lingue ufficiali. I deputati hanno il diritto di esprimersi in Parlamento nella lingua ufficiale di loro scelta. Gli interventi in una delle lingue ufficiali vengono simultaneamente interpretati in ognuna delle altre lingue ufficiali e in qualsiasi altra lingua ritenuta necessaria dall'Ufficio di Presidenza. Il codice di condotta stabilisce che i servizi linguistici nel Parlamento europeo sono gestiti sulla base dei principi del "multilinguismo integrale controllato", rispettando il diritto dei deputati di utilizzare la lingua ufficiale di loro scelta,

23 Cfr. B. DE WITTE, Language Law of the European Union: Protecting or Eroding Linguistic

Diversity?, in R. CRAUFURD SMITH (a cura di), Culture and European Union Law, Oxford, 2004,

221 ss.; G. GALLO, La lingua italiana nei testi della Corte di giustizia delle Comunità europee,

in ec.europa.eu/italia/documenti/REI/gallo.doc; C. CAPRIOLI, Multilinguismo e diversità

linguistica cit., 158. Ai problemi che crea il multilinguismo nel linguaggio giuridico è dedicato

il volume di R. SACCO-L. CASTELLANI (a cura di), Les multiples langues du droit européen

(12)

conformemente a quanto stabilito dal regolamento del Parlamento europeo, e contenendo le risorse sulla base delle esigenze reali degli utenti, della responsabilizzazione di questi ultimi e di una migliore pianificazione delle richieste di servizi linguistici.

Il multilinguismo dell'Unione europea, il cui motto è «unità nella diversità», rende dunque difficile conciliare esigenze divergenti (lingua veicolare di lavoro, tutela delle identità nazionali, tutela delle identità minoritarie). Tale difficoltà è presente anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, nelle cui decisioni non si riesce pertanto ad individuare una linea precisa ed unitaria.

Così, nel caso Kik del 9 settembre 2003 (C-361/02), già richiamato, la Corte ha ritenuto che non fosse contrario al diritto comunitario l’art. 115 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario, secondo cui le domande di marchio comunitario sono depositate in una delle lingue ufficiali della Comunità europea, ma il richiedente deve indicare una seconda lingua, che può accettare come lingua procedurale alternativa in procedimenti di opposizione, decadenza e nullità, scegliendola tra le lingue dell'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli), che sono francese, inglese, italiano, spagnolo e tedesco. Secondo la Corte, nel definire quale sia la lingua procedurale in mancanza di accordo tra le parti, il Consiglio, pur operando un trattamento differenziato delle lingue ufficiali della Comunità, ha effettuato una scelta adeguata e proporzionata.

La Corte non ha invece esitato a sostenere una politica di difesa e di promozione della lingua nazionale nel caso Groener (C-379/87) del 1989, ritenendo non contraria al principio di non discriminazione la richiesta della conoscenza della lingua irlandese per un docente di arte presso le istituzioni pubbliche di insegnamento professionale, e ciò benché la conoscenza della lingua irlandese non sia indispensabile per l’insegnamento dell’arte, dato che molte materie sono insegnate in lingua inglese. Nel caso Angonese24, tuttavia,

la Corte di Giustizia ha giustamente riconosciuto come sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito esigere che i candidati ad un concorso debbano comprovare le loro cognizioni linguistiche esclusivamente mediante uno speciale diploma (il cosiddetto patentino), rilasciato presso la provincia di Bolzano: Roman Angonese, che era perfettamente bilingue, aveva infatti allegato altri certificati comprovanti la sua conoscenza del tedesco.

