• Non ci sono risultati.

Progetto e realizzazione di un battery management system modulare per batterie di imbarcazioni a propulsione elettrica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Progetto e realizzazione di un battery management system modulare per batterie di imbarcazioni a propulsione elettrica"

Copied!
146
0
0

Testo completo

(1)
(2)

Università di Pisa

Scuola di ingegneria

Tesi di laurea magistrale in ingegneria elettronica

Progetto e realizzazione di un

Battery Management System

modulare per batterie di

imbarcazioni a propulsione elettrica

Candidato: Marco Zeni

(3)

Sommario

Negli ultimi anni si è rapidamente diffusa l’idea della mobilità elettrica eco-sostenibile, che sta sempre più affermandosi, soprattutto nel settore degli autoveicoli e motoveicoli. La sempre crescente immissione di CO2

nell’atmosfera a causa della mobilità destinata al trasporto ha comportato una necessità di adeguamento, al fine di ridurre progressivamente l’inquinamento atmosferico. Oggi la tecnologia delle batterie ha fatto grandi passi avanti e le ultime tecnologie agli ioni di litio hanno accelerato molto il fenomeno dell’elettrificazione dei trasporti. Un altro settore in cui si sta verificando una conversione al trasporto elettrico è quello marittimo. In molte mete turistiche sono in servizio imbarcazioni da trasporto fluviale, ancora alimentate con combustibili derivati dal petrolio. Per ridurre il più possibile l’impatto ambientale che hanno questi mezzi, c’è l’idea di sostituirli con dei battelli a propulsione elettrica. Il progetto toscano per la navigazione eco-compatibile (PROTONE) nasce proprio in questo settore di ricerca e ha fatto da contesto per questo progetto di tesi di laurea. Il lavoro della tesi ha riguardato la progettazione e la realizzazione di un Battery Management System (BMS) per una batteria di un’imbarcazione a propulsione elettrica. I veicoli di grandi dimensioni, come un battello da trasporto fluviale, necessitano di potenze ed energie elevate e richiedono batterie di grandi dimensioni. Sorge il problema di realizzare un BMS che possa agevolmente adattarsi alle dimensioni della batteria e che quindi possa essere modulare. Una soluzione di questo tipo è stata pensata e realizzata, ottenendo un BMS gerarchico e modulare che potesse contare sulla presenza di diversi livelli di gerarchia, ognuno dedicato ad un insieme di specifici compiti. Il lavoro di tesi si è occupato dell’assegnazione di quest’ultimi e dell’implementazione

(4)

software dei livelli gerarchici inferiori del BMS, quelli più a stretto contatto con la batteria da monitorare. È stato realizzato il firmware del livello che si occupa dell’acquisizione delle principali grandezze fisiche della batteria, come tensioni delle celle, corrente e temperatura. Inoltre, il firmware sviluppato si occupa dell’elaborazione di queste grandezze al fine di attuare delle politiche di sicurezza che mantengano la batteria in uno stato sicuro all’interno della sua Safe Operating Area (SOA). Viene realizzata, poi, un’astrazione delle principali informazioni della batteria al livello gerarchico superiore, consentendo a quest’ultimo di conoscere e controllare lo stato della batteria. Il firmware è stato realizzato seguendo il principio fondamentale per cui si voglia ottenere un prodotto versatile e facilmente riconfigurabile per altre applicazioni. Questi obiettivi sono stati raggiunti utilizzando un’architettura il più modulare possibile, con Module Management Unit (MMU) che si occupano dell’acquisizione dei dati dalle celle connesse in serie, String Management Unit (SMU) che si occupano della elaborazione dei dati e del controllo della corrente che scorre nelle celle serializzate e Pack Management Unit (PMU) che acquisisce lo stato delle varie SMU, ne controlla le funzioni gestisce la parallelizzazione.

Il firmware di gestione della SMU che è stato realizzato acquisisce i dati dalle MMU, acquisisce la corrente dalla serie di celle e la controlla grazie ad uno switch di stringa. Inoltre, realizza un algoritmo di stima del SoC basato su algoritmo misto che combina le peculiarità di due metodi di stima più semplici. È stato implementato anche un algoritmo di bilanciamento passivo utilizzabile in una duplice modalità: manuale o automatica.

Un primo set-up sperimentale di misura, basato sull’utilizzo di una batteria piccola da 2,5 Ah, ha permesso di verificare e validare tutte le funzionalità di sicurezza implementare nel firmware ed ha reso veloce la validazione dell’algoritmo di bilanciamento automatico.

(5)

Un secondo set-up sperimentale, realizzato con una sezione della batteria effettivamente utilizzata nel progetto PROTONE da 21 Ah, ha convalidato le funzionalità dell’intero firmware.

(6)

Indice

Sommario ... 3

Indice ... 6

La mobilità elettrica e le batterie al litio ... 8

I veicoli elettrici ... 9

Le celle agli ioni di litio ... 10

Batterie modulari e gerarchici ... 17

Battery Management System ... 19

2.1 Funzioni principali... 20

2.1.1 Monitoraggio tensioni delle celle ... 20

2.1.2 Monitoraggio corrente di batteria ... 22

2.1.3 Monitoraggio temperatura di batteria ... 24

2.1.4 Controlli di sicurezza ... 25

2.2 Funzioni secondarie ... 26

2.2.1 Stima del SoC ... 26

2.2.2 Bilanciamento ... 28

2.2.3 Comunicazione ... 33

Il progetto PROTONE ... 36

3.1 La batteria ... 38

3.2 L’architettura hardware del BMS ... 40

3.2.1 Le Module Management Unit – MMU ... 42

3.2.2 Le schede di controllo programmabili SMU/PMU ... 48

3.2.3 Il sensore di corrente ... 51

3.2.4 Gli switch della batteria ... 53

5.1 Le specifiche del software di controllo ... 54

La programmazione concorrente... 56

4.1 Introduzione alla programmazione concorrente ... 57

4.2 Sistemi operativi real-time ... 70

(7)

5.2 Task di gestione delle MMU ... 78

5.3 Task di gestione del bilanciamento ... 90

5.4 Task di gestione della comunicazione CAN ... 96

5.5 Task di gestione del sensore di corrente ... 106

5.6 Task di stima del SoC ... 107

5.7 Task main ed organizzazione generale del sistema ... 110

Set-up sperimentale di verifica... 114

Test condotti e risultati ottenuti ... 123

Conclusioni ... 143

(8)

Capitolo 1

La mobilità elettrica e le

batterie al litio

(9)

I veicoli elettrici

Da pochi anni, con una certa velocità, si sta sempre più ampiamente diffondendo ed affermando l’idea della mobilità elettrica o ibrida, anche se i primi veicoli elettrici risalgono a più di un secolo fa. Infatti, l’idea di sostituire un motore elettrico ad un motore a combustione interna è piuttosto antica ed allora i benefici di un’auto elettrica erano anche più evidenti di oggi: le prime automobili a combustione interna esalavano grandi quantità di fumi maleodoranti come scarto della combustione del carburante ed erano molto rumorose, mentre l’auto elettrica era silenziosa e pulita. Purtroppo, i primi accumulatori di carica erano poco efficienti ed ingombranti con una bassa densità di energia, di conseguenza le prime auto elettriche avevano un’autonomia scarsissima. Le sempre più numerose scoperte di nuovi giacimenti di petrolio fecero crollare il prezzo del greggio e questo diede lo slancio definitivo allo sviluppo delle auto a combustione interna.

Diversa è stata la storia delle imbarcazioni, che ha visto l’evoluzione del trasporto marittimo passare dai remi e dalle vele ai battelli a vapore, come quello di fig. 1, per poi arrivare alle imbarcazioni a motore endotermico con elica poppiera sommersa.

Fig. 1 – Il North River Steamboat, il primo battello a vapore della storia entra in servizio il 17 agosto 1807

(10)

Su scala globale, oggi, il 25 % della CO2 immessa nell’atmosfera riguarda il

settore dei trasporti, alimentato quasi totalmente dai combustibili derivati dal petrolio (> 95 %). Inoltre, questo settore rappresenta il 20 % della domanda globale di energia ed è destinata a crescere, grazie alla sempre maggiore globalizzazione e all’avvento delle nuove economie emergenti [1].

Pensiamo, ad esempio, alla laguna di Venezia, o alla Senna che scorre nel centro di Parigi: in questi luoghi svariati battelli transitano ogni giorno spostando migliaia di persone che vengono in visita della città. L’idea dell’elettrificazione di battelli da trasporto fluviale nasce dalla volontà di ridurre significativamente il loro impatto ambientale in quei luoghi in cui il turismo richiede un loro significativo impiego.

