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Il caseificio italiano dalle origini al secolo XIX

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Academic year: 2021

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II caseificio italiano

dalle origini al secolo X

Premessa

E ' indubbio che le prime civiltà preistoriche e storiche (Orientali, Europee ed Africane) siano state civiltà prevalente-m e n t e pastorali, ossia allevatrici di a n i prevalente-m a l i e c o n s u prevalente-m a t r i c i di p r o d o t t i semplici, (latte) o trasformati.

Non è ancora definitivamente confermato se il p o n t e di pas-saggio alla prima attività speculativa dell'uomo, l'agricoltura, sia s t a t a la pastorizia, o viceversa; secondo lo E. H a h n ( l ) , è l'agri-coltura a precedere la pastorizia, quest'ultima essendo in dipen-denza cronologica ed economica dell'agricoltura stessa. Senza e n t r a r e nel merito, può darsi che in alcuni casi, forse in molti, ciò si sia verificato, in altri no, essendoci s o p r a t u t t o u n a ragione di c a r a t t e r e tecnico: l'allevarhento degli animali domestici pre-suppone condizioni edafiche ed ecologiche particolari, n o n ri-scontrabili in tutti i territori. I popoli Semiti, sviluppati nella pa-tria n a t u r a l e della vite e dell'olivo, poco curavano il latte e il be-stiame e nei cibi preferivano l'olio e il grasso, al latte e al burro. Lo stesso dicesi dei Fenici, che s'interessavano di bovini solo per il commercio che ne facevano, lungo le coste del Mediterraneo, prelevandoli dall'Egitto. V e ancora un esempio vivente a confer-marci che, in alcuni casi, la pastorizia abbia preceduto l'agricol-t u r a : le sopravvissul'agricol-te l'agricol-tribù indiane degli Sl'agricol-tal'agricol-ti Unil'agricol-ti d'America, sono poco adatte a svolgere attività agricole p e r n o n avere attra-versato la fase pastorale (2).

Primi cenni, se p u r confusi di caseificio, si t r o v a n o nella let-t e r a let-t u r a orienlet-tale: nel Rig-Veda, ( S o m m a Scienza) (3) raccollet-ta d'inni sacri delle antichissime popolazioni del Tibet, Je vacche sono figurate dalle nubi, il cui pastore, il « sole l a d r a », le libera dalla caverna (notte), nella quale le aveva chiuse « Pani », il ladro. In questi libri si trova prescritto di offrire agli dei orzo fritto con burro. Il cenno più antico del latte rappreso e del grasso

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del l a t t e si trova nel libro 3° di M a n u (4), nel quale è o r d i n a t o di sacrificare agli dei con b u r r o liquido v e r s a t o sul fuoco.

Presso tutti i popoli antichi, del resto, il l a t t e ebbe sempre u n ruolo religioso ed economico d ' i m p o r t a n z a p r i m a r i a : presso gli I n d ù (1000-1200 anni a.C.n.), l'allevamento di m u c c h e e buoi era m o l t o più importante della coltivazione della t e r r a e la mucca era considerata, come ancora oggi, incarnazione divina e, oltre le mucche, erano, altresì sacri, sia il latte che il formaggio bianco. Gli Egiziani invocavano gli aiuti divini con offerte di latte. Presso gli Ebrei la fortuna di un p r o p r i e t a r i o terriero si misurava dalla quantità di l a t t e che le sue greggi producevano (5). I popoli lungo il Gange, l'Indo, l ' E u f r a t e e il Tigri, n o n solo traevano il latte dalle vacche, e ne facevano burro, m a anche u n a specie di cacio (6). E' altresì da c o n s i d e r a r e che, p e r q u a n t o ri-g u a r d a l'Europa, a differenza dell'Asia, prevalsero, nella p a r t e settentrionale ed orientale, p r i m a le m a n d r i e di cavalli su quelle dei b u o i ; i popoli Finnici, Sciti, Slavi, S a r m a t i ed a n c h e i Ger-mani furono infatti c h i a m a t i dai Greci « ippo-molgoi »,' cioè « m u n g i cavalle », per l'uso che facevano del latte equino, che tal-volta mescevano al sangue p e r farne delle torte, simili a quelle che ancora oggi si u s a n o p r e p a r a r e con latte di vacca e sangue di maiale o di tacchino. E' certo c h e l'industria casearia, p e r svi-lupparsi, h a bisogno di vita stabile, n o n n o m a d e (7). Più t a r d i infatti, quando le civiltà pastorali, colla fine della fase n o m a d e , si mescolarono con altre, più avanzate, il latte, p u r p e r d e n d o il suo posto di privilegio religioso, restò sempre u n insostituibile alimento Limano. E q u a n d o i popoli nomadi, provenienti dal-l'Asia minore e dall'Africa, si sparsero sulle rive del Mediterraneo, furono i Greci a raccoglierne l'eredità nel campo della c u l t u r a e nel campo dell'arte agraria (8).

