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Hacking meanings. Nuovi significati per oggetti e interazioni

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Academic year: 2021

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Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino Eds

Hacking

meanings

Interfacce e

interazioni

che alterano

il senso delle

cose.

THINGK STUDIES!

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Direzione

Stefano Marangoni

Comitato editoriale

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino

Progetto grafico

Tommaso Livio

Il presente volume è pubblicato in Open Access, ed è liberamente scaricabile dal sito www.thingk.design Hacking meanings. Interfacce e interazioni che alterano il senso delle cose

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino (Eds.) ISBN Open Access: 9788894567915

Prima edizione: Feb 2020 Via Durando 38, 20158 Milano www.thingk.design

Copyright © 2020 by Thingk s.r.l., Milano, Italia

Quest’opera, e ogni sua parte, è protetta dalla legge sul diritto d’autore ed è pubblicata in questa versione digitale sotto la licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale (CC BY-NC-ND 4.0).

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Non commerciale — Non puoi utilizzare il materiale per scopi commerciali.

Non opere derivate — Se remixi, trasformi il materiale o ti basi su di esso, non puoi distribuire il materiale così modificato. THINGK STUDIES!

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IND IC E Introduzione Stefano Marangoni Contesto di riferimento

Interfacce, oggetti smart ed esperienza utente Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino, Tommaso Livio

Metodo progettuale

Un percorso con l’utente al centro Umberto Tolino, Ilaria Mariani Interfacce utente

Naturali, tangibili e vocali

Stefano Marangoni, Ilaria Mariani, Umberto Tolino, Tommaso Livio

Smart textile

Materiali tradizionali e tecnologie digitali Ilaria Mariani, Stefano Marangoni, Umberto Tolino Hacking meanings

Nuovi significati per oggetti e interazioni Ilaria Mariani, Umberto Tolino

Drawing User Interfaces

Interazioni situate e variabili

5 7 29 61 87 113 137

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Hacking

meanings

Nuovi

significati

per oggetti

e interazioni

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H ac ki ng me an ing s

Abstract.A partire da forme geometriche archetipiche con funzioni smart, la startup persegue un’innovazione formale basata sull’hacking del signifi-cato di prodotti apparentemente muti e minimali che, dopo essere utiliz-zati, si rivelano “oggetti d’uso quotidiano dai superpoteri”. Il saggio descri-ve una sperimentazione, che agisce sull’estetica dei prodotti, ne influenza l’interfaccia (UI) e impatta di conseguenza sull’esperienza dell’utente (UX), condizionando l’intero processo di progettazione. Particolare attenzione è posta su come le informazioni prodotte dagli utenti finali diventino fonti di conoscenza e implementazione.

Keywords. Design Process, Design-Driven Innovation, Smart Objects, User experience, Affordances, Significato.

Nel concettualizzarne il significato, Krippendorff (1989) ha descritto il Design come attribuzione di un senso alle cose. Dal punto di vista etimologico, il termine si compone a par-tire dal latino de + signare, e può essere tradotto come fare qualcosa, distinguerlo tramite un segno, attribuire significa-to, designare la relazione tra un elemento con ciò che è altro rispetto ad esso, che siano cose, proprietari, utenti o beni. In sintesi: dare senso (alle cose).

In seguito, articolando ulteriormente il ragionamento sul si-gnificato del Design, Heskett (2002) giunge ad una concettua-lizzazione più inclusiva del termine, che lo colloca all’interno di un contesto di riferimento, considerando una prospettiva ampia: Design è una deliberata e ragionata modellazione e realizzazione del nostro ambiente affinché si soddisfino i nostri bisogni, dando un senso alla nostra vita. Heskett ag-giunge all’attribuzione di senso alle cose il concetto di agire sull’ambiente circostante: un aspetto fondamentale per il ra-gionamento che segue, data la tipologia di prodotti risultato della nostra progettualità.

