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Vita urbana ed élites cittadine in Italia del nord tra Plinio e Diocleziano

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CAPITOLO 1: L’Italia del nord nell’età degli alimenta.

1. La situazione sociale ed economica dell’Italia del nord.

Dalle epistole di Plinio è possibile delineare un’immagine a tratti precisa e a tratti sfuggente della società e dell’economia della Cisalpina, alla quale il senatore appartiene, non solo per stirpe e civismo, ma anche per interessi fondiari. Tale quadro può meglio delinearsi grazie a testimonianze epigrafiche e giuridiche che arricchiscono le nostre conoscenze riguardo all’oggetto di questo mio lavoro, ovvero la città e le élites cittadine nell’Italia settentrionale e in particolare all’inizio dell’epoca antonina.

Dal confronto delle varie fonti è possibile notare un interesse sentito nei confronti della città, come imprescindibile meccanismo nell’organizzazione dell’impero, unità amministrativa delegata di grandi poteri statali e premiata in Italia con il privilegio della libertà. Proprio lo status speciale delle città della penisola, che completamente autonome devono rendere conto solo alla capitale, dà spazio a cortocircuiti amministrativi e finanziari, cosicché la loro autonomia si trasforma in una potenziale fonte di vulnerabilità, che coinvolge non solo il centro cittadino, ma anche gli ingranaggi dell’impero.

Dalla constatazione di questi problemi, provengono, a mio parere, alcune disposizioni messe in atto da Nerva e che possono essere lette come misure d’appoggio alla città. Prima di tutto Ulpiano1 tramanda che è proprio Nerva il primo imperatore a rendere possibili i legata alle città; in questo modo tale forma di finanziamento evergetico non solo sembra autorizzata, ma anche incoraggiata. La situazione comunque mostra alcune difficoltà da parte della giurisprudenza per quanto riguarda le donazioni nei confronti delle comunità, come può mostrare lo stesso Plinio: in una lettera riferisce che un lascito testamentario da parte del concittadino Saturnino alla res publica di Como non può essere incamerato dal municipio a causa delle leggi vigenti2, per cui verrebbe da

1 Dig. 30, 117. 122; Ulp. lib. reg. frag. 24, 28: civitatibus omnibus, quae sub imperio populi Romani sunt,

legari potest; idque a divo Nerva introductum, postea a senatu auctore Hadriano diligentius constitutum est.

2 Plin. Ep. V 7. La situazione è articolata: le città possono ricevere legati già in età giulio-claudia (Suet.

Tib. 31, Tac. Ann. IV, 43, ILS 977), Nerva e poi Adriano confermano tali legati, successivamente

vengono permessi i fidecommessi (Paulus, Dig. 36. I. 27), al tempo di Marco Aurelio le città possono essere eredi dei propri liberti (Ulpian. Dig. 38. 16. 3. 6; Tit. Ulp. 22. 5; CI VII 9. 3). Dunque la città può ricevere legati, ma non può essere nominata erede e quindi non può ricevere alcuna praecipitio, ovvero un

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chiedersi perché Saturnino non abbia previsto un legato invece che un’eredità; certo potrebbe essere una svista dell’oscuro benefattore comasco, ma considerando ciò che riporta Ulpiano sul diritto ai legati, concessi da Nerva e confermati da Adriano, si potrebbe pensare che al tempo di Traiano essi non siano possibili e che l’amico di Plinio abbia lasciato un testamento simbolico che in ogni caso non può essere valido; d’altra parte nella stessa Como un grammatico latino lascia il suo intero patrimonio alla città3 e l’iscrizione che lo ricorda, databile al II secolo, può essere agevolmente collocata in età adrianea quando i legati sono sicuramente autorizzati: è lo stesso Plinio a chiamare il primo praeceptor a Como che n’era priva4, ragion per cui la morte di questo maestro è probabilmente successiva. Tuttavia, quanto riportato da Ulpiano mostra senz’altro un interesse di Nerva nei confronti dell’arricchimento della città, in un modo che però pare in seguito ostacolato da Traiano: in epoca di curatores, riordino dei conti e limitazione degli sperperi curiali forse si vuole evitare che l’élite dissipi il proprio patrimonio, privando i legittimi eredi di censo e possibilità economiche.

L’interesse di Nerva può essere motivato dalla situazione che coinvolge le città italiane alla fine dell’epoca flavia e che mostra l’intrinseca debolezza dell’autonomia italica, che presto sarà più visibile.

2. L’iscrizione di Vardacate

A tal proposito mi pare interessante l’iscrizione di Vardacate5 che riporta un rescritto imperiale su temi finanziari e amministrativi6. Nella prima parte l’imperatore dichiara che i liberti residenti a Vardacate, ma con il patrono residente in un’altra città, sono obbligati a munere fungi in entrambi i centri solo se hanno chiesto di propria volontà di essere cooptati tra i municipes di Vardacate: l’insistenza sulla volontarietà della

legato destinato agli eredi: non a caso Plinio inizia l’epistola dicendo Nec heredem institui nec praecipere

posse rem publicam constat.

3 CIL V 5278, in questa iscrizione si dice universam substantiam suam ad rem publicam pertinere volvit. 4 Plin. Ep. IV 13, da collocare poco dopo il matrimonio con Calpurnia, databile tra 98 e 101.

5 AE 1947 44 = AE 1949 24; SupplIt 13 Vardacate n. 1 p. 240.

6 [Imp(erator) ? ---]++ Caesar Augu[ustus] / Clodio Secundo suo salutem/ Liberti eorum qui secundum

voluntatem suam cooptati sunt m[u]/nicipes Va[r]dacat[e] alterius condicionis sunt quam patroni nisi si et/ ipsi coopt[ari] volunt et utroque loco munere f[u]ngi, id et in eo in quo c[o]/o[ptati] sun[t et] in eo ex quo patroni eorum oriundi sunt./ Pecunia[e q]uae sine decurionum decreto erogatae sunt ab [iis] restitui rei/ publicae oportet qui eas dederunt su[a] sponte, ita ut petitio eis sit adversu[s]/ eos quibus crediderunt./ Magistratus qui parum idoneos prades (!) acceperunt, cum cavendum esset rei/ pu[b]licae ipsi obligati sunt: quod si praedes tunc quidem idonei fuerunt cum/ acciperentur, postea v[ero] aliqua ex caussa minuerunt faculta[te]s, non e[st]/ fortuna praedum magistratibus imputanda. Vale.

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cooptazione fa pensare che il municipio abbia tentato di obbligare tali liberti forestieri a sborsare denaro per la città adottiva; la risposta imperiale alleggerisce il peso sugli affrancati lasciando loro la possibilità di scegliere7. È interessante notare che l’accento sulla volontarietà e il divieto di vincolo sono presenti anche in una risposta di Traiano a un quesito di Plinio, che chiede se sia opportuno obbligare i decurioni della Bitinia a contrarre prestiti di denaro pubblico8: il principe risponde negativamente e propone altre soluzioni, visto che ad accipiendum compellere, quod fortassis ipsis otiosum futurum sit, non est ex iustitia nostrorum temporum9. Un tale simile atteggiamento avvalora la datazione del rescritto di Vardacate all’età di Nerva, se non addirittura a quella di Traiano.

Nella seconda parte, invece, si discute di un problema che coinvolge i magistrati: le somme da essi erogate senza l’autorizzazione di un decreto dei decurioni devono essere restituite alla cassa municipale10 e, ancora, i magistrati sono garanti dei prestiti pubblici assegnati con la garanzia di proprietà non idonee11. Tutto ciò a mio parere mostra una situazione di difficoltà legata alla cattiva amministrazione dei crediti (problema abbastanza comune vista la creazione nel II secolo della figura del curator kalendarii12) e alla conseguente necessità di trovare nuovi investimenti tramite l’escamotage della doppia residenza dei liberti, che (se benestanti ed è questo il nostro caso) elargiscono alla comunità urbana summae honorariae come augustales13. Il nome dell’imperatore, che firma il rescritto, purtroppo è molto frammentario e la sua identità è solo ipotetica: inizialmente è stato identificato con Augusto o Tiberio14, ma a mio parere sembra più opportuna la datazione a fine I secolo e l’integrazione della titolatura imperiale con quella di Nerva proposta da Harris15: nell’iscrizione abbiamo a che fare con un periodo di difficoltà, o meglio confusione, economica che mi pare particolarmente calzante per

7 SupplIt 13 Vardacate n. 1 p. 240, ll. 3-6. 8 Plin. Ep. X 54. 9 Plin. Ep. X 55. 10 SupplIt 13 Vardacate n. 1 p. 240, ll. 7-9. 11 SupplIt 13 Vardacate n. 1 p. 240, ll. 10-13. 12 JAPELLA CONTARDI 1977; SIRKS, 1998.

