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Play fair, game over: le regole "biologicamente" tacite del regno animale

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PLAY FAIR, GAME OVER: LE REGOLE "BIOLOGICAMENTE" TACITE DEL GIOCO ANIMALE

Elisabetta Palagi a,b& Elisa Demurua

aCentro Ateneo Museo di Storia Naturale, Università di Pisa, via Roma 79, 56011 Calci (Italia); bIstituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR, Via Ulisse Aldrovandi 16/b, 00197

Roma(Italia)

In un passo delle sue Confessioni Sant'Agostino si interroga su cosa sia il tempo "Quid ergo est tempus? Si nemo ex me quaerit, scio. Si quaerenti explicare velim, nescio" (Cos'è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so. Se invece voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più). Una frustrazione pari forse a quella di Sant'Agostino nella sua ricerca della definizione del tempo devono averla provata i numerosi etologi che sono si sono cimentati nello studio del gioco. Nessuno di noi ha dubbi su cosa sia il gioco e lo riconosciamo immediatamente quando lo vediamo nei nostri cani, gatti e bambini. Eppure rovistando nella vasta letteratura dedicata al gioco nell’uomo e negli altri animali, contiamo tante definizioni di gioco quanti sono gli autori che lo hanno studiato. Un problema, questo, non di poco conto visto che la spiegazione teorica e la definizione pratica di un comportamentosono indispensabiliper poterlo studiarein modo standardizzato e oggettivo. Sono infatti proprio questi elementia rendere possibile la comparazione del comportamento tra diverse specie e quindi la sua ricostruzione evolutiva che rappresenta l’elemento cardine attorno al quale ruota la comprensione di un qualsiasi fenomeno biologico (Burghardt, 2005, 2011).

La difficoltà nel trovare una definizione oggettiva di gioconasce dal fatto che i comportamenti utilizzati in ambito ludico non sono esclusivi di questo contesto, ma vengono “presi in prestito" daaltri contesti “seri”, come ad esempio la riproduzione, la caccia, la difesa, ecc.Per ovviare a questa difficoltà di definizione il gioco è stato spesso definito tramite l’uso della litote, una figura retorica che consiste nel presentare una formulazione, negando il suo opposto. Il gioco, quindi, non

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è un comportamento riproduttivo, non è un comportamento predatorio, non è un comportamento agonistico ecc... Se già è difficile trovare la definizione di gioco, identificarnela funzione è praticamente una missione impossibile. Questo perché il gioco svolge tantissime funzioni diverse, che cambiano a seconda dell’età dei giocatori, del sesso, della specie, dell’organizzazione sociale e del contesto ambientale in cui esso avviene.

Il gioco sociale, soprattutto quello di lotta, rappresenta una magnifica occasione per enfatizzare, rimodulare, amplificare e mescolare tutti questi moduli comportamentali che, se nel loro contesto originario espletano una precisa funzione, nel contesto ludico assumono un significato del tutto diverso, creando un'occasione per saggiare relazioni e produrre situazioni imprevedibili che, a loro volta, inducono una forte gratificazione emotiva nei giocatori (Palagi 2011; Demuru et al., 2014). Può quindi il gioco, sia solitario che sociale, essere visto come un assembramento di azioni motorie casuali e disordinate che si susseguono in assenza di alcun tipo di regole? La risposta è no.

Il legame tra l’attuazione di un comportamento e l’applicazione di regole appare evidente fin dalla semplice lettura della definizione della parola regola, intesa come qualsiasi norma suggerita dall’esperienza o dalla consuetudine, specialmente in quanto implica misura e moderazione nel comportamento (Dizionario Devoto-Oli 2012). Nonostante ciò che comunemente si pensi, il gioco è il comportamento che più di tutti necessita dell’applicazione e del rispetto di regole, al punto che è stato ipotizzato che le capacità sviluppate durante l’attività ludica siano fondamentali per sviluppare un senso di “giusto” e “sbagliato” (Bekoff, 2004). Si può parlare, infatti, di un vero e proprio codicedi condotta che regola le azioni permesse o proibite e la sola esistenza di questo codice potrebbe rappresentare, da un punto di vista evolutivo, un punto di partenza per l’evoluzione dellamoralità, definita come complesso sistematico di principi o valori inerenti al comportamento. Di fatto, noi possiamo imparare molto sulle origini evolutive della moralità, basata sull’apprendimento del comportamento corretto, studiando il gioco sociale di animali che vivono in gruppo. Due elementi costitutivi del gioco, ovvero cooperazione e correttezza, potrebbero essersi evoluti perché elementi fondamentali nella formazione e nel mantenimento delle relazioni sociali

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all’interno di un gruppo.Durante il gioco sociale, gli animali imparano a comportarsi inmodo corretto, a cooperare, a dare e ottenere fiducia dagli altri e a risolvere eventuali conflitti, tutte capacità essenziali per essere accettati dai membri del proprio gruppo.

