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La ricostituzione per via naturale dei boschi percorsi da incendio.

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Convegno

Tecniche di ripristino dei boschi percorsi da incendio Arrone (TR) 30/09/2004.

Susanna Nocentini

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali Università di Firenze

LARICOSTITUZIONEPERVIANATURALEDEIBOSCHIPERCORSIDAINCENDIO

Riassunto

Il fuoco agisce sulla struttura e sulla funzionalità degli ecosistemi forestali a diverse scale spaziali e temporali. Negli ultimi decenni si è affermato un nuovo paradigma in ecologia che implica una visione dinamica della natura e si basa sulla consapevolezza che gli ecosistemi sono sistemi complessi e come tali si caratterizzano per l’imprevedibilità e l’indeterminatezza delle reazioni e la pluralità delle retroazioni. A questo nuovo paradigma fanno riferimento due concetti utili per inquadrare i rapporti fra fuoco, funzionalità degli ecosistemi forestali e intervento antropico e cioè i concetti di resilienza e di eredità biologica.

Le strategie di ricostituzione per via naturale si devono basare sulla fiducia nei meccanismi naturali di recupero degli ecosistemi e non devono in alcun modo forzarne l’evoluzione verso modelli precostituiti. Sul piano operativo la ricostituzione per via naturale può seguire due strade: 1) la preservazione (non intervento); 2) interventi a sostegno delle dinamiche naturali. La scelta fra queste due opzioni deve essere valutata nel contesto di una pianificazione territoriale che sempre più deve tener conto di molteplici usi e interessi.

Negli ultimi decenni la ricerca ha dato un notevole contributo alla conoscenza del fenomeno degli incendi boschivi, in particolare per quanto concerne le variabili connesse al rischio, le linee operative per la prevenzione e l’estinzione e gli effetti del fuoco su composizione e struttura degli ecosistemi. Lo studio dell’effetto di diverse strategie di intervento sui meccanismi naturali di recupero degli ecosistemi forestali necessita invece di ulteriore impegno e risorse.

1. Premessa

In Italia il problema degli incendi forestali ha assunto dimensioni tali da far passare spesso in secondo piano, per lo meno nel sentire comune, la dimensione ecologica del fuoco e, soprattutto, la fiducia nella capacità della natura di riprendersi.

Come tutto ciò che riguarda il fenomeno degli incendi nel nostro Paese, anche la questione della ricostituzione dopo il passaggio del fuoco è complessa perché dipende dalle interazioni fra innumerevoli variabili non solo fisiche e biologiche ma anche economiche e sociali.

Qui si esaminano le possibili strategie operative per favorire la ricostituzione per via naturale dei boschi percorsi dal fuoco. Vengono esaminati innanzitutto alcuni aspetti teorici. Questo perché la mancanza di coerenza fra teoria e pratica è una delle cause dei molti conflitti che caratterizzano oggi il settore forestale.

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Il paradigma classico in ecologia per molti anni è stato il «paradigma dell’equilibrio», cioè l’idea che i sistemi ecologici siano in equilibrio, con un punto stabile identificabile come la «comunità climax». Questo paradigma implica sistemi chiusi e racchiude la visione comune di «equilibrio della natura».

Negli ultimi decenni si è affermato un nuovo paradigma che implica una visione dinamica della natura e si basa sulla consapevolezza che gli ecosistemi sono sistemi complessi e come tali si caratterizzano per l’imprevedibilità e l’indeterminatezza delle reazioni e la pluralità delle retroazioni (PICKETT et al., 1992, PERRY e AMARANTHUS, 1997). A questo nuovo paradigma fanno

riferimento due concetti utili per inquadrare i rapporti fra fuoco, funzionalità degli ecosistemi forestali e intervento antropico e cioè i concetti di resilienza e di eredità biologica.

È proprio nella letteratura riguardante il ruolo ecologico del fuoco che compare e si diffonde nell’ambito forestale il termine resilienza, cioè la capacità di un ecosistema di reagire a un disturbo. Secondo HOLLING (1973, 1986) la resilienza è rappresentata dalla grandezza del disturbo che può

essere assorbito da un ecosistema prima che la sua struttura venga spinta verso un diverso stato. Questa definizione è rapidamente comprensibile nell’ambito della cosiddetta “ecologia del fuoco” (LEONE, 2001): la capacità di recupero di un ecosistema forestale dopo un incendio dipende, da un

lato, dalla sua composizione, struttura e funzionalità e, dall’altro, dalle caratteristiche dell’incendio (intensità del fronte di fiamma, estensione dell’area bruciata, ricorsività del disturbo ecc.).

