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La formazione culturale del mercante genovese nel Medioevo

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F R A N C O B O R L A N D I

L A F O R M A Z IO N E C U L T U R A L E

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Con l'aggiunta di poche note indispensabili, si tratta della parte essenziale del discorso di inaugurazione dell’anno accademico 1962-63 letto n e ll’Aula Magna deirUniversità di Genova.

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Se si considera che Genova, nei secoli del suo massimo splen­ dore, ebbe un suo altissimo posto non solo nelle arti del m are, ma nell in tro d u zio n e e nella diffusione dei più raffinati procedimenti per la rip a rtiz io n e dei rischi e dei profitti, per la tenuta im p ecca­

bile delle registrazioni contabili, per la condotta proficua di co m ­ plicatissim e operazioni di cambio ; se si tien conto del posto emi­ nente o ccu p a to da Genova nella storia della banca, della carto gra­ fia, della m o n e ta e delle assicurazioni marittime, vien fatto di ch ie­ dersi con q u ali mezzi, attraverso quali procedimenti si provvedeva alla f o rm a z io n e , alla preparazione culturale e morale di questa so­ cietà u r b a n a estremamente attiva, in cui l’attitudine agli affari e 1 impegno al lavoro erano persino anteposti a qualunque privile­ gio di n ascita od a qualunque blasone.

S p rov vista di una « Universitas » o « Studium generale » fino alla fine del secolo XV, Genova, nel Medioevo, doveva rimettersi a P a v ia , a P is a , a Padova ed a Bologna per la formazione dei suoi giudici e dei suoi medici, ma per la formazione dei suoi m ercanti, tutti foggiati a sua esclusiva immagine e somiglianza, essa non potè che p ro v v e d e re da sola, e con le sole sue forze.

Di qui, la domanda che noi ci poniamo: per i secoli che p re ­ cedettero — grosso modo — l’età di Colombo, quale tipo di istru­ zione veniva impartita al Januensis perché diventasse M e rc a to r? Chi in s e g n a v a ? Cosa si insegnava? Con quali criteri si insegnava?

Si t r a tt a , sostanzialmente, degli stessi quesiti che si son posti H enry P ir e n n e per la Fiandra ed Armando Sapori p e r F iren ze x, anche se, nel caso nostro, le risposte saranno nettamente diverse.

I m a t e r i a li di fondo ci saranno forniti da un vecchio saggio di

1 H . Pi r e n n e, L'instruction des marchands au Moyen-Age, in Annales d'Histoire E conom ique et Sociale, I. 1929 ; A. Sa f or i, La cultura del mercante m edievale italian o, in Rivista di Storia Economica, II, 1939, ed ora in Studi di Storia E con om ica (Secoli X lll - XIV - XV), Firenze, 1955, I , p. 53.

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Santino Caram ella e da alcune ricerche erudite condotte, da vecchia data e con intento diverso, da Angelo Massa, da G ia c o m o Gorrini e da Robert Reynolds, in quella incomparabile so rg en te di infor­ mazioni che è rappresentata dai cartolari notarili del nostro Ar­ chivio di Stato 2.

Va detto subilo che per Genova non ci sono p erv en u ti docu­ menti diretti od espliciti, come quei quadernetti di esercizi ad uso degli apprendisti mercanti di cui si è conservato q u alch e esemplare nell’archivio di un grande uomo di affari del T r e c e n to Toscano, Francesco di Marco da Prato, e che nessun indizio ci fa ritenere che, in Genova, si redigessero — o almeno si trascrivessero — dei manuali di mercatura, sul tipo di quelli che co rrev an o altrove (a Venezia e, specialmente, in Toscana), strumento essenziale per ap­

prendisti ed operatori.

In compenso, abbiamo qualche riferimento specifico ad inse­ gnamenti impartiti con il preciso intento che a noi interessa. Nel 1 2 8 8 un maestro di scuola si impegna ad insegnare ad un certo Si- monino « artem gramaticae ita ut sciat comode le g e r e et scrib ere rationes suas », cioè a leggere a scrivere e a tenere i suoi conti

rationes » ) ; nel 1307 un altro maestro si impegna ad istruire

Ruffeto Manuele e Manfredòlo, entrambi della fam iglia dei Vento, insegnando ad essi di latino e grammatica quel tanto ch e bastasse p er ciò che « pertinet ad m ercatores » ; come in altri docum enti di dieci anni dopo si incontrano impegni ad insegnare a scrivere e

« lutinari secu n d u m quod pertinet ad officium m erca to ris » od a

leggere, scrivere « et facere epistolas sive breves bene et sufficien­ ter, ad m od um m ercatorum januensium » in un corso di studi pre­ visto della durata di quattro anni.

