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La determinazione amministrativa dei corrispettivi

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[La determinazione amministrativa dei corrispettivi, in AIDA 2012, Giuffrè, Milano,

173-197]

The definitive version is available at:

La versione definitiva è disponibile alla URL:

[www.giuffre.it]

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ALESSANDRO COGO

La determinazione amministrativa dei corrispettivi 

SOMMARIO. 1. Diritti esclusivi e corrispettivi. – 2. Autonomia privata e determinazione eteronoma dei corrispettivi. – 3. Meccanismi di determinazione eteronoma dei corrispettivi. Varietà di soluzioni e necessità conseguente d’individuare il fondamento delle regole che attribuiscono competenze all’amministrazione. – 4. Tipologia di conflitti risolti dalle regole oggetto di questo studio. – 5. La soluzione dei conflitti verticali. – 6. (Segue). La disciplina dell’espropriazione dei diritti d’autore e connessi. – 7. (Segue). Sua interpretazione in chiave costituzionale. – 8. (Segue). La disciplina dell’espropriazione dei diritti di proprietà industriale e delle licenze nell’interesse dello stato. – 9. La soluzione dei conflitti orizzontali: la disciplina delle licenze obbligatorie per mancata attuazione del brevetto o per invenzione dipendente. – 10. (Segue). I diritti ad equo compenso previsti dalla l.a.. – 11. (Segue). I diritti ad equa remunerazione.

1. In linea di principio, parlare di determinazione amministrativa dei corrispettivi per la cessione o la concessione di diritti di proprietà intellettuale è una contraddizione in termini. Il riconoscimento di diritti sui beni immateriali configurati come diritti assoluti a contenuto esclusivo, sulla falsariga del diritto di proprietà, ha infatti precisamente la funzione di consentire la negoziazione in regime di mercato di tutti i corrispettivi del caso (1): tanto quelli per la cessione o

concessione di diritti sul bene immateriale, quanto quelli per l’acquisto dei prodotti o dei servizi che lo incorporano.

Come tutte le affermazioni di principio, anche questa rischia tuttavia di essere inesatta o quanto meno imprecisa. E puntualmente l’analisi minuta della disciplina dei diritti qui considerati dimostra che i casi di determinazione non integralmente libera dei corrispettivi sono molti; e non di rado spetta all’autorità amministrativa il compito di fissare il prezzo in luogo del mercato.

L’esigenza di dettare regole di determinazione eteronoma dei corrispettivi può sorgere in tre casi: i) quando il trasferimento del diritto o la sua limitazione sia conseguenza di un'espropriazione o dell'attuazione di un obbligo a contrarre (2); ii) qualora la legge autorizzi chiunque ad utilizzare il

bene immateriale, facendo però salvo l’obbligo di corrispondere al titolare un compenso; iii) in caso d’integrazione legale del contenuto di contratti liberamente stipulati. E’ intuitivo che nei

 Questo scritto ha ricevuto un giudizio positivo di un referee.

1() E ciò come conseguenza della libertà a monte di decidere le sorti dell’opera dell’ingegno o dell’innovazione protetta. Sui vantaggi assicurati dalla configurazione dei diritti di proprietà intellettuale come property rights anziché come diritti ad equo compenso v. di recente BEIER, Ausschließlichkeit, gesetzliche Lizenzen und Zwangslizenzen im

Patent- und Musterrecht, in GRUR Int. 1998, 185 ss..

2() Sul concetto di espropriazione e sugli aspetti che la differenziano dagli obblighi a contrarre v. CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblico interesse, in Enc. giur., XIII, Treccani, Roma, 1989, §1, secondo cui

«nell'espropriazione manca un qualsiasi pur coatto intervento della volontà del soggetto espropriato o un obbligo, sia pure un obbligo di pati, da parte sua: infatti, al contrario dell'obbligo, il pati è mera soggezione al potere altrui».

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primi due casi non servirebbe a nulla comprimere l’autonomia del titolare se poi l’operatività della limitazione fosse condizionata al raggiungimento di un accordo libero sull’indennizzo, visto che una delle possibili e normalmente legittime ragioni del rifiuto di contrarre può consistere proprio nell’esiguità (percepita o reale) del corrispettivo offerto dal potenziale cessionario o licenziatario. Allo stesso modo, nel terzo caso la determinazione eteronoma del corrispettivo (minimo) costituisce la ragione stessa dell’intervento legale, che mira per l’appunto a completare o correggere il contenuto del contratto liberamente negoziato tra le parti.

2. La regola «primaria» che limita il diritto sul bene immateriale e l’autonomia privata del suo titolare appare legata a quella «secondaria» sul corrispettivo da un rapporto di strumentalità doppio. La norma secondaria è infatti necessaria ad assicurare l’effettività di quella primaria per le ragioni ora richiamate; ed al tempo stesso il modo in cui realizza questa funzione esprime anche il significato della limitazione al servizio della quale è posta.

Questo effetto può d’altra parte prodursi in via diretta oppure indiretta.

Il meccanismo di determinazione eteronoma sembra infatti tipicamente residuale, nel senso che è destinato ad applicarsi solo in assenza di un accordo tra le parti. Il proprietario di un bene espropriabile può infatti accordarsi con l'espropriante e concordare la cessione ad un prezzo pattuito liberamente (3) prima ancora dell'avvio della procedura ablatoria od in sua pendenza (4).

Ma lo stesso vale per i rapporti tra il titolare del diritto ed il terzo che domandi la concessione di una licenza a condizioni ragionevoli o che sia tenuto a pagare un compenso, una remunerazione od un premio «equi». Tanto è vero che quasi tutte le norme che realizzano uno dei tre modelli d’intervento poc’anzi richiamati fanno salvo il diverso accordo tra le parti; ed anche quando questa possibilità non sia prevista espressamente, essa dovrebbe ritenersi implicita nel sistema.

La determinazione eteronoma pende allora sulle parti come una spada di Damocle e costituisce la base della negoziazione.

Ciò accade anzitutto quando il contratto sia diretto ad evitare l’espropriazione o la concessione di una licenza obbligatoria. Per un verso la prospettiva dell’espropriazione o della limitazione autoritativa del diritto vale infatti come incentivo a contrarre per il titolare, che d’altra parte sa, o

3() Fermi restando i limiti eventualmente applicabili all’azione del soggetto pubblico che rivesta il ruolo di espropriante.

4() Dando vita in quest'ultimo caso ad un negozio di diritto privato che determina il trasferimento della proprietà del bene ed arresta il procedimento di espropriazione (cd. cessione volontaria); oppure ad un negozio di diritto pubblico che fissa amichevolmente l'ammontare dell'indennità da corrispondere all'emanazione del provvedimento ablativo. Sul punto v. CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblica utilità, cit., §§2.3.4 e 2.7. Vale peraltro la pena di segnalare che la disciplina dell'espropriazione per pubblica utilità dei beni immobili non lascia in realtà le parti libere di determinare il corrispettivo della cessione volontaria e lo fissa invece d'imperio (quantificandolo ad esempio nel valore venale del bene maggiorato del 10% quando si tratti di aree edificabili: v. l'art. 45 del t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, adottato con d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327). E d’altra parte l’azione della pubblica amministrazione è pur sempre soggetta al principio di legalità nell’uso del denaro pubblico: cfr. BATTINI, FRANCHINI, PEREZ, VESPERINI, CASSESE, Manuale di

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dovrebbe sapere, di non poter spuntare più di una certa somma se la negoziazione fallisse e venisse avviata la procedura finalizzata all’emanazione del provvedimento sostitutivo dell’accordo (5). D’altro canto tempi, costi ed incertezze della procedura stimolano il non titolare ad evitarla,

corrispondendo eventualmente un premio rispetto alla somma teoricamente dovuta sulla base dei criteri legali.

Lo stesso ruolo di parametro implicito della negoziazione emerge però anche quando la determinazione eteronoma sia prevista per il completamento od il controllo di contratti liberamente stipulati. La regola legale con efficacia dispositiva opera infatti da incentivo indiretto alla redazione di contratti completi, costringendo chi voglia evitarne l’applicazione a denunciare questo interesse ed a negoziare le eventuali compensazioni. Di contro, la regola con efficacia imperativa spinge facilmente le parti ad accordarsi per il pagamento di somme che tengono conto del parametro legale, purché noto, e che scontano (al ribasso) il costo di attuazione della tutela legale nonché (al rialzo) il vantaggio derivante dalla disattivazione degli incentivi economici a farla valere.