13 Per l’importanza di augustales, seviri augustales, seviri, seviri et augustales in Italia settentrionale si

veda: MOLLO 1997, MOLLO 2000, ABRAMENKO 1993 A, ABRAMENKO 1993 B, BUONOPANE 2003.

14 Da DEGRASSI 1962. GABBA 2000, FOGLIATO 1974, MALCOVATI 1969. 15 HARRIS 1981.

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l’età nerviana16, in quanto vi vedo uno stadio di formazione di quello che sarà il II secolo inoltrato.

In tale ottica di sviluppo può essere interessante considerare il destinatario del rescritto, un non meglio identificato Clodius Secundus17, che appare privo di titolatura ma accompagnato soltanto dall’aggettivo suo, né magistrato, né patrono, ma forse un predecessore dei curatores rei publicae18 che già in epoca traianea, con questo nome, si occuperanno delle città italiche19. È possibile che la figura del curator derivi dall’inquadramento più preciso di tali messi imperiali ancora privi di titolo e chiamati solo in caso di necessità: il perdurare dello stato di necessità renderà questi inviati più frequenti (sebbene non fissi) e titolari di precise funzioni.

Da rigettare, invece, mi pare l’opinione di Gabba20 che, oltre a datare a un’epoca più alta l’iscrizione, non vi vede un momento di difficoltà, ma al contrario disponibilità di denaro investito in prestiti e una certa immigrazione libertina che fa di Vardacate una meta attraente. A mio avviso, se pure si può negare il ruolo imperiale di Clodius Secundus, mi pare inverosimile che una città prospera richieda un parere finanziario all’imperatore in persona.

Secondo me, è importante considerare che la situazione di difficoltà si riscontra in un piccolo centro dal nome oscillante tra Vardacate e Vardagate, collocabile con qualche incertezza sul sito dove sorge oggi Casale Monferrato o Terrugia, insomma una città decisamente secondaria, nel numero di quelle che nelle epoche successive21 perdono lo stesso status di città ed iniziano tale decadimento già in epoca alto imperiale22, tanto che, secondo alcuni, l’autonomia cittadina non sopravvive al III secolo23, verso la metà del quale è attestato un curator rei publicae24, conferma del perdurare dello stato di

16 Per Mennella e Zanda la struttura della titolatura e la paleografia pongono il rescritto entro la fine del I

secolo d.C. SupplIt 13 Vardacate n. 1 p. 242.

17 CIL V 6659 attesta un P Valerius Silo Clodius Lucretius Secundus senatore della vicina Vercellae

vissuto tra I e II d.C. forse identificabile col nostro o suo parente.

18 HARRIS 1981, pp. 346-348. Nella Tabula Clesiana di età tiberiana si trova un inviato imperiale

definito amicus et comes dell’imperatore in una situazione paragonabile a quella di Vardacate. CIL V 5050 = ILS 206.

19 La Giorcelli suggerisce con molta cautela la possibilità che Clodius sia un eminente concittadino

coinvolto in una sorta di stasis locale e l’epigrafe erasa di Moncalvo (SupplIt 13 Vardacate n. 3 p. 244, tuttavia databile secondo Mennella e Zanda entro il II secolo) potrebbe esserne un indizio: tale iscrizione funeraria presenta il nome del defunto eraso a mo’ di damnatio memoriae, la stele è stata volontariamente rotta e i pezzi dispersi, mentre il corredo non è conservato. GIORCELLI 1987, pp. 39-40.

20 GABBA 2000.

21 È indicativa la perdita del toponimo, forse sostituito in epoca medievale con Sedula. 22 GIORCELLI BERSANI, 1997, pp. 23-45.

23 MENNELLA, ZANDA 1994, p. 237. 24 CIL V 4484.

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difficoltà; l’intera zona potrebbe, poi, risentire della decadenza dei traffici fluviali causata dallo spostamento naturale degli alvei25, e della ristrutturazione dei percorsi viari in età tardoantica che penalizzano Vardacate subordinandola a Industria26; inoltre nel centro urbano le testimonianze numismatiche non superano l’età di Costantino, mentre i reperti funerari presso le chiese di S. Evasio e di S. Maria fanno pensare ad un abbandono dell’abitato già in epoca precedente27. Forse Vardacate è una di quelle città di troppo, che sono destinate a soccombere all’interno di quello che Marrazzi28 chiama network sovradimensionato delle città italiche: la penisola sede della capitale è costellata di un numero eccessivo di centri cittadini autonomi che, se pure mostrano la grandeur dell’impero, non hanno le basi fondiarie, demografiche ed economiche per reggere se stesse29. L’attenzione verso la situazione economica, può essere vista ancora in alcuni provvedimenti nerviani come la fusione delle statue di Domiziano30, la vendita di beni di lusso e immobili appartenenti alla casa imperiale e al proprio patrimonio personale, nonché l’abolizione di alcuni spettacoli31; tali misure di austerity si accordano perfettamente con la commissione senatoria per la distribuzione delle terre32 di cui fa parte Correlius Rufus33 e con le disposizioni ricordate da Aurelio Vittore: riduzione delle tasse, risanamento delle città devastate, allevamento a spese pubbliche dei bambini e delle bambine delle città italiche34. La risposta di Nerva nei confronti

25 MENNELLA, ZANDA 1994, p. 237. 26 SupplIt 13 Vardacate n. 2 p. 242.

27 GIORCELLI BERSANI, 1997, pp. 43-44.

28 MARAZZI 2003. Forse si potrebbe pensare che siano state fondate molte città per agevolare la

romanizzazione di tale area periferica, ma esse erano troppe numerose per sopravvivere. La fondazione della città può essere collocata nel 124-123 a.C. all’interno del piano di conquista della regione portato avanti dal console M Fulvio Flacco, a cui si dovrebbero anche le fondazioni di Forum Fulvi, Pollentia,

Hasta, Carreum Potentia, Industria .

29 Un ulteriore indizio che incoraggerebbe, a mio avviso, la datazione a fine I secolo, potrebbe essere la

presenza nel territorio di Hasta (secondo Supplementa Italica 10 Hasta – Ager Hastienis 1992), o nell’ager di Vardacate (secondo Mommsen) di un prefetto iure dicundo dell’imperatore Traiano che ricopre anche il flaminato di Vespasiano, Nerva e Traiano: da una parte il duovirato onorifico e dall’altra il sacerdozio imperiale di Nerva e suo figlio Traiano potrebbero avvalorare dei legami personali tra il primo imperatore antonino e l’area piemontese, magari attraverso qualche illustre personaggio del tenore di Clodio destinatario del rescritto di Vardacate: il prefetto locale appartiene all’ordine equestre ed è giudice delle decurie, appartiene a una famiglia che si è affermata a Roma e non è da escludere una sua vicinanza alla Domus Augusta, SPADONI 2004, p. 198. Inoltre tale magistratura potrebbe essere letta come un onore conferito all’imperatore che ha dato gli alimenta a Industria, il cui bacino di recupero dei crediti potrebbe agevolmente arrivare sia ad Hasta che a Vardacate. Si veda CIL V 7458.

30 Dio Cass. LXVIII 1, 1. 31 Dio Cass. LXVIII 2, 2-3. 32 Dio Cass. LXVIII 2, 1. 33 Plin. Ep. VII 31, 4.

34 Iste quicquid antea poenae nomine tributis accesserat indulsit; afflictas civitates relevavit; puellas

puerosque natos parentibus egestosis sumptu publico per Italiae oppida ali iussit. Ps. Aur. Vict. Caes.

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delle città è molto evidente e, anche se l’ubicazione di tali centri e i metodi per salvaguardarli non sono affatto chiari, nel loro numero certamente si può considerare la spesa pubblica destinata ai fanciulli: qualcosa che assomiglia molto a quello che saranno gli alimenta traianei. È da sottolineare che i ragazzi beneficati sono esclusivamente italici e questo potrebbe denotare un chiaro interesse non solo per l’infanzia, ma anche per le città della penisola. Certo la notizia dei provvedimenti per i fanciulli da parte di Nerva si trova soltanto nell’Epitome de Caesaribus, però non per questo è da rifiutare35: non bisogna vedere nell’iniziativa di questo imperatore l’avvio sistematico degli alimenta, ma una misura non sistematica di supporto all’infanzia italica, che ha dei precedenti in atti evergetici privati36, e che si inserisce in una nuova gestione del rapporto tra Roma e Italia. Forse qualche cenno a tale iniziativa potrebbe essere individuato nelle epistole di Plinio37, ma l’esempio del divus pater tuus che ha spinto tutti i cives alla munificenza38, non può essere considerato più che un’ulteriore conferma dell’interesse di Nerva verso l’evergetismo nelle città: vedervi un richiamo agli alimenta è una forzatura, considerando poi il contesto celebrativo dell’epistola39. Tuttavia, va considerata l’importanza degli atti evergetici privati che hanno dato alla munificenza imperiale uno strumento già collaudato per intervenire là dove le difficoltà emergono e vengono poste all’attenzione del principe: già nel I secolo sono attestate fondazioni alimentari private40, che, utili e gradite, possono di certo fornire un modello importante per gli interventi molto generosi del principe. Interventi, che molto ragionevolmente, in una fase iniziale, non sono ancora su larga scala.

