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La reazione della sinistra italiana davanti alla morte di Pasolini

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

Corso di laurea Magistrale in Storia

LA REAZIONE DELLA SINISTRA ITALIANA DAVANTI ALLA MORTE DI PASOLINI

Relatore: Professor Mario Alberto Banti

Laureando: Gianmaria Federigi

Matricola n. 4981141

A.A. 2018-2019

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INDICE

Introduzione p. 9

1. La famiglia e l’infanzia. I primi vent’anni di Pasolini 4

2. Casarsa 7

3. La ricostruzione morale nel dopoguerra 12

4. La formazione comunista 16

5. Il fatto di Ramuscello 20

6. Roma 25

7. Anni mirabili: da “Ragazzi di vita” a “Una vita violenta” 30

8. L’Italia cambia pelle: gli anni del boom e le sue conseguenze 42

9. Gli anni 60: il cinema e la persecuzione 47

10. Pasolini e l’Italia verso la grande tempesta: il 1968 61

11. Anni 70, anni corsari 72

12. All’idroscalo, Ostia 83

13. La reazione dei quotidiani di sinistra davanti alla morte di Pasolini 93

Conclusione 104

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3 INTRODUZIONE

L'obiettivo del mio lavoro è quello di ricostruire la reazione della sinistra italiana davanti alla morte di Pier Paolo Pasolini, soprattutto degli organi di stampa della sinistra. Pasolini è uno dei più grandi e originali intellettuali del nostro Paese, e allo stesso tempo uno dei più contraddittori, il più osannato e il più oltraggiato. Per fare questo sarà necessario ricostruire le varie tappe della vita del poeta, segnata da una grande cesura, come nel caso del fatto di Ramuscello, che introdurrà un prima e un dopo nella vita dell'intellettuale.

Così, per capire tutto ciò che ha concorso a delineare la formazione intellettuale, caratteriale e le scelte operate da Pasolini, è necessario conoscere bene, oltre ai momenti più significativi della sua esistenza, il contesto storico che accompagna tutte le fasi della sua esistenza e che entrerà prepotentemente nella sua vita. Dopo aver ricostruito tutta la sua biografia, sarà necessario soffermarsi sulle varie ipotesi che sono circolate riguardo alla sua morte, vagliando molte delle tesi interpretative.

Alla fine della ricerca, quando si avrà a disposizione il quadro completo delle tappe più significative della vita del poeta, si potrà passare all’analisi delle varie reazioni dei quotidiani, degli intellettuali e dei politici appartenenti al mondo di sinistra che ci restituiscono l’immagine di un’Italia intrisa di valori e riferimenti contraddittori che ancora faticava ad accettare l’esistenza dell’omosessualità e condannava la trasgressione sessuale.

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4 LA FAMIGLIA E L’INFANZIA. I PRIMI VENT’ANNI DI PASOLINI.

Pier Paolo Pasolini nacque il 5 marzo 1922 a Bologna. Primogenito del tenente di fanteria Carlo Alberto Pasolini e della maestra elementare Susanna Colussi, il loro fidanzamento aveva avuto inizio nel 1915, anno in cui il padre di Pier Paolo era stato destinato in Friuli, a Casarsa della Delizia in provincia di Udine. Tra i due vi erano poche affinità: Carlo Alberto aveva ricevuto un'educazione che faceva propri i principi della più pura ideologia fascista; lei, donna colta e intelligente, amava la scuola e la letteratura. Nonostante le molte differenze, Carlo Alberto, follemente innamorato, riuscì a vincere le resistenze di Susanna, ormai

trentenne, la quale si rassegnò e accettò di sposarsi.1 Il temperamento di Carlo Alberto, irruento e oppressivo, e le dinamiche con cui

avvenne il matrimonio portarono Susanna a covare un rancore sempre maggiore nei confronti del marito. Lo stesso Pier Paolo, così come il fratello minore Guido Alberto, furono frutto degli episodi di violenza che Susanna per anni dovette subire dal marito. D’altro canto Carlo Alberto, sentendosi rifiutato dalla moglie, andava in cerca di altre donne, scatenando così liti furibonde che lo portavano a scomparire per diversi giorni da casa.2

In questo precario equilibrio domestico, l'amore che Susanna avrebbe dovuto riversare sul marito, finiva per dirottarsi sui figli, in particolare su quello più

grande che crescendo si stava dimostrando incline per la poesia e il disegno. Secondo suo cugino Nico Naldini, in questo quadro familiare, Pier Paolo, come

tutti i bambini, nel conflitto fra i genitori, fu sempre dalla parte della madre che amò in modo incondizionato: un amore "eccessivo e quasi mostruoso" che lo caricò di enormi responsabilità, spostando su sé stesso "le ragioni del conflitto con il padre prepotente, egoista, egocentrico e tirannico". 3

1 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, Bruno Mondadori, Milano, 1998, p. 1.

2 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Rizzoli, Milano, 1978, p.38

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5 I continui trasferimenti della famiglia Pasolini, (Parma, Conegliano, Belluno,

Sacile, Idria, Cremona, Scandiano) dovuti al lavoro del padre, terminarono solamente nel 1937, quando la loro residenza vene fissata stabilmente a Bologna. I numerosi spostamenti nelle località sopra citate e di conseguenza i rispettivi cambiamenti di scuole, case e amicizie causarono frequenti traumi da adattamento ai due bambini e li spinsero a "interiorizzare ogni evento dell'infanzia".4

Unico punto di riferimento, soprattutto a livello affettivo, era il paesaggio di Casarsa, con il fiume Tagliamento, i monti della Carnia insieme alla vita levigata dal ciclo della vita contadina. Qui la famiglia passava ogni occasione di vacanza e per questo rappresenterà per Pier Paolo l'innocenza e la primordialità della vita.5 Nel 1937 Pier Paolo si iscrisse al liceo classico Galvani di Bologna, dove conoscerà molti dei suoi amici storici: Serra, Ermes Parini detto Paria, Franco Farolfi, Agostino Bignardi, Sergio Telmon, Carlo Manzoni, Elio Melli.

Il giovane poeta nel nuovo ambiente, come era sempre accaduto fin dalla più tenera età e come avverrà sempre sino ai suoi ultimi giorni, fu un punto di riferimento per l’intero gruppo, distinguendosi per la sua caratura intellettuale, per il suo carisma, per i risultati eccellenti nello studio e per il suo amore per lo sport, in particolare il calcio. Nei ricordi del giovane Pasolini fu al secondo anno di liceo che avvenne la svolta: il supplente di storia dell'arte, Antonio Rinaldi, lesse in classe “Le bateu ivre” di Rimbaud. Da questa poesia iniziò il distacco del giovane dalla cultura ideologica, provinciale e borghese della città, dal conformismo fascista che scosse la sua stessa identità sociale.

Furono questi versi quindi a sancire la sua presa di coscienza definitiva verso l’antifascismo.6

4 Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Al nuovo lettore di

Pasolini, Ugo Guanda, Parma 1993, p.21

5 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, cit., p.2 6 Nico Naldini, Pasolini, una vita, cit., p.20

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6 Visti gli ottimi voti, a diciassette anni, Pier Paolo decise di anticipare di un anno

l'esame di maturità, per poi iscriversi nel 1939 alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Qui fu attratto dal fascino del professor Roberto Longhi, storico dell'arte, una delle figure più eminenti dell'ateneo, e significative sono le parole che il poeta ebbe nei suoi confronti:

"Egli viene vissuto: e la coscienza del suo valore è esistenziale. Longhi era semplicemente uno dei miei professori all'università: ma l'aula dove insegnava era un posto diverso da tutti gli altri, fuori dall'entropia scolastica. Longhi era sguaiato come una spada. Parlava come nessuno parlava. Il suo silenzio era una completa novità. La sua ironia non aveva precedenti. La sua curiosità non aveva modelli. La sua eloquenza non aveva motivazioni. Per un ragazzo oppresso, umiliato dalla cultura scolastica, dal conformismo della società fascista, questa era la rivoluzione." Una figura che rappresenterà "scuola di civiltà" per il giovane intellettuale.7

Ricostruendo le tappe più significative della vita di Pasolini, è subito evidente come abbiano assunto importanza nel suo percorso gli incontri con i suoi professori, e come tali rapporti pedagogici si siano rivelati decisivi nella sua formazione. Proprio come i suoi maestri lo avevano aiutato a risvegliarsi dal tepore della cultura fascista in cui era cresciuto, così Pier Paolo, lasciando libero sfogo alla sua naturale vocazione pedagogica, cercò sempre di instillare nelle persone un’autonomia di pensiero che permettesse di rompere gli schemi di conformismo propri della società in cui viveva.