In alcuni casi la Corte di Giustizia ha deciso di estendere ai cittadini di altri Stati dell’Unione una disciplina differenziata prevista per la popolazione concentrata in un certo territorio. Nel caso Mutsch25, riferito ad un cittadino

lussemburghese residente in Belgio in un comune di lingua tedesca, la Corte ha affermato che il principio della libera circolazione dei lavoratori, stabilito nel Trattato, esige che al lavoratore cittadino di uno Stato membro e residente in un altro Stato membro sia riconosciuto il diritto di chiedere che un procedimento penale instaurato nei suoi confronti si svolga in una lingua diversa dalla lingua processuale usata di regola dinanzi al giudice investito della causa, qualora i lavoratori nazionali possano avvalersi di questo diritto. Lo stesso principio è stato applicato nel caso Bickel 26, riferito ad un 24 Corte giust., 6–6–2000, causa 281/98, con nota di F. PALERMO, Diritto comunitario e tutela delle minoranze: alla ricerca di un punto di equilibrio, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 2000, 969 ss.. 25 Corte giust. 11-7-1985, causa 137/84, in Racc., 2681.

26 Corte giust., 24-11-1998, causa 274/96, con nota di E. PALICIDI SUNI L’uso della lingua materna tra tutela delle minoranze e parità di trattamento nel diritto comunitario, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., 1999, 171 ss.

(13)

camionista austriaco ed un turista tedesco che erano stati sottoposti a procedimenti penali nella Regione Trentino-Alto Adige, benché, a parere di chi scrive, in questo caso sarebbe stato più corretto applicare la disciplina dell’interprete, prevista dall’art. 143 del codice di procedura penale per quanti non conoscano la lingua italiana, e non la speciale disciplina espressamente stabilita per la minoranza tedesca della provincia di Bolzano dallo statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige: poiché il camionista austriaco ed il turista tedesco, a differenza del lussemburghese, non erano residenti, ma solo di passaggio nel territorio della provincia di Bolzano, non c’era infatti motivo per trattarli in maniera differenziata rispetto a qualsiasi straniero o cittadino di altri Stati dell’Unione Europea che si trovassero a circolare all’interno del territorio italiano.

Nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, così come nella normativa comunitaria, vi sono dunque alcune oscillazioni tra la tutela delle identità nazionali e la tutela delle identità minoritarie, tra il principio di parità ed il principio di differenza27.

4. Per un’identità linguistica multilivello

Nell’Unione Europea e in tutti i Paesi si pone oggi la stessa questione: come garantire identità nazionali e identità minoritarie in un mondo globalizzato in cui l’economia, il commercio e in parte la stessa cultura spingono verso una unificazione a favore della lingua più forte, che è l’inglese?

Per cercare di dare una risposta a questo interrogativo, la Commissione europea ha costituito il Gruppo degli intellettuali per il dialogo interculturale, formato da persone provenienti dalle diverse culture europee, che nel 2008 ha presentato le sue proposte a Bruxelles.

Per superare la rivalità che oggi oppone l'inglese e le altre lingue, rivalità che si traduce in un indebolimento di queste ultime e arreca pregiudizio alla stessa lingua inglese, il Gruppo propone che nelle relazioni bilaterali tra i popoli dell'Unione Europea l'uso delle lingue dei due popoli debba prevalere su quello di una terza lingua. A tal fine, occorre che in ogni Paese dell'Unione ci sia, per ciascuna lingua europea, un gruppo significativo di locutori competenti e fortemente motivati. L'Unione europea dovrebbe perciò farsi promotrice dell'idea di lingua personale adottiva, incoraggiando ogni cittadino europeo a scegliere liberamente una lingua distintiva, diversa dalla sua lingua identitaria e anche dalla sua lingua di comunicazione internazionale. Studiata intensamente, parlata e scritta correntemente, questa lingua sarebbe integrata nel percorso scolastico e universitario e nel curriculum professionale di ogni cittadino europeo. Il suo apprendimento si accompagnerebbe ad una conoscenza approfondita del Paese o dei Paesi in cui questa lingua è praticata, della letteratura, della cultura, della società e della storia legate a questa lingua28.