A partire da queste definizioni, si evince chiaramente come gli artefatti dovrebbero per loro natura e scopo comunicare la

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loro funzione attraverso il loro aspetto, fornendo agli utiliz-zatori indizi che ne facciano intuire il corretto funzionamento (Norman, 1999, p. 39). L’estetica ricopre un ruolo chiave nel convogliare queste informazioni, e le affordance di un ogget-to ne suggeriscono l’uso, fornendo all’utente un orientamen-to e delle indicazioni su come manipolare l’artefatorientamen-to al fine di ottenere l’effetto desiderato. All’interno di questo pano-rama, quando si tratta di oggetti dotati di una natura digita-le, l’estetica dell’oggetto si arricchisce di un’interfaccia, che contribuisce a formare e influenzare l’atteggiamento degli utenti. Indipendentemente dalla sua tipologia1, l’interfaccia

è responsabile di innescare il dialogo con l’utente, di stabilire un contatto finalizzato allo svolgimento di una o più azioni, e pertanto ricopre una funzione operativa (Tidwell, 2010) e

fatica (Jakobson, 1960).

Quanto appena descritto rappresenta come dovrebbe essere la prassi progettuale.

A Thingk, preferiamo invece sperimentare e sfidare le con-venzioni, a partire proprio dalla capacità degli oggetti di comunicare la loro funzione. Ridisegnare i significati è un aspetto centrale, che acquista ulteriore rilevanza se si con-sidera che perseguiamo un’innovazione ispirata dal design, dove le esigenze dell’utente sono riconosciute e spesso anti-cipate, e le opportunità tecnologiche aprono nuove possibili-tà di sperimentazione (Utterback et al., 2006), ma il rapporto

1 L’argomento è introdotto nel saggio Contesto di riferimento. Interfacce,

oggetti smart ed esperienza utente dove proponiamo uno sguardo sul pano-rama contemporaneo e casi studio connotanti le sperimentazioni in corso; mentre è approfondito nel saggio Interfacce utente. Naturali, tangibili e si-tuate, che si concentra su come il concetto stesso di interfaccia sia mutato nel tempo, fino a una progressiva scomparsa o integrazione negli oggetti.

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forma-funzione dei prodotti non è più così familiare. Quan-do gli oggetti cambiano il loro significato, il loro linguaggio diventa tutt’altro che scontato, e ciò arriva con implicazioni non trascurabili.

Non è ciò che sembra

L’interfaccia è un sistema olistico che dialoga con l’utente (Kolko, 2010) comunicando funzionalità di prodotto, servizio o sistema e fornendo accesso alle informazioni riguardo i possibili utilizzi (affordances) (Norman, 1999). Questa dimen-sione interattiva e performativa è ciò che rende gli oggetti dei prodotti (Bonsiepe, 1995), e l’usabilità costituisce solo una frazione di un insieme maggiore di caratteristiche che contribuiscono a questo dialogo. Attribuire agli oggetti su-perpoteri significa dotare artefatti apparentemente analogi-ci e inanimati di tecnologie che li rendono capaanalogi-ci di reagire a interazioni quali gesti, vibrazioni, movimento/accelerazione, radiofrequenze e così via, e all’occorrenza anche di scam-biare informazioni (IoT). Nel nostro caso, questo lato smart, aumentato degli oggetti è accessibile attraverso interfacce che rimangono silenti e mute finché non risvegliate da un’in-terazione.

Pertanto, piuttosto che essere concepiti come oggetti, ar-tefatti di questa natura richiedono di essere pensati e pro-gettati come tramiti interattivi tra l’utente e una tecnologia invisibile, prestando particolare attenzione agli scopi, agli usi e alle abitudini, ma anche alle aspettative riguardo l’intera-zione stessa. Proprio l’analisi costante dei trend tecnologici e di lifestyle, unitamente a una costante osservazione del quotidiano, alimentano una sperimentazione volta

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all’inno-N uo vi s ign ific at i p er o gg et ti e i nt er azi on i

vazione di significato, che si articola lungo tre assi: ricerca di tecnologia smart integrabile negli oggetti, analisi di modi d’uso emergenti volti a prevedere possibilità d’uso future, e adattabilità al mercato. Per alimentare queste tre direzioni, rendendole leve per la progettualità, adottiamo un’attitudi-ne al progetto flessibile e in divenire, che incorpora come elemento di valore aggiunto le considerevoli ricadute a livel-lo tanto formale quanto estetico che un processo attento a tecnologie, trend e mercato alimenta.