Negli ultimi anni gli accumulatori elettrochimici si sono evoluti e si stanno sempre più diffondendo batterie di nuova generazione, che presentano densità di energia significativamente più elevate rispetto alle loro antenate. Questo fenomeno ha fortemente incentivato la spinta alla ricerca scientifica nel campo della mobilità elettrica. Infatti, stiamo assistendo oggi ad un incremento significativo degli utenti finali che scelgono la mobilità elettrica/ibrida, anche se ancora non è un prodotto accessibile a tutti a causa dell’elevato costo delle batterie.

Vediamo adesso quali sono le principali tipologie di accumulatori agli ioni di litio disponibili sul mercato e maggiormente interessanti per la mobilità elettrica.

Le celle agli ioni di litio

Il principio di base delle batterie al litio fu scoperto ed osservato casualmente da Gilbert Newton Lewis durante alcuni suoi esperimenti con dei composti contenenti litio ionizzato. In quegli anni stava prendendo piede l’energia elettrica nelle industrie ed era evidente un possibile impiego di tale scoperta:

(11)

infatti, nel 1912 Lewis fabbricò le prime batterie al litio. Dovettero passare diverse decine di anni prima che l’idea fosse perfezionata e resa commerciale: la prima batteria agli ioni di litio commerciale venne immessa sul mercato dalla Sony nel 1991.

Similmente alle sue antenate, le celle agli ioni di litio sono costituite da 4 principali componenti [2]:

 Catodo – costituito generalmente da ossido di litio metallico, ha delle cavità atomiche dove si vanno ad inserire gli ioni di litio rilasciati dall’anodo durante la scarica; in fase di carica, invece, essi lasciano queste cavità per tornare sull’anodo.

 Anodo – costituito solitamente da grafite, ospita gli ioni di litio in fase di ricarica ed è la sorgente di emissione degli ioni in fase di scarica.  Elettrolita – composto da sali di litio e composti organici, serve a

veicolare gli ioni di litio dall’anodo al catodo e viceversa.

 Separatore – è una membrana microporosa che separa meccanicamente i due elettrodi della cella, evitando che vadano in cortocircuito; essendo poroso consente il passaggio dei soli ioni di litio da una parte all’altra della cella.

Il catodo e l’anodo sono fisicamente realizzati depositando degli strati dei loro rispettivi materiali attivi su una barra di alluminio per il catodo e di rame per l’anodo. Tali barre funzionano come dei collettori per la corrente di elettroni che circola al di fuori della cella. La fig. 2 mostra la struttura chimico-fisica di una generica cella agli ioni di litio.

(12)

Fig. 2 – Schema delle reazioni elettrochimiche all’interno di una cella agli ioni di litio [2]

Le celle con tecnologia agli ioni di litio rappresentano un punto di svolta nel campo delle celle elettrochimiche di accumulo di energia grazie ai loro svariati vantaggi [3]:

 Tensione di cella nominale più alta – le celle al litio, a seconda della composizione chimica delle loro componenti, possono avere una tensione nominale di 3.4  3.9 V rispetto alle 1.2  2 V delle precedenti chimiche; ciò comporta un numero minore di celle disposte in serie a parità di tensione della batteria da realizzare.

 Maggiore densità di energia – circa tre volte superiore alle chimiche precedenti, quindi a parità di energia necessaria la batteria pesa molto meno.

 Maggiore densità di potenza – a parità di tensione nominale le celle al litio riescono a fornire correnti maggiori.

(13)

 Bassa autoscarica – in media si aggira intorno al 2  3 % al mese, molto meno rispetto alle precedenti realizzate in tecnologia al nickel.

 Tempo di vita più lungo

Purtroppo, i pregi sono sempre accompagnati da difetti:

 Maggiore sensibilità alla fuoriuscita dai parametri limite di funzionamento – tensione, corrente e temperatura devono essere sempre controllati perché una loro violazione potrebbe comportare anche un danneggiamento permanente della cella; è per questo che è necessario l’impiego di un sistema di monitoraggio e controllo chiamato Battery Management System (BMS).

 Maggior costo

 Tecnologia poco matura – ancora non si conosce a fondo la dipendenza dei parametri delle celle dall’invecchiamento; questo pone dei limiti in fatto di ottimizzazione dell’utilizzo delle celle durante la loro vita.

Prima abbiamo visto una generica struttura di una cella agli ioni di litio. In realtà, poi, in commercio esistono diverse tipologie di celle agli ioni di litio che differiscono per la composizione di materiali con cui è realizzato il catodo. Essendo quest’ultimo la sede degli ioni di litio, utilizzando materiali diversi, adeguatamente scelti, è possibile incrementare la densità di energia, o anche la densità di potenza. I principali composti con cui si realizza il catodo sono i seguenti [2]:

 Ossido di litio cobalto (LiCoO2, o anche dette LCO) – la prima cella

commercializzata agli ioni di litio era equipaggiata da un catodo fatto con questo materiale, abbinato ad un anodo di carbone. Le celle di questo tipo hanno una densità di capacità relativamente alta di 155 mAh/g ed una tensione nominale 3.9 V. Inoltre, sono elettricamente performanti, facili da assemblare e sono poco sensibili

(14)

a variazioni di processo produttivo e all’umidità. Purtroppo, il cobalto scarseggia ed il costo di queste celle è relativamente alto.

 Ossido di manganese al litio (LiMn2O4, o anche dette LMO) – uno dei

pregi principali di questo materiale catodico è quello di essere molto economico, in quanto il manganese è molto abbondante in natura e non è tossica per l’ambiente; celle che fanno uso di questo materiale sono commercialmente usate in applicazioni a basso costo o che richiedono una buona stabilità agli abusi; esse presentano, inoltre, un ottimo numero di cicli di vita a temperatura ambiente ma una minore densità di capacità, che varia tra 100 e 120 mAh/g, e una elevata perdita di capacità ad alte temperature.

 Litio ferro fosfato (LiFePO4, o anche dette LFP) – grazie al fosforo, che

è un materiale molto più sicuro di quelli presenti nelle tecnologie LCO o LMO, esso risulta estremamente stabile alle sovraccariche e non va facilmente in fuga termica, perciò il rischio di incendio è bassissimo. Le celle LFP hanno un ciclo di vita medio piuttosto lungo grazie alla loro elevata sicurezza, non sono tossiche per l’ambiente ed hanno un costo relativamente basso rispetto alle altre tipologie di celle. Inoltre, hanno una densità di capacità piuttosto elevata di circa 160 mAh/g ed una tensione nominale di 3.4 V. Oggi queste celle sono le migliori candidate per l’elettrificazione dei veicoli.

 Mixed nickel-manganese-cobalto (LiNi1-y-zMnyCozO2, o anche dette

NMC) – sono tra le celle più commercializzate; questo materiale ha una struttura simile agli altri, ha performance simili alle LCO ma è più economica e maggiormente stabile ad abusi grazie ad una migliore stabilità termica; hanno una densità di capacità molto elevata di 200 mAh/g ed una tensione nominale di 3,6  3,7 V; a causa della loro complessità di costruzione sono molto sensibili a variazioni di processo produttivo e queste le rende piuttosto variabili in termini di

(15)

prestazioni; grazie a queste caratteristiche sono più largamente diffuse in applicazioni a bassa potenza.

Riassumiamo quanto detto nella tabella di fig. 3 in cui si fa un confronto tra le varie tipologie di celle al litio e le precedenti celle ricaricabili.

Densità di energia [Wh/kg] Tensione nominale [V] Autoscarica

[% al mese] Cicli di vita Sicurezza Piombo 30  50 2 3  20 200  300 Alta Ni-Cd 45  80 1.25 3  20 1500 Alta Ni-MH 60  120 1.25 30 300  500 Alta LCO 155 3.9 8 500 Bassa LMO 100  120 3.7 8 500  1000 Media LFP 160 3.4 < 3 1000  2000 Alta NMC 200 3.6  3.7 < 3 1000  2000 Buona

Fig. 3 – Tabella riassuntiva di confronto tra le varie tipologie di celle al litio e le precedenti ricaricabili

Dall’avvento sul mercato delle prime celle agli ioni di litio ad oggi la ricerca scientifica ha compiuto numerosi traguardi nell’ampliamento della conoscenza di questa nuova tecnologia di accumulatori. Sono stati trovati dei modelli elettrici che approssimano con buona precisione il comportamento elettrico di una cella al litio: uno dei più noti ed utilizzati è il circuito elettrico equivalente di fig. 4[4].