Ovviamente, la naturadelle regole differisce profondamente a seconda che si tratti di un gioco strutturato o di un gioco libero (Bekoff, 1974; Power, 2000; Burghardt, 2005). Il gioco strutturato, come ad esempio il calcio, si basa su regole costruite a priori che i partecipanti devono seguire se non vogliono essere penalizzati ed è esclusivo della nostra specie.Nel gioco libero invece le regole non sono né scritte, né dichiaratamente accettate, né tantomeno formalizzate, ma esistono ugualmente e sono applicate hic et nunc dai giocatori stessi, siano essi uomini o altri animali. Il gioco nel mondo animale, infatti, è libero da qualsiasi forma di condizionamento “preconfezionato” ed è quindi un luogo d’indeterminatezza, dove tutto deve essere concordato, imparato e gestito sul momento, comprese le regole. Sono le caratteristiche dei giocatori coinvolti (genere, rango gerarchico, età, dimensione corporea e grado di familiarità) e del tipo di gioco giocato (solletico, attività acrobatica, lotta) che influenzano e determinano l'applicazione di regole ad hoc che, in modo flessibile, devono essere continuamente ridefinite durante la stessa sessione ludica (Pellegrini, 2009).

In particolareè nel gioco di lotta (Foto 1), che rappresenta la forma più estrema, vigorosa e quindi pericolosa di gioco, che le regole divengono essenziali per limitare rischi ed evitare che il gioco si trasformi in una lotta vera e propria, con tutti i pericoli che ne conseguono. Queste regole sono il frutto di un accurato autocontrollo da parte di ciascun giocatore che, senza nessuna imposizione esterna, modulaforza, velocità e intensità dei movimenti per dare la possibilità al compagno di gioco di contrattaccare e di riportare così l'interazione a un punto di equilibrio. Insomma, ciascun giocatore è arbitro di se stesso. Il gioco di lotta quindi racchiude in sé sia elementi competitivi, che rendono il gioco dinamico e “divertente”, sia elementi cooperativi, che ne riequilibrano l’assetto e permettono ai giocatori di sviluppare una fiducia reciproca, che potrà poi essere esportata dal contesto ludico agli altri contesti “seri”.

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La capacità di gestione della sessione ludica attinge sia dalla sfera emotiva, come si evince dal contagio della risata nell'uomo e dalla mimica di alcune espressioni facciali nei primati non umani (sincronizzazione emotiva), sia dalla sfera intenzionale, e quindi di origine più cognitiva, come appare evidente dall’uso dei gesti (Demuru, Ferrari, & Palagi, 2014). La corretta gestione di una sessione ludica richiede una sofisticatacomunicazione di cui troviamo la massima espressione nel gioco sociale in cui si mescolano improvvisazione, strategia e creatività, tutte capacità che richiedono abilità mentali elevate e plastiche. Per questi motivi il gioco rappresenta una vera e propria finestra attraverso la quale possiamo “spiare” le capacità cognitive e sociali di un animale, poiché è proprio il gioco che dà loro forma e le perfeziona.

Giocare vuol dire effettuare comportamenti non equivocabili e saper interpretare correttamentequelli del compagno, in poche parole “capire e farsi capire”, è questa la condizione necessaria per accrescere la sintonia tra i giocatori e ottenere una sessione ludica di successo. Dal momento che non si può giocare senza comunicare, il comportamento ludicorappresenta un’opportunità unica per quei ricercatori interessati allo studio delle strategie comunicative. I segnali di gioco sono un esempio di ciò che gli etologi chiamano “segnali onesti” (Zahavi, 1977). Infatti, non ci sono evidenze che i segnali di gioco siano manipolativi e segnalino qualcosa di differente da ciò che appaiono.