In questi termini, la nostra innovazione si orienta verso una stratificazione di significati capaci di coesistere in un unico oggetto. Introducendo tecnologie smart che rimangono si-lenti e invisibili fino al momento del bisogno, inneschiamo affordance digitali in artefatti dall’aspetto analogico. Così fa-cendo giochiamo sulle affordance percepite e reali degli ar-tefatti, aumentando i riferimenti cognitivi che li connotano. Proprio questa attitudine nutre continue opportunità per mettere in discussione le convenzioni estetico-funzionali di alcuni prodotti tradizionali, soprattutto nell’ambito domesti-co, fornendoci spunti per contaminare e ripensare i consueti processi interpretativi (Tolino & Mariani, 2019). Dal momen-to che si struttura a partire da una moltitudine di variabili oggetto di ricerca e sperimentazione, il processo che ne de-riva è però tanto innovativo quanto critico. Per far fronte alla complessità, fondamentale è il dialogo e la contaminazione tra le diverse competenze che coesistono nel nostro team. In questo contesto proprio la figura del designer è più che mai chiamata a farsi interprete e collettrice di saperi.

L’interazione che i nostri prodotti attivano si colloca in un’a-rea di senso ben distante dal concetto “ciò che vedi è ciò che ottieni”. Al contrario, la forma comunica una funzione spesso

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ridotta e persino lontana da quella realmente svolta dall’og-getto. La natura particolare di questi artefatti situa questa riflessione in un’area di ulteriore attrito, dove convergono funzione, usabilità, linguaggio e significato, poiché l’oggetto in discussione combina approcci diversi. Ontologicamente, il design ruota attorno agli utenti, o meglio, ai loro bisogni (Hutchins et al., 1985; Norman & Draper, 1986), richiedendo una profonda comprensione dell’utente in termini di usi e abitudini, gesti e interazioni, anche rituali e aspirazioni. Com-prendere e riuscire a rispondere adeguatamente a questa condizione appare particolarmente complesso quando l’og-getto della progettazione sono ecosistemi di prodotti digi-talmente aumentati (Brugnoli, 2015; Jenkins & Bogost, 2014; Sutton, 2014), capaci di attivare interazioni inattese, innesca-te dalla relazione con l’uinnesca-teninnesca-te, altri oggetti o il coninnesca-testo in cui si trovano. Ad esempio, una delle caratteristiche principali degli oggetti dotati di tecnologie integrate e connessi in una rete di comunicazione (IoT) è la loro capacità di reagire in modo fluido a variabili esterne, come ad esempio i compor-tamenti degli utenti (Yang & Rebaudengo, 2014). Così facen-do passano da uno stato di passività a uno di attività, sta-bilendo un’interazione che possiamo considerare come una conversazione tra l’oggetto e il l’ambiente in cui è situato. In tal contesto, gli oggetti diventano interlocutori virtuali con cui l’utente è chiamato a confrontarsi, attivando interazioni simmetriche che abilitano e invitano entrambe le parti, ovve-ro l’oggetto e l’utente o/e l’oggetto l’ambiente circostante, ad agire e reagire reciprocamente (Manzini, 1990).