2 S. Ca r a m e l l a, La cultura ligure nell’alto Medioevo, in II Com une di Ge­ nova, I I I , n. 7, luglio 1923; A. Ma s s a, Documenti e notizie per la storia dell’istru­ zione in Genova, in Giornale Storico e Letterario della Liguria, V I I , 1 9 0 6 ; G.

Go r r i n i, L ’istruzione elementare in Genova e Liguria durante il M edioevo, in

Giorn. Storico e Lett. cit., V ili e IX, 1931-32; R . Re y n o l d s, T w o Documents on Education in thirteenth Century Genoa, in Speculum, X I I, 1937 ; a cui è da ag­ giungersi, per qualche dettaglio, P. Re v e l l i, La cultura dei m ercan ti genovesi fi

Cristoforo Colom bo, in Alti della Academia Ligure di Scienze e L ettere, V i l i, 1952; G. Fa l c o, Una scuola privata di grammatica in Portovenere verso la metà del '200, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XIV, 1909.

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B iso g n a riconoscere che non è molto, anche se in altri casi ci si a cc o n te n ta magari di meno, come in un documento del 1 2 5 3 , i o\ c si t r a t t a di insegnare la « gramatica communiter edocenda se­ cu tu uni m erca to res Ja n u a e », mentre in altri casi si rivela un in­ tento un p o ’ p iù preciso, come quando un maestro si impegna ad insegnare a due ragazzi tutto il necessario perché possano com- pren e re il contenuto di uno strumento e perché siano in grado di scrivere u n a lettera mercantile; o quando ancora (m i riferisco ad un d o c u m e n to del 1310) si chiede che il discepolo sia messo in t,iac o di le gg e re istrumenti e redigere brevi scritture fino a raggiun­ gere un sufficiente livello di conoscenze, tale da consentirgli di es­ sere u tilizzato in qualità di scriba presso qualche bottega.

T u tti questi casi che ho scrupolosamente elencato, non sono pero c h e r a r e eccezioni in seno ad una copiosa massa ch e si diffe­ renzia n e tta m e n te dai casi elencati, soprattutto per due m otivi:

I) N e lla più assoluta maggioranza dei documenti a noi p e r­ venuti non si indicava al maestro altro fine specifico a ll’infuori di quello di istru ire il « discipulus » insegnandogli a leggere, ed even­ tu alm en te a n c h e a scrivere, in latino, attraverso la lettura, prima del S a lte rio , p oi della Grammatica di Elio Donato.

I I ) P e r tutto il Medioevo, anche nei tardi secoli X I V e XV , senza a lcu n a possibilità di dubbio, sia nelle scuole pubbliche, sia in quelle p i ivate, prevaleva in Genova l'insegnamento im partito da maestri ecclesiastici, secolari o regolari, su quello im partito da maestri l a ic i. Su queste due constatazioni dovremo ferm arci qual­ che istante.

C o m in c ia m o dalla prima. Verso la fine del Quattrocento, gli aitigiani la n a io li dell Acquasola stipendiavano un prete p erch é questi a p risse una scuola di grammatica (naturalmente latina) nel boigo di S a n to Stefano, per i loro figlioli. Quasi duecentocinquanta anni p r i m a , non un modesto artigiano, ma un importante banchiere, C orrado C a lv o, assumeva per i suoi figli un maestro di gram m atica. Nel p rim o caso ci si limitava a chiedere che l insegnamento si svolgesse b e n e , fedelmente e senza frode; nel secondo, lo scaltrito b a n ch ie re precisava anche i termini del programma, con il solito Salterio e 1 im m ancabile Donato. Ma a parte questo dettaglio, la sostanza e ra la stessa: ciò che i genovesi chiedevano alla scuola.

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nel Duecento come nel Quattrocento, fossero essi m odesti artigiani od im portanti banchieri, non era qualcosa di strettam ente connesso con future ipotetiche attività professionali sulla t e r r a o sul mare, ma era che i loro figlioli imparassero il latino, e ch e lo imparas­ sero « bene, et fideliter et sine fraude », e che il m a e s tr o prescelto si prodigasse in questo suo compito (« et toto posse suo »). C e in quest’ultim a condizione qualcosa che mi sembra in d ica r e ciò che sostanzialm ente si chiedeva alla scuola: non tanto u n a serie di no­ zioni, quanto il massimo impegno. Impegno da p a r t e del Maestro, da valere anche come stimolo e come esempio p e r i discendi; e quindi, im pegno per questi ultimi, iniziati alla vita, ai suoi agguati ed alle sue incognite, attraverso la lettura formativa di un Salterio, di cui certam ente, almeno agli inizi, essi non possedevano nem­ meno la lingua.