Anche nel caso delle licenze legali onerose residua uno spazio di negoziazione quando la determinazione eteronoma intervenga solo in caso di disaccordo tra le parti oppure preveda la fissazione di tariffe derogabili (6). Ove ciò accada, essa la disciplina legale incide verosimilmente

sul comportamento contrattuale delle parti secondo modalità analoghe a quelle ora descritte. 3. L’ordinamento giuridico conosce una varietà di meccanismi di determinazione dei corrispettivi, che vanno dalla fissazione di tariffe legali (7) al rinvio ad accordi collettivi (ed in

passato corporativi), ad arbitraggi variamente configurati, alla soluzione per mano del giudice (8)

o, ancora, a provvedimenti amministrativi con efficacia generale o puntuale. Viene pertanto naturale domandarsi quale sia il criterio che ordina l’applicazione dell’uno o dell’altro a ciascuna norma «primaria». E quando, come in questo caso, si ragioni sulle norme che affidano la determinazione del corrispettivo all’amministrazione, l’ipotesi più immediata è che l’ordinamento

5() Sull’efficacia indiretta delle norme sulle licenze obbligatorie come stimolo per la negoziazione di accordi

volontari cfr. BEIER, Ausschließlichkeit, gesetzliche Lizenzen und Zwangslizenzen im Patent- und Musterrecht, cit.,

189; BÖTTGER, Zwangslizenzen im Patentrecht – Eine systematische Bewertung der neueren Praxis insbesondere im

Bereich der öffentlichen Gesundheit, in GRUR Int. 2008, 881 ss.; 884; ROMANDINI, sub art. 81-octies cpi, in L.C.

UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova, 2012, 394.

Scettico invece DI CATALDO, I brevetti per invenzione e per modello di utilità. I disegni e modelli, Giuffrè, Milano,

2012, 214.

6() Accordi ai quali gli utilizzatori possono essere interessati per ottenere l’applicazione di tariffe più convenienti ed i titolari di diritti per limitare i costi di gestione della raccolta e ripartizione dei compensi. Un esempio è offerta dai Gesamtverträge stipulati in Germania dalle società di gestione collettiva e da enti pubblici o privati per la regolazione dei compensi per copia privata: sul punto v. LOEWENHEIM, § 54d UrhG, in SCHRICKER, Urheberrecht, Beck, München, 2006, 1123 s..

7() Anche indirettamente, attraverso la destinazione di una somma complessiva da dividere ogni anno tra gli aventi diritto: come accade per l’equo compenso per il prestito nelle biblioteche pubbliche ai sensi dell’art. 69 l.a. e dell’art. 2 co. 132-134 d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006 n. 286.

8() V. ad es. la determinazione dell’equo compenso spettante agli autori di opere dell’ingegno radiodiffuse dai

teatri, dalle sale di concerto e da ogni altro luogo pubblico (artt. 52 e 56 l.a.).

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percepisca la necessità di tutelare un interesse pubblico. Alla verifica di questa ipotesi ed alle conseguenze che ne derivano sul piano della disciplina del corrispettivo sono dedicate le pagine che seguono.

4. Per provare a rispondere al quesito, occorre partire dalla ricognizione delle fattispecie nelle quali l’ordinamento vigente attribuisce all’amministrazione il potere di determinare i corrispettivi qui considerati.

Esse si lasciano peraltro ripartire facilmente in quattro gruppi. La determinazione amministrativa del corrispettivo è prevista infatti: 1) ogni qual volta la legge dichiari espropriabile un diritto di proprietà intellettuale (9); 2) in tutti i casi in cui occorra procedere alla costituzione di

una licenza obbligatoria (10); 3) spesso, ma non sempre, quando occorra stabilire l’entità dell’equo

compenso spettante agli autori o ai titolari di diritti connessi a fronte di utilizzazioni libere paganti (11); 4) assai di rado quando sia necessario fissare il corrispettivo addizionale spettante agli autori o

ai titolari di diritti connessi che abbiano ceduto i diritti esclusivi sulle loro opere e prestazioni (12).

In tutti questi casi, come è ovvio, la determinazione amministrativa interviene per risolvere un conflitto tra soggetti portatori di interessi contrapposti.

Talora si tratta di un conflitto per così dire «verticale», nel senso che vede fronteggiarsi direttamente l’interesse pubblico e l’interesse privato. Così è, per intendersi, nel caso in cui un ente domandi all’autorità amministrativa competente l’espropriazione del diritto di proprietà intellettuale altrui (13). Domanda che deve essere senz’altro respinta se mira al perseguimento di

un interesse privato; e può invece essere accolta se è volta a realizzare un fine di pubblica utilità

9() V. infra, §§ 6 e 8.

10() V. infra, § 9. Cfr. anche l’art. 10 co. 9 reg. CE 816/2006 concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all'esportazione verso paesi con problemi di salute pubblica.

11() La determinazione dell’equo compenso è affidata (talora espressamente in via subordinata, cioè in mancanza di accordi individuali e collettivi) ad un decreto ministeriale per: i) l'esecuzione, rappresentazione o recitazione di opere dell’ingegno nella sede dei centri o degli istituti di assistenza, formalmente istituiti nonché delle associazioni di volontariato, purché destinate ai soli soci ed invitati e sempre che non vengano effettuate a scopo di lucro (art. 15bis l.a.); ii) l'esecuzione in pubblici esercizi, a mezzo di apparecchi radioriceventi sonori, muniti di altoparlante, di opere radiodiffuse (artt. 58 l.a. e 19 r.l.a.); iii) l’utilizzo di opere dell’ingegno per trasmissioni speciali di propaganda culturale ed artistica destinate all'estero (artt. 60 l.a. e 20 r.l.a.); iv) la concessione in uso a case editrici fonografiche nazionali delle matrici della discoteca di Stato per trarne dischi da diffondere mediante vendita sia in Italia che all'estero (artt. 64 l.a. e 21 r.l.a.); v) la riproduzione per uso personale di opere dell'ingegno effettuata mediante fotocopia, xerocopia o sistema analogo nei centri o punti di riproduzione e nelle biblioteche pubbliche (artt. 68 e 181ter l.a.); vi) la riproduzione di opere dell’ingegno nelle antologie ad uso scolastico (artt. 70 l.a. e 22 r.l.a.); vii) la copia privata di fonogrammi e videogrammi (art. 71septies l.a.); viii) la comunicazione al pubblico di fonogrammi (artt. 73 e 73bis l.a. e 23 r.l.a.); ix) la riproduzione di fotografie non creative nelle antologie ad uso scolastico ed in generale nelle opere scientifiche o didattiche (art. 91 co. 1 l.a.); x) la riproduzione di fotografie non creative pubblicate su giornali od altri periodici, concernenti persone o fatti di attualità od aventi, comunque, pubblico interesse (art. 91 co. 3 l.a.).

12() V. infra, § 11.

13() Sulla configurazione necessariamente trilaterale della vicenda espropriativa v. CASETTA e GARRONE, voce

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espressamente individuato (14).

In altri casi il conflitto si presenta invece «orizzontale» e corre in via diretta ed immediata tra interessi apparentemente soltanto privati. Così accade ad esempio quando il titolare del brevetto e l’aspirante licenziatario si contendano lo sfruttamento di un’invenzione rimasta sin lì inattuata; oppure quando l’autore e l’utilizzatore di un’opera dell’ingegno non si accordino sulla misura dell’equo compenso spettante al primo.

5. L’aggiudicazione dei conflitti «verticali» riposa evidentemente sull’apprezzamento dell’interesse pubblico e sull’impossibilità di realizzarlo altrettanto bene senza incidere, od incidendo in modo meno profondo, sulla sfera del titolare del diritto sul bene immateriale. In questo senso, parrebbe dunque scontato che la soluzione della contesa spetti all’amministrazione, salvo naturalmente il controllo da parte del giudice amministrativo.

A ben vedere, il procedimento di aggiudicazione si presta però ad essere scisso in due segmenti successivi. Un conto è infatti verificare l’esistenza di un interesse generale all’ablazione del diritto di proprietà intellettuale; un altro conto è determinare quale compensazione spetti al titolare che venga così pregiudicato nelle sue ragioni. A stretto rigore, non è detto infatti che anche la seconda valutazione presupponga un bilanciamento tra l’interesse individuale e quello generale perseguito con l’espropriazione. Si potrebbe infatti ritenere che la tutela dell’interesse pubblico richieda necessariamente un intervento autoritativo per vincere le resistenze del titolare del diritto a separarsene; e che però, ottenuto questo risultato, non imponga affatto di sacrificare l’interesse dell’espropriato ad ottenere la riparazione integrale del pregiudizio patito per effetto del provvedimento ablatorio.