Se le fonti lasciano aperti alcuni interrogativi per l’epoca di Nerva, per l’impero di Traiano invece gli alimenta sono una realtà ben definita, che si inserisce in un quadro organico di gestione delle criticità italiche. Nonostante già in epoca nerviana emergano delle difficoltà a livello cittadino e l’imperatore, con rescritti e finanziamenti, cerchi di porre personalmente rimedio, è ora che maturano i presupposti per la realizzazione di misure finalizzate a salvaguardare le casse municipali e l’élite dirigente locale.

35 CAO 2010, pp. 25-40.

36 CIL X 5056.

37 Plin. Ep. I 8, 10; VII 18, X 8, 1.

38 Plin. Ep. X 8, 1. Visto anche il contesto che parla di privati che abbelliscono la città. 39 Plinio vuole raccogliere in un tempio presso Como le statue degli imperatori.

40 CIL X 5056 = ILS 977; AE 1972 118;CIL XI 1602; CIL XIV 350 = 4450; CIL X 6328 = ILS 6278.

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3. Scopo e destinatari degli alimenta

Allo stato attuale degli studi possiamo escludere che gli assegni alimentari siano sistematicamente distribuiti in tutte le città d’Italia, ma al contrario si trovano soltanto in alcuni centri, che ne hanno lasciato testimonianza, ovvero iscrizioni che riportano un cursus nel quale si trova la funzione di quaestor alimentorum41 e, per l’Italia del nord, nel caso fortunato di Veleia, la tabula bronzea ufficiale con il numero dei beneficiari, di coloro che hanno contratto i prestiti e delle terre date in garanzia42.

A questo punto, mi pare molto interessante, prima di interrogarsi sulla scelta di certe città invece che altre, cercare di capire più in generale lo scopo degli alimenta. La valenza umanitaria, che apparentemente emerge dalle fonti43, non è certo fine a se stessa, ma è verosimile credere che dietro all’istituzione di tali assegni di mantenimento ci fosse la volontà di raggiungere un risultato concreto, soprattutto se si tiene conto del contesto romano dove l’intento utilitaristico è sempre intrecciato a ogni atto pubblico e dove la carità cristiana non ha ancora contaminato l’evergetismo44.

Partendo dal convincimento che i destinatari dell’operazione siano i fanciulli45 e non i proprietari terrieri che ottengono prestiti agevolati46, è necessario riflettere sul vantaggio che l’imperatore e l’impero possono avere dal mantenimento di svariate centinaia di bambini italici47.

Secondo Duncan-Jones, i bambini coinvolti in totale non sono numerosissimi, per cui l’agricoltura non può esserne beneficata, quindi, lo scopo degli alimenta è stimolare la

41 In Italia del nord: per Industria CIL V 7468 = ILS 6745; per Ticinum Suppl it 9 1992 Ticinum p. 257 n.

3; per Brixia SupplIt 8 1991 Brixia p. 220 n. 22; per Acelum CIL V 8808; per Ariminum CIL XI 416, 417 = ILS 6661.

42 CIL XI 1147 = ILS 6675, CIL XI 1149, CIL XI 1151

43 Dio Cass. 68, 5; HA Hadr., VII, 8-11. Si pensi anche all’iconografia monetale. BMC 872, ANS 1001.

1. 23070, ANS 1958.214.13 ; BMC 404.

44 Per un caso di evergetismo pagano contaminato dall’ideale cristiano di carità si deve arrivare al IV

secolo: si pensi, per esempio, all’episodio narrato da Ammiano nel quale il pagano Ceionio Volusiano è protagonista di elargizioni a favore esclusivamente dei poveri del Vaticano, ponendosi nella scia delle donazioni di tipo cristiano. Si veda: AMM. XXVII, 3, 6.

45 Che i destinatari degli alimenta siano i fanciulli emerge chiaramente dal confronto con le fondazioni

private, che sono modello o imitazione di quelle imperiali: in nessuna istituzione evergetica privata di tale tipo sono previsti prestiti, quindi la munificenza è unicamente espressa con gli assegni familiari. Di conseguenza, il prestito e le sue conseguenze non sono altro che un corollario positivo dell’azione imperiale e di certo non il fine principale.

46 Differentemente da quanto pensa Rostovtzeff, SEHRE (nota 2) 199. Nelle fonti letterarie,

numismatiche, giuridiche, epigrafiche sono sempre pueri e puellae i riferimenti costanti degli alimenta: a mio avviso i prestiti agevolati e i conseguenti benefici per i proprietari non sono altro che corollari positivi.

47 I bambini della tavola di Veleia sono in totale 300 (nella prima fase 18 figli legittimi e una figlia

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demografia, più che combattere la povertà48. Lo Cascio pensa, invece, che le finalità economiche e demografiche siano collegate: gli alimenta dovrebbero avere principalmente lo scopo di risollevare le sorti dell’agricoltura italica stimolandone la produttività attraverso i prestiti ai proprietari, e contemporaneamente, attraverso la produttività agraria, migliorare le condizioni di vita della popolazione e combattere lo spopolamento delle campagne49; per tale studioso la preponderanza della finalità agricola è testimoniata dalla gran densità di città beneficate nel centro Italia: questa presenza andrebbe collegata alle necessità del mercato granario della capitale50. Tale spiegazione è debole: per la città di Roma non è vantaggioso investire tanto per ottenere qualche rifornimento da città distanti in relazione ai mezzi di trasporto dell’epoca. Patterson invece sostiene che la finalità degli alimenta sia demografica e legata alla crisi agraria che colpisce alcune aree d’Italia nel II secolo; l’imperatore cioè desidera incrementare il numero dei coltivatori e contemporaneamente dare reclute all’esercito51. In parte più originale è l’interpretazione di Criniti che, se da una parte continua a vedere negli alimenta un’iniziativa volta a incrementare le nascite dell’Italia ingenua, per così garantire un bacino più ampio a cui attingere i quadri di burocrazia e esercito52, dall’altra considera i prestiti concessi ai medi e grandi proprietari terrieri come un premio elargito clientelarmente dall’imperatore Traiano ai gruppi che favoriscono e sostengono il potere del principe53.

Queste ipotesi, pur nelle loro diverse interpretazioni del fenomeno, individuano tutte negli strati più deboli i destinatari degli alimenta. Tale destinazione, però, crea difficoltà per quanto riguarda sia i soldati che gli agricoltori. Infatti, la presenza di soldati italici nel II secolo non è visibilmente favorita dagli assegni traianei54, ma soprattutto è difficile pensare che l’esercito abbia la necessità di reclutare leve nella penisola55,

48 DUNCAN-JONES 1965, pp. 315-319.

49 L’immunità del suolo italico è, per Lo Cascio un privilegio ma anche un disincentivo alla produzione,

ragion per cui l’approvigionamento dell’enorme capitale grava sulla province e sul fisco; cercare di cambiare la situazione attraverso l’assegnazione di terre non ha avuto successo al tempo di Nerva, mentre sarebbe molto impopolare abolire le frumentationes: per questi motivi Traiano mette in atto una soluzione ingegnosa che obbliga i proprietari a produrre abbastanza per pagare le usurae e guadagnare, e al contempo può finanziare gli assegni per i bambini poveri. LO CASCIO 1978, pp. 115-118.

50 LO CASCIO 1978, pp. 339-342. 51 PATTERSON 1987, pp. 129-133. 52 CRINITI 1991, pp. 262-263. 53 CRINITI 1991, p. 266.

54 PATTERSON 1987, p. 129. Si veda anche BURNAND 2000, studio specifico sui legionari della

Transpadana, che si mostrano in rapida e costante diminuzione dalla fine del II secolo d.C.

55 Lo Cascio ritiene che le fonti non facciano in nessun modo trapelare l’idea che gli alimenta abbiano lo

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quando ha a disposizione il resto dell’impero, senza bisogno di organizzare i costosi e complessi alimenta56. Inoltre il fatto stesso che gli assegni siano dedicati anche alle bambine, a mio avviso, elimina del tutto la possibilità che gli alimenta siano destinati ai futuri soldati57.