La cooperazione è un elemento indispensabile per l’evoluzione del gioco corretto (fair play) perché è proprio cooperando che i giocatori stabiliscono e mantengono nel tempo la sessione ludica, che rappresenta uno scopo comune. L’intento cooperativo appare chiaro se si considerano le tre principalistrategieadottate dai giocatori: 1)autolimitazione (o autocontrollo), 2) rovesciamento dei ruoli e 3) uso di segnali meta-comunicativi (o anticipatori). Nell'autolimitazione (self-handicapping) il soggetto inibisce forza e velocità di alcune sue azioni motorie per fare in modo che il compagno di gioco non possa interpretare tali movimenti come aggressivi e potenzialmente pericolosi. Ecco quindi che un morso dato lentamente, mantenendo la bocca aperta e solleticando la pancia di un compagno non induce alcuna risposta di tipo difensivo ma, anzi,provoca un piacevole

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solleticoin chi lo riceve.Durante il gioco tra scimpanzé adulti e immaturi è frequente osservare i primi rallentare durante una corsa per farsi raggiungere dai più piccoli e rinnovare così la loro motivazione a giocare, esattamente come facciamo noi durante una gara di corsa coi bambini.L'autolimitazione indirettamente induce e stimola il compagno a giocare più a lungo. Questo tipo d'interazione implica anche un certo grado di fiducia nei giocatori che così, attraverso il gioco e l'applicazione delle "sue" regole, creano momenti di condivisione e affiliazione sociale. Un'altra regola tacita è rappresentata dal rovesciamento dei ruoli gerarchici, che durante l'interazione ludica devono annullarsi per poter permettere ai giocatori di stare sullo stesso piano ed esprimere nel modo più libero possibile ogni movimento. Il gioco, perché possa essere espresso in tutte le sue forme, deve infatti essere un campo neutro. Il dominante abbandona il proprio ruolo (ad esempio, difesa territoriale, priorità di accoppiamento e di accesso al cibo) e si mette alla pari del compagno rinunciando sia alla propria superiorità fisica che psicologica, dando così la possibilità all'altro giocatore di contrattaccare e quindi di mantenere la sessione ludica equilibrata. Quando ciò non è possibile, o nei casi di fraintendimento, i segnali meta-comunicativi, in molti casi rappresentati da espressioni facciali, possono chiarire la situazione e mantenere la sessione all'interno di un registro "corretto". Le espressioni facciali di gioco (Foto 2) sono quindi indispensabili per mantenere sessioni ludiche equilibrate e chiarire le intenzioni dei giocatori. Tutti noi conosciamo la forza del sorriso e come questo possa addirittura risolvere momenti d'imbarazzo in una discussione accesa. Così è anche per gli altri animali.

Il gioco rappresental’unica categoria comportamentale in cui le asimmetrie sono tollerate. Infatti, un gioco non può esistere senza che gli individui scelgano di annullare le distanze di rango e di dimensioni, e la cooperazione necessaria affinché il gioco perduri nel tempo lo rende unico. L’assenza di asimmetria, la cooperazione e la negoziazione continua per raggiungere un obiettivo comune sono tutti elementi fondamentali per l’evoluzione di un senso di “moralità” (Bekoff, 2004).

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Appare quindi chiaro come il gioco non sia altro che una sorta di delicato equilibrio tra competizione e cooperazione, equilibrio che gli animali devono mantenere attraverso l'applicazione di alcune regole autoimposte.

Il gioco nelle società animali

Il bilanciamento a favore della componente competitiva o cooperativa è generalmente predittivo non solo della funzione stessa del gioco ma anche del tipo di società in cui un animale vive. Il ratto (Rattus norvegicus) e il degus (Octodon degus) sono due specie di roditori che mostrano entrambi alti livelli di gioco anche in fase adulta. La società del ratto si basa su rapporti di tolleranza e cooperazione reciproci, mentre i rapporti sociali nel degus sono di tipo fortemente competitivo e scarsamente tollerante. Misurando la simmetria del gioco attraverso un sistema di indici opportunamente studiati a questo scopo, emerge che il gioco nel ratto è estremamente bilanciato, con i due giocatori che hanno un ruolo paritario all'interno della sessione. Il degus, al contrario, mostra sessioni sbilanciate, punteggiate da comportamenti aggressivi,e in cui è possibile già ad occhio individuare chi sta “vincendo” la sessione e chi la sta “perdendo”. Appare quindi chiaro che, a seconda della specie, il gioco possa assolvere funzioni completamente diverse: nel ratto esso svolge un ruolo fondamentale nella regolazione e nel mantenimento dei rapporti sociali e collaborativi; nel degus, invece, esso rappresenta un mezzo con cui saggiare le abilità fisiche altrui per incrementare la possibilità di aggiudicarsi sfide competitive in un contesto aggressivo.