(16)

Esso descrive la maggior parte dei comportamenti elettrici di una cella agli ioni di litio ed ogni componente circuitale è l’espressione di uno di essi:

 CCapacity – schematizza l’accumulo di capacità della cella

 RSelf-Discharge – schematizza l’autoscarica della cella; essendo

l’autoscarica in genere bassa per le celle al litio, questa resistenza sarà piuttosto alta e dell’ordine delle decine di k [5].

 IBatt – è un generatore di corrente controllato dalla corrente IBatt che

scorre nel circuito di destra; schematizza il trasferimento di carica della cella, sia in carica che in scarica.

 VOC(VSOC) è il generatore di tensione della Open Circuit Voltage

(OCV), ovvero della tensione della cella a circuito aperto. Infatti, dallo schema è evidente che la tensione di questo generatore sia uguale alla VBatt nelle condizioni di corrente nulla e capacità dei gruppi RC

scariche. Questo generatore è controllato dalla tensione VSOC ed

esprime la legge di non linearità che lega l’OCV allo State Of Charge (SOC). Tale legge non è sempre la stessa, anzi è diversa tra le varie celle agli ioni di litio realizzati nelle diverse tecnologie e non è semplice ricavarsela.

 RSeries – schematizza la resistenza dovuta alle interconnessioni

metalliche tra gli elettrodi della cella ed i contatti esterni; in genere molto piccola e dell’ordine delle decine di m.

 (RTransient_S; CTransient_S) e (RTransient_L; CTransient_L) – questi gruppi RC

paralleli in serie schematizzano parzialmente la dinamica esponenziale della tensione di cella durante il trasferimento di carica, sia verso l’esterno che verso l’interno; in teoria sarebbe necessario un numero infinito di gruppi RC per descrivere perfettamente l’andamento della tensione della cella, ma il modello diventerebbe irrisolvibile analiticamente; dunque si sceglie un numero finito di gruppi RC, tanto maggiore quanto migliore è il risultato che vogliamo

(17)

ottenere; nella maggior parte dei casi di studio se ne utilizzano uno o due; inoltre le costanti di tempo dei gruppi aumentano progressivamente man mano che se ne aggiungono, partendo dai secondi per il primo, fino ad arrivare alle ore per i successivi.

La tensione VSOC è una tensione che, per come seno definiti i valori di CCapacity

e di RSelf-Discharge, vale 1 V quando la cella è completamente carica

(SoC = 100 %) e vale 0 V quando la cella è completamente scarica (SoC = 0 %). È una tensione che però esprime lo stato di carica della cella e che serve a stabilire l’OCV in ogni condizione di SoC.

Batterie modulari e gerarchici

Grazie ai numerosi privilegi e vantaggi apportati dall’avvento sul mercato della tecnologia al litio, è diventato di grande interesse fare ricerca nel campo delle loro possibili applicazioni. Sfortunatamente, come abbiamo visto, le celle agli ioni di litio risultano molto delicate e sensibili alle situazioni al limite del loro range di lavoro normale. Dunque, sorge la necessità di un sistema ausiliario all’utilizzo delle batterie agli ioni di litio, che ne monitori continuamente lo stato al fine di mantenerle all’interno della loro Safe Operating Area (SOA).

Un Battery Management System, BMS in breve, è un sistema elettronico che viene affiancato alla batteria ed ha il compito di monitorarne costantemente lo stato al fine di implementare una serie di funzioni di sicurezza che possono garantire la salute della batteria ed allungarne il più possibile la vita, massimizzandone la resa per l’utente.

Nell’ambito di ricerca che riguarda lo sviluppo dell’elettrificazione dei veicoli, abbiamo già parlato in particolare di come il settore nautico stia subendo un cambiamento da questo punto di vista. In questo contesto di ricerca nasce il progetto PROTONE (PROgetto TOscano per la Navigazione

(18)

Eco-compatibile), approfondito più avanti nel capitolo 3. All’interno di tale progetto è stato svolto questo lavoro di tesi, che si è occupato della progettazione e della realizzazione del BMS per la batteria di un’imbarcazione a propulsione elettrica. Applicazioni di questo tipo, che richiedono potenze piuttosto elevate, hanno bisogno di batterie di grandi dimensioni: di conseguenza anche il BMS dovrà adeguarsi alla complessità della batteria.

Si parla, quindi, di BMS gerarchici proprio per soddisfare la necessità di monitorare batterie complesse. Il lavoro di questa tesi di laurea ha riguardato l’assegnazione dei compiti ai diversi livelli gerarchici del BMS e alla loro successiva implementazione in firmware, con l’aggiunta di un aspetto fondamentale: la modularità. In particolare, è stato realizzato il firmware del livello gerarchico che si occupa dell’acquisizione e dell’elaborazione delle informazioni acquisite dalla batteria, al fine di astrarre al livello gerarchico superiore il controllo del suo stato. Il firmware è stato realizzato in un’ottica di massimizzazione della modularità e della flessibilità, così da poter ottenere un prodotto versatile e facilmente riconfigurabile anche per altre applicazioni. Durante lo sviluppo si è puntato anche ad ottenere buone prestazioni in termini di frequenza di acquisizione dei dati della batteria.

(19)

Capitolo 2

Battery Management

System

(20)

Come già accennato nel capitolo precedente, il BMS ricopre un ruolo fondamentale per il corretto utilizzo delle batterie agli ioni di litio e per la sicurezza degli utilizzatori finali delle stesse. Un BMS principalmente si occupa del monitoraggio delle grandezze fisiche di una batteria, come tensioni, correnti e temperatura, al fine di mantenerle all’interno dei limiti operativi delle celle agli ioni di litio. Inoltre, in caso di necessità, può adottare delle strategie di sicurezza che interrompono l’erogazione, o l’assorbimento, della potenza dalla batteria. Insieme a queste funzioni di primaria necessità, un BMS può implementare altre funzionalità ausiliarie e secondarie che però possono risultare utili all’utilizzatore finale.

2.1 Funzioni principali

2.1.1 Monitoraggio tensioni delle celle

Come abbiamo visto nel precedente capitolo, una singola cella al litio ha delle specifiche di tensione nominale e capacità idonee per uno svariato numero di applicazioni, ad esempio gli smartphone e gli smartwatch. Ci sono altre applicazioni in cui la potenza e l’energia richiesta sono molto maggiori, come ad esempio i PC portatili, gli utensili da lavoro, gli attrezzi da giardinaggio fino ad arrivare ai veicoli elettrici o ibridi. In questi ultimi casi le singole celle al litio non sono sufficienti da sole ad erogare la potenza e l’energia richiesta e quindi devono essere combinate tra di loro per aumentarle. Ci sono principalmente due modi di farlo, come mostra la fig. 5:

(21)

Fig. 5 – Possibili interconnessioni tra singole celle: a sinistra sono in serie, a destra sono in parallelo

 Serie – le celle vengono disposte in serie tra loro; questo consente di aumentare la tensione complessiva della batteria, che sarà data poi dalla somma delle tensioni di tutte le singole celle; la capacità, invece, resterà invariata, in quanto nelle celle scorrerà la stessa corrente e quindi la capacità complessiva sarà quella della cella con capacità minima tra tutte quelle che compongono la serie; anche la corrente massima erogabile sarà imposta ancora una volta dalla cella che ha questo parametro più basso.

 Parallelo – le celle vengono disposte in parallelo tra loro; questa operazione va fatta in sicurezza e con le dovute accortezze, in quanto le celle devono essere tutte, più o meno, alla stessa tensione di rilassamento; un eventuale mismatch tra le tensioni delle celle provocherebbe delle correnti di cortocircuito dalle celle più cariche a quelle meno cariche; questo tipo di connessione lascia invariata la tensione complessiva, che sarà quella di regime che raggiungerà il parallelo dopo la connessione. Ciò che invece risulta aumentata sarà la capacità complessiva che è uguale alla somma delle capacità di tutte le singole celle. Per la corrente massima erogabile il discorso è un po'

(22)

più complicato e non è possibile definirla a priori ma possiamo dire, in prima approssimazione, che sarà quella della cella che ha la minima corrente massima, moltiplicata per il numero di celle del parallelo. L’insieme di più celle collegate in parallelo tra loro verrà chiamato in seguito macro-cella.