Per quanto riguarda l’ipotetico aiuto allo strato basso, è inverosimile che l’evergetismo imperiale si sia impegnato in un’operazione così complessa per aiutare i più poveri: la stessa munificenza municipale si distribuisce in maniera gerarchica apportando maggiori benefici agli strati più alti della società, come è attestato da iscrizioni che ricordano atti, non a caso, di distribuzione di denaro e prodotti alimentari diversificate per decuriones, sexviri, collegiati e populus58. Di conseguenza è più facile pensare che Traiano non abbia pensato agli indigenti, alla parte più povera della popolazione cittadina o rurale, ma addirittura mi pare improbabile che i destinatari siano gli abitanti delle campagne: la netta separazione antica tra città e campagna ha reso spesso difficile per le élite dirigenti la gestione e addirittura il controllo della vita dei campi, si pensi ad esempio per epoche posteriori al ritardo della cristianizzazione delle aree rurali, avviato sistematicamente solo nel V secolo59, sia per difficoltà logistiche sia per disinteresse da parte del gruppo dirigente. Di conseguenza pare improbabile che nel II secolo la campagna sia considerata degna di una tale attenzione. Ancora, investire così tanto denaro per favorire un gruppo composito, numeroso e poco inquadrato come quello dei contadini può essere davvero rischioso e gli stessi sesterzi investiti troppo scarsi per poter davvero portare beneficio. Inoltre anche la presenza di numerosi saltus60 nella tabula di Veleia fa pensare che i contraenti dei prestiti non abbiano migliori possedimenti da dare in garanzia e che probabilmente una certa parte dei terreni intorno alla città non siano messi sistematicamente a coltura, di conseguenza è difficile pensare che si cerchi di favorire i lavoratori di un’agricoltura così secondaria tra le svariate zone

Inoltre gli elenchi dei legionari conservati mostrano pochi italici al tempo di Traiano, mentre essi si trovano comunemente tra i pretoriani, corpo particolare. DUNCAN-JONES 1965, p. 316.

56 Inoltre come osserva la Cao, anche i rilievi dell’arco di Benevento spingono verso un’interpretazione

che non esalta la funzione militare: Traiano appare sempre in abiti civili e non si ricava alcun nesso con la coeva iconografia delle guerre daciche. CAO 2010 p. 287.

57 Sulla scia dei primi alimenta durante il II secolo ci saranno fondazioni alimentari dedicate

esclusivamente alle fanciulle come le puellae alimentariae Faustinianae di Antonino Pio e le novae

puellae Faustinianae create da Marco.

58 Si veda ad esempio CIL V 7905, 7920.

59 Si pensi alla vicenda dei martiri della Val di Non, datata al 397; è un esempio dei primi tentativi di

evangelizzazione del mondo extra-urbano e il fatto stesso che la vicenda si concluda tragicamente è indice di quanto le popolazioni rurali non siano abituate a tali tipi di ingerenza e non li gradiscano.

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d’Italia61. Inoltre, la stessa base cittadina su cui si articola tutta l’organizzazione non può che essere indicativa; certo, è difficile pensare a un diverso tipo di logistica che prescinda dagli organi cittadini, in una parte dell’impero, tra l’altro, priva di circoscrizioni intermedie, ma senza dubbio gli alimenta non sono rivolti ad un’area costituita da più municipi o tanto meno ad un’area geografica eterogenea (le circoscrizioni alimentari invece appartengono a questo tipo abbastanza vago, sebbene in parte giustificato dal punto di vista logistico-amministrativo62), ma ad unità cittadine. Ciò è ricavabile dalla tabula di Veleia che non dice esplicitamente che pueri e puellae alimentarii sono residenti presso questa città e qui soltanto, ma che comunque mostra beneficata solo quella comunità; questa esclusività si può ricavare osservando i numerosi contraenti dei prestiti che provengono da altri centri come Piacenza63 e Parma64, ma anche dalle distanti Lucca65 e Libarna66; vista la loro presenza è facile ipotizzare che l’iniziativa degli alimenta riguardi esclusivamente la città di Veleia: da una parte la tavola si trova in questa città e quindi è ragionevole che i fanciulli beneficati siano residenti in questo territorio, dall’altra i proprietari che ottengono il prestito vengono da altre comunità confinanti, quindi le loro città non presentano iniziative simili, e se si pensa poi al caso dei coloni Lucenses che collettivamente contraggono un prestito67, sembra difficile prevedere un’iniziativa alimentare nella loro colonia. Se esistessero degli assegni per i bambini di Lucca o Libarna, esisterebbero altre tavole in cui sarebbero registrati i prestiti dei residenti in queste città; visto che invece i confinanti acquistano il debito veleiate si può stabilire che solo lì sia possibile partecipare all’iniziativa e solo lì siano distribuiti gli interessi ai bambini. Quindi la base

61 In particolare si noti che nella seconda fase della tabula (107-114 d.C.) sono presenti quattordici

obligationes che presentano, tra le diverse garanzie, dei saltus: tra tali obligationes dodici mostrano saltus

collocati nel territorio di Veleia (obligatio 2, I 28; obligatio 5, I 93; obligatio 6, I 93; obligatio 7 I 100;

obligatio 9, II 9; obligatio 14 II 92; obligatio 16, III 31; obligatio 17, III 55, 59, 71-72, 75 aree

compascuali; obligatio 25, IV 85 aree compascuali; obligatio 28, V 9-10 aree compascuali; obligatio 30, V 41; obligatio 39, VI 40; obligatio 43, VI 65-73 ) solo una presenta unicamente saltus collocati in un territorio diverso da quello di Veleia (obligatio 13, II 64;). Sono date in garanzia anche delle silvae ancora nel territorio veleiate (obligatio 1, l, 2) e un’altra nel piacentino (obligatio 22, IV 44).

Per la prima fase (102 c. d.C.) possediamo cinque obligationes e tutte presentano, tra le terre date in garanzia, saltus collocati nel territorio di Veleia (obligatio 47, VII 39; obligatio 48, VII 45; obligatio 49, VII 51; obligatio 50, VII 54; obligatio 51, VII 57). L’alta percentuale di saltus dati in garanzia è stata sottolineata anche, sebbene con altri intenti, da CRINITI 1991, p. 267.

62 I praefecti alimentorum soprintendono aree molto spesso legate alle vie consolari e la cura di strade e

alimenti spesso si intreccia. ECK, 1999, pp. 161-162, 186-191.

63 Per esempio gli Aebuti, gli Albi, gli Appi, i Cassi, i Clodi, i Coeli, i Petroni, i Veturi. DAL CASON

1997, pp. 571-572.

64 Per esempio i Flavi e i Petroni. DAL CASON 1997, pp. 571-572.

65 Per esempio i Flavi, Afrania Musa e Afranius Priscus. DAL CASON 1997, pp. 571-572. 66 Per esempio gli Atilii e gli Atti. DAL CASON 1997, pp. 571-572.

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degli alimenta è senza dubbio cittadina e non coinvolge aree più ampie, visto che le città vicine non godono di tale beneficio; pensare che coinvolga solo le aree rurali senza toccare la comunità urbana è poco accettabile. Di conseguenza una tale organizzazione su base cittadina, non può non prendere in considerazione la città e i suoi abitanti, e, tenuto conto della mentalità antica, considera probabilmente solo gli abitanti della città. Ancora, bisogna tener conto che le fonti letterarie generalmente non citano gli alimenta come un sussidio per i poveri68; l’unica testimonianza che va in questo senso è l’Epitome dove troviamo puellas puerosque natos parentibus egestosis sumptu publico per Italiae oppida ali iussit69, quindi un preciso riferimento alle famiglie povere. Tale particolare70, però, va contestualizzato: la stesura dell’opera è molto più tarda e l’epitomatore può essere stato condizionato da coeve misure cristiane, quelle sì, volte a famiglie indigenti per evitare l’uccisione e la vendita dei neonati71. Né il paragone con le frumentationes della città di Roma deve portare fuori strada nella comprensione del fenomeno: in questo caso si tratta di distribuzioni gratuite di cibo alla folla urbana che stanzia a Roma senza particolari mezzi per vivere e sono una dimostrazione tradizionale di grandezza della capitale.

Ancora l’arco di Benevento, che ritrae l’imperatore Traiano nell’atto di distribuire gli alimenta ai bambini locali e ai loro genitori, non mostra persone chiaramente appartenenti a strati contadini o bassi72, ma bambini in braccio alle madri, sulle spalle dei padri o, i più grandicelli, in piedi. Infine possono essere utili a comprendere i destinatari degli assegni alcune testimonianze epigrafiche che consistono in atti di ringraziamento da parte dei pueri et puellae alimentarii di varie città italiche nei confronti di Traiano e dei suoi successori per aver concesso o rinnovato i benamati alimenta73: è chiaro che non siano i fanciulli in persona ad aver ordinato questi atti, né appaiono indicazioni che mostrino un’iniziativa della plebs74 o una richiesta a furor di

68 Comunque nell’accezione antica si può vedere nei poveri uno strato non povero che abbandona i propri

neonati per concentrare i propri sforzi educativi e patrimoniali su pochi figli. VEYNE 1986, p. 5.