Se così fosse, la competenza dell’amministrazione a fissare l’indennità avrebbe quale unico significato la necessità di assicurare la contestualità tra l’intrusione dello stato nella sfera del cittadino ed il riconoscimento a quest’ultimo di una riparazione adeguata. Ma questa ipotesi non mi pare convincente. Riterrei infatti che l’amministrazione conservi un margine di discrezionalità nella determinazione dell’indennità da espropriazione, per ragioni che emergono dallo studio della disciplina dei diritti di proprietà intellettuale e dal suo confronto con la disciplina costituzionale dei trasferimenti coattivi.

6. Un primo gruppo di regole sull’espropriazione dei diritti di proprietà intellettuale è dettato dagli artt. 112-114 l.a., che riguardano i «diritti spettanti all’autore» – ma ragionevolmente anche ai diritti connessi (15) – e recano una disciplina scarna, introdotta nel 1941 e mai modificata.

14() Cfr. BATTINI, FRANCHINI, PEREZ, VESPERINI, CASSESE, Manuale di diritto pubblico, cit., 173.

15() In questo senso depone se non altro la collocazione sistematica della disciplina, che è contenuta nelle «norme generali» sulla «trasmissione di diritti di utilizzazione». Ai sensi dell'art. 112 l.a. il diritto di pubblicare l’opera non è però espropriabile quando l’autore sia ancora in vita. Questa norma è presentata talora come una manifestazione del diritto morale d’inedito (cfr. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, Milano, 1960, 810;

GRECO e VERCELLONE, I diritti sulle opere dell'ingegno, UTET, Torino, 1974, 339); ma conserva un fondamento di

razionalità anche se si ritiene, con l’opinone oggi maggioritaria, che il diritto di prima pubblicazione sia invece

(7)

Per quanto qui interessa, questa disciplina distingue il potere di proporre l’espropriazione (affidato al presidente del Consiglio dei ministri) da quello di disporla (attribuito al presidente della Repubblica) (16), indica il fondamento del provvedimento nella sussistenza di «ragioni di

interesse dello Stato» (17), ordina che l’indennità spettante all’espropriato sia stabilita «nel decreto

di espropriazione od in altro successivo» (18) ed infine sdoppia il regime dei controlli giudiziari sul

provvedimento ablatorio, che può essere impugnato davanti al Consiglio di stato in sede giurisdizionale oppure davanti all’autorità giudiziaria (ordinaria) «per le controversie riguardanti l’ammontare dell’indennità» (19).

Nessuna norma indica dunque quale sia il criterio da seguire per il calcolo dell’indennità. Né tanto meno si trovano lumi sul procedimento da seguire per determinarla: si legge soltanto che essa è fissata nel provvedimento di espropriazione o in un altro successivo; e di qui si può trarre spunto per immaginare che essa sia almeno nel primo caso frutto di una determinazione unilaterale del presidente della Repubblica (al quale competono le funzioni amministrative attribuite dal testo originario della l.a. al re) (20), forse ricalcata sulla proposta del presidente del Consiglio dei

ministri con cui si apre il procedimento ablatorio.

Lo studio di queste regole non ha destato interesse nella dottrina, che per solito si è limitata a rilevarne in linea generale l’aderenza alla disciplina generale delle espropriazioni per pubblica utilità (21). A quanto consta, esse non sono mai state applicate in epoca repubblicana. Né vi è

ragione di stupirsi: la l.a. contiene infatti norme specifiche, diverse da quelle ora richiamate, per i pochi casi nei quali è possibile immaginare la sussistenza di un interesse pubblico effettivo ad espropriare i diritti su un’opera dell’ingegno. Penso qui in particolare alla disciplina dettata dagli artt. 51-56 l.a. per la radiodiffusione di opere da sale di concerto ed altri luoghi pubblici, all’art. 60 l.a. per la radiodiffusione per finalità di propaganda, alla disciplina (questa volta di origine comunitaria) della telediffusione di eventi di grande rilevanza pubblica.

Non di meno, proseguendo il ragionamento in linea teorica, pare difficile ritenere che l’assenza di indicazioni sul criterio di calcolo dell’indennità possa equivalere di per sé all’attribuzione di un potere in tutto o in parte discrezionale all’autorità amministrativa espropriante o, al contrario, all’imposizione dell’obbligo di liquidare necessariamente il valore di mercato del bene

disponibile e dunque teoricamente espropriabile. L'interesse dell'autore all'inedito continuerebbe infatti a ricevere protezione dal diritto al ritiro dell'opera dal commercio, che è indisponibile, dunque non espropriabile (cfr. CASETTA e

GARRONE, voce Espropriazione per pubblico interesse, cit., §2.3.3), e che dura per tutta la vita dell'autore (senza

trasmettersi ai suoi eredi) proprio come il divieto previsto dall'art. 112 l.a..

16() Art. 113 l.a..

17() Art. 112 l.a..

18() Art. 113 l.a..

19() Art. 114 l.a..

20() Sulla ripartizione delle competenze alla dichiarazione di pubblica utilità ed all’emanazione del decreto di espropriazione v. CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblico interesse, cit., § 4.

21() Su questa disciplina v. GRECO e VERCELLONE, I diritti sulle opere dell’ingegno, cit., 339 secondo cui la l.a.

riprenderebbe in sostanza la disciplina generale delle espropriazioni. Così tuttavia non mi pare, se non altro per l’assenza di qualunque indicazione sulle procedure e sui criteri da applicare per la determinazione dell’indennità.

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immateriale. Ciò quanto meno dopo l’entrata in vigore della costituzione repubblicana e tenuto conto anche della riforma della disciplina dell’espropriazione in materia di invenzioni ed altri diritti di proprietà industriale, da cui possono ricavarsi indicazioni utili per completare in via analogica le lacune della l.a..

7. Gli ultimi decenni sono stati segnati da una ripresa del dibattito sulla correttezza dell’espressione «proprietà intellettuale», sull’assimilabilità dei diritti sui beni immateriali a quelli sui beni materiali e sulla possibilità di applicare agli uni le garanzie costituzionali pensate per gli altri.

Il tema è per l’appunto dibattuto e non mi pare questa la sede opportuna per prendere posizione. Per la stessa ragione, riterrei tuttavia più prudente muovere dall’idea che la proprietà intellettuale sia in effetti una forma di «proprietà» nel senso ampio che questa espressione assume nelle costituzioni (22) e nelle convenzioni internazionali, in particolare di quelle sui diritti

dell’uomo (23). In questa direzione depongono del resto indicazioni numerose e difficili da

trascurare (24). L’idea risalente che la tutela dei «beni» prevista dal primo protocollo addizionale

alla CEDU si attagli anche a quelli immateriali trova oggi conferma nel riconoscimento della proprietà intellettuale a fianco di quella tradizionale nell’art. 17 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che con il trattato di Lisbona ha peraltro acquisito valore giuridico vincolante e che è stata prontamente applicata dalla Corte di giustizia in una decisione recente per regolare i rapporti tra diritto comunitario e diritti nazionali sul piano dell’attribuzione originaria dei diritti di proprietà intellettuale (25). Del resto, nei pochi casi in cui se ne è occupata, la

giurisprudenza costituzionale non ha escluso (ed anzi in altri paesi europei ha positivamente affermato (26)) l’applicabilità della Eigentumsgarantie ai diritti di proprietà intellettuale.

Se così è, mi pare però difficile affermare che al riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale non segua anche l’applicazione della regola ulteriore secondo cui (nelle parole della

22() Sul punto v. MACARIO, sub art. 42 cost., cit., §1.4.

23() Sul punto v. di recente, OHLY, Geistiges Eigentum?, in JZ 2003, 545 ss., 545 e da noi, pur con intonazione

critica, ABRIANI, La proprietà come diritto dell'individuo: tra diritto internazionale, diritto comunitario e disciplina

interna, in Giur. it. 2010, 10 ss.. Un concetto parimenti lato di proprietà è impiegato nei trattati bilaterali di libero

commercio: sul punto v. di recente KLOPSCHINSKI, Der Schutz geistigen Eigentums durch völkerrechtliche

Investitionsverträge, Carl Heymanns Verlag, Köln, 2011.