Questa condizione complessa ma affascinante e sfidante, si arricchisce poi di un ulteriore elemento: tra i nostri principi di base, vi è il fatto di attivare la dimensione digitale degli

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oggetti come conseguenza di un’interazione gestuale. Le in-terazioni che progettiamo, non solo sono situate, ma si fon-dano sui concetti di materialità e manipolazione2 (MacLean,

2008; Yoo, 2012). Due concetti dai significati profondamente radicati nella cultura (Jenkins & Bogost, 2014; Norman, 2010; Pizzocaro, 2018), che mettono in luce la funzione dell’este-tica nell’attivare significati che si traducono in interazioni, passando dal suggerire una prestazione, al rappresentare le possibili funzionalità e quindi l’usabilità. La sfida significativa che incontriamo deriva dal dotare gli oggetti di un’estetica essenziale connotata da una specifica area semantica, che però viene disattesa nel momento in cui avviene l’interazio-ne. Questo perché l’oggetto è aumentato.

Il fatto di dotare un oggetto con un’interfaccia che nasconde

afforordance non dichiarate, muta la natura dell’oggetto

stes-so, mettendo alla prova il modo in cui gli utenti li percepisco-no e ci interagiscopercepisco-no. Di conseguenza, l’analisi su come gli utenti percepiscono tali oggetti assume una ritrovata impor-tanza. Dal momento che oggetti essenziali con materiali na-turali sono combinati con tecnologia integrata, ampia parte dei nostri studi si concentra sui comportamenti che l’oggetto innesca dell’utente, sui significati percepiti e sulle potenziali interazioni suscitate dall’artefatto nei suoi diversi stati. Oggetti d’uso quotidiano coi superpoteri

A Thingk trasformiamo oggetti comuni, aumentandoli attra-verso tecnologie interattive. Unendo forme geometriche ar-chetipiche a capacità digitali, perseguiamo un’innovazione di senso che si basa sull’hackerare il significato di prodotti

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tangi-H ac ki ng me an ing s

rentemente analogici, basici e minimali, rendendoli oggetti d’uso quotidiano dotati di superpoteri.

L’esempio che rende più evidente il concetto è Slab!, una bi-lancia da cucina che nasconde complessità funzionale die-tro ad un’estetica minimale e naturale che la fa sembrare un tagliere. Il materiale naturale e la forma tradizionale fanno sembrare l’oggetto ciò che non è , ma una volta interagito e riposizionato, rivela la sua dimensione digitale: da un display collocato sotto di uno strato di legno fresato emerge l’inter-faccia, e l’oggetto funge da bilancia se posta in orizzontale, o da timer quando in verticale.

Tutti i nostri prodotti sono realizzati in materiali naturali (le-gno, pelle, pietra), e dietro a un look and feel analogico celano un’anima tecnologica (i superpoteri) pronta ad emergere nel momento di necessità. Introduciamo quindi sul mercato una serie di prodotti pensati per presentarsi “sotto mentite spo-glie”. Oggetti la cui estetica (forma) non veicola la funzione (affordance). L’aspetto di innovazione di significato diventa evidente.

In un contesto in cui progettare significa attribuire un senso alle cose (Krippendorff, 1989) facendo sì che la loro esteti-ca comunichi in modo chiaro e diretto la funzione svolta, il nostro approccio progettuale si basa sull’inganno formale che si sviluppa attorno al principio fondante del ridisegnare affordance e interazioni al fine di ridefinire come gli oggetti vengono percepiti dai loro fruitori.

Così facendo, gli oggetti che progettiamo non forniscono al-cun indizio o segnale riguardo la loro funzione tecnologica o il loro “corretto funzionamento” (Norman, 1999), ma che rivelano le loro funzionalità con l’interazione.

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Perseguiamo un’innovazione che si basa sul sorprendere giocando con il rapporto forma-funzione, a combinare sem-plificazione formale e funzionalità aumentate. Inserendo in-terfacce che restano mute fino all’interazione, abilitiamo gli oggetti a dichiarare il loro significato: il rapporto stesso tra la forma e la funzione cessa di essere prevedibile o familiare, per basarsi su linguaggio che è tutt’altro che scontato. I prodotti che progettiamo sono privi di un’interfaccia espli-cita, che emerge solo attraverso l’interazione, rivelando fun-zioni quiescenti risiedono appena sotto la superficie (lette-ralmente) di un oggetto sono in apparenza muto. Questa filosofia ci ha portati a progettare una bilancia intelligente che sembra essere un tagliere di betulla (Slab!, 2014), un ca-ricatore per smartphone wireless che si presenta come un disco di faggio (Disc!, 2015), un piano di ricarica wireless inte-grato in un sottomano di cuoio (Desk!, 2015), e un fermacarte in pietra che in realtà è un Hard Disk wireless, che permette di archiviare e scambiare file tramite smartphone, tablet o laptop (Bit!, 2017).