69 Ps. Aur. Vict. Caes. XII, 4. 70 CAO 2010, p. 32.

71 C.Th. 11, 27, 1-2. 72 VEYNE 1960.

73 Una statua per Traiano ad Ameria CIL XI 4351, un’iscrizione per Traiano da Auximum CIL IX 5825,

una statua per Adriano a Tifernum Mataurense CIL XI 5989 = ILS 328; una statua ad Antonino Pio CIL XI 5956 e una statua per il Cesare Marco Aurelio CIL XI 5957 a Pitinum Mergens; una statua per Antonino Pio a Cupra Montana CIL IX 5700; una statua ancora per Antonino Pio a Sestinum CIL XI 6002; una dedica a Marco Aurelio da Ficulea CIL XIV 4003. Sulle dediche da parte dei pueri e puellae

alimentari si veda anche PACI 2011.

74 In CIL XI 5395 da Assisi i pueri e le puellae onorano questa volta non un imperatore, ma un magistrato

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popolo75, di conseguenza la soluzione più semplice è vedere in tali statue e in tali iscrizioni un’iniziativa della città e cioè della curia76 che ringrazia l’imperatore per un bene che essa stessa ha ricevuto.

A mio parere, infatti, gli alimenta hanno l’esito di rafforzare non l’esercito né le schiere di contadini ma di rafforzare la curia e la città in quanto strumento di amministrazione delegata dell’impero.

Un’interessante ipotesi è stata presentata da Francesca Dal Cason77, che vede negli assegni alimentari un incentivo alla natalità non degli strati basse, ma bensì dei curiali, che vivrebbero una forte crisi nelle città a cui vengono destinati gli alimenta. La studiosa riesce a delineare un quadro convincente dell’impoverimento dei gruppi dirigenti della città di Veleia e della comunità dei Liguri Bebiani, che sono poco presenti tra i proprietari che ricevono i prestiti registrati nelle tavole alimentari78. La marginalità numerica dei contraenti originari delle città beneficate mostrerebbe, quindi, l’incapacità di quelle élites locali di affrontare in modo adeguato i doveri curiali e di conseguenza la necessità di aiutare tale gruppo con gli assegni familiari. Il lavoro riesce a dimostrare che la situazione economica dei due centri non è florida79 e da qui parte per proporre una motivazione alternativa rispetto a quanti vedono gli alimenta legati alla crisi agraria80. Se pure l’autrice riesce a mostrare un quadro di debolezza per quanto riguarda i possidenti della città, tende a concentrarsi eccessivamente sul versante dei

mentre lo spazio del monumento viene concesso da un decreto della curia. Se pure siamo di fronte a un’iniziativa privata realizzata attraverso una colletta, non si può dedurre che i parentes appartengano a uno strato particolarmente indigente visto che possono permettersi tale dedica e forse possono essere legati per interessi alla curia, visto che ne viene celebrato uno dei massimi membri, un quattuorvir iure

dicundo, e la stessa curia concede uno spazio pubblico.

75 Mancano espressioni che si riferiscano esplicitamente alla popolazione come si possono trovare in:

SupplIt 17 1999 Alba Pompeia p. 74 n. 3, in cui una dedica a Settimio Severo viene fatta da [decuriones

e]t plebs [urbana]; in SuppIIt 22 2004 Bellunum p. 231 n. 9 in cui plebs urbana patrono|ob mirata|statuam a plebe oblatam; o ancora CIL V 1979 in cui si dice esplicitamnete populo dedit; o CIL V

1878 dove la plebe fa una dedica.

Si noti, poi, che tali situazioni non includono gli abitanti delle campagne, che tuttavia possono essere registrati esplicitamente come per esempio in CIL V 7482 dove insieme plebe rustica e urbana fanno una dedica.

76 Si veda la dicitura ex s(enatus) c(onsulto) in CIL XI 4351. 77 DAL CASON 1997.

78 Tale studio è stato realizzato attraverso il confronto tra i gentilizi registrati nelle tavole e quelli attestati

epigraficamente nelle varie località; inoltre è stato tentato un confronto tra la situazione fondiaria di età traianea e quella delle epoche precedenti basandasi sui toponimi prediali, che secondo VEYNE 1957 e DE PACHTÈRE 1920 sono stati assegnati nel 13 a.C. nel census organizzato da Augusto e ricordato da Dio Cass. 56, 28, 4-6 .

79 La stessa attestazione di alimenta mostra, in maniera difficilmente discutibile, una situazione di

difficoltà. Tale organizzazione va al di là della pura manifestazione del favore imperiale e rientra in un’ottica di gestione dei problemi, all’interno di una dialettica tra città e imperatore.

80 CRINITI 1991 p. 262 tanto per citare un lavoro che cita le varie opinioni in proposito di demografie

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prestiti e quasi per nulla su quello degli assegni di mantenimento e sui loro destinatari. A mio avviso, non basta stabilire che il gruppo curiale sia in difficoltà per garantire che ha ì l’istituzione alimentare serva per tutelarli: in fondo un’economia che vede l’élite in difficoltà può avere anche altri strati sociali bisognosi e l’analisi della Dal Cason non giustifica pienamente la scelta dei curiali come strato da sostenere. Sebbene sia condivisibile pensare alle città italiche come entità che si trovano in una situazione critica, le stesse argomentazioni iniziali che vorrebbero appoggiare l’idea di una crisi cittadina, sono, a mio parere, condivisibili solo in parte e non giustificano il vero fulcro innovativo della teoria, cioè la destinazione degli assegni ai figli dei curiali. L’autrice sostiene che la presenza dell’incarico di curator annonae nelle stesse città in cui ci sono gli alimenta, e nei cursus locali di persone insignite della quaestura alimentorum è conferma dello stato di decadenza in cui versano i notabili cittadini riluttanti a ricoprire le magistrature81; la presenza di cariche extra cursus e munus particolari è spesso interpretata come carenza di candidati spontanei82 e mi pare condivisibile tale ricostruzione: la presenza aggiuntiva di un curatore dell’annona farebbe pensare all’impossibilità di trovare degli edili o dei quattuorviri aedilicia potestate che si occupino dei rifornimenti per la città. Tale carica, però, non è attestata nelle città alimentarie del nord Italia e, in generale, si trova un’unica volta per la città di Verona un procurator sacrae annonae la cui funzione non è chiara83. La Dal Cason, poi, sostiene, giustamente, che nella mentalità gerarchica degli antichi anche le distribuzioni rispettano l’ordo salutationis, e sarebbe impensabile un finanziamento che escluda i figli dei notabili84; tale punto, però, non è del tutto accettabile, visto che dalle tabulae non emergono gerarchie sociali tra i pueri alimentarii, se si fa eccezione dei pochissimi illegittimi85. Decisamente debole mi pare, poi, il confronto tra un’iscrizione di ringraziamento e lode per gli alimenta traianei da Ferentinum86 e il Senatusconsultum

81 Punto 2 in DAL CASON 1997 p. 536. 82 Per esempio MOLLO 2000 p. 97. 83 SupplIt Brixia p. 203 n. 3

84 Punto 4 in DAL CASON 1997 p. 537.

85 Se si considera, poi, il numero complessivo di 281 bambini per la seconda parte dell’operazione a

Veleia, mi sembra difficile pensare che ci siano così tante famiglie di estrazione curiale. Infatti, ritengo, in accordo con Duncan-Jones, che ogni famiglia tendenzialmente possa affiliare all’iniziativa alimentare solo un figlio o due, visto che questo spiegherebbe perfettamente la schiacciante maggioranza di bambini maschi: la famiglia preferisce candidare il maschio che ha diritto a un numero superiore di sesterzi e per un numero maggiore di anni. Di conseguenza pensare a 281 curiali (279 tolti gli spurii) o anche solo la metà, mi pare eccessivo, anche tenendo conto della tendenza delle curie a possedere cento membri e alla scarsa fertilità dei matrimoni degli strati superiori.