24() Anche se, ad onor del vero, prevalgono negli ultimi anni le prese di posizione contrarie all’assimilazione della proprietà intellettuale alla proprietà dei beni fisici. Da ultimo v. in particolare DI CATALDO, cit., 45 s., che si rifà

a CORNISH, Personality Rights and Intellectual Property, in BAKER, Oxford History of the Laws of England, vol. XIII, secondo cui dalla fine del XIX sec. con la teorizzazione del right of privacy il termine «property» ha in realtà preso a contrassegnare ogni forma di possession per segnalare tre caratteristiche: diritto esclusivo; diritto trasferibile; diritto suscettibile di tutela non solo risarcitoria ma anche inibitoria; VANZETTI, Diritti reali e «proprietà» industriale (... e

mediazione obbligatoria), in Riv. dir. ind. 2010, I, 173 ss.; SPADA, Conclusioni, in questa Rivista 2005, 219. Una

replica agli argomenti spesi (anche) da questi autori si legge in OHLY, Geistiges Eigentum?, cit., 545 ss..

25() E più in particolare per escludere che il diritto nazionale possa togliere ad un autore quel che il diritto comunitario gli attribuisce a titolo originario. V. i §§66 ss. della sentenza della Corte di giustizia CE, 9 febbraio 2012, C-277/10, in corso di pubblicazione in Giur. it. 2012.

26() Cfr. MES, PatG, GebrMG, Beck, München, 2011, §13, Rn 1.

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nostra costituzione) questi diritti possono essere limitati «allo scopo di assicurarne la funzione sociale», ma non possono essere espropriati se non nei casi previsti dalla legge, per motivi di interesse generale (27) e con il pagamento di un indennizzo (28).

Di per sé, questa conclusione non è però così significativa. I lavori preparatori della costituzione lasciano infatti pensare che l’art. 42 non qualifichi in alcun modo l’indennizzo spettante al proprietario per non limitare la libertà del legislatore ordinario. Una scelta significativa, tenuto conto che il t.u. delle disposizioni sull’espropriazione degli immobili per pubblica utilità utilizzava da lungo tempo il criterio del «giusto prezzo che, a giudizio dei periti, avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compra e vendita» (29). Un criterio che

avrebbe potuto essere facilmente costituzionalizzato, se non fossero emerse divisioni radicali sulla concezione di «proprietà» da recepire nella legge fondamentale (30).

Il vuoto è stato tuttavia gradualmente colmato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo. La prima ha affermato infatti l’incompatibilità con l’art. 42 co. 3 cost. dei criteri di determinazione dell’indennità che non tengano in considerazione il valore del bene: e su questa base ha rimosso dal sistema buona parte delle norme introdotte dal legislatore repubblicano sulla base della nuova «funzione sociale» della proprietà (31). La Corte

europea ha poi stretto ulteriormente le maglie, affermando che il pagamento al proprietario di una somma inferiore al valore del bene è legittima ai sensi della CEDU soltanto quando l’espropriazione non sia isolata e sia invece preordinata ad «obiettivi legittimi di pubblica utilità, come quelli perseguiti da misure di riforma economica o da misure tendenti a conseguire una maggiore giustizia sociale». Ed il cerchio si è poi chiuso con il recepimento di questo orientamento da parte della Consulta, che vi si è adeguata anche in virtù dell’art. 117 cost. (32).

L’interpretazione delle norme di legge in senso costituzionalmente orientato induce a ritenere che anche l’indennità spettante all’autore ai sensi dell’art. 113 l.a. debba presentare le caratteristiche ora dette: e cioè orientarsi al valore di mercato del bene espropriato.

27() Come è stato osservato, questa espressione va peraltro «intesa in senso latissimo, essendo la determinazione degli interessi affidata alla discrezionalità del legislatore nazionale e connessa all'attuazione dell'indirizzo politico, essendo poi demandato alla pubblica amministrazione di specificare volta a volta quegli interessi in relazione ai singoli provvedimenti espropriativi» (CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblico interesse, cit., §1). Le

norme che disciplinano l’espropriazione dei diritti di proprietà intellettuale rinviano peraltro a loro volta all’esistenza di motivi d’interesse generale, che dovranno pertanto essere di volta in volta specificati dall’autorità espropriante. Così è del resto in tutti i paesi: cfr. BEIER, Ausschließlichkeit, gesetzliche Lizenzen und Zwangslizenzen im

Patent-und Musterrecht, cit., 189 s...

28() L’applicazione dell’art. 42 cost. all’espropriazione dei diritti IP è data per scontata da ASSANTI, Le licenze

obbligatorie, Giuffrè, Milano, 1978, 20 ss.; ed in senso favorevole v. anche GOISIS, sub art. 141 cpi, in L.C. UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, Padova, 2012, 656 s.. V. invece in senso contrario MASTROIANNI, Proprietà intellettuale e costituzioni europee, in questa Rivista 2005, 19; SCACCIA, Il bilanciamento degli interessi in materia di proprietà intellettuale, ivi, 200.

29() Art. 39 l. 2359/1865.

30() Sulle quali v. MACARIO, sub art. 42 Cost., cit., §1.1.

31() Per una rappresentazione ordinata dei criteri succedutisi nel tempo v. CASETTA e GARRONE, voce

Espropriazione per pubblico interesse, cit., 13 ss..

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Da questo punto di vista sorge però subito un dubbio. Viene infatti da domandarsi se l’autorità titolare del potere ablativo possa riconoscere un indennizzo inferiore al valore di mercato del bene immateriale quando «obiettivi legittimi di pubblica utilità» lo richiedano; e ciò in applicazione diretta dell’art. 42 co. 3 cost., così come interpretato dalla Corte costituzionale e prima ancora dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, visto che l’art. 113 l.a. non dispone sul punto.

La ricerca di una risposta potrebbe apparire in fondo oziosa, tenuto conto che è di per sé assai arduo immaginare casi nei quali possa emergere un interesse pubblico all’espropriazione dei diritti su opere dell’ingegno o su prestazioni protette da diritti connessi; ed è a maggior ragione forse impossibile immaginare situazioni nelle quali questo interesse sia così forte da giustificare anche il mancato integrale ristoro del pregiudizio patito dal titolare espropriato (33).

D’altra parte la ricostruzione in chiave sistematica della disciplina della proprietà intellettuale suggerisce di pensare che i criteri qui discussi debbano trovare applicazione mutatis mutandis anche ai diritti di proprietà industriale. E se si ragiona sul valore economico, oltre che sociale, di alcune grandi invenzioni del passato – o di altre immaginabili del futuro – appare subito chiaro che il quesito ha in effetti una sua ragion d’essere.

8. Proprio la disciplina dettata dal codice della proprietà industriale per l’espropriazione dei diritti da esso disciplinati sembra offrire qualche spunto apparentemente utile per proseguire nel ragionamento.

Così come la legge sul diritto d’autore, anche le norme coeve sulle invenzioni e sui modelli industriali non recavano indicazioni puntuali sulla natura dell’indennizzo da riconoscersi all’inventore espropriato.

Questa situazione è tuttavia mutata con l’entrata in vigore del codice della proprietà industriale, che detta ora una disciplina unitaria (34) e largamente riformata agli artt. 141-143 e

194. Il testo attuale del cpi offre infatti ben due parametri: l’art. 142 cpi, secondo cui l’indennizzo deve essere determinato (provvisoriamente) dall’autorità espropriante nel decreto ablativo «sulla base del valore di mercato» del diritto; e l’art. 194 cpi, in virtù del quale l’espropriato può opporsi alla determinazione dell’autorità, avviare un procedimento di arbitraggio ed ottenere così che gli arbitratori si pronuncino «con equo apprezzamento tenendo conto della perdita del vantaggio competitivo che sarebbe derivato dal brevetto espropriato».

Al di là delle apparenze, queste due indicazioni sembrano tra loro armoniche. Lo sono anzitutto nella parte in cui indicano il criterio di riferimento per il calcolo dell’indennizzo, visto che il vantaggio competitivo derivante dal brevetto non sembra cosa diversa dal suo valore di mercato: entrambi i concetti rinviano infatti alla possibilità per il titolare del diritto di realizzare

33() Una certa cautela è suggerita dall’espansione progressiva dell’area di applicazione del diritto d’autore alle creazioni utili (software e database).

34() Anche se non integralmente: v. infatti l’art. 115 co. 6 cpi sulsl’espropriazione di nuove varietà vegetali, che

forse intende però soltanto arricchire il novero dei soggetti che devono essere sentiti prima dell’adozione del provvedimento ablativo.

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profitti o risparmi di spesa che i concorrenti non possono legalmente erodere o replicare. Ma queste norme sono omogenee anche nella parte in cui non sembrano far coincidere meccanicamente l’indennizzo con il prezzo del diritto espropriato: il valore di mercato è infatti in un caso soltanto la «base» di calcolo dell’indennizzo e nell’altro un elemento di cui gli arbitratori devono «tener conto» nell’ambito di una valutazione condotta «con equo apprezzamento».