Già analizzando i suoi primi venti anni di vita, si intuisce subito la grandezza che contraddistinguerà Pasolini: la sua poliedricità e il sapersi muovere in ogni forma di cultura e arte, la sua esuberante vitalità fisica e gusto per la competizione che sfogherà con lo sport.

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7 CASARSA

Fontàne d’àghe dal mè paîs.

A no è àghe pi frès-cie che tal mè paîs. Fontàne di rùstic amôr. 8

“Fontana d’acqua del mio paese. Non c’è acqua più fresca che al mio paese. Fontana di rustico amore.” Ecco la parafrasi di “Dedica”, la prima poesia con cui si apre “Poesie a Casarsa”: una dichiarazione d’amore verso la terra della madre, l’unica che Pasolini sente sua, luogo che era diventato una meta fissa delle vacanze estive anche durante la residenza stabile a Bologna. La distanza da Casarsa favorì “l’immaginazione poetica”, e i ricordi dell’infanzia per quei luoghi si cristallizzarono in ricordi mitici, di vita bucolica.9

Il ricongiungimento definitivo con Casarsa, avvenne alla fine del 1942, quando, vista l’assenza del padre, fatto prigioniero dopo la disfatta dell’esercito italiano nell’Africa orientale, la famiglia Pasolini decise di lasciare Bologna, ritenuta troppo esposta ai bombardamenti. Sotto questa scelta, però, operarono i desideri più profondi di Susanna, Guido e Pierpaolo, ciascuno dei quali aveva un buon motivo per tornare: la madre tornava nel suo paese di origine, mentre i due figli avevano la possibilità di vivere la vita di campagna, sempre sognata.10

Fu un anno importante quello trascorso a Casarsa che Pasolini ricorda così “Il 1943 resta uno degli anni più belli della mia vita: ‘mi Joventud, veinte an tierra de Castilla!”.11

Grazie all’incontro con Bruno, un ragazzo violento, sgarbato, chiuso, che spesso tendeva a sparire, ma più esperto e disinibito a vivere la propria omosessualità,

8 Pier Paolo Pasolini, Tutte le poesie di Pasolini II, Garzanti Editore, 1993, p.1191

9 Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e di primule, cit., p.36

10 ibidem, p.45.

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8 Pier Paolo maturò un’esperienza sessuale diversa dalle precedenti, tanto da

definire quello come “l’anno della consapevolezza omosessuale” 12

“Nell’estate il suo erotismo si era espresso con più scioltezza che nel passato”,13 ed era emerso “il segreto di un desiderio amoroso a lungo contrastato che stava cercando di attraversare il proprio deserto fino a incontrare la vita degli altri”.14 Questa nuova coscienza della propria sessualità è, tra l‘ altro, lontanissima dall‘ immagine dolce, idealizzata che il ragazzo si era creato nell‘attesa di “quel miracolo che mi sembrava fosse negato per sempre”.15

Il giovane Pasolini era un ragazzo solitario e amava l’avventura. Fra i suoi passatempi preferiti, infatti, c’era quella di esplorare la campagna circostante, in cerca di luoghi suggestivi per le sue meditazioni e anche per i suoi richiami erotici. Così, sempre nell’estate del 1943, durante una delle sue frequenti passeggiate, giunse in un piccolo villaggio chiamato Versuta, nel paese di San Giovanni, a due chilometri da Casarsa. Attratto da quel luogo, decise di affittare una stanza, ritenuta il posto ideale per il suo raccoglimento poetico circondato dall’atmosfera contadina, con i suoi profumi, la sua innocenza e i suoi rumori. Se all’inizio la decisione di prendere la stanza era stata presa per soddisfare i suoi sogni poetici, successivamente, nell’autunno del ‘44, il rifugio di Versuta diverrà il soggiorno stabile per più di due anni di Susanna e Pier Paolo visto che fuggirono a un rastrellamento attuato dai tedeschi nei confronti degli uomini a Casarsa.16 Seppur molto diversi i due fratelli erano molto attaccati.

Il carattere di Guido, il suo bisogno di attenzione, la sua incoscienza, il suo amore per una vita avventurosa e votata al rischio ma anche il suo coraggio e gli ideali, lo portarono ad unirsi, terminata la maturità nel maggio del 1944, alle formazioni partigiane della Brigata Osoppo.17 A causa della scelta di Guido, Susanna e Pier Paolo vissero in uno stato di perenne ansia, quasi come se avessero presagito il destino, che di lì a un anno avrebbe portato il suo amaro conto. La decisione del

12 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini cit., p.6 13 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p.75

14 Nico Naldini, Pasolini una vita, cit., p.53 15 ibidem p. 59

16 Nico Naldini, Breve vita di Pasolini, Ugo Guanda Editore, Parma, 2009, p.26. 17 Un paese di temporali e di primule, cit., p.63

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9 fratello più piccolo di partire non era stata neppure discussa in famiglia, “era stato

come trarre le somme di tutta la loro vita precedente”.18

Per il fratello maggiore, invece l’unico punto di contatto diretto con la guerra fu la fuga dal suo reparto, dopo che era stato chiamato alle armi a Pisa a settembre, finita con la cattura da parte dei tedeschi. 19 Ovviamente, viste le dimensioni del conflitto, chiunque viveva a contatto con la morte, e Pier Paolo, renitente di leva, era particolarmente terrorizzato di finire impiccato come i partigiani.20

Ad accomunare i due fratelli, era un innato senso civico che li vide impegnarsi al servizio della comunità in modi diversi: Guido, come accennato sopra, unendosi alle brigate partigiane, Pier Paolo aprendo una scuola privata in casa sua, gratuita, per aiutare i ragazzi che avevano difficoltà a raggiungere il ginnasio di Udine e Pordenone. Per la scuola servivano insegnanti, così Pasolini chiese aiuto ai suoi amici di Bologna: Cesare Bertotto per scienze, Riccardo Castellani per le materie

scientifiche e tecniche, e Giovanna Bemporad il greco e latino. Nonostante il Provveditorato di Udine a novembre avesse ordinato la chiusura

della scuola, i giovani insegnanti decisero di portare avanti l’insegnamento nella sala da pranzo della famiglia Pasolini.21

In questa esperienza, che consacrò definitivamente Pasolini come insegnante, vero maestro della pedagogia, le lezioni avevano senso solo se non venivano recepite passivamente ma rielaborate: Pier Paolo era unico nel saper toccare le corde giuste ai ragazzi, dare continui stimoli.

Gli intellettuali, riuniti a causa dell’insegnamento in questo piccolo paesino, diedero vita a varie iniziative culturali che finirono per incuriosire gli abitanti. Grazie alla capacità di Pasolini si attuò una “simbiosi tra giovani intellettuali borghesi e popolo contadino” che cancellò “le distanze e indicò i valori che li accomunavano”.22

18 Nico Naldini, breve vita di Pasolini, cit., p. 32. 19 Nico Naldini, Pasolini, una vita, cit., pp.60-61. 20 Ivi.

21 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, cit., p.8.

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10 Fra i partigiani della divisione Osoppo-Friuli, Guido aveva assunto il nome di

Ermes, in onore di Ermes Parini, uno stretto amico di Pier Paolo, disperso nella campagna di Russia.

Guido scrisse l’ultima lettera alla famiglia il primo gennaio del 1945, firmandosi per cautela con il nome di donna Amelia, e solamente dopo due mesi, esattamente il 12 febbraio lui e i suoi compagni furono uccisi dai partigiani garibaldini passati sotto il comando dei comunisti sloveni alle malghe di Porzus. La grande spaccatura fra le due formazioni partigiane era dovuta al fatto che gli Osovani si opponevano al piano delle brigate titoiste appoggiate dai comunisti friulani di annettere parte del Friuli alla nascente federazione Jugoslava. Questo tragico evento verrà reso noto molte settimane dopo la fine della guerra e sarà circondato da una nebulosa di reticenze, depistaggi e accuse da parte dei comunisti contro i partigiani della Osoppo.23

La notizia della morte di Guido arrivò a maggio, e per Susanna e il figlio rappresentò “un’immensa, spaventosa montagna” da cui “quanto più si allontanavano tanto più appariva alta e terribile contro l’orizzonte”. La fine tragica del fratello radicalizzò il rapporto già molto conflittuale di Pier Paolo nei confronti della morte; ma d’altra parte sarà l’impulso decisivo per avvicinarsi alla politica, il mezzo col quale per superare le varie problematiche che affliggevano la società: conflittualità etniche, il problema dell’autonomia, le lotte in favore del mondo contadino.24

Nel frattempo, dopo la morte del figlio, Carlo Alberto ritornò dalla prigionia del Kenya e dovette adattarsi ad una situazione parecchio mutata: il rapporto fra madre e figlio dopo la morte di Guido era diventato ai limiti del morboso ed entrambi percepivano la presenza del padre come un intruso. Carlo Alberto trovò un nuovo mondo ad accoglierlo, completamento ostile, dove il fascismo era caduto. Guido era morto per combatterlo e lo stesso Pier Paolo si stava avvicinando progressivamente al partito comunista.