In ciascuno di questi prodotti (fig. 1) è evidente come la for-ma non solo non lasci trasparire la reale funzione, for-ma giochi proprio sull’inevitabile fraintendimento.

Fig. 1. Nella pagina seguente: Slab! bilancia / timer, i caricatori da scrivania

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Proprio le potenzialità che derivano dall’inserimento di una tecnologia integrata sotto la superficie, che affiora durante l’interazione, ha richiesto riflessioni puntuali riguardo al de-sign dell’interfaccia; un’interfaccia che spesso arriva a coinci-dere con il prodotto stesso. Una scelta progettuale che invita a ripensare il ruolo dell’interfaccia quale elemento semanti-co che tradizionalmente si pone semanti-come barriera che separa oggetto e utente, ed è al contempo elemento di traduzione che indirizza e comunica con auspicabile immediatezza e semplicità le interazioni possibili. In questo particolare sce-nario, diventa ancora più centrale l’operazione comunicativa attribuita all’interfaccia, cui è dato il compito di essere inter-prete (Norman, 1999) di una forma che non comunica le reali funzioni, e a cui è chiesto più che mai di agire come un filtro semantico che pone in relazione fruitori e prodotti (Bonsie-pe, 1995), svelando le possibilità che un’estetica volutamen-te fuorvianvolutamen-te cela.

La nostra sperimentazione si concentra sul progettare ar-tefatti a prima vista muti: una scelta che apre implicazioni non trascurabili, tanto in termini di UI, quanto di UX. Basare l’intera attività di ricerca e sviluppo sulla manipolazione dei significati presuppone una rinnovata attenzione volta ad in-dagare i pattern d’uso che gli utenti attivano per interagire con l’oggetto, nei suoi diversi stati. Ciò rende imprescindibile l’inclusione di utenti prosumer nel processo di design nelle sue diversi fasi, così da poter attuare una verifica e validazio-ne costante e puntuale.

A questo proposito, nel progettare il nostro primo ogget-to, Slab!, per noi ha svolto un ruolo chiave la campagna di Crowdfunding, che ci ha permesso di affiancare ai contributi che abbiamo raccolto da gruppi di designer selezionati ed

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esposti all’oggetto fin dalle fasi iniziali di prototipazione, in-formazioni puntuali, legate a un uso quotidiano (Vitali et al., 2017). Proprio il connubio di questi diversi ma fondamentali saperi ci ha permesso di analizzare criticamente come questi artefatti che sfidano le normali convenzioni vengano effetti-vamente interpretati e usati.

Di seguito proponiamo nuovamente il caso studio di Slab!, già introdotto nel saggio Metodo progettuale. Un percorso con

l’utente al centro, per tradurre concretamente il nostro

pro-cesso di progettazione. In questo contesto, riprendiamo il caso studio per esplicitare come l’aver hackerato i significati di un oggetto abbia richiesto importanti considerazioni che hanno portato a riprogettare alcuni aspetti di Slab!. Questa riprogettazione è avvenuta sulla base di dati e informazio-ni che abbiamo ricevuto dai designer coinvolti e dagli utenti che hanno partecipato alla campagna di Crowdfunding, una volta entrati in contatto con il prototipo della bilancia. Slab! Le conseguenze di hackerare i significati

Quando abbiamo iniziato a pensare a Slab!, cercavamo qual-cosa di nuovo: un oggetto rappresentato da un look and feel analogico, che una volta toccato rivelasse una natura digita-le. Un oggetto apparentemente semplice, ma in realtà com-plesso, frutto di processi sia di sottrazione che di addizione: semplificando la forma e aumentando le funzioni, aggiun-gendo tecnologia nascosta.