I Greci

Prescindendo dalla nota leggenda, nei poemi omerici, del ci-clope Polifemo (9), che fabbricava latticini nelle caverne siciliane, i p r i m i cenni, precisi, sul caseificio, che veniva chiamato, in ge-nerale, « Turopia », si h a n n o dai Greci (10). Essi lasciarono di-versi scritti sull'argomento, come c'informa V a r r o n e (11), che ri-m a n e la guida più antica p e r conoscere qualcosa sul p r i ri-m i t i v o ca-seificio italiano. Fra gli illustri Greci, il primo a p a r l a r e di caseifìcio

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è stato Ippocrate (Coo-468/Larissa 377 a.C.n.), medico e botanico, a u t o r e eli numerosi t r a t t a t i di scienza medica, che tra-smise ai Greci l'arte dei casari Sciti, popolazione della attuale Crimea(12), nella quale zona Ippocrate si e r a recato, cinquecento a n n i prima di Cristo, alla ricerca d i erbe medicinali. Cenni an-cora troviamo nel suo seguace Galeno, ( P e r g a m o - 2 9 / 2 0 1 a.C.n.). F u Ippocrate il primo a d e n o m i n a r e l'attuale b u r r o col n o m e di « b o u t i r o n » (13). Secondo Galeno l'etimologia deriverebbe da « turos = cacio e bous = bue, m a ciò n o n è é s a t t a m e n t e preci-sato, in quanto i casari sciti e altri popoli viciniori, u s a v a n o pre-valentemente, se n o n esclusivamente, latte di cavalla, che, a det-ta di Plinio (14), non caglia. Del resto, c h e il caseificio idet-taliano, ed europeo in generale, deve le sue origini ai greci, è d i m o s t r a t o da m o l t e parole, usate nella tecnica, la cui genesi è da collegarsi a radice greca. Così, come d e d u c i a m o da G. Rosa, op. cit. p. 6, oltre la parola butirro, da u n elemento « mei » cioè « dolce al palato » si formarono le parole greche « mela = pecora, me-los = canto, melis = miele, melissa = l ' a p e ; nei popoli germa-n i c i : mehl = farigerma-na, m a h l = pasto, milch = latte, che igerma-n ligerma-ngua r u s s a diventa « mletia », in slavo « mlico », e « m e l o k e n ». Così la parola « mungere » viene dal greco « amelgo », d i v e n t a t a « mul-cere » nel linguaggio del Lazio, « malzi » in Lombardia, « m e l k e n » in Germania. La voce greca p e r indicare il formaggio, in Italia (come visto sopra per la parola b u t i r r o ) diventò quella del burro. La parola « cacio » fu invece il n o m e latino a t t r i b u i t o al « tiros » greco, dalla forma o casella i n cui si riponeva, o n d e si d e n o m i n ò « caseus » p r i m a e « formaticum » n e l medioevo (15), o « formai », « formagela », « fromage ». Il « caseus » latino divenne in seguito « kase » in Germania, « cheese » in Inghilterra, « queso » nella Spagna.

E p o c a p r e - r o m a n a e r o m a n a {sec. V i l i a . C / V d.C.)

P r i m a dei romani, i p r i m i popoli c h e a b i t a r o n o il Lazio, (Italici, Latini, Etruschi) vivevano p r e v a l e n t e m e n t e di pastorizia e gli innumerevoli armenti costituivano l'unico p a t r i m o n i o degli abitanti. All'agricoltura, del resto, si ispiravano la religione, la l e t t e r a t u r a e l'antico o r d i n a m e n t o sociale.

La fiorente attività agricola dell'epoca pre-romana, è attri-buibile s o p r a t t u t t o al fatto c h e il Lazio e r a u n a regione m o l t o

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fertile a causa della sua origine vulcanica. Del resto le popola-zioni dell'Italia, p u r nel periodo neolitico, e r a n o in possesso di u n a tecnica agricola, sia pure rudimentale, ed è certo che nel-l'epoca del bronzo e del ferro, per il perfezionamento degli stru-menti agricoli, l'agricoltura deve aver avuto largo i n c r e m e n t o , m e d i a n t e u n più razionale sfruttamento del t e r r e n o .