Viene così il sospetto che il legislatore ultimo abbia voluto dettare un criterio orientato senz’altro all’idea del prezzo, ma al tempo stesso sufficientemente flessibile da consentire un discostamento qualora emergano ragioni (evidentemente d’interesse generale) che lo giustifichino. Questa lettura non sembrerebbe d’altra parte trovare un ostacolo decisivo nella disciplina relativa al procedimento di determinazione del corrispettivo. Come si è anticipato, essa prevede una decisione provvisoria da parte dell’amministrazione cui l’espropriato può opporsi; nel qual caso si avvia un procedimento ulteriore composto da un arbitraggio affidato ad esperti nominati dalle parti (con funzione suppletiva del presidente della sezione specializzata di Roma nel caso in cui non vi sia accordo sull’arbitratore di nomina comune) e dall’eventuale giudizio sull’impugnazione del lodo davanti al giudice ordinario (35). A ben vedere, la devoluzione del

giudizio sull’opposizione ad un collegio di arbitratori formato in modo da assicurarne l’imparzialità può essere essere infatti letta come lo strumento per bilanciare l’attenuazione della garanzia sostanziale costituita dal criterio rigido del valore di mercato – sostituito dal criterio elastico dell’ «equo apprezzamento – con una garanzia procedimentale.

La lettura qui proposta sembra d’altra parte poter invocare a proprio sostegno anche un dato sistematico che proviene dalla disciplina applicabile ad un’ipotesi sui generis di espropriazione: quella che preveda cioè (non il trasferimento coattivo del diritto esclusivo dall’espropriato all’espropriante ma) la semplice costituzione di una licenza non esclusiva.

Qualche pagina addietro si è osservato che non è agevole individuare situazioni nelle quali possa sorgere la necessità d’espropriare un diritto di proprietà intellettuale. Qui occorre forse aggiungere che questa difficoltà non deriva tanto dal fatto che i beni immateriali oggetto di diritti di proprietà intellettuale non siano utili ed anzi indispensabili per la realizzazione di interessi generali: è sufficiente pensare al brevetto sull’unico farmaco capace di arrestare un’epidemia per accorgersi del contrario. Piuttosto, l’espropriazione sembra normalmente eccedere quanto è necessario per la tutela dell’interesse pubblico. I beni immateriali, a differenza di quelli materiali, si caratterizzano infatti per l’essere beni pubblici, dunque non escludibili e non rivali. Appare

35() Secondo un procedimento che ripete in scala quello disciplinato dal t.u. delle diposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità; e che, anche per questa ragione, mi pare applicabile in via analogica all’espropriazione di qualunque diritto di proprietà intellettuale, inclusi i diritti d’autore e connessi. La soluzione prevista dal cpi sembra peraltro collocarsi a metà strada tra quella più garantista contemplata dalla l. 25 giugno 1865 n. 2359 sull'espropriazione per pubblica utilità (che affidava la stima a periti nominati dal giudice) e quella più snella ma meno protettiva prevista dalla l. 3 gennaio 1978 n. 1 sulla accelerazione delle procedure per la esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industriali (che lasciava all'autorità espropriante la determinazione dell'indennizzo, salva la facoltà per l'espropriato di opporsi giudizialmente alla liquidazione così effettuata). Sull'evoluzione della disciplina generale v. CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblico

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allora estremamente raro il caso in cui il perseguimento dell’interesse pubblico richieda l’espropriazione vera e propria, cioè l’ablazione del diritto di proprietà intellettuale dalla sfera giuridica del suo titolare e la ricostituzione in capo al beneficiario dell’espropriazione, così che quest’ultimo possa disporre sia dello ius utendi (36) sia dello ius arcendi. Molto più facilmente la

realizzazione dell’interesse pubblico richiede la sola compressione del diritto di proprietà intellettuale: e più precisamente la disattivazione del diritto esclusivo nei confronti del soggetto pubblico o privato capace di realizzare gli scopi perseguiti dall’amministrazione.

Questa possibilità è espressamente prevista dall’art. 141 co. 2 cpi per i diritti di proprietà industriale (37); ed a prima vista non sembrerebbero esservi ragioni convincenti per escludere che

la stessa regola possa applicarsi anche ai diritti d’autore e connessi, sia perché nel più (cioè nell’espropriazione propria) dovrebbe stare il meno (vale a dire quella «anomala» (38)), sia perché

nella l.a. la tutela di interessi pubblici è tipicamente realizzata tramite la previsione di licenze, anche se di regola «legali» e non «obbligatorie». Per conseguenza, la mancata espressa previsione dell’espropriazione tramite costituzione di diritti d’uso nell’art. 112 l.a. potrebbe essere considerata una semplice dimenticanza del legislatore storico e non un’implicita presa di posizione contraria alla loro ammissibilità (39).

La scelta da parte dell’amministrazione di realizzare l’interesse pubblico con lo strumento qui considerato anziché con l’acquisizione del diritto esclusivo non mi pare che influisca d’altra parte significativamente sulla disciplina applicabile, anche se alcuni adattamenti sono necessari per tener conto che in questo caso il titolare del diritto non perde l’esclusività (così come l’amministrazione non l’acquista) ed è invece costretto a tollerare l’uso alieno del bene immateriale entro i limiti fissati nella licenza costituita autoritativamente.

Non mi pare anzitutto che muti significativamente il piano dei principi sovraordinati applicabili, sia per quanto attiene alla disciplina costituzionale di riferimento (40), sia per quanto 36() Sempre che quest’ultimo non sia in realtà una mera conseguenza della rimozione dello ius arcendi e del ripristino della libertà generale d’iniziativa (anche) economica.

37() Se ben vedo, allo schema generale dettato dall’art. 141 co. 2 l.a. (anziché a quello delle licenze obbligatorie

di cui si dirà al §9) può essere ricondotta anche la licenza obbligatoria speciale prevista dall’art. 115 co. 3 cpi per l’esclusiva varietale. Comune mi pare infatti la natura eccezionale del rimedio, che può essere disposto autoritativamente dall’amministrazione ove emergano esigenze di pubblica utilità che giustificano deroghe caso per caso all’esclusività del diritto di proprietà intellettuale. Conseguentemente, riterrei che la disciplina scarna dettata dall’art. 115 co. 3 cpi vada integrata all’occorrenza con quella dell’espropriazione anomala piuttosto che con quella delle licenze obbligatorie per mancata attuazione o per innovazioni dipendenti (come suggerisce invece MAYR, sub

art. 115 cpi, in L.C. UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, cit., 475).

38() Come osservano CASETTA e GARRONE, voce Espropriazione per pubblico interesse, cit., §1,

«l'espropriazione ben può consistere soltanto in un'appropriazione dell'utilità di un bene e non anche necessariamente nella sua acquisizione da parte di un altro soggetto». L’espressione «espropriazione anomala» è utilizzata da ASSANTI,

Le licenze obbligatorie, cit., per richiamare le limitazioni che non alterano il nucleo centrale della proprietà: categoria

alla quale l’autrice riconduce anche la costituzione di licenze nell’interesse dello stato.

39() Un argomento ulteriore può poi essere forse individuato nel principio di proporzionalità: sul quale v., per quanto qui interessa, GOISIS, sub art. 141 cpi, cit., 657.

40() In senso contrario v. però ASSANTI, Le licenze obbligatorie, cit., 32, secondo cui l’espropriazione anomala

rientrerebbe nel co. 2 dell’art. 42 cost. (come limitazione del diritto IP) e non nel co. 3; con l’ulteriore conseguenza –

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riguarda la tutela convenzionale della proprietà (anche) intellettuale. E’ vero infatti che nel caso qui considerato la titolarità del bene resta ferma in capo al privato, il quale subisce unicamente una restrizione dell’ambito dell’esclusività pari al contenuto della licenza acquisita dall’amministrazione e condizionata al permanere delle esigenze d’interesse generale che legittimano il provvedimento. Allo stesso tempo sembra però irragionevole utilizzare questo argomento per far cadere l’obbligo per la pubblica amministrazione di indennizzare il titolare del diritto (non espropriato ma così) limitato, se non altro perché all’atto pratico la costituzione di una licenza d’imperio, magari di portata molto ampia, può ridurre a zero il valore residuo del diritto esclusivo. Si tratterà piuttosto di tener conto per la determinazione dell’indennizzo che il termine di riferimento non è il valore del diritto esclusivo ma della licenza, da calcolarsi in ragione della sua ampiezza e durata nonché della residua possibilità per il titolare di utilizzare a sua volta il bene immateriale.