23 Nico Naldini, Pasolini, una vita, cit., pp.87-88.

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11 Così scrisse Pasolini in un suo racconto autobiografico:

“Egli finì così a Casarsa in una nuova prigionia: e cominciò la sua lunga agonia.” 25

In un mondo interiore completamente mutato dagli eventi che lo avevano colpito Pier Paolo riprese la vita di paese, con le sue avventure e passeggiate fra i campi e al Tagliamento. Casarsa era completamente da ricostruire come gran parte dell’Italia. Il mondo contadino era ancora identico a sé stesso, com’era del resto da secoli, e i cambiamenti sembravano non arrivare in questi pezzi d’Italia dimenticata.

Dopo una piccola parentesi a Bologna nel settembre del 1945 che gli permise di dare gli ultimi esami e laurearsi in Lettere con il massimo dei voti il 26 novembre, Pasolini tornò in Friuli deciso a continuare il proprio impegno civile per la terra che amava. Terminata la guerra, i ragazzi nel nuovo anno scolastico si iscrissero alle scuole pubbliche, così Pier Paolo poté assecondare la sua vocazione pedagogica insegnando lettere nella scuola media di Valvasone, vicino Casarsa dal 1947 al 1949. Qua con i suoi nuovi metodi di insegnamento e grazie al suo naturale carisma fece entusiasmare gli allievi e i genitori.26

25 Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di Laura Betti, Garzanti, Milano 1978., p.23; Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E.F. Accrocca, Venezia 1960.

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12 LA RICOSTRUZIONE MORALE NEL DOPOGUERRA

Dopo più di venti anni di dittatura, il Gran Consiglio del Fascismo, il 25 luglio 1943 approvò una mozione critica nei confronti del Duce. Mussolini non diede importanza al risultato della mozione conscio del fatto che la votazione non avesse alcun valore, visto che solamente il re aveva il potere di destituirlo. Non aveva infatti immaginato che, il giorno stesso, Vittorio Emanuele potesse chiedergli le dimissioni. Da quel giorno il capo di governo sarebbe stato il maresciallo Badoglio.

Terminato il colloquio col sovrano, il Duce non fece in tempo a scendere gli scalini di villa Savoia, che venne richiuso in un’ambulanza e arrestato. Questo sequestro prese di sorpresa i vertici fascisti che non fecero in tempo ad intavolare una contromossa.27

Con questa manovra furono messi in discussione vent’ anni di politica italiana, che avevano condotto il paese in un conflitto di dimensioni mondiali al fianco della Germana nazista.

Quelli tra la caduta del Duce e l’armistizio dell’8 settembre con gli alleati furono 45 giorni drammatici, che videro l’esercito contrapposto ad una grande mobilitazione popolare antifascista. Questo lasso di tempo bastò ai nazisti per delineare una strategia e rafforzare il proprio schieramento nel nord Italia, dove, dopo la liberazione di Mussolini il 12 settembre, crearono la Repubblica di Salò. Nei successivi 18 mesi, in quell’Italia divisa e martoriata dalla guerra civile venne alla luce una forte attività antifascista: la Resistenza. Questa fu l’insieme dei movimenti politici e militari che, dopo la firma dell’armistizio di Cassibile, combatté una guerra di liberazione contro i tedeschi; fu una guerra civile tra italiani, fascisti e antifascisti e fu anche guerra di classe per una parte di operai e contadini.

La grande mobilitazione popolare fu anche dovuta al rifiuto della guerra che

aveva avuto conseguenze disastrose in tutti gli ambiti della vita della popolazione. Con la data simbolica del 25 aprile del 1945, giorno in cui il Comitato di

liberazione alta Italia proclamò l’insurrezione partigiana di tutti i territori

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13 occupati dai nazifascisti, viene segnata la fine della Resistenza, anche se la guerra

civile e quella di classe continuarono sempre per alcuni mesi.28

Come notò Federico Chabod, il più grande lascito della Resistenza sarà la realizzazione di una parte del suo programma: l’instaurarsi della Repubblica con il referendum del 2 giugno 1946. “Ma quello che resta come patrimonio comune della Resistenza, è la lotta popolare per la libertà. E’ un fatto che resterà nella storia d’Italia.”29

La Resistenza aveva portato grandi speranze politiche e grandi novità nell’ambito della partecipazione politica. Con la vittoria della Repubblica al referendum del 2 giugno, venivano eletti, infatti, i membri dell’assemblea costituente tramite il suffragio universale. Ci troviamo davanti a grandissime conquiste politiche: per la prima volta alla massa viene data la possibilità di esprimersi e diventare attori

partecipanti della storia politica del paese. Questa rinascita democratica porta all’affermarsi di nuovi soggetti politici: i

partiti popolari e di massa. Non possiamo capire la portata di questi nuovi soggetti se non teniamo in mente il contesto precedente, da dove proveniva l’Italia e ciò che aveva fatto il fascismo. Esso costruì una società di massa dentro uno stato totalitario. Seppur sconfitto, non possiamo non considerare la sua influenza nella nascente Repubblica. La realtà era che solo grandi movimenti popolari, profondamente radicati nel paese e nelle sue culture popolari, potevano assumere la sua eredità.30

Imprescindibile l’osservazione dello storico cattolico Pietro Scoppola:

“Proprio perché il fascismo aveva creato in Italia una società di massa; proprio perché

“la folla incomposta” .. era diventata, grazie alla mistica della nazionalità, un movimento di massa, la caduta del fascismo non riportò il paese alle condizioni anteriori, ma creò un vuoto, una crisi d’identità, specie in quei ceti medi fra i quali il fascismo aveva ottenuto il più largo consenso.” Vuoto morale che fu colmato dal nuovo

28 Aurelio Lepre, Storia della prima Repubblica, Mulino, Bologna, 2004, p.40.

29 Federico Chabod, Italia contemporanea 1918-1948, Einaudi, Torino, 1961, p. 143.

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14 ruolo della Chiesa: “La pietà cristiana, la pietà per gli sconfitti, più della lotta armata,

ha vinto il fascismo delle coscienze, ha reso possibile il suo superamento e ha contribuito a porre le basi morali della democrazia. Il sentimento e la tradizione religiosa popolare hanno ridato spazio a un’etica collettiva. Il fenomeno è di grande importanza per comprendere la fase successiva di egemonia cattolica nel paese.” 31

I due partiti che poi finirono per raccogliere il sostegno delle masse popolari furono il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana. Oltre al vuoto morale che fu rimpiazzato dalla Chiesa, con la caduta del fascismo si ha anche la fine dello “Stato etico”. Questo vuoto fu riempito da entrambi i partiti sopracitati, in particolare dal PCI. Per i comunisti, infatti, il partito diventò espressione di “valori assoluti”, una scelta di vita totalizzante che andava a toccare ogni aspetto del vissuto quotidiano, che comportava degli obblighi materiali e morali.32 Nel secondo dopoguerra, in un clima fortemente politicizzato e ideologico, i maggiori partiti finirono per assumere una “funzione pedagogica e protettiva” nei confronti della società civile. Le varie ideologie che si combatterono erano totalizzanti e pretendevano di trasmettere valori in ogni circostanza.