Slab! utilizza un’interfaccia che segue un ideale di interazione

naturale e intuitiva, considerando i principi che caratterizza-no la filosofia della caratterizza-nostra startup: estetica (il piacere), infor-mazione localizzata nello spazio (situatedness) e responsività

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rispetto al contesto (sensibile alle variazioni ambientali), uni-tamente al considerare gli oggetti come informazione. Tutto ciò, sfidando i criteri dell’interazione diretta e della verosi-miglianza: come anticipato, gli oggetti in uno stato di quie-te, ossia con l’interfaccia silenquie-te, si caratterizzano per avere

affordance percepite che si discostano da quelle reali, che

emergono invece quando vi è un’interazione in corso. Quin-di, seguendo la direzione della scomparsa della tecnologia, ed in particolare della dissoluzione dell’interfaccia, siamo giunti ad una semplificazione estetica che ha privato l’ogget-to della sua capacità di comunicare chiaramente la sua fun-zione: abbiamo hackerato il suo significato.

Fin dalla sua concezione, Slab! nasce per essere essenziale e intelligente. Per scelta progettuale, abbiamo concepito un oggetto la cui forma dichiara una funzione (tagliere), mentre la sua interfaccia comunica altre funzionalità (bilancia e ti-mer). Alla luce di questo ragionamento, il problema emerso nelle primissime analisi dei prototipi di Slab! è che la frizione

estetico-semantica data dall’archetipo le cui funzionalità sono

aumentate in modo non dichiarato, se non a interazione av-viata, producevano incomprensioni negli utenti, risultando in criticità nell’usabilità stessa dell’oggetto. Inoltre l’interfac-cia non si mostra finché non è nelle condizioni tali per cui è previsto che appaia. Se l’oggetto è posizionato nell’orienta-mento di stand-by, l’interfaccia non si manifesta, e la funzione non si attiva – impedendo quindi che sia vista e colta come tale! Inoltre l’interfaccia è variabile: reagisce a manipolazioni come il cambio di orientamento, mostrando le informazioni legate al peso quando in posizione orizzontale con funzione di bilancia; mentre mostra informazioni legate allo scorrere

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del tempo quando collocata in funzione di timer. Alla luce di questo ragionamento, l’analisi dell’esperienza dell’utente e in particolare dei comportamenti degli utenti con artefatti che integrano tecnologia nascosta assume un ruolo fonda-mentale.

Come descritto nel saggio Metodo progettuale. Un percorso

con l’utente al centro, Slab! è stata oggetto di una campagna

di crowdfunding lanciata attraverso la piattaforma Indiegogo (2014), durante la quale sono stati consegnati 200 prodotti a

prosumers, cui è stato chiesto di utilizzare l’oggetto nelle loro

attività quotidiane, per poi restituirci feedback e informazio-ni sullo svolgersi della loro interazione. Una serie cruciale di informazioni sono emerse proprio dai dati raccolti durante il periodo di sei mesi in cui sono stati utilizzati i prodotti, che ri-cordiamo essere in fase di prototipo avanzato. Spaziando da descrizioni emozionali e concettuali a descrizioni logiche e critiche funzionali, i testi e i video inviati hanno esplorato una gamma completa di esperienze e possibilità. Tuttavia i com-menti più significativi si raggruppano attorno a due temati-che, approfondendo principalmente funzionalità ed estetica dell’oggetto, dove la funzionalità si riferisce alla misura in cui il manufatto è in grado di eseguire operazioni desiderate o previste, mentre l’estetica identifica la piacevolezza unita-mente alla capacità del manufatto di consentire agli utenti di percepire le sue funzionalità. Gli aspetti legati ai materiali e all’ergonomia costituivano un’area di analisi per noi altret-tanto fondamentale da esplorare. Per approfondirli ulterior-mente in una logica dialettica caratterizzata dalla possibilità di articolare e sviluppare in profondità le questioni, abbiamo ritenuto necessario avviare dei focus group mirati svolti con gruppi di designer.