Più ricco risulta se mai il novero delle norme internazionali applicabili. In materia di brevetti per invenzione occorre infatti tener conto anche dell’art. 31 TRIPs, che disciplina tutte le licenze obbligatorie, incluse quelle previste a favore dei governi o di soggetti da loro autorizzati (41).

Proprio questa norma sembra offrire una sponda per l’interpretazione della disciplina interna sin qui argomentata. Essa obbliga infatti gli stati membri a riconoscere al titolare del brevetto una «adequate remuneration in the circumstances of each case, taking into account the economic value of the authorization». Come è stato osservato anche alla luce dei lavori preparatori dei TRIPs, l’indennizzo è definito per l’appunto «adequate» e non integrale (42); e questo parametro elastico

fa il paio con l’obbligo di prevedere però un meccanismo di controllo rigoroso sulla determinazione dell’amministrazione, che deve includere necessariamente anche la possibilità di adire l’autorità giudiziaria (43). Non diversamente da quanto accade in Italia in applicazione della

incompatibile però con l’art. 31 TRIPs, pur intervenuto medio tempore – che cadrebbe la necessità dell’indennizzo.

41() Questa norma si applica peraltro a tutte le licenze obbligatorie, qualunque sia la ragione che ne fonda la concessione (BÖTTGER, Zwangslizenzen im Patentrecht – Eine systematische Bewertung der neueren Praxis

insbesondere im Bereich der öffentlichen Gesundheit, cit., 881 s.). Più complicato è dire se l’art. 31 TRIPs rilevi

indirettamente anche per l’espropriazione vera e propria. Si potrebbe infatti pensare che questa norma ammetta la costituzione di una licenza non esclusiva quale massima intrusione nella sfera giuridica del titolare del brevetto e vieti pertanto implicitamente l’espropriazione. Ciò che a prima vista appare piuttosto convincente, visto che avrebbe poco senso legare le mani agli stati membri rispetto alla concessione di licenze obbligatorie e lasciarli poi liberi di espropriare i medesimi diritti per ragioni di pubblica utilità. La Commissione interministariale incaricata di adeguare il diritto interno ai TRIPs ha ritenuto tuttavia di non dover intervenire sulla disciplina dell’espropriazione (cfr. FLORIDIA, Marchi, invenzioni e modelli, Giuffrè, Milano, 2000, 74 s.); e questa scelta trova un argomento a proprio

favore negli accordi bilaterali di libero scambio, che se ben vedo recano spesso limitazioni alla facoltà di espropriazione di cui non vi sarebbe forse il bisogno se l’art. 31 TRIPs fosse da intendere nel senso poc’anzi ipotizzato.

42() In questo senso depone del resto anche la prassi applicativa, descritta (e criticata) da BÖTTGER,

Zwangslizenzen im Patentrecht – Eine systematische Bewertung der neueren Praxis insbesondere im Bereich der öffentlichen Gesundheit, cit., 888.

43() Sul punto v. HÖHNE, Artikel 31 TRIPs, in BUSCHE e STOLL, TRIPs – Internationales und europäisches Recht

des geistigen Eigentums, Carl Heymanns Verlag, Köln-Berlin-München, 2007, 518 e 527 s., secondo cui «weil Art. 31

lit. h keine genauen Vorgaben für die Berechnung der Entschädigungshöhe macht, dient die gerichtliche Überprüfbarkeit dazu, dass die Vorstellungen des Patentinhabers bezüglich der Entschädigungshöhe noch einmal

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disciplina dell’espropriazione, così come la si è ricostruita nelle pagine precedenti (44).

9. Il quadro appare subito un po’ diverso se si volge lo sguardo agli altri casi nei quali il nostro ordinamento affida all’amministrazione il compito di determinare il corrispettivo per il godimento di un bene immateriale. Qualche pagina addietro si è affermato che queste fattispecie ulteriori condividono una caratteristica comune: tutte evocano infatti conflitti di natura «orizzontale», in cui si fronteggiano in via diretta ed immediata interessi privati. E’ venuto ora il momento di argomentare questa affermazione; per poi provare a comprendere se e quale ruolo giochi l’interesse pubblico.

A questo fine si può forse muovere dal campo dei diritti esclusivi sulle innovazioni a contenuto tecnologico (45) e più precisamente dalla disciplina delle licenze obbligatorie previste in caso di

mancata o insufficiente attuazione del trovato (46) o rispettivamente quando lo sfruttamento di

un’invenzione implichi l’esercizio dei diritti relativi ad un’innovazione presupposta.

In entrambi i casi il conflitto è privato, poiché corre tra il titolare del brevetto e chi intenda utilizzare il trovato nella propria azienda allo scopo di ricavarne un utile. Se così è, le regole di aggiudicazione previste dall’ordinamento appaiono però in parte sorprendenti. Sin dall’introduzione dell’istituto nel 1968 (47) la concessione della licenza obbligatoria (non per

«mancata» ma) per «insufficiente attuazione» dell’invenzione è infatti condizionata al fatto che il

genau geprüft werden und in einem fairen und gerechten Verfahren dazu Stellung bezogen wird». Sulle resistenze degli stati a vincolarsi sul piano internazionale in ordine alla determinazione dei corrispettivi per l’espropriazione o per la costituzione di licenze obbligatorie v. L.C. UBERTAZZI, Invenzione e innovazione, cit., 91 s..

44() Le osservazioni formulate nel testo suggeriscono pertanto di non sopravvalutare il rinvio contenuto nell’art. 141 co. 2 cpi alla disciplina delle licenze obbligatorie per integrare le regole sull’espropriazione mediante limitazione del diritto esclusivo; e di ritenere invece che esso valga soltanto ad estendere l’applicazione delle limitazioni relative al contenuto della licenza derivate dall’art. 31 TRIPs. Non sembra infatti appropriato condizionare la legittimità dell’espropriazione anomala all’impossibilità di pervenire ad un accordo con il titolare del diritto per il rilascio di una licenza volontaria: sia perché l’art. 31 TRIPs, da cui deriva l’art. 72 cpi, consente opportunamente di derogare a questo adempimento in caso di particolare urgenza; sia perché di regola esso è in realtà internalizzato dalla procedura di espropriazione, che può aprirsi e poi immediatamente chiudersi con la cessione (o concessione) volontaria del bene se il suo titolare accetta l’indennità proposta dall’amministrazione. D’altra parte sembrerebbe preferibile applicare anche in questo caso il procedimento di stima previsto per l’espropriazione anziché quello disciplinato per le licenze obbligatorie, che risulterebbe nella specie un po’ meno garantista. In questo caso è previsto infatti che in assenza di accordo tra le parti sulla nomina del terzo arbitratore decida il presidente della commissione dei ricorsi dell’Ufficio italiano brevetti e marchi: e cioè di un organo che appartiene pur sempre alla pubblica amministrazione. Questa soluzione si giustifica nel contesto in cui è prevista per la posizione di sostanziale terzietà dell’amministrazione rispetto ad un contenzioso tra il titolare del diritto e l’interessato ad ottenere la licenza obbligatoria; e per la stessa ragione appare però anche inopportuna quando l’amministrazione sia parte nella contesa.

45() Le convenzioni internazionali sul diritto d’autore autorizzano talora gli stati membri ad introdurre licenze obbligatorie: v. ad es. le disposizioni della CUB e della CUA sulla traduzione di opere straniere o sullo sfruttamento fonografico delle opere musicali. Il diritto interno e comunitario d’autore non hanno esercitato questa facoltà. Anche il meccanismo previsto dalla dir. 93/83/CEE per la gestione del diritto di ritrasmissione via cavo presenta infatti soltanto alcune analogie con lo strumento qui considerato. Sul punto v. L.C. UBERTAZZI, Introduzione, in ID., La proprietà

intellettuale, Giappichelli, Torino, 2011, 12.

46() Art. 71 cpi. Per l’applicabilità alle esclusive varietali v. MAYR, sub art. 115 cpi, cit., 475. 47() Con il d.p.r. 26 febbraio 1968 n. 849.