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Hosidianum87, in cui si trova un’espressione simile riferita alla tutela degli edifici e quindi del decoro cittadino da parte dell’imperatore Claudio88. Infine89 interessante, ma a mio avviso mal contestualizzata e mal sfruttata, è la nota epistola di Plinio che loda la generosità del prosuocero Fabato nel manumettere i suoi schiavi90: secondo l’autrice i liberti sarebbero diventati augustali che con le loro summae honorariae avrebbero affiancato i curiali nel mantenimento della città. Bene, tale analisi mi pare molto calzante, ma a mio avviso questo stesso ragionamento deve spingere a risultati diversi: a Plinio così come a Traiano non preme rafforzare i curiali già in carica, ma allargare e arricchire quella parte di popolazione cittadina, che si trova immediatamente al di sotto dei decurioni e che rappresenta il bacino dal quale singoli e famiglie possono emergere ed entrare nella curia e nella gestione magistratuale del centro urbano. La tendenza dei curiali a entrare negli ordini superiori, l’estinzione delle loro famiglie sempre possibile, i rovesci di fortuna o gli impoverimenti, e, in generale, l’esigenza di distribuire gli onerosi doveri municipali tra una schiera più ampia di papabili, crea l’esigenza di preparare un futuro gruppo dirigente che affianchi il vecchio e ne integri ricchezza e disponibilità.

Il limite dell’articolo della Dal Cason, a mio avviso, sta proprio in questo: si propone una tesi nuova e molto interessante, ma si crede di averla giustificata dimostrando che l’élite locale si è impoverita. Questo fatto da solo non confuta la possibilità che i destinatari siano i poveri di altri strati cittadini o rurali, visto che la congiuntura potrebbe coinvolgere l’intera popolazione, né lo stesso impoverimento è garanzia di decadenza delle élite: dallo studio emerge che a Veleia anche alcune famiglie locali sono coinvolte, sebbene in misura minore rispetto ai proprietari forestieri, nella concentrazione terriera91, fatto che mostra la presenza di benestanti92. A mio avviso, il problema a cui gli alimenta potrebbero voler dare risposta non è un banale abbassamento della ricchezza dei curiali da collegare alle varie testimonianze di haesitatio, ma un cambiamento più profondo della compagine urbana, che rischia di

87 Si veda anche LO CASCIO 1978, p. 316. 88 Punto 3 in DAL CASON 1997, p. 537. 89 Punto 1 in DAL CASON 1997, p. 536. 90 Plin. Ep. VII 32.

91 DAL CASON 1997, p. 565.

92 Molto condivisibile è l’opinione di Werner Eck che confuta quella di Duncan-Jones, secondo il quale ai

curiali non è possibile contrarre i debiti alimentari, imposti invece forzosamente a proprietari estranei alla curia, che, non gravati dagli oneri curiali, possono più facilmente onorare il debito. Tale tesi non è ammissibile perché in questo modo i proprietari che contraggono il debito sarebbero esclusi dai papabili per la curia, con grave danno per la città. ECK 1999, pp. 180-182. Si veda anche Plin. Ep. X 54 e 55.

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inceppare il meccanismo della città: le città libere e autonome della penisola italiana mostrano che la loro eccessiva autonomia inizia a essere nociva per loro stesse, infatti, può portare a crisi finanziarie come nel caso di Vardacate, mentre in altri casi si ha difficoltà a reclutare magistrati. A mio avviso, tutto ciò accade, non perché non esistano nelle città persone abbastanza ricche da sostenerne gli onori, ma perché, da una parte, si creano dei dislivelli di ricchezza tra pochi grandi proprietari e molte famiglie minori93, e dall’altra, qua e là già nel II secolo, i notabili non vogliono investire somme consistenti per ottenere un riconoscimento che non serve loro o che già hanno94. Inoltre le comunità possono essere indebolite dal salto in senato della loro aristocrazia municipale, che lascia un vuoto nella curia e si disinteressa della città che precedentemente ha arricchito con gli evergetismi95.

Inoltre, la destinazione degli alimenta ai curiali trova una difficoltà nell’inclusione tra i beneficiari anche di spurii e spuriae, cioè figli illegittimi. Certo il corpus giustinianeo riporta la possibilità per i nati fuori dal matrimonio di entrare nel senato locale, ma tali disposizioni sono da collocare in epoche successive, come è dimostrato dai giuristi che le riportano96; inoltre, tale risposta data dai divi fratres al governatore della Bitinia colloca in ambito provinciale questa disposizione. Di conseguenza, la tesi della Dal Cason mi pare indebolita da questa presenza, che, seppure minima97, rende difficile pensare a un foraggiamento dei decurioni in carica per confermare la presenza dei loro figli nella curia98.

Di qualche interesse può essere un’iscrizione di età antonina che attesta una fondazione alimentare privata presso Ostia99: per decreto dei decurioni viene onorata una donna che ha lasciato alla città un ingente capitale, dalla cui rendita ricavare alimenta per cento

93 Questo sembrerebbe il caso di Veleia.

94 Nel corso del II secolo, spenderà di più chi deve riscattarsi e ottenere un ruolo più prestigioso nella

città. Si veda per esempio a Trieste In It X 4, 31.

95 PATTERSON 1987, pp. 142-144.

96Dig. 50.2.3.2 Ulp. 3 de off. procons. Spurios posse in ordinem allegi nulla dubitatio est: sed si habeat competitorem legitime quaesitum, praeferri eum oportet, divi fratres Lolliano Avito Bithyniae praesidi rescripserunt. cessantibus vero his etiam spurii ad decurionatum et re et vita honesta recipientur: quod utique non sordi erit ordini, cum ex utilitate eius sit semper ordinem plenum habere.

Dig. 50.2.6 pr. Papinianus 1 resp. Spurii decuriones fiunt: et ideo fieri poterit ex incesto quoque natus: non enim impedienda est dignitas eius qui nihil admisit.

97 Si pensi che nella Tabula di Veleia sono riportati soltanto due casi: uno spurius e una spuria. Entrambi

sono registrati nella praescriptio recens, che tuttavia è databile tra 107 e 114 d.C., quindi molto prima dell’attività di Papiniano. L’inclusione di questa categoria di fanciulli è probabilmente da legare alle maggiori risorse messe in campo nella seconda tranche di assegni alimentari veleiati (nella prima fase sono beneficati 30 bambini, nella seconda 281).

98 Il fatto che siano pochi è forse collegato a una certa marginalità sociale che tali fanciulli e le loro madri

possono avere all’interno della vita civica.

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puellae, ma anche ludi nel mese di maggio e cenae per i decurioni tre volte l’anno100. In questo caso, quindi, si trova citata la categoria dei decurioni a fianco alle puellae come espliciti beneficiari di una fondazione, a causa della loro preminenza gerarchica; neanche qui, però, si può pensare che gli assegni alimentari siano diretti al gruppo curiale, anzi il fatto che i curiali vengano esplicitamente citati per i banchetti, ma non considerati negli alimenta fa pensare che questi ultimi non siano diretti a loro, e l’intestazione decurionum decreto colonorum consensu publice fa pensare che anche i comuni cittadini della colonia abbiano tratto beneficio dalla fondazione attraverso gli assegni di mantenimento alle loro figlie, mentre ai curiali è lasciata la consolazione delle cene.

Infine, come osserva Duncan-Jones101, l’ammontare dell’assegno non è abbastanza alto per convincere i ricchi a fare più figli: i sesterzi elargiti corrispondono alla spesa per il nutrimento di un bambino102, ma di certo non sono sufficienti a spingere chi ha un patrimonio a dividerlo tra un numero di eredi maggiore e potenzialmente pericoloso per la ricchezza e la dignità della famiglia.

4. Le fondazioni di Plinio il giovane.

Decisamente, più interessante è, però, il confronto con l’attività evergetica di Plinio il giovane e con le sue lettere. Senza dubbio, il senatore comasco partecipa al clima culturale del suo tempo e come amico e grande estimatore di Traiano si pone in linea con il suo programma e la sua politica. Non a caso, Plinio stima molto un evergetismo che non sia fine a se stesso e che non sia pura dimostrazione di potenza, perciò si dedica a un tipo di munificentia che forse per il popolo può sembrare meno attraente, ma porta beneficio al corpo civico103. Nelle sue lettere si parla più volte di fondazioni

100 [---] f./ A c [rip---] Fabi Agr[ippini] cons [ulis filiae?]/ decurion[um dec]reto, col[onorum]/ consensu

pu[bli]ce, quod e[a ---]/ sestertium [x?] centen[a milia n(ummum)]/ testament[o s]uo deder[at, ut ex eius]/ summae usu[ris p]uellae [alim]entar[iae]/ centum alerentu[r e]t [---] Maia[s]/ quod annis ludi eder[entur in] memori[am]/ Aemiliae Agrippinae [matris?] suae [et/ t]er in ann[o] decurio[nes c]enare[nt ---].