Questa dicotomia funzionale dell'attività ludica in funzione dei diversi gradi di tolleranza diviene ancora più evidente se prendiamo in considerazione i primati umani e non umani. Nel gorilla (Gorilla gorilla gorilla), ad esempio, la mancanza di affiliazione tra le femmine porta ad un abbattimento della frequenza ludica durante la fase adulta, tanto che le madri giocano raramente perfino con i propri piccoli. Nel babbuino gelada (Theropithecus gelada), che condivide col gorilla una struttura sociale ad harem, ma che è anche caratterizzato da tolleranza e da intensi scambi

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sociali tra le femmine adulte, il gioco non solo è presente in tutte le classi di età, ma si presenta bilanciato ed estremamente cooperativo (Mancini & Palagi, 2009).

Le informazioni più chiare in tal senso provengono dal genere Macaca che comprende 20 specie, tutte organizzate in sistemi sociali comprendenti sia maschi che femmine riproduttivi e caratterizzati da esogamia maschile e filopatria femminile - cioè al raggiungimento della maturità sessuale i maschi abbandonano il gruppo natale mentre le femmine vi rimangono per tutta la loro vita (Thierry, 1985; 1990). Nonostante raggruppi specie filogeneticamente prossime che condividono notevoli somiglianze a livello di organizzazione sociale, il genere Macaca presenta al suo interno un'ampia variabilità nei livelli di tolleranza e affiliazione nei rapporti interindividuali. Infatti, si possono distinguere specie di macache molto despotiche e nepotistiche, come il macaco del Giappone (Macaca fuscata), e specie di macache altamente egalitarie e tolleranti, come il macaco di Tonkean (Macaca tonkeana) (Thierry 2000). Queste due specie, che rappresentano gli estremi della scala di tolleranza/despotismo (Thierry 2000) rappresentano quindi dei modelli perfetti per saggiare alcune ipotesi sul gioco e sulle sue regole.Come è facile immaginare, infatti, Macaca tonkeana e Macaca fuscata mostrano profonde differenze per quanto riguarda la distribuzione del gioco sociale in funzione del genere e dell'età dei giocatori. Nel “tollerante” macaco di Tonkean il gioco è molto diffuso sia tra gli immaturi sia tra gli adulti e non emergono preferenze per compagni di gioco di una particolare classe di età. Tale selezione è invece presente nel “despotico”macaco del Giapponedove il gioco tra adulti è praticamente assente perché troppo rischioso(Ciani et al., 2012). In Macaca tonkeana il gioco sociale tra immaturi è favorito dal grado di permissività delle madri che, a sua volta, dipende dai livelli di tolleranza presenti nella società (Ciani et al., 2012). Nel macaco del Giappone le madri sono altamente protettive nei confronti dei piccoli limitandone le occasioni di contatto ludico con i coetanei e con gli altri adulti. Questa restrizione limita i piccoli nell'espansione delle relazioni con gli altri creando le condizioni per una stretta canalizzazione sociale (Berman 1982). È proprio questa limitazione delle interazioni ludiche in fase infantile che porta ad una ridotta propensione a giocare anche nelle successive fasi della vita. Nel 2012, Ciani e

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collaboratori hanno dimostrato che il macaco di Tonkean, a differenza di quello del Giappone, mantiene anche in fase adulta alcuni tratti tipici dell'età giovanile e il gioco è uno di questi. Inoltre, i livelli di tolleranza tipici di Macaca tonkeana non si riflettono solo nella elevata propensione al gioco, ma anche nella modalità in cui questo comportamento si esprime. Infatti in questa specie si osserva un mantenimento dell’equilibrio “cooperazione-competizione” tipico del gioco attraverso l’uso di segnali appropriati e l’applicazione di regole "tacite" di autocontrollo,di rovesciamento dei ruoli e di meta-comunicazione.