“Il marxismo con pretese di compiuta Weltanschauung razionale e liberatoria, il

radicalismo con la sua inclinazione alla denunzia e al rigorismo, il pensiero cattolico con le sue premesse religiose ed ecclesiali, il conservatorismo degli imprenditori e dei ricchi con la sua tradizione di accumulazione e di paternalismo: dovunque viene vistosamente offerta ai cittadini una specie di galleria di virtù ed errori.” 33

La cultura cattolica e quella comunista furono quelle che si contesero il primato politico, sociale e morale del paese nel dopoguerra e indicarono i modelli di comportamento nella vita pubblica e privata della popolazione, cercando di essere per essa una sorta di guida morale. I due orientamenti, seppur contrapposti e nemici sul piano ideologico, finirono per adottare entrambi rigide regole di moralità, arrivando a condannare i comportamenti trasgressivi che non

31 Ibidem, pp. 99-100.

32 Aurelio Lepre, Storia della prima repubblica, cit., p.53.

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15 rientravano nella condotta ideale del partito. I comunisti furono ancora più severi

dei cattolici nella “battaglia per la moralità”, arrivando ad espellere dagli organi dirigenti e dal partito stesso chi trasgrediva dalle regole, spesso incalzati in questa sfida per l’egemonia del controllo sulla società civile dalla Democrazia Cristiana che si servì dell’immoralità per colpire il fronte comunista. 34

Come detto in precedenza, in un paese che si era ritrovato in un grande vuoto morale riempito dalla chiesa e dove si aveva una visione del mondo in cui etica e politica coincidevano, i comunisti finirono per fare propri i valori della cultura cattolica, quali l’unità della famiglia come requisito imprescindibile per le basi della nuova società e controllo dei sentimenti. La differenza fra le due dottrine fu che, mentre il cattolico era responsabile davanti a Dio, il comportamento errato del comunista andava contro la causa comune marxista, giustificando l’espulsione.

Nel suo autoritratto del PCI staliniano, Giuseppe Carlo Marino confermò:

“la mentalità che stabiliva le differenze tra i comportamenti corretti e quelli scorretti era sottilmente intrisa dell’ethos cattolico del bene e del male, della virtù e dei peccati, e non sarebbero esistite distinzioni apprezzabili tra comunisti e anticomunisti quanto al rapporto con idee e valori di tradizione comunista”. 35

I due sistemi oltre a convergere sui valori morali, dei comportamenti e degli atteggiamenti, come notano Gozzini e Martinelli, “condividono un humus culturale profondo, di segno tradizionalista e maschilista, di cui le prescrizioni e i divieti in campo familiare rappresentano solo la punta emergente più vistosa e appariscente”. 36

34 Anna Tonelli, Per indegnità morale, Laterza, Roma-Bari, 2015, p.8.

35 Sandro Bellassai, La morale comunista, cit., p.118. 36 Ibidem, p.119.

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16 LA FORMAZIONE COMUNISTA DI PASOLINI

Senza una ricostruzione del contesto storico italiano, che tenesse in considerazione il fatto che l’Italia, dopo vent’anni di dittatura, usciva dissestata da una guerra, con un difficile passaggio alla democrazia e che sottolineasse il nuovo ruolo assunto dai partiti, i quali occuparono un nuovo spazio nella società italiana, costituendosi guide morali intransigenti e riferimenti ideali ed etici, non sarebbe stato possibile comprendere le reazioni del mondo della sinistra davanti a tutta la vicenda di Pasolini negli anni friulani, e, in seguito, della vita del poeta a Roma.

Pasolini si iscrisse al PCI solamente nel 1947, per poi diventare subito segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa agli inizi del 1948. Fu il sentimento pedagogico che animava il giovane poeta, la propria vocazione, che poi esprimeva anche nell’insegnamento a portarlo verso la politica attiva. Il fatto che spinse il giovane poeta ad aderire alla causa comunista fu, in particolare,

l’esperienza diretta di un grande sciopero contadino della Bassa Friulana. Alle riunioni che teneva in una stanzetta sopra l’osteria dell’Enal, partecipavano

per la maggior parte giovani comunisti, braccianti e disoccupati. Pier Paolo sapeva perfettamente come entrare in sintonia con loro e amava trascorrere con loro del tempo, capire le loro problematiche, conosce le loro usanze, mentalità e bisogni; e insieme a questa innata empatia aveva in sé la tempra del leader, ruolo che sin da piccino, chiunque lo abbia frequentato, gli ha riconosciuto. 37

Il segreto per capire meglio chi fosse Pier Paolo sta nelle bellissime parole di Contini: “La qualità che Pasolini possedeva in rara misura era dunque non l’umiltà,

ma qualcosa di molto più difficile da ritrovarsi: l’amore dell’umile e vorrei dire la competenza in umiltà.”38

37 Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e di primule, a cura di N. Naldini, cit., pp.102,103,104.

38 Nico Naldini, Breve vita di Pasolini, cit., p.45. Gianfranco Contini è stato un filologo, critico e storico

della letteratura italiana, inoltre fu tra i massimi esponenti della critica stilistica. Nel panorama italiano è riconosciuto come uno degli intellettuali più importanti del Novecento.

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17 L’adesione al PCI fu comunque un passo molto difficile a causa dei tragici fatti

di Porzus e della responsabilità che aveva avuto il PCI friulano. Pasolini pose il tragico episodio nel relativo contesto storico della guerra partigiana, che aveva delle contraddizioni. Pasolini non tradì mai la memoria di Guido, non accettando mai la strumentalizzazione politica che si tentò di fare dei fatti di Porzus e rivendicò sempre la sua morte come un atto di eroica lealtà. La sua adesione al PCI ebbe dunque un doppio significato e rappresentò un atto di grande valore intellettuale e morale.39

Decidere di diventare un militante comunista rappresentava una vera e propria “scelta di vita”, e tale decisione comportava una dimensione totalizzante e un quotidiano lavoro politico che andava dalle riunioni degli organismi di partito, del sindacato, dei comitati vari, all’organizzazione di iniziative pubbliche, scioperi e cortei, ai comizi, alle manifestazioni, alla raccolta di firme, alle feste di partito, alla campagna di tesseramento, alla diffusione della stampa di partito nazionale e locale: ci si trovava davanti ad una “mobilitazione permanente”. L’appartenenza al partito, oltre all’impegno pratico che abbiamo appena elencato comportava pure una “ridefinizione complessiva di se stessi e del proprio orizzonte esistenziale”, e un sacrificio della propria personalità. 40

Come notò Silvio Lanaro, anche nella sfera sessuale, il partito comunista impose un’etica molto severa come i cattolici, facendo sì che “l’accordo occasionale di due pedagogie collettive intorno a una serie di prescrizioni e divieti incidesse profondamente sull’equilibrio psicologico e sul destino sociale di un’intera generazione, specie nelle aree più marginali dove più strette sono le usanze e più facile la sorveglianza della comunità degli individui.”41 Metafora di questo clima fu l’affermazione del segretario della Federazione comunista di Bologna: “Anche noi amiamo le donne, il divertimento, le cose belle, siamo cioè uomini come tutti

39Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, cit., .26.

40 Sandro Bellassai, La morale comunista, cit., pp.50-51.

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18 gli altri uomini”. Normalità che era implicito coincidesse un “sano” e virile

“istinto” eterosessuale. 42

Come vedremo, il clima di contrapposizione politica, ideologica che diventò serrato nelle elezioni del 1948, unito ad un forte controllo etico e morale della società, si scontrerà con il terremoto che stava vivendo Pasolini dentro di sé sulla presa di coscienza e consapevolezza definitiva della sua omosessualità. Una scoperta che avvenne infatti negli anni della formazione e della militanza comunista.

Diventando un uomo, all’età di 25 anni Pier Paolo si rendeva conto di non poter reprimere ciò che era veramente: prese atto che la sua omosessualità era una “condizione naturale”. Sentiva crescere in lui un “desiderio assoluto di sincerità” verso il mondo che lo circondava, sentiva “l’esigenza di non nascondersi e di manifestare apertamente la voglia di amare” e “di vivere liberamente le proprie passioni” anche se tutto questo era in contrasto con la cultura cattolica, che emergeva con il senso del peccato che provava il giovane poeta.43

Come nota Enzo Siciliano, Pier Paolo da un lato sente “le pulsioni omoerotiche; dall’altro, la necessità di censurarle e fingere” così che “la finzione era assorbita dentro di lui dalle risorse della pedagogia.” 44

Tutto ciò è riassunto in una sua confessione nei quaderni rossi45 del 7 ottobre del 1948:

“Tutto questo è stato scritto al fine di “ottenere un’Autorizzazione”. “Io chiedevo a Dio di autorizzarmi a peccare! Sarebbe un’ingenuità mostruosa, se non fosse così umano. Io sono stanco di essere così intoccabilmente eccezione, ex lege: va bene, la mia libertà l’ho trovata, so qual è e dov’è; lo so, si può dire dall’età di quindici anni, ma anche

42 Sandro Bellassai, La morale comunista, cit., pp. 232-233.

43 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p.46.