 Collegamento misto – nelle situazioni pratiche, nella realizzazione di una batteria composta da celle al litio solitamente vengono adottate le due precedenti tipologie di connessione in combinazione, a seconda delle specifiche di tensione nominale e capacità che la batteria complessiva deve soddisfare.

In una batteria di grandi dimensioni con celle collegate in serie, sarà necessario che il BMS monitori le tensioni di ogni singola cella che compone l’intero pacco, al fine di salvaguardare la vita di ogni cella e quindi dell’intera batteria.

I BMS acquisiscono le tensioni di tutte le celle, andando a prelevare nella serie i punti intermedi tra una cella e la successiva.

2.1.2 Monitoraggio corrente di batteria

Nel paragrafo precedente abbiamo descritto i pro e i contro delle tipologie di interconnessioni tra celle elementari. Tra essi è emerso il parametro della corrente massima erogabile da una cella. Come fa un BMS a salvaguardare, dunque, la batteria dal rischio di assorbimento di correnti troppo elevate? La risposta è tanto semplice e banale quanto critica da attuare: il BMS viene dotato di un sensore che misura la corrente. Il BMS ha necessità di conoscere la corrente della batteria non solo per motivi di sicurezza, ma anche per ricavare alcune variabili di stato delle celle della batteria, come lo stato di carica (SoC) o lo stato di salute (SoH). La criticità di questa misura sta proprio nella scelta del sensore. I due tipi di sensori maggiormente utilizzati sono:

(23)

 Sensori basati su resistenze di shunt - la corrente da misurare viene fatta passare in una resistenza di valore molto basso e molto preciso, realizzata con dei materiali aventi una resistività elettrica pressoché costante con la variazione di temperatura; la resistenza, bassa ma non nulla, crea ai suoi capi una caduta di potenziale proporzionale alla corrente da misurare; misurando il modulo e il segno di questa caduta di potenziale si risale al valore di corrente e al verso. Per una misura più accurata ed indipendente dalle resistenze di contatto del cablaggio di potenza si effettua una misura a 4 punti. Questa tipologia di sensori sono realizzati con degli specifici materiali, come la costantana, che garantisce bassissime variazioni di resistività in conseguenza di un gradiente termico. Questa tecnica di misura è semplice ma richiede un circuito dedicato per il condizionamento del segnale; inoltre questa tipologia di misura condiziona il circuito in cui si vuole misurare la corrente.

 Sensori ad effetto Hall - sono dei sensori che sfruttano l’effetto Hall di alcuni materiali per cui un campo magnetico induce ai capi del materiale una differenza di potenziale in direzione ortogonale al campo e proporzionale al campo stesso; se il campo è quello generato da una corrente, la differenza di potenziale indotta ai capi del materiale sarà proporzionale alla corrente. Questo tipo di sensori hanno il privilegio di essere isolati galvanicamente dal circuito sotto misura, a differenza dei precedenti basati su shunt resistivo. Per contro, la precisione di misura dipende da quanto il flusso del campo magnetico generato dalla corrente viene convogliato all’interno del sistema di misura.

(24)

2.1.3 Monitoraggio temperatura di batteria

Abbiamo detto in precedenza come siano molto delicate le celle al litio rispetto alle precedenti tecnologie di batterie. Una variabile che deve essere tenuta sotto controllo, tra le altre già esposte, è la temperatura delle celle che compongono la batteria.

Esse, infatti, sono influenzate da fenomeni esterni alla batteria, come la temperatura dell’ambiente in cui la batteria è montata, e alla generazione di calore interno che provoca l’innalzamento termico in carica o in scarica. In ogni caso la temperatura influenza la chimica e la fisica delle celle al litio, riflettendosi infine sulle prestazioni della cella in termini di durata ed efficienza energetica. È per questo che il BMS deve poter intervenire anche nel caso in cui la temperatura esca dai limiti operativi entro i quali è garantito il funzionamento delle celle.

La temperatura può essere acquisita in diversi modi, a seconda del tipo di trasduttore termo-elettrico che si vuole utilizzare. I principali tipi di sensori di temperatura sono i seguenti:

 RTD – Resistance Temperature Detector, sfruttano la variazione di resistività dei metalli con la temperatura per poterla misurare; generalmente fatti in platino per via della sua stabilità nel tempo e la sua riproducibilità, hanno, per la maggior parte dei casi di normale interesse dove le temperature in gioco non sono “estreme”, una legge di proporzionalità che si può approssimare lineare con la temperatura; il circuito di lettura risulta semplice ma le resistenze in gioco sono basse e per grandi intervalli di temperature la legge non è più lineare.  Termistori – Sfruttano anch’essi la variazione di resistività con la temperatura ma per i semiconduttori; la resistenza è legata alla temperatura da una legge esponenziale decrescente (NTC) o crescente (PTC); tendenzialmente vengono usati gli NTC come sensori di

(25)

temperatura, grazie alla loro facilità di conversione della lettura da resistenza a temperatura in quanto la legge è facilmente implementabile via firmware.

 Termocoppie – Sono realizzati mettendo in contatto meccanico due metalli diversi nel punto in cui si vuole effettuare la misura di temperatura; sfruttano l’effetto Seeback secondo il quale ai capi dei due metalli si viene a creare una differenza di potenziale che è proporzionale al gradiente di temperatura presente tra il punto di contatto tra essi (punto di misura) ed il punto in cui si effettua la misura della tensione (che si ipotizza essere a temperatura nota); quest’ultima dev’essere nota con una certa precisione per far sì che si possa ottenere una misura precisa.

Dunque, un BMS deve essere in grado di acquisire la temperatura della batteria. I punti di misura di essa possono essere anche più di uno a seconda della complessità della batteria e del BMS.

2.1.4 Controlli di sicurezza

Ciò che il BMS principalmente deve compiere sono i controlli di sicurezza sulle informazioni provenienti dalle celle che esso acquisisce e che abbiamo visto nei precedenti paragrafi. In particolare, il BMS ha il compito di salvaguardare la salute della batteria agendo, dove possibile, per cercare di riportarla nelle condizioni limite di sicurezza. Questi limiti sono imposti principalmente dalle specifiche tecniche delle celle utilizzate nella batteria. Il BMS può controllare la corrente che scorre nella batteria tramite uno switch che si può aprire o chiudere in circostanze diverse. Quando la batteria è in condizioni di sicurezza lo switch si chiude, al contrario quando si manifesta un evento di pericolo si riapre. Come evento di pericolo si intende il raggiungimento di una soglia di sovra-tensione di una cella carica, o al

(26)

contrario di sotto-tensione per una cella scarica, una corrente troppo elevata oppure una temperatura fuori range consentito per la batteria.

Una volta interrotta la corrente di batteria, il BMS entra in uno stato di allarme in cui, ciclicamente, va a verificare che i parametri della batteria rientrino nelle normali condizioni di sicurezza.

2.2 Funzioni secondarie

2.2.1 Stima del SoC

Una variabile di stato fondamentale per le batterie è lo stato di carica, in inglese State of Charge (SoC). Essa rappresenta il rapporto tra la quantità di carica rimanente nella cella e la carica totale immagazzinabile in essa:

𝑆𝑜𝐶(𝑡) = 𝑄 (𝑡) 𝑄

La Qmax è la quantità di carica totale che la cella riesce ad accumulare. Viene

nominalmente dichiarata dal costruttore della cella come la sua capacità, espressa in mAh. In generale però la Qmax differisce dalla capacità nominale

e stabilirla con precisione non è semplice, perché dipende da molti fattori come ad esempio la temperatura, la non idealità del processo produttivo con cui vengono prodotte le celle, il loro invecchiamento o la loro storia. Tutto ciò tende, dunque, a complicare il calcolo del SoC. Di contro, sapere quanta carica resta a disposizione all’utente finale gli consente di gestire meglio il consumo dell’energia in base alle proprie necessità. Può essere utile, inoltre, conoscere lo stato di carica per realizzare algoritmi efficienti di bilanciamento, come quello proposto nel lavoro [6].

Quindi, assume notevole importanza conoscere lo stato di carica di una cella al litio. Per cercare di stimarlo sono stati ideati numerosi metodi, più o meno

(27)

complessi, con cui si riesce a stimare il SoC e qui di seguito elenchiamo i principali [7]:

 Coulomb Counting (CC) – questo metodo consente di ottenere una stima del SoC andando a “contare” la carica che sta uscendo, o entrando, dalla cella mediante una integrazione della corrente. In questo modo è possibile ottenere una stima in tempo reale dello stato di carica di tutte le celle durante le fasi di carica e scarica.