Il concetto di eredità biologica si riferisce all’importanza di collegamenti che attraversano più scale temporali e spaziali (FRANKLIN et al., 1985). PERRY e AMARANTHUS (1997) hanno

definito eredità biologica qualsiasi componente di un ecosistema, come per esempio semi, parti di apparati radicali o gemme basali, funghi micorrizzanti o altri microbi del suolo, legno morto ecc., che viene tramandato alla fase successiva a un fattore di disturbo. Chiazze di bosco che sopravvivono a un evento perturbativo possono essere considerate eredità biologiche a livello di ecosistema perché permettono a certe specie di permanere mentre il resto del paesaggio si ricostituisce. Tutte queste diverse “eredità” contribuiscono a indirizzare le traiettorie di recupero dopo il fattore di disturbo e sono di fondamentale importanza per conservare nel tempo la diversità biologica. L’analisi della biodiversità nei sistemi forestali e in particolare delle sue interazioni con la gestione, deve infatti tener conto di processi che attraversano più scale temporali e spaziali (CIANCIO e NOCENTINI, 2003). Un evento perturbativo molto intenso può comportare la distruzione

completa di alcuni gruppi funzionali: ciò implica la perdita di “memoria ecologica” con una riduzione della resilienza complessiva del sistema.

3. Dalla teoria alla pratica

Il concetto di resilienza è utile per comprendere come l’analisi delle possibili strategie di recupero vada esaminata in maniera integrata secondo un approccio che consideri da un lato le caratteristiche dell’evento e dall’altro la situazione dell’ecosistema prima e dopo il passaggio del fuoco. È noto che gli ecosistemi forestali mediterranei, attraverso particolari meccanismi di difesa e di rigenerazione delle specie vegetali che li caratterizzano (per esempio spessore della corteccia, semi serotini, capacità di rinnovazione agamica ecc.) e che derivano da un lungo processo di adattamento, si dimostrano resilienti al passaggio del fuoco. Sono così in grado di ricostituire la loro organizzazione e funzionalità in tempi relativamente brevi (TRABAUD, 1987; MAZZOLENI et al.,

2001; LEONE 2001) se, però, l’evento non supera i limiti della resilienza propria del sistema.

Il concetto di eredità biologica spiega perché è utile preservare tutte le componenti che rimangono vitali dopo il passaggio del fuoco, come, a esempio, la banca di semi presente nel suolo oppure eventuali alberi poco danneggiati che possono disseminare o ancora la banca di semi presente su alberi bruciati. I risultati delle numerose indagini sui meccanismi di rinnovazione naturale delle pinete di pino d’Aleppo percorse dal fuoco (LOVREGLIO et al. 1998, 1999;

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LOVREGLIO e LEONE, 1999; SARACINO e LEONE, 2001) sono una conferma del ruolo fondamentale

che svolgono queste eredità biologiche nei progetti di ricostituzione. Inoltre, il rilascio di singoli alberi o gruppi di alberi bruciati può fornire rifugio a uccelli utili per favorire la disseminazione di specie arboree presenti al di fuori dell’area bruciata (BONNET e TATONI, 2003).

Un fattore determinante ai fini del recupero per via naturale di soprassuoli forestali percorsi da incendio è lo stato del suolo e questo perché il suolo è considerato una “variabile lenta”, cioè presenta tempi di ricostituzione molto lunghi.

Diverse intensità di fuoco provocano effetti diversi e assai complessi sui processi idrologici, le proprietà fisiche e chimiche, e, soprattutto, la componente biologica in relazione anche alle caratteristiche del suolo prima dell’evento, in particolare per quanto riguarda lo stato di idratazione e quindi il regime delle piogge (BOVIO et al., 2001).

Gli effetti più evidenti sono (GIOVANNINI e LUCCHESI, 1983; CERDÀ, 1998; ANDREU et al.,

2001; BOVIO et al., 2001):

- il consumo della sostanza organica negli orizzonti superficiali del suolo; - la diminuzione della stabilità degli aggregati;

- lo sviluppo di uno strato superficiale impermeabile.

4. Intervenire o non intervenire?

Come già ricordato, gli ecosistemi mediterranei mostrano una grande capacità di ripresa dopo il fuoco che deriva dal lungo adattamento delle specie vegetali che li caratterizzano al ripetersi di incendi.