44 Enzo siciliano, Vita di Pasolini, cit., pag.139.

45 Quaderni rossi fu una rivista italiana della sinistra operaista fondata nel 1961 da un gruppo di “eretici” di sinistra, tra cui Renzo Panieri e Mario Tronti. La rivista si proponeva di ripartire dalla nuova classe operaia delle grandi fabbriche del Nord del paese e dal suo potenziale conflitto ricorrendo all’uso dell’inchiesta e al marxismo come strumento per leggere le dinamiche del neocapitalismo. Essa chiuse nel 1966.

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prima... Nello sviluppo del mio individuo, della diversità sono stato precocissimo; e non mi è successo come a Gide, di gridare d’un tratto “sono diverso dagli altri” con angoscia inaspettata; io l’ho sempre saputo.”46

Pasolini si sentiva diverso: non era un comunista “normale” come tutti gli altri uomini, come avrebbe voluto il suo partito, e l’unico interlocutore in grado di comprenderlo sembrava essere Dio, al quale chiese l’autorizzazione ad essere ciò che semplicemente era. Tenendo in considerazione tutti questi elementi ci risulterà prevedibile il fatto di Ramuscello e le reazioni che scatenò tale episodio.

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20 IL FATTO DI RAMUSCELLO.

Pier Paolo era un assiduo frequentatore delle numerose sagre paesane che si svolgevano nel a Casarsa e nelle zone limitrofe. Finita la guerra c’era il bisogno di festeggiare il ritorno alla libertà e di dimenticare i traumi passati, da qui la voglia di tuffarsi in un clima di festa dove potevano riunirsi persone di ogni età e censo.

Le feste così frequenti finirono per destare l’allarme del prefetto di Udine, il quale vedeva le sagre come un “attentato alla moralità” distogliendo principalmente i ragazzi da “quella condotta retta e disciplinata che richiede il profilo del buon cittadino”.47

Pasolini, come la maggior parte dei giovani, era affascinato da quel clima gioioso che veniva a crearsi alle feste che dava l’opportunità d’incontri e relazioni, dove spesso saltavano i rigidi controlli etici e morali che cercava di esercitare la società. Proprio a una di queste feste avvenne l’incontro destinato a cambiare il corso dell’esistenza del poeta. Era la sera del 30 agosto 1949, giorno in cui si svolgeva la sagra di Santa Sabina e ci si trovava nella frazione di Ramuscello, tra San Vito al Tagliamento e Sesto al Reghena. Pier Paolo durante la festa, incontrò tre ragazzi, uno di 16 anni, gli altri di 15, e dopo aver ballato insieme fra di loro, andarono ad appartarsi in aperta campagna fra i cespugli per compiere degli atti sessuali, probabilmente una masturbazione reciproca.

Il 15 ottobre, un mese e mezzo dopo la sagra di Santa Sabina, dalla “voce pubblica” giunse ai carabinieri di Cordovado una segnalazione, da cui scaturì il seguente verbale, da cui presero corso le indagini su Pasolini con gli “accertamenti” relativi all’accusa di “corruzione di minore ed atti di libidine”:

“Dalla voce pubblica, poiché il fatto ha suscitato scandalo, quest’Arma è venuta a conoscenza che il nominato Pier Paolo Pasolini da Casarsa, circa dieci giorni fa si portò in Ramuscello, dove adescando i minorenni..., con inganno condottoli in aperta

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campagna, si faceva masturbare fino al compimento di lussuria, regalando poi ad essi la somma di lire cento ciascuno.”48

Dal linguaggio sgrammaticato dei carabinieri si evince che non fu la voce pubblica a guidare le indagini dei carabinieri, ma precise pressioni degli avversari politici. 49

Si trattò di un fatto atteso dai suoi avversari, cattolici e fascisti, per screditarlo attraverso la rivelazione della sua omosessualità. Il suo essere omosessuale lo rendeva vulnerabile tanto che, nel corso della stessa estate, un prete lo ricattò, dicendogli che se non avesse abbandonato l’attività politica, gli avrebbe rovinato la carriera scolastica. Dalle parole di Nico Naldini, emerse che, nella stessa estate, il giovane subì altre vaghe minacce dall’ambiente politico avversario.50

Il 17 ottobre, Pasolini venne chiamato in caserma. I carabinieri avevano sentito le versioni dei ragazzi che si erano appartati insieme a lui, i quali avevano confessato di essere stati “corrotti” con dei dolci ed essere stati attirati in campagna a mangiare dell’uva per poi compiere gli atti sessuali. A seguito delle parole dei giovani Pier Paolo affermò nell’interrogatorio con il maresciallo Mario Manservigi:

“Non posso e non devo negare che le dichiarazioni fatte dai suddetti ragazzi rispondono

in parte almeno esteriormente a verità. Del resto certi particolari mi sfuggono perché essendo sera di sagra e trovandomi in compagnia di amici avevo un po’ ecceduto nel bere: è appunto da imputarsi all’euforia del vino e della festa l’aver voluto tenere questa esperienza erotica di carattere e origine letteraria e accentuata da una recente lettura di un romanzo di argomento omosessuale di Gide. Del resto sulle ragioni letterarie e psicologiche che mi hanno spinto a questo e almeno in parte lo giustificano potrò più

48 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p.64.

49Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, cit., p.40.

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esaurientemente spiegarmi con coloro che eventualmente mi dovranno giudicare. Non ho altro da dire, in fede di quanto sopra, previa lettura e conferma, mi sottoscrivo.”51

Dal rapporto dei carabinieri scaturito dalla dichiarazione di Pasolini venne sottolineato il suo ruolo pubblico nella società, la sua posizione politica e lavorativa che lo vedeva occupato alla scuola di Avviamento di Valvasone. Il linguaggio del rapporto era pieno di parole che miravano a suscitare scandalo, come ad esempio “fattaccio” o “scempio”. L’insieme di tutti questi elementi conferma sempre di più che il giovane intellettuale cadde nella “trappola democristiana” trattandosi di “uno scandalo confezionato su misura”.52

Così il 22 ottobre, come ha scritto Antonio Bazzocchi, “tutte le paure e le ossessioni dei mesi precedenti prendono forma concreta”, e Pasolini venne denunciato con l’accusa di corruzione di minori e di atti osceni in luogo pubblico.53

Il 26 ottobre, sotto la pressione della federazione regionale di Udine, il comitato direttivo della federazione di Pordenone espulse Pasolini per “indegnità morale e politica”,54 e tre giorni dopo pure “l’Unità” annunciò la scelta con un commento di Ferdinando Mautino della Federazione di Udine:

“Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze dei vari Gide, Sartre, di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese”.55

51Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., pp. 65-66.

52 Ibidem, pp.67-68.

53 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, cit., p.13.

54 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p.142.

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23 L’espulsione di Pasolini era perfettamente in linea con le regole del PCI, che

esercitava una stretta vigilanza sui comportamenti e la condotta morale dei militanti ed era molto vincolato dal giudizio della comunità. Le persone che commettevano azioni deplorevoli erano un ostacolo al continuo proselitismo del PCI che pretendeva da ogni iscritto una vita esemplare per difendere il partito in pubblico e privato. Pier Paolo derogò dalla norma commettendo quel fatto, a cui si sommò l’aggravante della omosessualità. Quest’ ultima non fu mai accettata da un partito che definiva “invertiti” gli uomini che non rientravano nei canoni ideali di fisicità e virilità. Pier Paolo si allontanava troppo dalla figura maschile sostenuta dalla cultura ufficiale, adottata pure dal partito comunista.56

L’espulsione annunciata sull’Unità il 29 ottobre, nel corso degli anni rimossa fino alla sua morte, fu un “atto liberatorio” del partito che liquidiva un compagno scomodo, bersaglio degli avversari democristiani, e che poteva venire additato come nemico della patria, di Dio e della famiglia.57

Così scrive Pasolini a Mautino il 31 ottobre:

“Mia madre ieri mattina è stata per impazzire, mio padre è in condizioni indescrivibili: l’ho sentito piangere e gemere tutta la notte. Io sono senza posto, cioè ridotto all’accattonaggio. Tutto questo semplicemente perché sono comunista. Non mi meraviglio della diabolica perfidia democristiana; mi meraviglio invece della vostra disumanità; capisci bene che parlare di deviazione ideologica è una cretineria. Malgrado voi, resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola...58 Pasolini venne sottoposto così ad un doppio processo per la sua “diversità”: uno dal tribunale dello Stato e l’altro da quello del partito. 59

Processi che lo portarono alla perdita del suo posto a scuola e che spezzò la sua “profonda vocazione pedagogica”. 60

56 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p. 75.