𝑆𝑜𝐶(𝑡) = 𝑆𝑜𝐶(𝑡 ) + 1

𝐶 𝐼 (𝜏) 𝑑𝜏

Come si nota dall’espressione analitica che descrive il calcolo di questo metodo, i possibili errori sono dovuti alla stima del SoC all’istante iniziale e al valore della corrente misurata. Cn è la capacità nominale

della cella: in alcuni casi può essere corretta con la capacità effettiva se il BMS integra la stima di quest’ultima. L’errore sulla corrente, invece, fa sì che esso finisca nell’integrale. Se l’errore non è a media nulla, l’integrale subirà un offset dovuto al valor medio dell’errore. Questo fenomeno rende questo metodo poco adatto ad impieghi per lunghi periodi e richiede una periodica ricalibrazione.

 Model based – gli algoritmi di questo tipo tentano di stimare lo stato della cella basandosi su un suo modello elettrico equivalente e misurando dall’esterno le principali grandezze elettriche come la tensione e la corrente. Ipotizzando di utilizzare il modello elettrico equivalente mostrato nel capitolo precedente, si può dire che la tensione ai capi della cella risulta uguale all’OCV se ipotizziamo che la cella sia completamente rilassata, o quasi. Questa ovviamente è una approssimazione, ma consente di ottenere una buona stima dell’OCV ed essa è legata al SoC. Resta il problema di ottenere con buona precisione la curva OCV-SOC della cella. In fig. 6 ne riportiamo un esempio tratto dalla letteratura [8].

(28)

Fig. 6 – Esempio di curva OCV-SOC

 Mixed algorithm – è possibile, infine, utilizzare più metodi di stima del SoC combinati tra loro al fine di ottenere un algoritmo complessivo che eredita le caratteristiche migliori dai metodi che utilizza. Al fine di ottenere una stima in tempo reale del SoC, in questo progetto viene scelto di utilizzare l’algoritmo CC insieme alla stima mediante l’OCV. Il CC viene utilizzato durante le fasi di carica e scarica mentre a riposo viene corretto il SoC con l’OCV.

2.2.2 Bilanciamento

In applicazioni che richiedono tensioni più elevate delle tensioni di lavoro di una cella al litio si realizzano batterie composte da più celle collegate in serie, come già descritto nel primo paragrafo. Dopo un certo numero di cicli di carica e scarica questa configurazione serie non garantisce una buona equalizzazione dell’energia immagazzinata nelle celle. Questo problema è causato principalmente dalla autoscarica delle singole celle, che in genere non è esattamente uguale per tutte le celle. Essendo collegate in serie, se nella batteria è presente una cella con un’autoscarica maggiore delle altre, la differenza di carica consumata da essa non sarà possibile reintegrarla con una semplice ricarica. Questo problema si presenta con una certa probabilità

(29)

statistica e tende a peggiorare con il tempo e l’utilizzo della batteria, di conseguenza va gestito. Il BMS, se progettato allo scopo, può intervenire in caso di sbilanciamento di carica tra le celle e, tramite un algoritmo di bilanciamento, ripristinare l’equalizzazione dell’energia immagazzinata nelle celle della batteria. Esistono principalmente due tipi di bilanciamento: attivo e passivo.

Bilanciamento attivo

Il bilanciamento attivo consiste nel trasferire carica tra diverse celle che mostrano una situazione di sbilanciamento: le celle più cariche cederanno la loro carica alle celle più scariche. Rispetto al bilanciamento passivo risulta più efficiente ma anche qua c’è un trade-off: spostare carica richiede un consumo di energia; se il costo energetico per spostare una certa quantità di carica è superiore al guadagno che se ne otterrebbe in termini di aumento di massima carica estraibile dalla batteria allora non ha senso bilanciare. Ci sono diverse tecniche con cui è possibile effettuare un bilanciamento attivo [9]:

 Tecnica a condensatori commutati – l’idea è quella di connettere in parallelo ad una cella un condensatore: esso a regime andrà alla stessa tensione della cella prendendone un po' di carica. Poi viene attaccato in parallelo ad un’altra cella: se essa è più carica della precedente il condensatore si caricherà, scaricando la cella, altrimenti il condensatore cederà parte della sua carica alla cella andandola a caricare. Ripetendo il procedimento di continuo si arriva ad una situazione finale in cui tutte le celle sono bilanciate. La fig. 7 mostra lo schema di principio. Il pregio di questa tecnica sta nel fatto che non è necessario alcun anello di retroazione perché a regime la carica scambiata tende a zero e l’unica energia persa è quella usata per controllare gli switch. È una tecnica che può essere implementata in

(30)

diverse versioni, che si diversificano per tempo di bilanciamento, numero di condensatori e switch usati [10].

Fig. 7 – Schema di principio di un bilanciatore a condensatori commutati

 Tecnica switching con trasformatore d’isolamento – viene sfruttata l’elevata efficienza dei convertitori switching per trasferire carica dalle celle più cariche verso quelle meno cariche. Per far questo si devono in qualche modo connettere elettricamente le due celle coinvolte e nascono dei problemi di isolamento tra esse. Per risolvere questo problema i convertitori vengono isolati tramite degli accoppiamenti ferromagnetici, ovvero con dei trasformatori. È possibile scaricare le celle più cariche andando a caricare tutta la batteria, è possibile scaricare tutta la batteria andando a caricare le celle più scariche, oppure è possibile scaricare e caricare una coppia di celle singolarmente [9]. In fig. 8 è schematizzato il principio di

funzionamento di un bilanciatore attivo con un trasformatore d’isolamento.

(31)

Fig. 8 – Schema di principio di un bilanciatore attivo basato su convertitore DC-DC

Il bilanciamento attivo rappresenta un interessante argomento di ricerca in quanto consente di riciclare l’energia delle celle più cariche ma risulta di difficile implementazione pratica nella maggior parte delle applicazioni a causa della elevata complessità dell’algoritmo di gestione: controllare tutti i singoli switch per andare a stabilire le interconnessioni tra le varie celle da bilanciare richiede una grossa complessità in termini di algoritmi di controllo. Inoltre, la componentistica hardware necessaria è molto più costosa rispetto a quella necessaria per un bilanciamento passivo, come vedremo nella sezione successiva. Per queste caratteristiche, la soluzione di bilanciamento attiva risulta molto interessante, ma necessita di ulteriori approfondimenti da parte della ricerca scientifica.

Bilanciamento passivo

Il bilanciamento passivo consiste nello scaricare singolarmente le celle più cariche, dissipando la loro energia accumulata sotto forma di calore mediante una resistenza collegata in parallelo alla cella. Se le potenze dissipate sono elevate, questa tecnica necessita di uno studio dedicato per lo smaltimento del calore generato dalle resistenze. È una tecnica poco efficiente ma semplice

(32)

e poco costosa da realizzare in termini di componentistica hardware e di complessità software. Si può realizzare con diverse strategie che differiscono per tempo di bilanciamento ed energia totale dissipata: resistenza fissa e resistenza controllata. I primi sono caratterizzati da una resistenza fissa collegata in parallelo ad ogni cella e sono utilizzati durante la fase di ricarica a corrente costante. I secondi, invece, hanno un interruttore controllato e posto in serie alla resistenza di bilanciamento con cui è possibile decidere se applicare quest’ultima alla cella da scaricare oppure no. I sistemi di bilanciamento di questo tipo sono adatti all’implementazione di algoritmi più o meno complessi di bilanciamento. In fig. 9 vediamo una rappresentazione schematica del principio di funzionamento di un sistema di bilanciamento passivo con resistenze controllate [11].

Fig. 9 – Schema di principio di un sistema di bilanciamento passivo con resistenze controllate

(33)

2.2.3 Comunicazione

Un BMS deve poter gestire la comunicazione con tutti i dispositivi che interagiscono con esso. I dispositivi possono essere di svariata natura:

 sistema esterno di acquisizione dati;  sensori intelligenti esterni;

 moduli a radiofrequenze o interfacce di comunicazione cablate verso l’esterno;

 interfacce di debug per la fase di sviluppo e riparazione in caso di guasto.

Dunque, in fase di sviluppo dovranno essere predisposte delle interfacce specifiche a seconda dei dispositivi che saranno connessi con la batteria e quindi con il BMS.