Da tutto questo traspare che la scuola era intesa soprattutto come disciplina e che si attribuiva validità più al processo del l'a p p r e n d e r e che alle cose da a p p ren d ere ; più a ll’esercizio intenso delle facoltà della mente, che alle necessità della vita p ra tica , nelle sue prospettive immediate e più miopi. C o n trariam en te al mo- derno legislatore, questi liguri dei secoli d’oro, se m b ra n o aver at­ tribuito allo studio del latino una funzione essenziale nello svilup­ po della mem oria e nell’esercizio della ragione. Al latino, più che alla m ate m a tica ; tanto che agli innumerevoli « magistri grama- ticae » di cui abbiamo notizia come operanti in G enova dal XII al XV secolo, non fanno riscontro che pochissimi « magistri antme- ticae », insegnanti « abacum seu rationem », che, fatto singolare. erano, p e r altro, tutti quanti toscani.

Dopo questo noviziato disciplinare, che si p ro tr a e v a per al­ cuni anni, le menti dei giovani si consideravano p re p a r a t e ad af­ frontare qualsiasi difficoltà e ad apprendere qualunque cosa possi­ bile. Lo « scagno », il fondaco, la nave diventavano le loro nuove palestre e la loro formazione si completava nel contatto immediato con la p ra tica , con paesi e con uomini nuovi, a rricch en do si ogni giorno, ed impegnando ogni giorno l’intelletto, la ragione e la me­ m oria, le tre facoltà largamente esercitate nei pochi m a severi anni passati alle prese con il latino del Salterio e con la Grammatica di Donato.

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n e m m e n o ai grandi esponenti della civiltà industriale del nostro («lupo. R in u n cio a v arcare ( o c e a n o e mi limito ad un solo n o m e : A lfre d K r u p p , 1 uomo che da Essen, più di una volta, fece tre m a re I<< t e r r a . « 1 aula universitaria ove io ho compiuto i miei studi è la fo n d e r ia ed il mio leggio è stata l’incudine ».

N e lla Genova medioevale il leggio era lo « s c a g n o » ; l'aula, il f o n d a c o ; l’aula magna, la nave. Trattando del genovese A ndalò di N e g ro , Giovanni Boccaccio osservava: « aveva ap p reso colla vista ciò c h e noi abbiamo appreso coll’udito ».

M a p assiam o al secondo punto.

C h e nei prim i secoli del medio evo, almeno fino al Duecento, 1 istiuzi'one fosse esercitata in Genova esclusivamente da ecclesia­ stici nelle scuole della Cattedrale od in scuole p a rr o cc h ia li o co n ­ v e n tu a li, ra p p re se n ta un fatto largamente documentato ma del tutto n o i m a l e , e com u n e a tutti gli altri centri dell’epoca. Meno com une, anzi, del tutto singolare, è invece la persistenza, e p e r di più. in p osizio n e em inente, dell insegnamento da parte di religiosi anche d op o c h e , a partire dal Duecento, si assiste ad un cospicuo affer­ m a rs i ili m a e s tri laici e di scuole laiche tanto in Genova, quanto in alili c e n tri, maggiori o minori, dell entroterra e delle R iviere.

A dispetto degli sforzi compiuti — in epoca di accesa p ole­ m ica sco la stica e religiosa — al fine di accertare il c o n tr a rio , non si p u ò non constatare che, malgrado le immunità ed i privilegi co n ­ cessi ai m a e stri laici, il numero ed il prestigio di essi dovette sem ­ p re essere soverchiato da quelli dell antica e forte scuola e ccle ­ siastica.

f.\ itia m o pure di sopravalutare il fatto che la co rp o ra z io n e dei m a e s tr i di gram m atica, già costituita nel secolo X I I I , co n ti­ nuasse a convocarsi nel palazzo Arcivescovile o nella Chiesa di Sant A m b ro g i o , od in quella di San Lorenzo ; ma a n co ra in pieno secolo X V , p e r esservi accolli, occorreva superare un esame davanti ad u n a com m issione in cui sedevano due frati, un fran cescano ed un d o m e n ica n o . È vero che dai suoi tardi statuti risulta ch e . alla fine del Q uattrocento, era inibito ad ogni chierico o sacerd ote di i m p a r t i r e 1 istruzione a più di dieci scolari, ma non è detto che questa lim itazione rappresentasse una vittoria della co n co rre n te scu ola la ic a su quella tradizionale e non piuttosto un tentativo della C h iesa di contenere entro limiti ragionevoli l’attività d id at­