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Abbiamo raccolto dati a partire dalle aspettative e prime im-pressioni legate all’oggetto, per poi chiedere feedback più a lungo termine, in relazione agli aspetti piacevoli e problema-tici emersi in seguito a interazioni più prolungate. Questi dati hanno evidenziato l’esistenza di potenziali ambiguità nell’u-tilizzo del prodotto con impatti in termini di accessibilità alle funzioni.

Come ci aspettavamo, Slab! si è confermata sfidare le norme e la natura dell’interazione, rispetto alle modalità tradizionali in cui gli utenti si comportano e sono abituati a comportarsi sapendo di stare interagendo con un oggetto dalla funzione di bilancia. In primo luogo, il primissimo prototipo sviluppato abbracciava una logica di assoluta semplificazione, tanto che appariva come un parallelepipedo in betulla senza funzio-ne apparente. Tuttavia la ricerca di un minimalismo quasi estremo ha da subito rivelato complessità semantiche non trascurabili. La forma dell’oggetto, nella sua geometria pura, non solo non comunicava la funzione dell’oggetto, ma nep-pure forniva indicazioni come posizionarlo su una superficie: la difficoltà di distinguere il lato su cui poter pesare (supe-riore), rispetto a quello opposto (inferiore). Sebbene l’intera-zione facesse poi emergere l’interfaccia che rivelava la posi-zione, la sua iniziale forma muta è stata percepita come un possibile elemento di criticità. Questo aspetto, emerso dai primi confronti con gruppi di designer, è alla base dell’intro-duzione dei piedini posti sotto la bilancia. Oltre al ruolo in termini di affordance, i piedini hanno consentito di migliorare ulteriormente la precisione della pesatura, portando un be-neficio in termini di funzionalità. Questa implementazione, che da un lato chiarisce come orientare l’oggetto, dall’altro attribuisce una forte connotazione, relativa ad una

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posizio-H ac ki ng me an ing s

ne privilegiata: quella che attiva la funzionalità bilancia. Tra i feedback raccolti, alcuni segnalavano inoltre la difficoltà di distinguere il lato bilancia da quello svolgendo la funzione di timer. Accanto all’introduzione dei piedini abbiamo ripo-sizionato il display: il risvolto estetico è da identificarsi tanto in termini di visibilità quanto di invito all’orientamento del prodotto. La presenza del display sul lato superiore, rompe la simmetria dell’oggetto e informa da che lato orientarlo per renderlo timer.

Inoltre, Slab! è dotata un sensore touch posto sul lato cor-to che permette di impostare il tempo quando l’oggetcor-to è in verticale, e di impostare la tara quando è in orizzontale. Tuttavia la community ha sottolineato il bisogno di avere se-gnalato il punto dove si nasconde l’interazione. Per questo, contestualmente alla posizione del sensore di contatto è sta-to inciso sulla superficie in legno il marchio di Thingk, quale elemento visuale che suggerisce la presenza di un’interazio-ne nascosta appena sotto la superficie.

Abilitare interazioni

Riconoscendo modi d’uso emergenti e progettando artefat-ti volartefat-ti a prevedere possibilità d’uso non ancora radicate, la ricerca ci ha portato a integrare tecnologia smart in oggetti seguendo una logica di progettazione guidata dall’innovazio-ne di significato, che in fasi di testing non può prescindere dal confronto con l’utente. Proprio un’attenta osservazione e analisi degli usi e delle aspettative, dei gesti e delle intera-zioni attese, ci ha portato a rivedere alcuni aspetti che ave-vamo concepito seguendo una direzione di semplificazione estetico-formale. Nel momento in cui la progettazione va ad hackerare significati, rendendo prodotti apparentemente