In ambito automotive un protocollo largamente diffuso per la comunicazione tra diversi dispositivi con un unico bus è il CAN-bus, grazie alla sua elevata robustezza ai guasti.

Il protocollo CAN-bus

Il Controller Area Network, o in breve CAN-bus, è uno standard di comunicazione seriale per bus, utilizzato principalmente in ambito automotive. Fu introdotto negli anni ’80 in Europa dalla Robert Bosch GmbH per collegare diverse unità di controllo elettronico (ECU). In seguito, si sviluppò in tutto il mondo ed in particolare negli USA e nel 1993 è stato reso norma internazionale ISO 11898-1, alla quale si fa riferimento per ulteriori approfondimenti sull’argomento.

Il protocollo CAN-bus è un bus di comunicazione seriale multimaster per applicazioni in real time. Lavora con frequenze dati fino a 1 Mbit/s ed ha ottime capacità di rilevamento e confinamento degli errori. È grazie a questa

(34)

caratteristica che il protocollo CAN è così utilizzato in quelle applicazioni in cui si ha la necessità di elevate resistenze ad interferenze elettromagnetiche. In una rete CAN tutte le unità sono connesse al bus CAN e possono spedire i loro messaggi. Il messaggio trasmesso per primo sarà quello che arriverà per primo a destinazione. Ogni messaggio ha un suo codice identificativo, o ID, che lo contraddistingue dagli altri tipi di messaggio ed esso stabilisce anche la sua priorità: se più unità spediscono simultaneamente l’informazione, quella con maggior priorità (ID) sarà la prima ad essere esaminata. Ogni unità è identificata da un fattore di priorità. Quella con la priorità maggiore può continuare a spedire nel caso in cui un’altra unità con priorità minore inizi una trasmissione.

Ciascun nodo è in grado di rilevare il proprio malfunzionamento e di autoescludersi dal bus se questo è permanente. Questo è uno dei meccanismi che consentono alla tecnologia CAN di mantenere la rigidità delle temporizzazioni, impedendo che un solo nodo metta in crisi l’intero sistema. Questo è il maggior punto di forza di questo bus.

Il bus CAN è realizzato interconnettendo in parallelo tutti i dispositivi utilizzando lo stesso doppino intrecciato di cavi; può essere anche schermato a seconda delle necessità dell’applicazione. Inoltre, sul bus si deve vedere un’impedenza complessiva di 60 : questo vuol dire che ci devono essere due dispositivi che hanno sul loro connettore una impedenza di 120 . In realtà, per bus con una lunghezza molto breve è sufficiente avere una sola terminazione a 120 . In ogni caso almeno un dispositivo deve avere la terminazione resistiva.

Nella scheda PMU/SMU dell’Università di Pisa vengono utilizzati due CAN transceiver collegati alle due periferiche CAN-bus del microcontrollore: il transceiver isolato è impiegato per la comunicazione con il CAN-bus generale del BMS, quello che interconnette tutte le SMU con la PMU; il transceiver non isolato, invece, è quello che si collega al sensore di corrente di stringa. La

(35)

ricezione e la trasmissione di messaggi per entrambi i CAN-bus sono stati implementati in quattro task indipendenti ed autonomi, non attivati dal task main. Vediamo di seguito come sono state sviluppate le operazioni di invio e ricezione dei messaggi dalle due periferiche CAN.

(36)

Capitolo 3

Il progetto PROTONE

Il progetto PROTONE, abbreviativo dell’espressione “PROgetto TOscano per la Navigazione Eco-compatibile”, nasce da una collaborazione tra la Regione Toscana, l’Università di Pisa e un insieme di partner privati, tra i quali

(37)

l’azienda Leonardo s.p.a., ex Finmeccanica. Il progetto si prefigge l’obiettivo di realizzare nuove tecnologie nel campo ibrido/elettrico applicato alla navigazione fluviale e dimostrare che, migliorando il rapporto costi/benefici, questa tecnologia può diventare veramente una valida alternativa per una migliore eco-sostenibilità di questo settore. In particolare, l’obbiettivo di PROTONE è la progettazione e realizzazione di un battello elettrico da trasporto civile, battezzato Aurora, per la navigazione in acque fluviali mostrato in fig. 10. Le varie aree di ricerca di questo progetto riguardano la realizzazione di batterie agli ioni di litio ricaricabili e modulari di grossa potenza, sistemi di ricarica wireless ad alta velocità, gestione intelligente ed integrata della potenza e dell’energia e gestione della sicurezza della batteria su più livelli di azione per una migliore protezione della stessa e degli utenti della barca. Il lavoro di questa tesi ha riguardato la progettazione e la realizzazione del BMS della batteria della barca Aurora, mentre altri partner hanno contribuito realizzando lo scafo, la batteria e il sistema di ricarica wireless.

(38)

3.1 La batteria

La progettazione della struttura della batteria è stata il frutto di una collaborazione tra Leonardo s.p.a., partner costruttore della batteria, ed Econboard, partner realizzatore della barca Aurora.

Quest’ultima è dotata di due motori elettrici azimutali da 32 kW ciascuno che consentono il totale controllo dell’imbarcazione, senza l’uso di un timone dedicato [12]. Per l’alimentazione di ognuno di essi, Leonardo ha sviluppato

una batteria modulare costituita da due stringhe. Ogni stringa è costituita da una catena di 160 macro-celle disposte in serie: questo consente di raggiungere l’alto voltaggio richiesto dai motori. Infine, ogni macro-cella è costituita da 7 singole celle agli ioni di litio connesse in parallelo, per aumentare la capacità complessiva della stringa. Ogni stringa è equipaggiata con uno switch di potenza, che può essere controllato intelligentemente per realizzare il parallelo con l’altra stringa. La modularità è ottenuta suddividendo le 160 macro-celle in 8 gruppi di 20 celle ciascuno: le “fette”. Ogni fetta è ulteriormente divisa in 2 moduli da 10 macro-celle connessi in serie. Di seguito si riporta l’immagine schematica di una fetta in fig. 11.

(39)

Di seguito in fig. 12 uno schema che esplicita le connessioni tra le singole celle:

Fig. 12 – Interconnessioni tra le singole celle che compongono le due stringhe identiche della batteria per PROTONE

Ogni singola cella agli ioni di litio è di tipologia standard con case 18650 ed è di tipo NMC con una capacità nominale di 3000 mAh.

Ogni fetta è stata realizzata a partire da un frame di alluminio opportunamente lavorato, nel quale le singole celle vengono inserite in delle cavità cilindriche che le circondano completamente. Questa soluzione è stata pensata per ridurre la resistenza termica tra le celle e l’ambiente, garantendo una maggiore dissipazione del calore generato internamente dalle celle ed una maggiore uniformità della temperatura nella batteria. Inoltre, in seguito a test condotti da Leonardo, è stato confermato il maggior isolamento meccanico tra le celle per eventuali deflagrazioni di una di esse in seguito ad

(40)

un malfunzionamento o ad un abuso. Su ogni faccia del frame di alluminio restano scoperti i poli delle celle che vengono interconnessi tramite delle barre di rame opportunamente sagomate che trovano alloggio in uno strato di vetronite, usato come isolante tra le interconnessioni ed il frame di alluminio. I poli della fetta vengono fatti convergere su di uno stesso lato e sono appositamente studiati per potersi sovrapporre con i poli delle fette adiacenti, così da creare uno stack di 8 fette.

Di seguito in fig. 13 si può vedere la fetta assemblata.

Fig. 13 – La prima fetta assemblata

3.2 L’architettura hardware del BMS

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la batteria ha una struttura modulare ed è possibile riconfigurarla per diverse tipologie di imbarcazioni se fosse necessario. Una batteria modulare, dunque, richiede un BMS con le stesse caratteristiche di modularità e flessibilità.

(41)

Nella progettazione del BMS è stata creata una gerarchia nei livelli di gestione delle funzionalità, soprattutto per quelle di sicurezza, al fine di creare una ridondanza e di ripartire i compiti tra i vari sottosistemi, dando vita ad una rete ramificata di acquisizione, elaborazione e ritrasmissione dei dati che ben si sposa con l’esigenza di ottenere un prodotto flessibile, sicuro ed innovativo. I sottosistemi che compongono il BMS si suddividono in 3 tipi che elenchiamo di seguito in ordine crescente in funzione del livello gerarchico:

 Module Management Unit (MMU)  String Management Unit (SMU)  Pack Management Unit (PMU)

La MMU è la parte di BMS più di basso livello, non dispone di nessun chip programmabile e si occupa della misura delle tensioni e delle temperature delle celle. Ognuna di esse monitora un modulo da 10 macro-celle, quindi, sono necessarie 16 MMU per ogni stringa. Più avanti verrà descritto l’hardware delle MMU e come esse sono interconnesse tra di loro e con la SMU.