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tica dello stesso clero, onde evitare che l'eccessivo im p egn o distraesse dall'esercizio di più specifici compiti sacerdotali. U n a cosa tuttavia è ce rta : che nel 1486 esistevano ancora in Genova n on m en o di ven­ tiquattro scuole ecclesiastiche mentre per gli inizi del secolo suc­ cessivo, da un lungo elenco di maestri operanti in G enova, risul­ tano ancora in maggioranza gli ecclesiastici nei co n fro n ti dei laici.

Il fatto non è, per altro, sorprendente, se si co n sid e ra che, da ciò che abbiam o osservato circa la natura degli insegnam enti im­ partiti, non risulta esistesse alcuna sostanziale differenziazione fra la m ateria trattata nelle une scuole e quella trattata nelle altre. Le scuole ecclesiastiche offrivano inoltre il vantaggio di u n a maggiore stabilità e di una più attendibile continuità, affidate coin erano allo stabile clero locale, mentre le altre erano gestite p e r lo più da imm igrati dalle origini più diverse, spesso attratti verso altre con­ trade da più allettanti prospettive di lucro, e se m p re soggetti ad eventuali m utamenti di situazioni, come quando, ai p r im i dei Quat­ trocento, si era vietato l’insegnamento in Genova, nei suburbi ed in tutto il distretto a tutti i maestri provenienti dalla T o scan a, dal Regno di N apoli, dalla Sicilia, dalla Romagna e da qualsiasi parte del territorio papale.

In qualunque altro ambiente mercantile, l’alfidare dei figli a preti od a frati perché ne curassero l’istruzione av reb b e potuto im p ortare un grosso rischio: quello di farli perdere alla mercatura per farli guadagnare alla Chiesa. Significativo il caso di Abundus, ricordato da Pirenne. Morto nel 1228, Abundus e ra figlio di un m ercante di tlu y . Affidato nella sua infanzia ad un convento perché fosse reso cap ace di prendere nota delle operazioni co m m e rc ia li e dei debiti di suo padre, attraverso le letture offertegli dal convento, aveva rinunciato agli affari e s’era fatto frate. Non forse dissimile, anche se non immediato, è il passaggio dalla scuola religiosa alla vita mistica del figlio di un altro mercante a noi ben più noto: Francesco d’Assisi. Ma a Genova, per tutti i secoli del m edio evo, non sem bra di assistere a drammatiche fratture fra la Chiesa ed il mondo che la circonda. Uscito spesso da scuole ecclesiastiche o conventuali, nell’esperienza del fondaco o della nave e nel con­ tatto con i popoli più diversi, il mercante genovese rivela sovente le caratteristiche della sua formazione religiosa a n ch e se lontana, fino ad essere in grado di sostenere dispute teologiche, com e av­

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viene a C e u ta nel 1 1 , 9 fra il m ercante genovese G uglielmo A lfa ­ ch in o ed il dotto ebreo Moìse A b raym ; od a P a lm a di M a io rc a , nel 1 - 7 6 , fra altri dotti israeliti ed il mereanle genovese Ingeto C o n ta r d o .

D a p a r t e sua, sotto i cam panili delle sue canoniche e dietro le* m u ra dei suoi conventi, la Chiesa genovese si rivela intensam ente p a r t e c i p e alla vita ch e pulsa nei « carrugi », nel porto e negli scali lo n ta n i. E ss a estende i suoi domini in Sardegna ed in C orsica, pos- . iede G ib elletlo, la terza parte del porto di Laodicea, la terza p arte ili Solino e di Tripoli, una strada in Antiocbia, una p a rte notevole dell isola di I ortosa, ha interessi giurisdizionali n e ll’Arcivescovato di T i r o . Il costitutore del palazzo di Guglielmo B o c c a n e g ra . oggi P a la z z o S an Giorgio, è del resto un monaco, cistercense, frate Oli­ verio d e ll ’A b b azia di Sant’Andrea di Sestri Ponente, quello stesso ch e , p e r alcuni anni, a p artire dal 1 2 5 7 , acquista rupi in Cari- gn an o , o ttien e terre in donazione a Carignano e in A lb a ro e le tra ­ s f o rm a in ca v e di p i e t r a ; il tutto p er alimentare T o p era colossale di cui è « m in ister et operarius » cioè principale a n im a to r e : la co­ stru zion e del m o l o 3. E , scomparso frate Oliverio, è an co ra un m o ­ n a co ch e assume la responsabilità della grande o p era p o r tu a le : fra te F i l i p p o , a n ch ’esso della abbazia di Sant’Andrea di Sestri.