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titolare «l’abbia attuata in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese». E ciò significa che la tutela dell’interesse privato dipende dall’esistenza di un interesse pubblico favorevole o contrario ad una maggiore diffusione dell’innovazione protetta (48). Fino

all’adeguamento della disciplina dei brevetti ai TRIPs, la concessione della licenza obbligatoria per invenzioni dipendenti richiedeva a sua volta che l’innovazione a valle rappresentasse «rispetto all'oggetto del precedente brevetto, un notevole progresso tecnico»; ed anche questa valutazione sembrava lasciare spazio a valutazioni di politica industriale sostanzialmente discrezionali, come tali dominio della pubblica amministrazione. Né forse questo genere di considerazioni sono ora impedite dalla nuova formulazione della norma, che richiede «un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica» (49) ed arricchisce pertanto il test – siccome impone di

valutare la «rilevanza economica» dell’innovazione a valle oltre che l’importanza del progresso tecnico da essa portato – senza eliminare gli elementi di discrezionalità che lo caratterizzano.

Vero quanto precede, appare meno sorprendente che gli artt. 72 e 199 cpi attribuiscano all’interessato la facoltà di adire l’Ufficio italiano brevetti e marchi, anziché l’autorità giudiziaria, qualora il titolare del brevetto gli rifiuti la concessione di una licenza (volontaria) a condizioni ragionevoli (50).

D’altra parte il procedimento che si apre con l’istanza dell’aspirante licenziatario presenta molte analogie con quello espropriativo (51). Anche in questo caso occorre infatti distinguere

l’accertamento dei presupposti di legge per il rilascio della licenza dalla quantificazione del corrispettivo, visto che il provvedimento dell’autorità è definitivo sul primo versante e provvisorio sul secondo (52). Anche qui il titolare del brevetto deve pertanto impugnare il provvedimento

davanti al giudice amministrativo se lo ritiene infondato; e può invece invitare la controparte a celebrare l’arbitraggio (od adire il giudice ordinario se la controparte si rifiuta di nominare il proprio arbitratore) qualora giudichi iniquo il compenso.

Accanto alle somiglianze, vi sono però alcune differenze che suggeriscono d’intendere diversamente la funzione dei poteri dell’amministrazione e dunque anche la loro ampiezza. Degno

48() Cfr. L.C. Ubertazzi, Invenzione e innovazione, cit., 91.

49() Formula che riprende peraltro testualmente l’art. 31 l) i) TRIPs.

50() Sul punto v. L.C. UBERTAZZI, Invenzione e innovazione, cit., 91. E v. però anche FLORIDIA, sub artt. 52 ss.

l.i., in NLCC 1981, 808 secondo cui questa giustificazione non regge quando il brevetto non sia stato in alcun modo

attuato, visto che la concessione della licenza sembra qui dipendere da un mero accertamento di fatto.

51() Parrebbe ricostruire l’articolazione del procedimento di concessione della licenza obbligatoria così come indicato nel testo anche FRASSI, Innovazione derivata, brevetto dipendente e licenza obbligatoria, in Riv. dir. ind. 2006, 212 ss.. Secondo FLORIDIA, Le licenze disciplinate dalla legge, in AUTERI, FLORIDIA, MANGINI, OLIVIERI, RICOLFI e SPADA, Diritto industriale, Giappichelli, Torino, 2012, 282, che riprende peraltro l’impostazione già proposta dal medesimo Autore sub artt. 52 ss. l.i., cit., 805, l’arbitraggio avrebbe luogo già nella fase amministrativa di concessione della licenza qualora il titolare del brevetto dichiari di non accettare il compenso offerto dall’interessato nell’istanza; e dunque, se ben comprendo, il provvedimento amministrativo di concessione della licenza si limiterebbe a prendere atto della determinazione degli arbitratori. Come che sia, il risultato non cambia: in un caso e nell’altro si finisce comunque per negare che l’amministrazione possa determinare discrezionalmente l’equo compenso (e v. infatti FLORIDIA, sub artt. 52 ss. l.i., cit., 808 s.).

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di nota, da questo punto di vista, sembra in particolare il favore della disciplina per un accordo tra le parti che eviti l’avvio del procedimento o che quanto meno riempia il contenuto del provvedimento autoritativo finale. Ciò che si lega bene con l’attribuzione all’Ufficio brevetti e marchi di un ruolo sostanzialmente terzo, che lo fa assomigliare ad un mediatore nel corso del procedimento amministrativo (53) e che ne giustifica la competenza per la nomina del terzo

arbitratore nella successiva fase di opposizione al provvedimento costitutivo della licenza (54).

Queste differenze sono del resto congruenti con la natura del conflitto, che, come si è detto, non è verticale ma orizzontale; e con la rilevanza dell’interesse pubblico, che è il fondamento ed il fine dell’espropriazione, mentre nel sistema delle licenze obbligatorie è soltanto un parametro alla luce del quale valutare la meritevolezza di tutela dell’interesse privato a sfruttare l’invenzione (55).

Ciò comporta, se ben vedo, che lo spazio lasciato alla cura dell’interesse pubblico si esaurisce qui nella valutazione dei presupposti per il rilascio della licenza obbligatoria e non include anche, come nel caso dell’espropriazione, la determinazione dell’equo compenso spettante al titolare del brevetto (56). Né del resto avrebbe senso una soluzione diversa, tenuto conto che il licenziatario è

libero di esercitare il diritto costituito coattivamente per il suo esclusivo interesse e dunque ben potrebbe appropriarsi di un ipotetico risparmio sul costo della licenza anziché riversare questo beneficio sul prezzo dei beni immessi in commercio.

In conclusione, parrebbe pertanto che nel caso qui considerato l’amministrazione sia competente a determinare il corrispettivo soltanto perché la legge le attribuisce il potere a monte di concedere la licenza obbligatoria. La tecnica di bilanciamento degli interessi in campo prevede infatti che non possa darsi licenza coattiva senza indennizzo; ed allora l’autorità che dispone l’una deve poter provvedere contestualmente anche all’altro.

Il contenuto di questa competenza ancillare appare del resto davvero minimo. Manca infatti nella legge qualunque riferimento al criterio che l’amministrazione deve applicare per fissare la somma e le modalità del pagamento; e se anche si ritenesse implicito il rinvio al valore di mercato della licenza, si dovrebbe comunque constatare l’assenza di indicazioni normative sul procedimento di stima da seguire. Ragion per cui viene il dubbio che il provvedimento costitutivo della licenza debba in realtà limitarsi a prendere atto dell’accordo endoprocedimentale

53() Cfr. art. 199 cpi.

54() Aspetto che differenzia la disciplina qui considerata da quella in materia di espropriazione: v. retro, §8 e n. 44.

55() Da questo punto di vista emerge allora la differenza, altrimenti impalpabile, tra le licenze costituite mediante espropriazione e quelle obbligatorie (in particolare) per insufficiente attuazione del trovato. Questa distinzione non è peraltro necessaria nei sistemi (come quello tedesco: cfr. BEIER, Ausschließlichkeit, gesetzliche Lizenzen und

Zwangslizenzen im Patent- und Musterrecht, cit., 191) in cui sono previste soltanto le licenze obbligatorie

nell’interesse dello stato: che coprono allora naturaliter anche il campo occupato da noi dalle licenze obbligatorie concesse per un’attuazione del trovato inferiore ai bisogni del paese.

56() Diverso è dire che il canone di licenza va determinato in misura inferiore a quella di mercato per sanzionare la mancata attuazione e per evitare che l’istituto resti inattuato (come suggeriva ASCARELLI, Teoria della concorrenza

e dei beni immateriali, Giuffrè, Milano, 1960, 623). Va peraltro da sé che questo ragionamento non potrebbe

comunque applicarsi nel caso delle invenzioni dipendenti, tenuto conto che non c’è alcun disvalore da sanzionare.

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eventualmente raggiunto dalle parti in modo tacito, qualora il titolare del brevetto non si opponga in parte qua all’istanza dell’interessato, od in modo espresso, qualora abbia buon esito la conciliazione davanti all’Ufficio; e che in mancanza debba invece ripetere il contenuto dell’offerta avanzata dall’istante, purché non sia palesemente iniqua.

10. La risposta al quesito oggetto di questo studio appare un po’ più complessa se si riflette sui regimi di dominio pubblico pagante imposti dalla legge sul diritto d’autore (57), di norma in deroga

al contenuto normalmente esclusivo del diritto e più di rado come tecnica autonoma di protezione alternativa al riconoscimento dello ius arcendi (58).

57() A differenza di quanto accade in campo brevettuale, dove questo risultato può discendere soltanto da una

scelta volontaria del titolare del diritto che opti per il regime delle licenze di diritto (cfr. l’art. 80 cpi).