La SMU è un’unità di elaborazione intermedia che si occupa di raccogliere le informazioni di tensione e temperatura dalle MMU e di misurare la corrente che circola nella stringa. Utilizza tutte queste informazioni per stabilire se la stringa è in uno stato sicuro e, in caso di guasto, agisce controllando il proprio switch di sicurezza per isolare le celle. Infine, la SMU trasmette le informazioni essenziali allo strato superiore, la PMU.

La PMU è l’unità di elaborazione di livello più alto nel BMS. Comunica con le SMU di tutte le stringhe che compongono la batteria, si occupa di monitorare lo stato globale di sicurezza del sistema, gestisce la comunicazione con l’utente e gestisce la parallelizzazione delle stringhe. Di seguito in fig. 14 è sintetizzata con uno schema a blocchi tutta l’architettura del BMS per il progetto PROTONE.

(42)

Fig. 14 – Architettura del BMS per PROTONE

Adesso andiamo a vedere più nel dettaglio come sono stati realizzati i sottosistemi del BMS sopra elencati.

3.2.1 Le Module Management Unit – MMU

La MMU è il livello gerarchico più basso dell’architettura del BMS per PROTONE. È dotata di un battery monitor della Texas Instruments, il bq76pl455. Tale barrery monitor può misurare fino a 16 tensioni di cella e dispone di un elaborato meccanismo di comunicazione con il quale è possibile interconnettere fino a 16 chip tra di loro garantendo un’ottima modularità. Grazie a questo integrato è possibile misurare da 6 a 16 tensioni di celle e fino ad un massimo di 8 tensioni analogiche ausiliarie che, nel progetto, vengono utilizzate per misurare 8 punti di temperatura [13]. Come

(43)

acquisiti con un partitore resistivo. Inoltre, il chip ha a disposizione 6 canali di tipo digitale che è possibile usare come ingresso o uscita. Le tensioni acquisite dal chip sono campionate e convertite in digitale da un Convertitore Analogico-Digitale (ADC) di tipo sigma-delta a 14 bit [13]. È possibile

effettuare il sovracampionamento in due modalità diverse e fino ad un massimo di 32 campioni sui quali il chip effettua una media e restituisce essa come risultato del campionamento [13].

Questo integrato dispone dell’hardware necessario per poter effettuare un bilanciamento di tipo passivo delle singole celle del modulo [13]. Il circuito di

bilanciamento di ogni cella è schematizzato di seguito in fig. 15.

Fig. 15 – Circuito di bilanciamento della macro-cella i-esima

Esso consente di connettere ai terminali di prelievo della tensione di ogni cella una resistenza di bilanciamento tramite l’attivazione di un MOS. Il chip controlla l’attivazione delle resistenze di bilanciamento soltanto sotto opportuno comando che riceve dalla SMU.

Il chip è, inoltre, in grado di individuare autonomamente se le grandezze misurate si trovano all’interno di determinati range configurabili dalla SMU

(44)

tramite opportuni comandi. In particolare, sia per le tensioni delle celle che per le tensioni ausiliarie è possibile configurare delle soglie con le quali il chip confronta i campioni già convertiti dei rispettivi canali. L’ eventuale fenomeno di fuoriuscita dai range attiva un flag in un registro di errore che può essere letto dalla SMU. Per le tensioni delle celle, il chip dispone anche di 32 comparatori analogici integrati nel suo Analog Front End (AFE). Essi effettuano un preliminare confronto analogico delle tensioni delle celle con dei valori di soglia che possono essere configurati in maniera indipendente dalla SMU. Anche questi controlli preliminari, se verificano un evento, attivano un flag in un registro di errore dedicato che può essere letto dalla SMU [12] ma a differenza dei primi il loro intervento è innescato da un

meccanismo hardware indipendente dal sistema di controllo digitale del chip.

Tutti gli eventi di errore che si possono manifestare in un modulo vengono registrati e sono leggibili dalla SMU tramite apposito comando. Inoltre, possono, se il chip è opportunamente configurato, abilitare un segnale fisico di errore, chiamato FAULT_N, che può essere utilizzato dalla SMU come sorgente di un’interruzione che andrà ad agire opportunamente per salvaguardare lo stato della batteria [13].

Ogni chip bq76pl455 può comunicare con altri due di essi tramite due interfacce di comunicazione differenziali isolate, secondo un’architettura a daisy chain. Dunque, è possibile realizzare una catena di moduli che parlano tra di loro, per un massimo di 16 moduli. La configurazione della daisy chain è curata dal microcontrollore che comunica con solo uno dei moduli della catena, quello più in basso che chiameremo modulo zero, con un’interfaccia UART non isolata. Quindi, quando l’SMU interroga la daisy chain lo fa attraverso il modulo zero. Il messaggio si propaga attraverso la chain fino ad arrivare al modulo desiderato che eseguirà il comando e, nel caso sia prevista, ritrasmette indietro alla SMU la risposta che si propagherà tramite tutti i

(45)

moduli intermedi. I moduli nella chain sono “slave” nel senso che comunicano sono in risposta ad un comando esterno. Per questo motivo la chain comprende un’ulteriore linea di comunicazione monodirezionale verso il basso. Questa è una linea differenziale di propagazione di eventuali fault che si verificano lungo la catena. In condizioni normali ogni modulo trasmette su questa linea un segnale digitale a frequenza di 10 kHz al modulo precedente. In caso di fault il modulo non trasmette tale segnale, quindi, il modulo sottostante riconosce il fault e lo propaga interrompendo la generazione dello stesso segnale verso il modulo precedente. In questo modo qualsiasi fault che si verifichi nella daisy chain produce un effetto che si propaga fino al modulo zero che abilita il segnale fisico di FAUL_N precedentemente descritto [13].

Infine, ma non meno importante, è l’alimentazione delle MMU. Esse, sono alimentate direttamente dalle celle del modulo che monitorano. Per questo motivo la comunicazione in daisy chain è isolata su bus differenziale, in modo da disaccoppiare la componente continua che, diversamente, andrebbe in cortocircuito con la componente continua dei moduli adiacenti. In particolare, i singoli moduli sono separati capacitivamente su ogni linea da un condensatore in serie, come mostra la fig. 16, presa dal datasheet del chip.

(46)

La gestione della potenza assorbita dalle MMU è stato un aspetto piuttosto critico in fase di sviluppo del BMS. Trattandosi di una batteria per imbarcazione da trasporto fluviale civile è possibile che la barca resti ferma in porto ormeggiata per un lungo periodo, che può durare anche diversi mesi. Questo significa che, in una situazione del genere, il BMS dovrà necessariamente adottare una politica di risparmio energetico, evitando che lo stack monitor, collegato perennemente alla batteria, possa scaricarla a tal punto da mandarla in una condizione di sotto-scarica, danneggiandola irreversibilmente. Di seguito nella tabella di fig. 17 elenchiamo gli assorbimenti tipici del chip [13]:

Condizione di funzionamento TYP Corrente assorbita in IDLE con comunicazione in corso 8 mA Corrente assorbita in IDLE ~ 5,4 mA Corrente assorbita in SHUTDOWN 22 μA

Fig. 17 - Tabella degli assorbimenti di corrente del chip monitor dalla batteria nei vari stati di funzionamento:

IDLE: chip attivo, pronto per comunicare ma senza comunicazione in corso SHUTDOWN: chip in modalità test, nessuna comunicazione, tono di wake sulla linea di comunicazione COMM DIFF HIGH spento, heartbeat di FAULT spento

Una cella agli ioni di litio NMC, come quelle impiegate nella costruzione della batteria del progetto PROTONE, in condizioni normali subisce una auto-scarica stimata del 3% ogni mese. Questo comporta una corrente equivalente di auto-scarica costante di circa 104 μA. La batteria del progetto PROTONE è composta da macro-celle, che sono il risultato di 7 celle connesse in parallelo; dunque la corrente equivalente di auto-scarica complessiva è di circa 730 μA. In una situazione in cui il BMS venisse spento, senza però spegnere lo stack monitor, l’assorbimento totale di un modulo sarebbe di circa 5,4 mA, più di 7 volte della corrente di auto-scarica tipica della batteria. È chiaramente una

(47)

situazione pericolosa perché andremmo ad aggiungere all’auto-scarica della batteria, una corrente costante ed elevata che comporterebbe un complessivo tasso di scarica della batteria di circa il 25% al mese. Per risolvere questo problema è necessario mandare ogni chip in modalità shutdown tramite l’attivazione di una sequenza di operazioni da parte della SMU, che comprende anche l’utilizzo di un segnale fisico chiamato WAKEUP.