57 Ibidem, p.77.

58 Nico Naldini, Pasolini, una vita cit., p.135.

59 Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di Laura Betti, cit., p.40. 60 Ibidem pp.46-47.

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24 La scelta dei comunisti però non venne presa all’unanimità: alla riunione del

direttivo che prese la decisione, si oppose un’insegnante, collega di Pier Paolo, Teresina Degan, l’unica del partito a difenderlo e che provò ad opporsi all’espulsione.

In una lettera del novembre 1949, indirizzata a Teresina, è lampante che Pasolini è pronto ad una nuova svolta della sua vita:

“C’è stato un momento che avrei potuto anche annegare nel letamaio dell’odio borghese, adesso però sto riprendendomi e se mai ho avuto una vitalità me la sento ora addosso come un vestito nuovo. Quello che tu dici avermi fatto un difensore delle classi lavoratrici è un dato ormai assoluto del mio pensiero e, non temere, nulla lo muterà.”61

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25 ROMA

Il 28 gennaio del 1950 Pier Paolo e sua madre partirono in gran segreto per Roma. Dopo l’esplosione dello scandalo la situazione famigliare era diventata insostenibile a causa dei litigi sempre più violenti di Pier Paolo con il padre. La salute di Carlo Alberto andava peggiorando, e uno psichiatra di Udine che poté vederlo solo per qualche istante, prima di essere cacciato di casa, gli diagnosticò una sindrome paranoidea. A Roma inizialmente trovarono ospitalità presso un parente, e dopo pochi giorni Susanna fu costretta a trovare lavoro come governante, permettendo al figlio di guadagnare alla giornata procurandosi collaborazioni letterarie a fogli giornalistici di ogni tipologia.62

La fuga romana, nonostante tutte le difficoltà iniziali, soprattutto a livello economico, affrancò madre e figlio dalle torture paterne, e sancì la loro indivisibilità.

Proprio come aveva confessato all’amica Teresina Degan, a Roma Pier Paolo era pronto per indossare un vestito nuovo, ricominciando da zero. Per Marco Antonio Bazzocchi il trasferimento nella capitale si presentò “con tutto l’effetto traumatico e rigenerante di una nuova nascita. Senza prospettive per il futuro e senza più legami con il passato, per Pasolini si acuì all’estremo quella sensazione di libertà assoluta che aveva caratterizzato gli ultimi anni di Casarsa”.63

Pasolini restò travolto dal nuovo mondo che trovò nella capitale: un’infinità di ragazzi, giovanissimi, pieni di vitalità, belli ed esuberanti che fuggivano dai rigidi controlli della moralità pubblica che facilmente si imponeva nella vita di campagna.

Il clamore del recente scandalo gli impedì di frequentare i letterati che già conosceva e questa risultò essere una situazione ideale per buttarsi a capofitto nei meandri delle periferie, ai confini della Roma urbana e lasciarsi travolgere dall’adrenalina e dalla precarietà di quegli spazi sconosciuti che verranno descritti magistralmente in “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”.

62 Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, A cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1994, p.127. 63 Marco Antonio Bazzocchi, Pier Paolo Pasolini, cit., p.14

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26 Un mondo composto di emarginati, affrontato da un emarginato con “competenza

in umiltà” che non ebbe problemi ad immergersi in quella nuova realtà.64 Pasolini trasferì il suo mito contadino al mondo del sottoproletariato romano.

Saranno solo un ricordo qui, il rimorso dei primi peccati friulani e le preghiere d’amore. A Casarsa avvertiva il peso dell’errore mentre a Roma sente di non peccare più. La capitale mostrava una realtà antropologicamente differente, che permette al poeta di vivere la propria inclinazione omosessuale per i poveri ed i diseredati. Davanti a lui si spalanca un nuovo orizzonte, dove gli incontri sono facili, economici e i ragazzi del popolo disponibili. “Per gli italiani del nord i romani sono già un po’arabi e Roma è una tappa per altri mondi, dove finalmente: “Gli Arabi furono più generosi dei contadini friulani,

cui la madre e il padre insegnarono a mettere il proprio seme in una scodellina, se no guai!”65

Come confessò alla sua amica Silvana Mauri, in una lettera del 10 febbraio 1950:

“Qui a Roma posso trovare meglio che altrove il modo di vivere ambiguamente, mi capisci? e, nel tempo stesso, il modo di essere compiutamente sincero, di non ingannare nessuno. Ho intenzione di lavorare e di amare, l’una cosa e l’altra disperatamente. Ma, allora, mi chiederai se quello che mi è successo – punizione, come dici tu giustamente – non mi è servito a nulla. Si, mi è servito, ma non a cambiarmi o a redimermi: mi è servito a capire che avevo toccato il fondo, che l’esperienza era esaurita e che potevo ricominciare daccapo ma senza ripetere gli stessi errori; mi sono liberato dalla mia riserva di perversione malvagia e fossile, ora mi sento più leggero e la libidine è una croce, non più un peso che mi trascina verso il fondo”.66

Dalla lettera emerge il forte bisogno di Pasolini di giustificare sé stesso e si intuisce la necessitò di fare di quel mondo periferico il centro del mondo, come poi si verificherà con il romanzo che lo porterà alla ribalta nazionale: “Ragazzi di vita”.

Nell’ultimo trimestre del 1951 riprese a insegnare presso una scuola media privata a Ciampino, incarico che mantenne fino all’ultimo trimestre del 1953, prima degli scrutini. Ciò significava anche l’arrivo di uno stipendio fisso, seppur

64 Nico Naldini, Breve vita di Pasolini, cit., pp.52-53.

65 Pier Paolo Pasolini, In un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, cit., p.13. 66 Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, a cura di Nico Naldini, cit., pp.133-134.

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27 modestissimo, che gli permise di affittare una casa e di liberare Susanna dal suo

lavoro di domestica. La nuova casa si trovava nella periferia estrema di Roma, verso nord-est, a Ponte Mammolo, nelle vicinanze di Rebibbia.67

La lontananza migliorò i rapporti con il padre, e così, una volta trovata la casa a Ponte Mammolo, la famiglia decise di riunirsi. Orgoglioso e partecipe della nascente fama del figlio, Carlo Alberto, col suo arrivo a Roma finì per diventare il segretario di Pier Paolo, svolgendo per lui tutti i lavori burocratici e incarichi quotidiani, come spedire la posta o fare avanti e indietro dalla Biblioteca Nazionale con i volumi in prestito, apparendo felice dei successi del figlio.68 Mentre vediamo scorrere la sua vita romana, si chiuse la triste vicenda che portò al trasferimento dei Pasolini. Nell’aprile del 1952 la corte di appello di Pordenone emise il verdetto definitivo: l’intero caso di Ramuscello veniva archiviato e si concludeva con una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove. Il reato più grave, l’accusa di corruzione di minorenni era già venuto a cadere per mancanza di querela con la sentenza della pretura di San Vito al Tagliamento del 28 dicembre del 1950.69

Alla fine, nell’appello crollava pure l’imputazione di atti osceni in luogo pubblico poiché la perizia dei tecnici e il sopralluogo del “prato di Ramuscello” stabilirono che il luogo non era visibile dalla strada.70

I giudici, nel dispositivo della sentenza, precisarono che il verdetto non aveva chiarito tutti i dubbi della vicenda, pur arrivando al proscioglimento:

Il Collegio ritiene doveroso assolvere i tre imputati dall’imputazione di atti osceni con formula dubitativa, attinente al luogo, non alle modalità dei fatti, che non tornano certo ad onore di chi li commise e del Pasolini in particolare”.71

Come sottolineò Anna Tonelli, ci troviamo davanti ad “un’assoluzione dal punto di vista giuridico, ma condanna sul piano morale”. Era una critica esplicita alla figura pubblica Pasolini che stava in quel momento emergendo pure sulla scena

67 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p.171. 68 Ibidem, p.173.

69 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p.100.