101 DUNCAN-JONES 1965 p. 319. 102 CRINITI 1991, pp. 261-262.

103 Plin. Ep. I, 8, 10 - 14 Accedebat his causis, quod non ludos aut gladiatores, sed annuos sumptus in

alimenta ingenuorum pollicebamur [...] Praesertim cum enitendum haberemus, ut, quod parentibus dabatur, et orbis probaretur, honoremque paucorum ceteri patienter et exspectarent et mererentur. Sed, ut tunc communibus magis commodis quam privatae iactantiae studebamus, cum intentionem effectumque muneris nostri vellemus intellegi, ita nunc in ratione edendi veremur, ne forte non aliorum utilitatibus, sed

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alimentari104, sia come prototipo di elargizione consigliabile105, sia come atto compiuto in prima persona106; se si aggiungono poi le testimonianze epigrafiche107 è possibile avere un quadro abbastanza preciso dell’idea che soggiace alla politica alimentare di quell’epoca: in tali fonti mi pare di scorgere una costante attenzione alla città e a quegli strati medi108 da cui dipende il benessere presente e futuro della città.

Prima di tutto mi pare che tali interventi di sussidio vadano a beneficare gli abitanti della città: in quello che viene considerato l’epitaffio di Plinio, vengono elencate tutte le evergesie nei confronti di Como e si parla chiaramente di aliment(a) pueror(um) / et puellar(um) pleb(is) urban(ae)109. Tali alimenta sono chiaramente da identificare con quelli promessi nell’epistola pliniana a Saturnino110, in cui troviamo altri interessanti particolari: all’amico, Plinio si rivolge per avere un parere letterario sul discorso di dedica della biblioteca che ha appena donato, viene detto che il discorso è già stato pronunciato nella curia presso i decurioni e presto verrà pronunciato una seconda volta pubblicamente davanti al popolo, che è il vero beneficato della generosità del senatore111; Plinio, con esasperata modestia, si mostra riluttante a parlare dei suoi doni,

104 DUNCAN-JONES 1965, p. 316; le fondazioni private sono forse incoraggiate dagli imperatori e,

secondo lo storico, i quaestores alimentorum di Brescia Rimini e Napoli forse gestiscono il denaro di fondazioni private.

105 Plin. Ep. VII 18. Databile secondo Sherwin-White ai primi anni del II secolo, quando cioè già esistono

gli alimenta statali a Veleia e quando, senz’altro, una persona vicina a Traiano come Plinio può essere a conoscenza del progetto imperiale.

106 Plin. Ep. I 8. 107 CIL V 5262.

108 Si pensi alla delimitazione di esso allo strato augustale che emerge da A. SARTORI - A. VALVO

(edd.), Ceti medi in Cisalpina. Atti del Colloquio int. (Milano, 14-16 settembre 2000), Milano 2002.

109 CIL V 5262 ll. 13-14.

110 Plin. Ep. I 8. Secondo Mainino, tale lettera, in quanto appartiene al primo libro della raccolta, è da

datare agli anni di Nerva o comunque a una data anteriore alla fine del I secolo, dunque verosimilmente non dopo l’introduzione degli alimenta traianei di Veleia; inoltre la pollicitatio appare non come un fatto strettamente recente, ma già passato e già descritto all’amico. Lo storico, però, nota che la contestualità delle due iniziative potrebbe implicare un contatto tra quella pubblica e quella privata, almeno per il fatto che i loro schemi devono essere stati concepiti all’interno della stessa cerchia di giuristi, forse tutti appartenenti al consilium principis, consultato sia da Traiano che da Plinio. Quindi, Mainino sostiene che le due istituzioni siano frutto molto probabilmente della stessa attività cautelare della giurisprudenza romana e sicuramente derivino dallo stesso momento storico e da una stessa sensibilità, forse già presente ai tempi di Nerva. MAININO 2003, pp. 119-122.

111 Il testo di Plinio sembra concentrarsi sulla seconda evergesia, ovvero gli alimenta soltanto promessi, e

per nulla sulla prima ovvero la biblioteca (Ep. I 8, 2-3) dedicata in occasione del discorso. Certo il dono della biblioteca può essere ancora meno popolare di quello degli alimenta, entrambi lontani dai soliti ludi, come si vanta lo stesso Plinio, ma si tratta di una donazione molto costosa per la quale vengono dati in tutela 100.000 sesterzi (CIL V 5262 rr. 15) e che potrebbe ammontare al valore di un milione di sesterzi. Forse Plinio si concentra magggiormente sugli alimenta per il loro valore politico di adesione al progetto traianeo. I destinatari di tale biblioteca potrebbero essere proprio quei decurioni, in mezzo ai quali ha tenuto il discoro inaugurale: suoi pari con cui non deve sforzarsi di lodare se stesso, dando l’impressione di non farlo.

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perché teme di sembrare desideroso delle lodi dai suoi protetti112. Tale situazione mostra, da una parte, che i curiali non sono certo i destinatari degli alimenta, diretti invece al popolo, dall’altra evidenzia una partecipazione dei beneficati alle assemblee popolari o quanto meno alle cerimonie ufficiali che si svolgono in città e quindi porta a credere che quel popolo sia lì residente; in fondo, la conferma della residenza urbana dei fanciulli è garantita dall’epitaffio di Plinio, che parla di plebs urbana, cioè di uno strato sociale inferiore a quello dei decurioni, ma non per questo indigente.

È poi interessante notare che i pueri e le puellae debbano essere ingenui e che tale precisazione si trovi nelle epistole113, ma non nell’iscrizione: a Saturnino Plinio parla di alimenta ingenuorum, e ugualmente a Caninio parla di alimenta ingenuorum ingenuarumque114. Certo non ha molto senso specificare che si tratta di liberi: sarebbe ben difficile beneficare i fanciulli liberti, in quanto gruppo molto sfuggente e molto poco significativo, ma forse la parola ingenui potrebbe essere stata usata in contrapposizione ai futuri destinatari dell’altra fondazione istituita da Plinio: quella in favore dei suoi liberti. Tale fondazione è ricordata unicamente dall’iscrizione comasca115 e prevede il sostentamento per cento dei liberti pliniani attraverso il lascito di 1.866.666 sesterzi116 che in un secondo momento, probabilmente dopo la morte dei cento, sarà utilizzato per epula pubblici117. Alcuni studiosi hanno portato avanti l’idea che i liberti alimentati da Plinio siano residenti in campagna118, ma a mio avviso questa tesi non ha alcun riscontro nel testo dell’iscrizione, da cui non si può in alcun modo arguire la residenza dei cento. Al contrario, sarei propensa a pensare che questi Plinii siano dei cittadini: bisogna considerare, per prima cosa, che l’altra fondazione è rivolta

112 Plin. Ep. I 8, 16-17: Me vero peculiaris quaedam impedit ratio. Etenim hunc ipsum sermonem non

apud populum, sed apud decuriones habui, nec in propatulo, sed in curia. Vereor ergo, ut sit satis congruens, cum in dicendo ad sentationem vulgi acclamationemque defungerim, nunc aedem illa editione sectari, cumque plebem ipsam, cui consulebatur, limine curiae parietibusque discreverim, ne quam in speciem ambitionis inciderem, nunc eos etiam, ad quos ex munere nostro nihil pertinet praeter exemplum, velut obvia ostentatione conquirere.

113 Plin. Ep. I 8, 10; Ep. VII 18. 114 Plin. Ep. VII 18, 2.

115 CIL V 5262 ll. 11-12.

116 La più alta somma destinata per una fondazione privata in Italia vedi MAGIONCALDA 1994. 117 Analoghi epula post mortem sono l’argomento di uno scambio epistolare: l’amico di Plinio vorrebbe

istituire dei banchetti in propria memoria e Plinio gli consiglia il metodo più sicuro e conveniente per garantire nel tempo una somma da destinarvi e spiega cosa lui stesso ha fatto per garantire i famosi

alimenta destinati ai bambini di Como. Plinio ha ceduto un proprio terreno all’actor publicus per una

somma decisamente minore rispetto al valore reale del fondo e successivamente l’ha preso in affitto per una somma molto più bassa del valore di mercato: in questo modo l’affitto viene utilizzato dalla res

publica per la beneficienza, ma la rendita agricola è molto maggiore ed estremamente vantaggiosa per

l’affittuario, di conseguenza ci sarà sempre qualcuno disposto a pagare quell’affitto e di conseguenza a mantenere i bambini di Como. Plin. Ep. VII 18.