Sia nell'uomo che nei primati non umani, a qualsiasi età esso venga praticato, il gioco può essere visto come un comportamento la cui modulazione può dipendere dalla biologia come dalla cultura. Hillary Fouts e colleghi (2013), studiando alcune popolazioni africane appartenenti alla stessa etnia,hanno recentemente dimostrato come il gioco rifletta i relativi livelli di rigidità delle relazioni sociali. Per esempio, la segregazione di genere nel comportamento ludico è fortemente radicata tra i bambini dei coltivatori Bofi (popolazione africana con una ecologia di sussistenza basata sull'orticultura di tipo taglia-e-brucia e sul commercio), ma assente nei bambini dei raccoglitori-cacciatori Bofi (popolazione africana seminomade che basa la propria attività di sussistenza sulla caccia e sulla raccolta). Queste due popolazioni, nonostante appartengano alla stessa etnia, mostrano profonde differenze culturali nella gestione delle relazioni sociali, differenze sicuramente legate ai diversi sistemi ecologici su cui si basano le loro attività di sussistenza. Essendo fortemente egalitari, i raccoglitori-cacciatori Bofi non basano il loro status o il loro potere sull'età o sul genere, ma stimolano l'autonomia personale e rispettano il valore della condivisione che sta alla base delle relazioni cooperative all'interno e tra le famiglie. Da un punto di vista culturale, la condivisione e il supporto tra i raccoglitori-cacciatori Bofi è sostenuta dal gioco vigoroso e dalle schermaglie linguistiche che assumono un carattere scherzoso tra quelli coinvolti nello scambio. Al contrario, nei coltivatori Bofi il gioco linguistico e fisico è fortemente inibito e scoraggiato, essendo le relazioni tra gli individui mediate da rapporti gerarchici rigidi e cristallizzati dove le regole vengono scritte ben al di fuori del contesto ludico (Fouts et al., 2013).

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Conclusioni

Charles Darwin, il padre della teoria evolutiva, fu il primo ad ipotizzare l’esistenza di una continuità comportamentale, cognitiva ed emotiva tra le diverse specie (Darwin, 1859). Le differenze che osserviamo tra uomo e (altri) animali non sarebbero di tipo, ma di grado, non classificabili quindi secondo una visione “o bianco o nero”, ma piuttosto attraverso una“scala di grigi”. Più recentemente, l’idea di Darwin è stata ripresa e confermata sotto molti aspetti e si ritiene oggi che si debba applicare una prospettiva “bottom-up”, cioè dal basso verso l’altro, e ricercare nelle altre specie animali quei mattoncini che stanno alla base di quei comportamenti complessi, e apparentemente unici, che noi osserviamo nella specie umana (de Waal & Ferrari, 2010).

In molti modi infatti “noi siamo loro e loro sono noi” (Bekoff 2002). Molti mammiferi vivono in gruppi sociali stabili e assomigliano, nel loro modo di vivere, ai primi ominidi e inoltre condividono con l’uomo moderno numerose strutture neuro-anatomiche e neuro-chimiche che costituiscono le fondamenta neurali dell’espressione delle emozioni e di comportamenti empatici (Panksepp 1998; Preston & de Waal 2002). Secondo la prospettiva “bottom up” il gioco sociale sarebbe un mattoncino alla base dell’evoluzione della cooperazione, della correttezza, della giustizia e della moralità. È infatti nel gioco che gli animali imparano a cooperare per uno scopo comune, a comportarsi nel modo corretto, a rispettare regole di condotta, a punire e a perdonare chi le regole non le rispetta e a imparare quali comportamenti siano giusti e quali sbagliati. Le lezioni imparate attraverso il gioco possono essere esportate a tutti i contesti e si rivelano fondamentali per il mantenimento della struttura sociale e, di conseguenza, per la sopravvivenza di un gruppo.

Lo studio dell’attività ludica può quindi aiutarci a comprendere meglio la natura e la cultura di una società umana e ci permette di collocare la nostra specie in continuità con le altre specie animali all’interno di un quadro evolutivo e comparativo. Non sarebbe buffo scoprire che alcune delle capacità più elevate dell’uomo, quelle che l’hanno posto su una sorta di piedistallo ben lontano dagli altri animali, siano in realtà nate per gioco?

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Foto 1 - Gioco di lotta tra due maschi di bonobo (Pan paniscus). Notare le facce da gioco di

entrambi i giocatori. (Foto di E. Demuru)

Foto 2 - Faccia da gioco di un giovane maschio di bonobo (Pan paniscus)mentre è impegnato in un

gioco di lotta con una femmina adulta. (Foto di E. Demuru)

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