Di seguito possiamo vedere in fig. 18 uno schema a blocchi del MMU.

Fig. 18 – Schema a blocchi delle Module Management Unit

Ogni scheda MMU è stata realizzata a partire dallo schematico della Evaluation Board del chip bq76pl455 presente nel documento [14]. Grazie alla flessibilità della evaluation board del chip monitor utilizzato, è stato possibile adattare tale scheda all’applicazione di questo progetto, velocizzando la fase di implementazione del firmware e la fase di test. Di seguito, in fig. 19, proponiamo un’immagine della scheda sopra citata.

(48)

Fig. 19 – Evaluation board del chip bq76pl455 utilizzata come MMU

3.2.2 Le schede di controllo programmabili

SMU/PMU

Le due tipologie di unità di elaborazione, la SMU e la PMU, in realtà hanno requisiti hardware molto simili; ciò che le contraddistingue sono solo i compiti che devono assolvere. Per questo motivo è stato deciso di progettare e realizzare un’unica scheda che implementasse le funzionalità hardware di entrambe le unità di controllo. Tale scelta, genera una scheda leggermente più costosa e grande rispetto a quelle ottenibili con una progettazione dedicata per la SMU e PMU ma allo stesso tempo consente una notevole riduzione dei costi e della complessità della gestione rispetto ai due progetti separati.

Di seguito la fig. 20 rappresenta schematicamente la scheda PMU/SMU, con tutte le sue periferiche.

(49)

Fig. 20 – Schema a blocchi della scheda PMU/SMU

Il cuore della scheda è il microcontrollore nella NXP siglato LPC1769. Esso integra al suo interno un processore di tipo ARM Cortex-M3, 512 kB di memoria flash ed una RAM di 64 kB suddivisa in due, di cui una per l’elaborazione veloce e l’altra con accesso dedicato per le periferiche ad alta velocità, come USB, Ethernet ecc.

È stato scelto questo microcontrollore perché possiede tutte le periferiche di cui si ha bisogno per il pieno controllo di tutte le funzionalità di PMU ed SMU:

 2 UART – una per la comunicazione seriale single-ended con la daisy chain, l’altra come interfaccia di debug.

 PWM configurabile fino a 6 uscite – esse vengono utilizzate per il controllo degli switch di potenza della PMUe della SMU Il loro utilizzo verrà approfondito nei paragrafi e capitoli successivi.

(50)

 Ethernet – utilizzata dalla PMU come interfaccia per comunicare con l’elettronica della barca, mediante protocollo MODBUS.

 2 CAN – utilizzati entrambi: uno per comunicare con il sensore di corrente di stringa (SMU) o di batteria (PMU) e l’altro per comunicare con le altre unità SMU/PMU.

La scheda, inoltre, monta a bordo tutti chip di front end per le principali interfacce di comunicazione, quali l’Ethernet e le due periferiche CAN: uno di essi è isolato per la comunicazione con le altre unità di elaborazione PMU/SMU, l’altro è non isolato e può fornire alimentazione direttamente sul proprio connettore per il sensore di corrente. Più avanti, nel capitolo 4, andremo ad approfondire lo standard di comunicazione CAN BUS ed in particolare vedremo come viene gestito dal firmware.

La scheda implementa a bordo un articolato sistema di alimentazione:

 12 V isolata – è la tensione che riceve dal connettore d’ingresso; viene utilizzata per alimentare i contattori di stringa o di batteria; viene controllata tramite un interruttore elettronico, composto da due MOS, per poterla abilitare in uscita come alimentazione per altri dispositivi esterni al BMS.

 12 V – è la tensione ottenuta dalla 12 V isolata tramite un DC-DC; è non isolata, perché ha la massa a comune con tutte le altre alimentazioni presenti sulla scheda, eccetto per la 12 V isolata; è quella che alimenta altri due DC-DC Buck converter con i quali si ottengono la 5 V e la 3,3 V.

 5 V – utilizzata per alimentare tutti gli optoisolatori e i transceiver dei due CAN-bus; è anche utilizzata nella comunicazione seriale con i chip monitor: alimenta un invertitore CMOS presente sul modulo zero che serve a negare logicamente il segnale di WAKEUP.

 3,3 V – è l’alimentazione più delicata ed importante perché è quella che alimenta il microcontrollore ed il chip Ethernet.

(51)

La scheda PMU/SMU da noi prodotta è mostrata in fig. 21:

Fig. 21 – La scheda PMU/SMU del BMS per PROTONE

3.2.3 Il sensore di corrente

Per il BMS PROTONE è stato scelto il sensore di corrente IVT-300 della ISAscale, un sensore progettato per lavorare in ambito automotive. È un sensore di corrente di tipo schunt resistivo, ma integra a bordo un sistema a microcontrollore con un ADC che usa per acquisire la corrente. Oltre ad essa, il sensore dispone di 3 punti di prelievo di tensione con i quali è possibile misurare, ad esempio, le alte tensioni dell’intera stringa. Il sensore comunica tramite un’interfaccia CAN-bus sulla quale riceve i comandi, i settaggi di configurazione ed invia i risultati delle misurazioni. È possibile inviargli principalmente due tipi di comando [15]:

 Comando di SET – con essi il sensore esegue determinate azioni o imposta determinati settaggi.

 Comando di GET – essi servono a richiedere al sensore lo stato di un suo particolare registro di stato interno.

In ogni caso, per ogni comando inviato il sensore restituisce sempre una risposta, come conferma dell’avvenuta ricezione del messaggio. Il comando

(52)

di trigger fa eccezione perché è l’unico che, oltre alla risposta di avvenuta ricezione, fa trasmettere dal sensore i risultati delle misure richieste: ogni tipologia di misura è trasmessa dal sensore alla SMU con un messaggio CAN dedicato. Per esempio, se volessimo ricevere il campionamento della corrente e delle tre tensioni, l’invio del comando di trigger sarà seguito dalla risposta dell’avvenuta ricezione corretta del comando, più altri 4 messaggi che conterranno i valori della corrente e delle tre tensioni misurate dal sensore. Il sensore IVT-300 è dotato di un convertitore analogico-digitale (ADC) a 16 bit con due canali di misura: un canale viene dedicato solo al campionamento della corrente ed ha un periodo di campionamento minimo di 1 ms; l’altro canale, invece, viene utilizzato principalmente per il campionamento delle tre tensioni, ognuna con un periodo minimo di campionamento di 1 ms [15]. Questo significa che se al sensore viene richiesto

di acquisire tutte e tre le tensioni, esso potrà fornirle con un periodo minimo di 3 ms. Inoltre, essendo un sensore studiato per lavorare anche ad alte tensioni, ha un isolamento galvanico tra il percorso ad alta potenza dello shunt e la parte elettronica di controllo a bassa tensione. Dispone a bordo anche di un sensore di temperatura che può utilizzare per fornire la temperatura del sensore, insieme ad altre informazioni utili, come la potenza o l’energia (relative ad una delle tre tensioni che può misurare). Di seguito in

fig. 22 vediamo raffigurato il sensore, insieme alle sue specifiche [15]: Corrente 1 mA Tensione 1 1 mV Tensione 2 1 mV Tensione 3 1 mV Temperatura 0,1 °C Potenza 1 W Carica 1 As Energia 1 Wh

Fig. 22 – Il sensore di corrente IVT-300 a sinistra e a destra una tabella con le risoluzioni di misura

Riferimenti

Documenti correlati

Esame di Analisi matematica II Prova di esercizi. Corso

Calcolare la retta tangente al suo grafico nel punto di ascissa

[r]

[r]

Continuit` a della somma, del prodotto e del quoziente di funzioni a valori reali continue.. Compattezza dell’immagine di un compatto tramite una funzione

Gli addendi che si trovano al terzo, secondo e primo posto rispettivamente nella prima, nella seconda e nella terza delle somme indicate tra parentesi, si elidono; così anche

Calcolare la superficie della frontiera dell’insieme D

(1) Fornire la definizione di somma parziale di una serie, di serie convergente