70 Marco Belpoliti, Pasolini in salsa piccante, Guanda, Parma, 2010, p.25.

71 Sentenza emessa dal Tribunale penale di Pordenone l’8 aprile 1952, archiviata come atto autonomo, senza numeri di riferimento; in Anna Tonelli, per indegnità morale, cit., p.103.

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28 romana dal momento, dato che scriveva sulla rivista “Paragone” e frequentava

autori conosciuti come Sandro Penna e Carlo Emilio Gadda. Questo però sarà il primo di una lunga serie di processi che attraverseranno la vita del Poeta.72 Nella primavera del 1953 Pasolini cedette alla tentazione del cinema, che lo aveva in realtà già affascinato negli anni friulani, e assieme a Giorgio Bassani collaborò alla sceneggiatura del film di Mario Soldati, La donna del fiume e, subito dopo, a quella di La prigioniera della montagna di Luis Trenker.

Attraverso questa nuova carriera nel mondo del cinema, a cui si affiancò anche la sua consacrazione letteraria, le sue condizioni economiche migliorarono notevolmente.

Nel frattempo nei primi due anni romani, come già accennato, Pasolini riuscì a stringere amicizie importanti in ambito culturale: Sandro Penna, Giorgio Caproni, Carlo Betocchi, Giorgio Bassani, prese a frequentare la casa di Ungaretti, e divenne amico pure di Carlo Emilio Gadda. Il valore di queste amicizie dà un chiaro indizio, prima che del suo valore umano, della sua caratura intellettuale. Le migliorate condizione economiche furono l’occasione per un nuovo trasferimento, questa volta in un quartiere borghese, a Monteverde Nuovo,73 e, come notò Enzo Siciliano, questo cambio di residenza sancì “la fine della giovinezza” del poeta. Il tempo a Rebibbia costituì “l’esperienza della marginalità urbana” e rappresentò la maturazione umana e intellettuale di Pasolini che ricorderà sempre quegli anni con una ardente nostalgia.74

Pasolini nei suoi primi tempi romani, fece suo il pensiero gramsciano secondo cui gli intellettuali dovessero rivolgersi “all’anima della gente”. Secondo Pier Paolo la “gente” di Gramsci non era fatta di uomini di partito conformisti, ma si collocava a un livello socialmente più basso. Grazie al filosofo si liberò dal timore che la letteratura fosse inutile, anzi si convinse che poteva essere un mezzo necessario senza divenire propaganda.

72 Ivi.

73 Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, a cura di Nico Naldini, cit., pp.128-129. 74 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., pp.178-179.

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29 Nei ragazzi di borgata trovò, non solo comunione erotica, stimoli intellettuali e

un’umanità ancora intatta, ma anche gli emarginati prescelti da Cristo. A contatto con l’energia di quei ragazzi la vitalità di Pier Paolo cresceva esponenzialmente. Ciò che attrasse Pasolini fu il fatto che “nel sottoproletariato romano convergevano singolarmente il marxismo e la cristianità che Pier Paolo sapeva di aver ereditato dalla madre. Ogni individuo, ma specialmente quelli spinti ai margini della società, possedeva esattamente ciò di cui la religione organizzata si era dimenticata: la sacralità.”75

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30 ANNI MIRABILI: DA “RAGAZZI DI VITA” A “UNA VITA VIOLENTA”

Ragazzi di vita, scritto nel 1955, fu la prima opera in omaggio alla romanità e assicurò a Pasolini la notorietà a livello internazionale. Attilio Bertolucci lesse su “Paragone” il frammento del titolo Il ferrobedò; dal momento che collaborava con l’editore Livio Garzanti, gli presentò Pasolini che riuscì a ottenere un contratto per pubblicare ragazzi di vita e uno stipendio che gli consentiva di lasciare la scuola a Ciampino. Il libro venne pubblicato solamente dopo un’operazione di pulitura linguistica e di tagli agli episodi più spinti.

Il poeta si chiedeva infatti cosa ci potesse essere meglio delle espressioni dialettali per descrivere le realtà desolanti dei borghi romani e non solo.

La storia è ambientata nell’immediato dopoguerra, nel 1946, quando gli alleati occupavano ancora la capitale abbandonata da poco tempo dai tedeschi e racconta i fatti e i mutamenti in cui incorrono alcuni ragazzi del sottoproletariato romano. Pasolini rappresentò “una vita che della vita ha solo l’apparenza. Quella vita è la svelata cattiva coscienza d’un paese aggrappato a preconcetti morali e sociali: è lo scheletro nascosto nell’armadio, - e quello scheletro ha un linguaggio prepotente, vituperoso”.76

Il 21 luglio del 1955 scoppiò lo scandalo che provocò una non voluta campagna pubblicitaria che accese ancora di più i riflettori sul libro: la procura della Repubblica di Milano, ricevette la seguente segnalazione dell’ufficio “spettacoli e proprietà letteraria” della presidenza del Consiglio: “Per gli eventuali procedimenti di competenza si segnala l’acclusa pubblicazione di Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, editore Aldo Garzanti, Milano. Nella pubblicazione si riscontra carattere pornografico. Il capo dei servizi.” Così la procura della Repubblica di Milano denunciò il romanzo per “pubblicazione oscena”, e Pier Paolo dovette affrontare il suo primo processo legato alla sua produzione artistica. 77

Per il romanzo la censura si estese fino alla denuncia e al sequestro del libro.

76 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p.185.

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31 La decisione di censurare Ragazzi di vita era politicamente fondamentale per il

primo ministro Segni: in un momento di rinascita non era possibile che emergessero storie così crude, soprattutto nelle periferie della capitale. La sua fondamentale inaccettabilità consisteva nella vivida descrizione della vita delle classi inferiori, una realtà taciuta e volutamente emarginata anche geograficamente nelle borgate. Negli anni Cinquanta, in piena continuità col fascismo, si sono avuti governi che, oltre a essere caratterizzati da un forte moralismo, difendevano il senso del pudore con ogni mezzo ricorrendo alla censura per il cinema, il teatro e la letteratura

La realtà che emergeva dalle pagine di questo libro, era però diversa: vediamo dei governi che non riuscivano a liberarsi dell’eredità urbanistica fascista, c’era gente che viveva in condizioni forse peggiori di quelle in cui avevano vissuto sotto il fascismo. Quello che produsse scandalo fu l’aver inserito le vite di questi emarginati che vivevano in una spontaneità e amoralità senza freni, privi di obiettivi e lealtà, al di fuori delle leggi dello Stato e della Chiesa. Da più parti si percepiva che l’Italia stava finalmente decollando verso il benessere e l’agio economico e stava per lasciarsi alle spalle il suo provincialismo, per indossare una nuova realtà, più moderna, più europea, ma anche più cruda.

In questa atmosfera di transizione e di ansietà, l’indecenza e inopportunità di questi ragazzi finiva per diventare sconveniente e irritante. Nella realtà si potevano benissimo ignorare, fingere che non esistessero ma sugli scaffali delle librerie, il loro vivere, questa terribile verità veniva messo sotto il naso del pubblico.78

Un’Italia tornata alla normalità, persino ad un certo splendore, non poteva produrre ragazzi che mangiavano da mucchi di spazzatura:

I due lavoranti aprirono le sponde di dietro, e il mucchio dell’immondezza si scaricò giù per la scarpata. Come la frana cessò di rotolare in basso per forza naturale, i due le fecero tener dietro i resti, blu di Prussia e rossi di pomodoro, ch’erano rimasti a puzzare nel cassone, scopando tutti allaccati. Poi l’autista mise in moto il camion e se ne andò. Il Riccetto e l’altro restarono soli nella tanfa, con sotto il piano della cava e intorno i campicelli slabbrati. Si misero a sedere uno in alto e uno in basso, e cominciarono a

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cercare tra i rifiuti. L’altro era pratico, e se ne stava tutto curvo e attento, con una faccia seria come se stesse a fare un lavoro di precisione: e il Riccetto fece come lui, ma siccome gli schifava raspare colle mani, andò a strappare un ramo da un fico oltre un reticolato che pareva lì dai tempi di Crispi e con quello stando accucciato cominciò a spostare le carte zozze, i cocci, le scatole di medicinali, gli avanzi delle minestre e tutta l’altra roba che gli puzzava intorno..”79