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analogici digitalmente aumentati, le affordance dell’oggetto rischiano di venire compromesse. Soprattutto la frizione tra affordance percepite e reali, ci ha reso evidente che fosse necessario introdurre elementi che rendessero più evidente la funzionalità dell’oggetto, anche nello stato di riposo. Inoltre è evidente come integrare l’interfaccia in un oggetto, al punto tale da farla quasi coincidere con lo stesso, abbia richiesto importanti riflessioni finalizzate a ripensare come comunicare con immediatezza e semplicità le funzioni. Un ragionamento che si applica anche a quei prodotti dove l’interfaccia resta silente fino a che l’oggetto non viene in-teragito. Tali consapevolezze ci hanno portati a operare sui successivi prodotti, inserendo elementi visuali che facessero intuire la presenza di funzionalità aumentate, invitando alla

manipolazione, valorizzando al contempo l’aspetto della ma-terialità dei prodotti (MacLean, 2008; Yoo, 2012).

Figg. 2 e 3. La lavorazione della pelle sulla superficie di Desk! comunica le

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In un contesto di sperimentazione dove la forma fa riferi-mento a una specifica area semantica, che viene disattesa quando l’interazione rivela la natura digitale e aumentata dell’artefatto, proprio

dettagli dall’estetica minimale ed essenziale diventano cru-ciali nell’attivare significati che si traducono in interazioni e portano significativi benefici in termini di usabilità. Ne è un esempio la lavorazione della pelle che in Desk! rivela le aree in cui il sottomano in cuoio svolge funzione di ricarica wire-less (figg. 2 e 3), mentre in Disk! e Disk! XL è il nostro stesso logo a indicare come orientare il disco in legno affinché rica-richi (figg. 4 e 5).

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Figg. 4 e 5. Le prime due immagini mostrano il lato di carica di Disk! e Disk!

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Quando abbiamo progettato Disk! e Disk! XL, abbiamo deciso di aumentarli e sfruttare l’intelligenza artificiale per renderli in grado di riconoscere il suono di un device che tocca la sua superficie di legno, e interpretarlo come input per l’avvio di ricarica. Alla luce delle sperimentazioni precedenti e dei com-menti degli utenti relativamente al loro bisogno di avere un feedback che comunichi o confermi l’avvio di un’attività, ab-biamo deciso di introdurre sotto la pelle dei due caricatori dei LED che segnali che la ricarica è in corso. Analogamente, per informare dell’avvenuta connessione all’elettricità, il LED si accende con colore rosso, mentre pulsa in bianco quando si accoppia con un device per la ricarica. Infine, quanto maneg-giato, Disc! XL percepisce il movimento e reagisce mostrando il proprio livello di carica attraverso i LED posti appena sotto la superficie del legno. L’indagine qualitativa condotta sulla comunità di prosumer ha confermato come gli utenti siano abituati a oggetti la cui forma riveli le loro funzioni. Inoltre è emerso con chiarezza come la natura digitale sia associata alla presenza di un’interfaccia visibile ed esteticamente codi-ficata. Per questo oggetti la cui natura aumentata non è espli-citamente dichiarata alimentano un attrito tra forma e fun-zione. Attraverso la sperimentazione e il confronto costante con i nostri utenti ci sono diventati chiari i punti critici che derivano dall’innescare interazioni inattese in prodotti che esteticamente non comunicano la loro natura aumentata; al-meno non fino a che l’interazione non attivi la loro interfaccia o renda evidente la loro funzione. Questi punti critici deriva-no da ciò che Kranz e colleghi (2009) handeriva-no definito dilemma

dell’invisibilità, ovvero il fatto che la scomparsa fisica della

tec-nologia nelle interfacce incorporate influisce sul modo in cui l’utente percepisce il prodotto e la sua funzione.

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Come designer e ricercatori ci sentiamo oltremodo stimola-ti dalle constimola-tinue possibilità tecnologiche che si presentano e prospettano, aprendo sempre nuove opportunità che ci invitano a cercare modi affascinanti per progettare oggetti dai superpoteri, che sorprendono chi li scopre. In parallelo, siamo consapevoli delle continue sfide che ciò comporta, in termini di design dell’interazione.

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H ac ki ng me an ing s Riferimenti bibliografici

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