Le strategie di ricostituzione per via naturale si devono basare sulla fiducia nei meccanismi naturali di recupero degli ecosistemi e non devono in alcun modo forzarne l’evoluzione verso modelli precostituiti. La dinamica evolutiva naturale dopo il fuoco tenderà a formare un sistema che andrà alla ricerca di nuovi equilibri in connessione con le modificazioni dell’ambiente, in un processo di adattamento continuo. In questa concezione non sono compatibili quindi interventi che hanno come obiettivo quello di forzare l’evoluzione del sistema verso una composizione o una struttura predefinita.

Sul piano operativo la ricostituzione per via naturale può seguire due strade: a) il non intervento;

b) interventi a sostegno delle dinamiche naturali.

La scelta tra queste due opzioni dipende da una serie di considerazioni che devono fare riferimento in particolare a:

- i caratteri della stazione (giacitura, pendenza, suolo, accessibilità);

- i caratteri della vegetazione (composizione, struttura, età, ) prima del passaggio del fuoco;

- il tipo e l’intensità dell’incendio;

- i caratteri della superficie interessata dall’incendio (dimensione, forma);

- le condizioni dopo l’incendio (grado di danneggiamento della vegetazione, del suolo, presenza di elementi che possano fungere da memoria ecologica ecc.);

- eventuali vincoli derivanti dalla presenza di aree protette,

- il riconoscimento di particolari valori paesaggistici e storico-culturali - ecc.

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La prima opzione (non intervento) consiste nel lasciare alla libera evoluzione il sistema dopo il passaggio del fuoco. Questo vuol dire preservare il sistema, cioè proteggerlo da altri eventi perturbativi, in particolare il pascolo e il ritorno del fuoco.

In pratica, la preservazione si configura come una forma di gestione passiva. Anche se, a rigore, non è così. Infatti, è necessario monitorare attentamente le dinamiche evolutive. Questo serve per acquisire nuove conoscenze e per verificare la loro coerenza con gli obiettivi della gestione.

Questa scelta appare la più indicata quando:

- la stazione presenta pendenze accentuate insieme a suoli facilmente erodibili, soprattutto a seguito di incendi di forte intensità che aumentano il rischio di erosione;

- il tipo di vegetazione interessata dall’incendio è rappresentata dalle varie fasi di sviluppo della macchia mediterranea, dall’arbusteto alla macchia bassa;

- l’incendio è stato di bassa intensità e le piante hanno subito danni ridotti alle chiome;

- la zona percorsa dal fuoco si trova all’interno di aree di riserva integrale, dove la pianificazione prevede l’esclusione di qualsiasi forma di attività antropica;

- il fuoco ha percorso superfici limitate o di forma molto frastagliata, tale da garantire un elevato rapporto margine-superficie.

b. interventi a sostegno delle dinamiche naturali

Gli interventi a sostegno delle dinamiche naturali di riorganizzazione degli ecosistemi forestali dopo l’incendio riguardano sostanzialmente interventi colturali finalizzati a favorire l’insediamento e/o lo sviluppo della rinnovazione delle specie arboree.

La distinzione operata dagli ecologi del fuoco fra specie “sprouter” e specie “seeder” o “non sprouter” si traduce, nella pratica forestale, nella distinzione fra due forme di governo: il ceduo e la fustaia. Conseguentemente le tecniche per il recupero per via naturale dei soprassuoli percorsi dal fuoco seguiranno due strategie diverse in relazione alla composizione specifica e alla forma di governo precedente il passaggio del fuoco.

cedui

Gli incendi sono indubbiamente uno dei fattori che maggiormente ha contribuito alla degradazione del bosco ceduo. È un fatto che gran parte dei boschi percorsi dal fuoco nel nostro Paese siano cedui, soprattutto se abbandonati o degradati (CIANCIO e NOCENTINI, 2004).

I cedui sono sistemi forestali particolarmente suscettibili all’incendio per molti motivi, fra i quali si ricordano:

1. i cedui vegetano generalmente in ambienti a clima tipicamente mediterraneo, con un lungo periodo di siccità estiva e spesso anche invernale;

2. la struttura dei soprassuoli si presenta come un intricato insieme di fusti e rami, senza interruzione verticale e orizzontale della copertura, fattore che facilita il diffondersi del fuoco; 3. l’abbandono delle cure colturali ha determinato spesso una ulteriore espansione del carico di

combustibile;

4. il ceduo rappresenta una tipologia colturale relativamente povera – proprio per questo da alcuni considerata res nullius – e, pertanto, diventa facilmente oggetto di atti vandalici;

D’altra parte, l’elevata capacità pollonifera delle specie su cui si basa questa forma di governo costituisce una delle strategie di difesa dal fuoco che caratterizza le latifoglie mediterranee e che in alcuni casi rende più facile, rispetto ad altre formazioni forestali, la ricostituzione del bosco dopo il passaggio del fuoco.