27 Cfr. F. PALERMO, Linguistic Diversity within the Integrated Constitutional Space, in European Diversity and Autonomy Papers- EDAP 2/2006 (www.eurac.edu/edap), secondo cui

la politica comunitaria è più multinazionale che multiculturale. In senso analogo G.N. TOGGENBURG, The Debate on European Values and the Case of Cultural Diversity, in European

Diversity and Autonomy Papers - EDAP 1/2004 (www.eurac.edu/edap).

28 La proposta, dal titolo Una sfida salutare. Come la molteplicità delle lingue potrebbe

rafforzare l'Europa, è pubblicata in

ec.europa.eu/education/policies/lang/doc/maalouf/report_it.pdf. Sul ruolo giuridico e politico dell’UE a favore delle diversità culturali cfr. A. VON BOGDANDY, The European Union as Situation, Executive, and Promoter of the International Law of Cultural Diversity. Elements of

a Beautiful Friendship, in Jean Monnet Working Paper 13/07

(14)

Il problema delle identità linguistiche non può in effetti che risolversi in modo graduale, con soluzioni ispirate alla tolleranza ed al rispetto reciproco, perseguendo l’obiettivo di garantire, se così si può dire, una identità

linguistica multilivello.

Esigenze di comunicazione e di scambi tra culture e nazioni portano necessariamente a privilegiare una o più lingue “forti”. Per evitare che ciò conduca ad appiattire i concetti, a semplificazioni eccessive e ad un impoverimento dei contenuti, occorre dunque salvaguardare le lingue minori, nazionali e regionali, favorendone la diffusione, la conoscenza e l’insegnamento.

Se non è ipotizzabile l’utilizzazione generalizzata di un esperanto o, ancor meno, di una lingua “morta” come il latino, è forse più agevole immaginare di utilizzare come lingua veicolare un inglese “arricchito” di espressioni e concetti presi da altre lingue, per non sacrificare quanto ciascuna lingua e ciascuna cultura offrono nei diversi campi del sapere e del linguaggio. Si avrebbe così una forma limitata di esperanto, di più facile e graduale realizzazione.

Garantire una identità linguistica multilivello non è dunque impossibile: è una scelta a favore del pluralismo ed è un’esigenza sempre attuale. La proponeva Jellinek alla fine dell’800, mettendo in guardia contro l’omogeneità forzata che tanti auspicavano e che condusse alle tragiche esperienze delle dittature nazionalistiche in Europa. La proponevano i nostri Costituenti con scelte innovative che rimasero per tanti versi inattuate, ma che potrebbero attuarsi oggi, in una società sovranazionale molto più complessa e variegata.

Riferimenti

Documenti correlati

Il legame tra lingua e identità è un tema caro alla sociolinguistica e alla sociologia del linguaggio. Per quanto riguarda il Friuli, la questione è sentita ancora più profondamente,

Ciò evidenzia che il concetto di storia precede il concetto di persona; perciò la persona sarà possibile solo nella struttura di una storia e, dunque, sarà sempre

the impact of conceptual geological model and parametric uncertainty on groundwater flow 439. features in a three-dimensional large scale

Abstract: This paper describe SWAMP, a prototype Autonomous Surface Vehicle (ASV) representing the base for the design and development of an innovative class of reliable

Many recent studies showed a clear association between mitral annulus calcification and the presence of aortic atheromas, atheroma thickness and carotid artery disease

Regardless of the alteration status of Caledonian specimens, geochemical analyses demonstrate how the physical-mechanical effect of fluid circulation within the

At the end of the 12-week treatment period, 14 subjects (48.3%) were considered as responders on the basis of the Clinical Global Impression-Improvement (CGI-I) (much or very

Intervengono: Manuela Romei Pasetti (Presidente, Corte d’Appello di Venezia), Luisa Napolitano (Corte d’Appello di Venezia), Annamaria Levorin (Giornalista RAI), Giovanna.