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alla plebs urbana, quindi potremmo pensare che l’interesse di Plinio sia indirizzato prevalentemente alla città, come anche tutti gli altri atti di generosità elencati nell’epitaffio: un interesse per le campagne sembra esulare dalla sua mentalità; in seconda istanza mi pare debole la tesi secondo cui in questo modo la famiglia di Plinio si assicurerà manodopera continuativa nei campi119, per la quale non è necessario investire così tanto denaro: l’ammontare della somma lasciata da Plinio, ricordiamolo, è davvero molto alto, quasi due milioni di sesterzi, da dividere tra un numero tutto sommato esiguo di persone; ancora, va tenuto conto che, da una parte, il denaro per queste sovvenzioni, non viene assegnato direttamente ai liberti con un lascito, ma viene affidato alla res publica di Como, che probabilmente lo fa fruttare tramite una fondazione simile a quella istituita per i fanciulli, ragion per cui, visto il coinvolgimento degli organi cittadini, mi pare più che accettabile una residenza urbana per i liberti; d’altra parte, va notato che, dopo la morte dei liberti, i frutti della fondazione andranno spesi in epula esplicitamente riservati alla plebs urbana120 che quindi si mantiene la vera protagonista degli interventi pliniani: di conseguenza è probabile che anche tali liberti appartenessero alla categoria della plebe urbana. Infine, la considerazione più significativa proviene proprio dall’epistolario di Plinio121, in una lettera in cui si affronta il tema della manumissione degli schiavi: Fabato ha approfittato della presenza di Calestrio Tirone122, proconsole di passaggio verso la Betica, per un affrancamento collettivo123, per il quale il progenero si compiace e scrive cupio enim patriam nostram omnibus quidem rebus augeri, maxime tamen civium numero; id enim oppidis firmissimum ornamentum124. Da tale dichiarazione possiamo trarre molte osservazioni utili per capire meglio non solo la fondazione testamentaria, ma anche il rapporto di Plinio con i suoi liberti e con la città. Senza dubbio i numerosi schiavi liberati sono urbani, visto che andranno ad accrescere il civium numerus, e poiché Plinio loda tanto tale atto, è probabile che egli stesso faccia altrettanto e affranchi degli schiavi per

119 SIRAGO 1958 p. 293. Non ritengo in alcun modo giustificato il presupposto su cui si basa l’opinione

di Sirago: da Plin. Ep. VIII 16 non si può ricavare che gli schiavi generosamente manumessi da Plinio siano rurali, anzi l’espressione nam servis res publica quaedam et quasi civitas domus est (Plin. Ep. VIII 16, 3), spiegando che per lo schiavo la sua casa rappresenta la città, porta a un contesto urbano. Né mi pare calzante l’analisi dell’epitaffio pliniano svolta da Sirago: se i fanciulli ingenui destinatari degli

alimenta sono esplicitamente detti urbani, nulla autorizza a sancire che allora i liberti devono essere

rurali, né tanto meno si può ricavare che essi siano destinati a coltivare in futuro le terre dei Plinii.

120 CIL V 5262, ll. 12-13. 121 Plin. Ep. VII 32.

122 Plin. Ep. VII 16; VII 23, Tirone è un vecchio amico di Plinio, con cui ha iniziato la carriera pubblica. 123 Grazie alla presenza di Tirone si avrà una manumissio iusta. Storia antica dell’università di

Cambridge, Milano 1968, pp. 501-506.

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destinarli a diventare cittadini nel contesto della vita urbana; quindi credo davvero improbabile che la fondazione sia destinata a liberti rurali. È molto interessante, poi, vedere che per il senatore comasco la manumissione è un atto di civismo: egli stesso desidera accrescere la patria in ogni modo, per esempio con la donazione di edifici o il finanziamento dell’educazione, ma il modo più degno per giovare alla patria sta nell’aumentare il corpo dei cittadini attivi, che sempre necessita una larga base, e che può essere accresciuto da abbienti personaggi come lui e Fabato, ricchi comaschi che possiedono moltissimi schiavi125. È difficile immaginare altri modi per accrescere il numero dei cittadini in tempi così rapidi, o meglio è possibile accrescerli stimolando le nascite e rafforzando lo strato al di sotto dei curiali: esito, a mio parere, rintracciabile negli alimenta traianei. Non è da tralasciare, poi, il fatto che Plinio affidi ai suoi liberti degli assegni di mantenimento assai sostanziosi e decisamente più ricchi di quelli versati ai fanciulli di Veleia126: si può ipotizzare che comprendano non solo il denaro per il mantenimento minimo in cereali di una persona127, ma il necessario per un sostentamento più ampio128, in generale, il necessario per avviare al meglio la propria vita da uomini liberi. Davvero accorta la mossa di Plinio che non lascia il denaro direttamente ai liberti (ai quali non si esclude abbia intestato lasciti o altro), ma lo vincola ad una fondazione, mettendo così il capitale al riparo, come egli stesso ha spiegato all’amico Caninio129; allo stesso tempo, da una parte, affida la gestione della fondazione alla res publica e di conseguenza compie un atto evergetico verso la patria, dall’altra, evita sperperi da parte del municipio e contiene quelli dei liberti che ricevono il lascito dilazionato in rate mensili. Dopo un certo numero di anni, la fondazione assumerà una funzione pubblica, offrendo banchetti a tutta la plebe.

In questo modo, Plinio, non solo ha accresciuto il numero dei cittadini, ma ha affidato loro una base economica su cui contare mensilmente, garantendo alla città nuovi membri non privi di mezzi, e garantendo ad essi un aiuto e uno stimolo per avviare la loro vita libera130.

125 Fabato è un ricco cavaliere e magistrato di Como, ha avuto funzioni in Africa, possiede terre a Como e

in Campania. Plin. Ep. IV 1, ILS 2721.

126 I bambini maschi legittimi di Veleia ricevono 16 sesterzi mensili. 127 CRINITI 1991, pp. 261-262.

128 Secondo la Cao e in relazione a Dig. 34 1 6, tali assegni sono comprensivi di cibaria, vestiaria e

habitatio. Si veda CAO 2010, p. 184.

129 Plin. Ep. VII 18.

130 Incidentalmente si può ricordare che neanche i liberti sono molto prolifici se si tiene conto dello ius quattuor liberorum, concesso dalla lex Iulia et Papia, che permette alle liberte di non essere sottoposte

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Per inciso non mi pare inutile porre attenzione su un fattore psicologico. A mio avviso non è casuale che Plinio abbia così a cuore gli affrancamenti e le sorti dei liberti se si tiene conto che dai suoi tre matrimoni non ha avuto nessun figlio131: nell’ottica della perpetuazione romana della stirpe, i liberti assumono un ruolo importante e permettono di tramandare il nome della famiglia quando non ci sono eredi legittimi132; inoltre, il padrone può scegliere i più meritevoli attraverso una selezione più difficilmente praticabile con i discendenti di sangue133. I liberti, poi, occupano nella società una posizione spesso avvantaggiata rispetto alla massa della plebs: hanno il nome dei loro ex padroni, hanno contatti stretti con loro134, spesso beneficiano, come nel nostro caso, della ricchezza del patrono; non a caso, dunque, le attestazioni epigrafiche di liberti sono numerosissime e mostrano la loro ascesa negli ordini paracuriali così diffusi e importanti in Italia settentrionale135. I liberti dei Plinii Secundi, poi, hanno lasciato traccia di sé136: in alcune iscrizioni è molto interessante vedere come i membri del ramo libertino portino avanti il culto dell’amicitia tanto celebrato da Plinio il giovane137, condizione che fa pensare che il patrono abbia immesso nella città come liberti non solo persone economicamente utili alla città, ma anche uomini istruiti che la possono migliorare138.

5. La fondazione delle due Matidiae a Vicenza

A questo punto, vorrei fare riferimento a un’altra fondazione privata, se la fondazione di due Augustae può essere considerata privata, attestata nell’Italia settentrionale, che è

beni per testamento: il numero di quattro figli è da collegare alla condizione inferiore rispetto alle

ingenuae che possono essere emancipate se madri di tre figli. Di conseguenza possiamo pensare che tre,

sia un numero di figli abbastanza insolito anche per le liberte. In generale, nel mondo romano chi ha un qualche patrimonio, e i liberti appartengono senz’altro a questa categoria, è poco incline a riprodursi. Sulla scarsa propensione a fare figli anche tra gli strati che non sono all’apice della società si veda DUNCAN-JONES 1965, p. 318.

131 Si pensi anche a quanto dice all’amico Tacito nell’epistola in cui gli chiede consiglio su un maestro

per Como: Atque adeo ego, qui nondum liberos habeo, paratus sum pro re publica nostra, quasi pro filia

vel parente [---]. Plin. Ep. IV 13, 5.

132 Si ricordi che lo stesso Plinio il giovane è partecipe di uno di questi legami di elezione, visto che è

stato adottato dallo zio Plinio il vecchio.

133 VEYNE 1986, pp. 49-50.

134 Si pensi all’indignazione verso i liberti ingrati. VEYNE 1986, p. 61.

135 MOLLO 1997, MOLLO 2000 b, ABRAMENKO 1992, ABRAMENKO 1993, ABRAMENKO 1993

b, ABRAMENKO 1993c, ABRAMENKO 1994.

136 Per esempio CIL V 5287 e CIL V 5300. 137 REALI 1997, p. 239.

138 La differenza tra potenziali dei semplici plebei e degli amati liberti dei Plinii Secundi è qui

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