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Le capacità di recupero delle specie tipiche dei cedui sono legate a numerose variabili quali (LEONE, 1995):

i riserve radicali di amido e loro fluttuazione periodica; ii condizioni di disponibilità idrica nel suolo.

Questa ultima variabile, in particolare, sembra giocare un ruolo fondamentale nella fase di recupero post-incendio (MAZZOLENI e ESPOSITO, 1993).

Il passaggio del fuoco in un ceduo può agire come una ceduazione. La rinnovazione delle specie presenti normalmente avviene alla ripresa vegetativa. Il taglio dei polloni morti e, ove necessario, la succisione o la tramarratura sono le operazioni che vengono tradizionalmente consigliate per favorire il ripristino della vitalità delle ceppaie assecondando l’emissione di polloni proventizi.

Ma occorre tener presente che le latifoglie che costituiscono i cedui del piano basale e mediterraneo sono generalmente caratterizzate anche da altri meccanismi di difesa dal fuoco, come cortecce suberose e presenza di gemme epicormiche, che aumentano la possibilità di sopravvivenza degli individui.

Come prima ricordato, il passaggio del fuoco può determinare una serie di situazioni diversificate per quanto riguarda il livello di danno sofferto dai singoli individui. Per questo motivo nel pianificare gli interventi è opportuno valutare le possibilità di sopravvivenza in base a parametri predittivi e facilmente rilevabili in modo da ottimizzare le risorse disponibili e non coinvolgere in maniera acritica l’intero soprassuolo.

Un contributo basato su dati sperimentali è stato recentemente fornito da ANFODILLO et al.

(1997) per la stima della sopravvivenza post-incendio di polloni del genere Quercus in soprassuoli cedui del Veneto. L’obiettivo della ricerca era di individuare un modello predittivo basato su variabili che fossero allo stesso tempo significative e facilmente rilevabili. Nella situazione esaminata i parametri più direttamente collegati alla sopravvivenza sono risultati la percentuale di chioma viva dopo l’incendio, l’altezza di scottatura sul tronco e il diametro del fusto a m 1,30.

Per quanto riguarda le matricine, è utile rilasciarne sempre il maggior numero possibile non solo per favorire la disseminazione ma anche per conservare habitat indispensabili per la fauna, soprattutto gli uccelli, che possono a loro volta favorire la dispersione del seme. A tal fine, se non vi sono rischi particolari per l’incolumità di eventuali visitatori può essere utile lasciare in piedi grossi esemplari o gruppetti di polloni anche gravemente compromessi.

La valutazione delle possibilità di sopravvivenza è poi particolarmente utile per dimensionare gli interventi di recupero in soprassuoli cedui già interessati da avviamento a fustaia. In questi casi interventi andanti di riceppatura troppo tempestivi rischiano di azzerare situazioni che invece, sulla base di una valutazione più attenta e meno affrettata, potrebbero rivelare la possibilità di conservare il soprassuolo in modo da salvaguardare anche gli investimenti già effettuati. La problematica merita quindi di essere ulteriormente esaminata sul piano sperimentale.

Un caso particolare è costituito dai cedui di castagno, dove la mortalità in tempi successivi all’incendio, causata dagli effetti postumi delle scottature, è un fenomeno abbastanza comune. Per questo motivo, soprattutto quando il ceduo prima dell’incendio è in buone condizioni di fertilità e struttura e la maggior parte dei polloni appare danneggiata, il taglio raso di tutto il soprassuolo può risultare l’opzione migliore. Nei cedui di castagno il taglio della componente morta o gravemente compromessa esalta la risposta vegetativa della specie ed elimina la possibilità di schianti successivi a vantaggio della stabilità del nuovo soprassuolo.

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Il recupero per via naturale delle fustaie percorse da incendio può fare riferimento a diverse strategie operative in relazione alla o alle specie presenti e alle condizioni generali dei soprassuoli prima e dopo il passaggio del fuoco.