Il 29 dicembre 1955 arrivò la “citazione per giudizio direttissimo contro Garzanti Aldo e Pasolini Pier Paolo, imputati di pubblicazione oscena”, il primo quale editore, il secondo quale autore del romanzo. La prima udienza si tenne il 18 gennaio 1956 ma il processo venne rinviato perché i giudici non avevano letto il libro. Si verificò il rinvio del processo pure alle due successive udienze del 18 aprile e del 4 maggio dello stesso anno. Per la seconda udienza il rinvio fu causato da un impedimento del difensore degli imputati, mentre alla terza udienza il pubblico ministero raccolse l’autodenuncia del figlio di Aldo Garzanti, Livio che dichiarò in una lettera inviata al tribunale di essere il responsabile della pubblicazione, in quanto “direttore generale, con ampi poteri di gestione e rappresentanza”.80

Alla quarta udienza, in data 4 luglio 1956, finalmente, si tenne il processo, lo stesso giorno della consegna del premio Strega, il peggior momento per poter contare sulla presenza di intellettuali. I giudici accolsero la richiesta del pubblico ministero che chiedeva l’assoluzione degli imputati “perché il fatto non costitutiva reato” e il libro tornava a riempire gli scaffali delle librerie dopo aver subito un sequestro di un anno. Sul felice esito del processo influirono anche le testimonianze di grandi intellettuali dell’epoca, come Carlo Bo, Pietro Bianchi e Giuseppe Ungaretti, Alberto Moravia, Alfredo Schiaffini, Attilio Bertolucci che sottolinearono l’enorme valore artistico dell’opera.81

Significativa fu la testimonianza di Carlo Bo:

“Ragazzi di vita ha un grande valore religioso perché spinge alla pietà verso i poveri e

i diseredati. Non ho trovato alcunché di osceno nel romanzo. I dialoghi sono dialoghi di

79 Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, Garzanti, Milano, 2017, pp.156-157.

80 Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di Laura Betti, cit., pp. 64-65. 81 Ibidem, pp.65-66.

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ragazzi i quali non si esprimono bene; e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà.”82

Il ritratto delle borgate romane popolate da ragazzi sottoproletari che vivono ai margini, rappresentati con una spontaneità senza freni, immersi in una vita priva di qualsiasi legge morale provocò una condanna univoca, una reazione generalmente ostile sia della critica borghese e cattolica sia della compagine marxista: i primi denunciarono l’indecenza e turpitudine nel linguaggio volgare adottato, gli altri il distacco dal realismo socialista, la totale mancanza di consapevolezza sociale e il non rientrare nello schema della lotta di classe.83 La dura reazione dei più importanti critici comunisti italiani si rivela fondamentale per capire il clima di quei tempi, che vedevano al potere gli stessi valori che portarono all’espulsione di Pasolini nel 1949. Una delle accuse più ricorrenti era quella di “esteticismo”, parola che non alludeva solo l’omosessualità, ma ogni sorte di fiacchezza morale.84

Carlo Salinari, esponente di punta del mondo comunista, sul “Contemporaneo” si espresse così:

“Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sottoproletariato romano, ma ha come contenuto reale del suo interesse il gusto del morboso dello sporco, dell’abbietto, dello scomposto, del torbido.”85

Giovanni Berlinguer, una delle più importanti personalità del PCI, rincarò la dose sull’ Unità”:

“Tutto trasuda disprezzo e disamore per gli uomini, conoscenza superficiale e deformata della realtà, morboso compiacimento degli aspetti più torbidi di una verità complessa e multiforme.. Ad una cronaca falsificata è giusto opporre la vera cronaca, la vera storia dei giovani popolani di Roma.”86

Come è emerso in precedenza durante il processo del libro, molti intellettuali non persero l’occasione per ribadire la propria stima nei confronti di Pasolini, e videro

82 Ibidem, p.66.

83 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p.104. 84 Barth David Schwartz, Pasolini Requiem, cit., p.430.

85 Il ”Contemporaneo”, Carlo Salinari, 9 luglio 1955; in Adalberto Baldoni, Gianni Borgna, Una lunga

incomprensione, Vallecchi, Firenze, 2010, p. 28.

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Ragazzi di vita come la sua definitiva consacrazione. Secondo Contini il libro è:

un’imperterrita dichiarazione d’amore, procedente per frammenti narrativi: all’interno dei quali, peraltro, sono sequenze intonatissime alla più autorevole tradizione narrativa, quanto dire l’ottocentesca...”87

Oltre al valore artistico del libro, possiamo leggere la sua assoluzione al processo come il primo sintomo di una trasformazione sul piano sociale e del costume dell’Italia che stava per cambiare pelle e si apprestava a vivere il suo boom economico entrando negli anni 60.88

Nonostante il felice esito del processo, che terminò con un’assoluzione piena, dopo un dibattimento avvenuto in un clima sereno, Pasolini uscì apparentemente indenne dalla vicenda. Il suo arrivo nella capitale era stato “il tentativo di sfuggire alla criminalizzazione, operata nel Friuli, della sua vita privata”. A Roma si riconobbe in sintonia con lo stato di emarginazione dei ragazzi di borgata che prese a frequentare e assunse il ruolo di testimone della loro vita. Proprio questo “scambio di ruolo per chi come lui si era e si sarebbe trovato di continuo sul banco degli accusati”, che lo portò qualche anno dopo a diventare testimone di una tragica crisi di valori, non gli venne mai perdonato, anzi instaurò un circolo vizioso che arrivò al perseguimento. Processato dallo Stato per pornografia, per l’opinione pubblica sembrò colpevole solamente per essere stato imputato. Il suo ingresso nella fama coincise con questa immagine.89

Mentre Ragazzi di vita, nonostante l’inciampo del processo e del sequestro, continua la sua strada di successo da parte del pubblico e della critica, Pasolini e i suoi amici bolognesi Francesco Leonetti e Roberto Roversi, gli stessi del progetto universitario “Eredi”, decidono di fondare la rivista “Officina”. Nel maggio del 1955 uscì il primo numero della rivista che poi procedette per dodici numeri, fino all’aprile del 1958. Successivamente si stamparono solamente due fascicoli di una seconda serie in data marzo-aprile 1959 e maggio-giugno 1959.90

87 Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le lettere, cit., p.171. 88 Anna Tonelli, Per indegnità morale, cit., p.112.

89 Pasolini: Cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, a cura di Laura Betti, cit., p.68. 90 Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, cit., p.193.

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35 Tra i collaboratori abbiamo gli autori che dominavano la scena letteraria a metà

decennio: Bassani, Bertolucci, Caproni, Gadda, Sereni, Garboli, Volponi, Calvino.

La prima ragione di questa rivista dovrà essere il tentativo di attuare un superamento della cultura italiana della prima metà degli anni Cinquanta, e di dar luce ad un “nuovo tipo di intellettuale” dal momento che lo spirito della Resistenza si stava esaurendo.

Pasolini voleva per “Officina” la libertà dalla linea culturale dei partiti. Nell’autunno del 1956, dopo la rivolta di Budapest, Pier Paolo pubblicò sulla rivista Una polemica in versi in cui chiedeva ai dirigenti comunisti la confessione di un errore dopo ciò che era emerso nel XX Congresso del partito comunista sovietico, che segnava il rovesciamento dell’epoca staliniana. Questo il duro colpo che sferrò Pasolini all’establishment del PCI:

[…] ma il vostro dolore

Di non esserne più sul fronte, sarebbe più puro, se nell’ora In cui l’errore, anche se puro, si sconta, Avreste la forza di dirvi colpevoli.91

“Officina” comparve in un tempo di grande rigidità ideologica e in cui la maggior parte del mondo degli intellettuali italiani (occidentali) dovevano restare fedeli al partito di riferimento, ma questa condotta risultava sempre più difficile dal momento che era evidente che “l’ortodossia sovietica del materialismo storico consisteva in un’ortodossia pari a quella della Chiesa, e di maggiore crudeltà.” 92 Il 6 giugno 1957 Garzanti fece uscire una raccolta di undici poemetti, che prese il titolo dalla settima lirica, Le ceneri di Gramsci. L’intera opera, composta fra il 1951 e il 1956, era completamente scritta in versi, in metri tradizionali dove predominava la terzina di endecasillabi, e intendeva porsi con una nuova funzione civile che risolvesse il conflitto pasoliniano tra ragione e passione.93

91 ”Officina”: cultura, letteratura e politica negli anni cinquanta, a cura di G.C. Ferretti, Torino, Einaudi, 1975, p.242; in Barth David Schwartz, Pasolini Requiem, cit., p.446.

92 Ibidem, pp.440-441.

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