58() L’individuazione della posizione occupata in questo schema dai diritti degli artisti interpreti ed esecutori e dei produttori di fonogrammi mi pare peraltro ardua. In effetti le norme internazionali, comunitarie ed interne sembrano applicare due diverse tecniche di protezione, l’una basata sull’attribuzione di diritti esclusivi e relativa in particolare alla riproduzione, distribuzione e messa a disposizione del pubblico del fonogramma che incorpora la prestazione artistica e/o imprenditoriale; l’altra basata invece sull’attribuzione di un diritto ad equo compenso e relativa all’uso del fonogramma per comunicare l’incisione al pubblico, presente o distante nel luogo in cui avviene l’utilizzazione. E qualche volta si legge che questa distinzione sarebbe motivata dall’esigenza di lasciare agli autori il controllo sulla diffusione delle loro opere (così ad esempio autorevolmente PIOLA CASELLI, Codice del diritto di

autore, UTET, Torino, 1943, 459 e 473). Ora, è facile notare che se davvero si fosse voluta tutelare questa libertà

degli autori, allora si sarebbe impiegato lo strumento del diritto all’equo compenso anche per la riproduzione e distribuzione dei fonogrammi, prima, e per la comunicazione interattiva online, dopo (e v. RICOLFI, Comunicazione al

pubblico e distribuzione, in questa Rivista 2001, 48 ss. per un tentativo di correggere in via interpretativa questa

asimmetria per lo meno rispetto ad alcune utilizzazioni su internet). Cosa che invece non è avvenuta. A me pare allora che manchi qui un disegno legislativo chiaro e che l’assetto attuale derivi invece dal prevalere in momenti storici diversi degli interessi degli artisti e dei produttori fonografici o piuttosto di quelli degli utilizzatori di fonogrammi. I primi preoccupati di ottenere il riconoscimento di un diritto naturale a controllare lo sfruttamento delle loro prestazioni; e gli altri a difendere strenuamente la libertà di esercitare l’impresa di radiodiffusioni o di organizzazione di pubblici intrattenimenti senza dover ottenere il permesso da nessuno (inclusi gli autori, come dimostra la riserva ancor oggi presente nell’art. 11bis co. 2 CUB, in forza della quale gli stati membri possono introdurre licenze legali anche per la radio o telediffusione delle opere dell’ingegno: cfr. RICKETSON e GINSBURG, International Copyright and

Neighbouring Rights, Oxford University Press, New York, 2005, 819). Nell’insieme emerge comunque chiaramente

l’approssimazione progressiva dei diritti connessi al diritto d’autore; e con essa anche il riconoscimento del pari diritto degli artisti e dei produttori di controllare tutte le utilizzazioni economiche delle loro prestazioni eventualmente (nel caso degli artisti) e necessariamente (nel caso dei produttori) fissate in fonogrammi; salve per l’appunto le eccezioni espresse previste dalla legge e l’eventuale sostituzione del diritto esclusivo col diritto al compenso che talvolta le accompagna. Se così è, non mi sembra che il diritto all’equo compenso vada ricostruito come tecnica alternativa all’esclusiva, quanto piuttosto come il complemento di una utilizzazione libera prevista a tutela dell’interesse generale a non limitare le attività di radio e telediffusione di contenuti culturali ed al tempo stesso però anche a vantaggio delle imprese le esercitano, peraltro tutte in mano pubblica all’epoca in cui queste norme hanno avuto origine. Ragionare in questa prospettiva mi pare aiuti del resto a ridimensionare il peso del cd. three-steps-test imposto dalle convenzioni internazionali (e sul quale v. infra nel testo) per valutare la legittimità delle libere utilizzazioni introdotte a livello nazionale. Come è stato infatti osservato (da RICKETSON e GINSBURG, International Copyright and Neighbouring

Rights, cit., 871, in relazione al WCT; ed in termini più generali da GEIGER, Implementing an International

Instrument for Interpreting Copyright Limitations and Exceptions, in IIC 2009, 627 ss., 633 ss.) non è infatti pensabile

che gli stati membri abbiano introdotto questa limitazione con l’idea di rendere incompatibili col diritto internazionale le libere utilizzazioni (eventualmente paganti) già previste a livello nazionale; e lo stesso mi par vero nei rapporti tra convenzioni internazionali successive, anche a prescindere dalle clausole di salvaguardia che legano le une alle altre. L’esistenza di eccezioni o limitazioni di portata così ampia mi sembra allora un dato da non trascurare in chiave

(18)

A differenza di quanto accade nel caso delle licenze obbligatorie, qui è la legge stessa ad autorizzare chiunque vi abbia interesse ad utilizzare il bene immateriale. L’interessato può dunque servirsi dell’opera o della prestazione protetta senza dover attivare un procedimento amministrativo e senza dover attendere il rilascio di una licenza forzosa. Egli è soltanto tenuto, per l’appunto, al pagamento di un «equo compenso» al titolare del diritto in adempimento di un’obbligazione ex lege che sorge nel momento stesso in cui avviene l’utilizzazione (59). Ma se

così è, l’attribuzione all’autorità amministrativa del compito di determinare la misura del compenso «equo» non può essere legata al procedimento per il rilascio della licenza e deve pertanto fondarsi su ragioni diverse.

Un primo spunto utile per provare a formulare un’ipotesi viene dallo studio dei lavori preparatori della legge del 1941, dai quali emerge una scelta precisa del legislatore dell’epoca in favore dell’ampliamento delle funzioni attribuite alla pubblica amministrazione nell’attuazione della tutela degli autori e degli artisti (60). Una scelta che si è tradotta, per l’appunto,

nell’attribuzione di numerose competenze al ministero per la cultura popolare (poi passate alla presidenza del Consiglio dei ministri) «sia per determinare compensi, sia per stabilire tariffe, sia, in via preliminare, per realizzare l’accordo tra le parti in caso di controversia» (61); e nel

contemporaneo rafforzamento della sua organizzazione interna, con la costituzione di un comitato consultivo permanente posto in posizione di primazia rispetto all’ufficio della proprietà letteraria, artistica e scientifica già esistente (62) e formato secondo criteri che suggeriscono immediatamente

l’intenzione di creare una camera di compensazione degli interessi, pubblici e privati, potenzialmente in conflitto (63).

sistematica: sia per revocare in dubbio che la protezione dei diritti (d’autore e) connessi sia strutturalmente incompatibile con l’introduzione di limitazioni altrettanto ampia per modalità di utilizzazione nuove (ed in particolare per quelle interattive online, soprattutto se non distributive) rispetto alle quali sussistano interessi di rango tale da poterle giustificare; sia per argomentare che nell’equazione imposta dal three steps test si può tener conto (per capire in particolare che cosa significhi «sfruttamento normale» dell’opera o della prestazione e per valutare quali pregiudizi eventualmente imposti ai titolari di diritti siano «ingiustificati») anche dall’assetto del mercato e dell’esigenza di non creare disparità di trattamento – in melius od in peius – tra utilizzatori delle opere e delle prestazioni protette che si trovano ad operare in mercati non solo convergenti ma ormai in parte sovrapposti.

59() Sul punto v. già PIOLA CASELLI, Codice del diritto di autore, cit., 474.

60() In accordo peraltro con il modello dell’economia mista allora prevalente: cfr. BATTINI, FRANCHINI, PEREZ,

VESPERINI, CASSESE, Manuale di diritto pubblico, cit., 176.

61() Cfr. GA. NAPOLITANO, La pubblica amministrazione nel quadro della nuova legge sul diritto di autore, in

IDA 1942, 198.

62() Cfr. GA. NAPOLITANO, La pubblica amministrazione nel quadro della nuova legge sul diritto di autore, cit.,

196 ss., 197 s. e 205.

63() Il resto originario dell’art. 191 l.a. prevedeva infatti che il comitato fosse composto «a) di un presidente designato dal Ministro per la cultura popolare; b) dei vice presidenti delle corporazioni delle professioni e delle arti, dello spettacolo e della carta e stampa; c) di un rappresentante del p.n.f.; d) di un rappresentante dei Ministeri degli affari esteri, dell'Africa italiana, di grazia e giustizia, delle finanze, delle corporazioni, e di due rappresentanti del Ministero della educazione nazionale; e) dei direttori generali per il teatro, per la cinematografia, per la stampa italiana, dell'ispettore per la radiodiffusione e la televisione del Ministero della cultura popolare e, del capo dell'ufficio della proprietà letteraria scientifica ed artistica; f) dei presidenti delle confederazioni dei professionisti ed artisti e degli industriali, e di tre rappresentanti per ciascuna delle confederazioni suddette particolarmente competenti in

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