Le conifere mediterranee presentano particolari adattamenti al fuoco. La rinnovazione naturale del pino d’Aleppo e del pino marittimo è particolarmente favorita dal passaggio di un incendio. Il pino d’Aleppo ha coni serotini e costituisce delle vere e proprie banche di seme sulla chioma; i coni del pino marittimo non sono serotini ma si aprono gradualmente durante il periodo estivo. Il passaggio del fuoco facilita la rinnovazione di queste specie anche attraverso l’eliminazione della vegetazione concorrente. I meccanismi con cui avviene la rinnovazione naturale dopo il passaggio del fuoco nelle pinete d’Aleppo e le conseguenti proposte per il loro recupero sono stati ampiamente studiati da vari autori prima citati a cui si rimanda per maggiori dettagli.

Un caso frequente è l’incendio di soprassuoli originati da rimboschimento, dove la diffusione del fuoco è spesso favorita dalle condizioni strutturali e compositive che caratterizzano questi soprassuoli. È noto che l’assenza di adeguate cure colturali, soprattutto spalcature, sfollamenti e diradamenti, che ha caratterizzato la storia dei nostri rimboschimenti, favorisce l’accumulo della massa combustibile, rendendo particolarmente gravi le conseguenze di un incendio. A questi fattori si aggiunge poi il fatto che talvolta le specie sono state impiantate al di fuori della loro area di idoneità ecologica, rendendole più suscettibili ad avversità biotiche e abiotiche che contribuiscono a diminuire la loro resistenza nei confronti del fuoco.

La gestione sostenibile dei rimboschimenti tende oggi a favorire la loro rinaturalizzazione attraverso il sostegno della diffusione per via naturale delle specie arboree, soprattutto latifoglie, che caratterizzano l’area (Nocentini, 2000; 2001). Nel caso di un incendio le possibili strategie per favorire la ricostituzione per via naturale devono essere coerenti con questo obiettivo. Sul piano operativo occorre partire da una attenta analisi che tenga conto in particolare:

- dell’eventuale presenza di individui o nuclei di latifoglie e del loro grado di danneggiamento; - della dimensione e forma della superficie bruciata in relazione alla distanza da nuclei di

latifoglie e alla loro tipologia di disseminazione (zoocora, anemofila, ecc.).

Gli interventi, che dovranno essere comunque molto cauti e puntuali, proseguiti per diversi anni, avranno l’obiettivo di favorire la fruttificazione e la disseminazione e poi lo sviluppo di semenzali delle specie arboree, soprattutto latifoglie, presenti nella zona. La massima attenzione dovrà essere rivolta a non danneggiare il suolo, soprattutto nei primi anni dopo l’incendio, lasciando che l’evoluzione naturale porti, in un primo tempo, alla (ri-)costituzione di uno strato arbustivo sotto cui si possono insediare, in un secondo tempo, le specie arboree. Interventi di diradamento nei nuclei di specie arboree eventualmente risparmiati dal fuoco o lungo i margini della zona incendiata possono essere indicati per favorire l’ampliamento della chioma e quindi la fruttificazione.

5. Conclusioni

Le possibilità di ricostituzione per via naturale dei boschi bruciati dipende da molti fattori tra i quali sono senz’altro determinanti l’intensità e le caratteristiche dell’incendio. Alcuni criteri devono comunque essere tenuti presente quando si passa al piano operativo:

1. differenziare gli interventi nello spazio in relazione alla varietà di situazioni che si riscontra quasi sempre nei soprassuoli percorsi dal fuoco, soprattutto se di grande superficie;

2. differenziare gli interventi nel tempo in relazione alle effettive necessità della rinnovazione delle specie presenti;

3. operare sempre e comunque con grande cautela nelle eventuali operazioni di abbattimento ed esbosco in modo da non danneggiare il suolo che subito dopo l’incendio risulta molto fragile;

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4. non intervenire nelle zone particolarmente fragili (pendenze elevate, suoli facilmente erodibili), soprattutto a seguito di incendi di forte intensità.

Negli ultimi decenni la ricerca ha dato un notevole contributo alla conoscenza del fenomeno degli incendi boschivi, in particolare per quanto concerne le variabili connesse al rischio, le linee operative per la prevenzione e l’estinzione e gli effetti del fuoco su composizione e struttura degli ecosistemi. Se si eccettuano alcuni specifici aspetti, studiati anche su base sperimentale, lo studio dell’effetto di diverse strategie di intervento sui meccanismi naturali di recupero degli ecosistemi forestali necessita invece di ulteriore impegno e risorse. I risultati di ricerche sperimentali in questo senso potrebbero fornire un utile contribuito anche per l’implementazione di strumenti normativi fondati su principi ecologicamente corretti.

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