L e m in ia tu re che ci sono pervenute come opera di conventi o di ch iese genovesi non adornano né messali né antifonari, m a sono l a p p r e s e n ta t e da carte nautiche: fra tutte famosa quella di P re te G io van n i da Carignano, rettore della Chiesa di San M a rco al molo v e cch io , c h e è dei primi del Trecento.

Gli a r m a to r i genovesi che trasportano sulle loro navi i c r o ­ cia ti di L u ig i IX servendosi della prim a carta nautica di cui si ab­ bia notizia, sem brano dello stesso ceppo di questo prete Giovanni da C a rig n a n o , come Guglielmo E m b riaco , che costruisce le m a c ­ ch in e da guerra vittoriose all’assedio di Gerusalemme, sem bra t a ­ gliato n ella stessa pietra di quel frate Oliverio che, quasi due se­ coli d o p o , sfascia la montagna per trasferirla nel m olo.

3 Su l valore da attribuire al termine « operarius » ( = am m inistratore) v. : D. G . Sa l v i, L ’« operarius » d el porto e del molo di Genova. A rchitetto o am m ini­ stratore?, Genova, s.d.. e V . Vi t a l e, in Giornale Storico e Letterario d ella Liguria,

1935.

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Ma non è tutto. A Genova, in pieno Quattrocento, ai prim ordi della stam p a, è ancora un frate, questa volta ca r m e lita n o , Battista Cavallo, che costituisce una società per la produzione e p e r la ven­ dita di libri a stampa; le controversie com m erciali, a n ch e di non lieve entità, son giudicate da magistrature a cui p a rte c ip a n o m e m ­ bri del Clero ; e si ha persino il caso di un Arcivescovo, P a o lo Fre- goso, che assume il Dogato della Repubblica.

Si co m prende quindi perché, vivamente p a r te c ip e alla vita locale ed in essa profondamente impegnata, a Genova, la Chiesa, attraverso suoi membri secolari o regolari, possa a v e re eseicitato senza scosse un magistero che, altrove, le fu, di re g o la , vittoriosa­ mente contestato da un più massiccio affermarsi della scuola laica. Ma può anche notarsi, di scorcio, come nello schem a ch e emeige da quanto si è detto si inseriscono senza difficoltà il processo for­ mativo della stessa personalità di Colombo, basata su p och i studi di fondo classico (legge correntemente il latino, m a lo scrive piut­ tosto scorrettam ente) ; la religiosità di Colombo ; la b re v ità del suo tirocinio scolastico; la sua precoce ammissione alla scuola della re a ltà : p rim a nell’arte della lana e nel piccolo c o m m e rc io presso l’azienda p a te r n a ; poi, a diciotto anni, sui vasti orizzonti del mare.

Alcuni aspetti tipici che abbiamo individuato n e lla più p ro­ fonda realtà genovese dell età medievale caralterizzeran no la vita della Repubblica anche nelle età successive. Uno di essi è ra p p re ­ sentato dall’eccezionale resistenza dell’uso della lingua latin a negli atti ufficiali della Repubblica, i cui documenti co n ta b ili saranno redatti in latino fino ai primi del secolo X V I I ; i d e cre ti fino alla metà dello stesso secolo; gli atti giudiziari fino a lla fine del se­ colo X V II I.

Circa la posizione eminente dell insegnamento affidato ad ec­ clesiastici, lo spirito e gli stimoli della Controriforma si trovarono qui ad operare in un terreno dissodato da secoli. A tta c c a ta p e r inin­ terrotta tradizione a questo tipo di insegnamento, G enova o ppor­ rà __ p er esempio — la più tenace resistenza alla soppressione della Compagnia di Gesù impegnata localmente in scuole di ogni

ordine e grado ; anche in questa, che oggi è sede d e ll’Università dello Stato. Soppressa in Portogallo nel 1759, in F r a n c i a nel 1762, in Spagna nel 1767, a Malta e nelle Due Sicilie nel 1 7 6 8 . a P arm a nel 1 769, a Genova la Compagnia di Gesù non cesserà ch e nel 1773 e solo a seguito di un decreto papale.

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