Le colture praticate erano, tra i cereali, quelle del miglio, della spelta, dell'orzo e del f a r r o ; t r a le colture a r b o r e e : quelle del fico, dell'olivo e della vite. Si fa n o t a r e , a p r o p o s i t o del vino, che esso, sino al quarto secolo a.C., era considerato p i u t t o s t o un farmaco che u n a bevanda e, nei riti p i ù antichi, come le feste la-tine sul m o n t e Albano, si usavano libazioni di latte (16). Appunto il latte e i suoi prodotti dovevano, con i cereali e altri vegetali, costituire la base dell'alimentazione primitiva, nella quale n o n aveva larga p a r t e l'uso della carne. E ' peraltro certo che gli antichi abitanti del Lazio h a n n o allevato t a n t o bovini, q u a n t o il bestiame minuto, pecore, capre e suini.

I r o m a n i appresero la tecnica casearia presso le colonie gre-che dell'Italia meridionale ch'essi a n d a v a n o m a n m a n o conqui-stando. Nella Roma repubblicana e sino ai p r i m i tempi dell'im-pero, t u t t a la regione, fino alla Campania e dalle p a l u d i p o n t i n e sino al mare, era sparsa di lussureggiante vegetazione dove fer-veva u n a laboriosa attività di carattere commerciale, agricolo e zootecnico. I termini, ancora oggi usati, c o m e si è visto prima, « cacio e caseificazione », provengono dal « caseus » latino. Il « l a c pressura. » di Virgilio, il « lac c o n c r e t u m » di Ovidio, il « ca-seus fistulatus o fistolosus » di Columella e il « caca-seus discom-b i n a t u s » dimostrano la veridicità di q u a n t o affermato (17). Anzi nel « De Re Rustica » di Columella, esistono particolari così pre-cisi sulla fabbricazione dei formaggi, che, in u n certo senso pos-sono ritenersi utili ancora oggi. Il latte e il formaggio erano, del resto, ingredienti immancabili in tutti i p i a t t i r o m a n i : è suffi-ciente esaminare le svariate ricette, con alla base l a t t e e for-maggio, contenute nel piccolo t r a t t a t o « De Coquinaria », che si attribuisce all'imperatore Tiberio, a d o m b r a t o sotto il n o m e di Sulpicio (18). Che il caseificio fosse prevalente nella economia r o m a n a , lo prova ancora il fatto che t u t t i gli scrittori georgici se ne occupano, anche se incidentalmente. Allora i formaggi e r a n o prevalentemente fabbricati con latte di pecora e di capra, più che

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di vacca. Questo spiega perché Varrone, De Re Rustica-2-II, ac-cenna ad u n a sola m u n g i t u r a . Columella, che visse ai tempi d'Au-gusto, e p i ù giovane di mezzo secolo di Varrone, dice che il cacio pecorino n o n solo pasce i contadini, m a è l ' o r n a m e n t o giocondo e copioso delle mense eleganti (19). Cinquanta anni dopo Colu-mella, Plinio secondo, comasco, nella « Naturalis Ristorici » (11-240) parla, n o n solo di formaggi di vacca, di pecora e di ca-pra, m a ci h a anche lasciato u n regolare elenco dei principali centri di produzione casearia, che rifornivano, ai suoi tempi, la città di Roma.

Sappiamo così che erano m o l t o apprezzati dai r o m a n i i for-maggi piccoli e molli, di Nimes, nel Narbonese, specificatamente dei villaggi di Lesuro e Gabelico (Lesuro Gabalicique pagi). Dalle m o n t a g n e della Savoia (Centronici-Alpi Graie), s'inviava a Roma un formaggio stagionato detto perciò « v e t u s i c u m ». Dai m o n t i Dalmati veniva il formaggio « docleante » da Doclea, a t t u a l e Drino. I n più g r a n n u m e r o venivano i formaggi dall'Appennino ?e

la Liguria produceva.il « Cehano », (da Ceva, oggi i n Piemonte), t r a t t o in gran p a r t e dal latte di pecora. I pezzi maggiori, p e r gros-sezza, si fabbricavano in Umbria e a Luni, ed erano formaggi che e r a n o stati sottoposti a grandissime pressioni (20). Un graditis-simo formaggio caprino veniva dai Vestirli, presso Pescara. Di Agrigento èra apprezzato un formaggio affumicato e infine ri-cercato era a n c h e in Italia il formaggio d'oltremare, della Bi-tinia, del quale dicevasi che il sole era insito negli stessi pa-scoli. Anche Palladio, del quarto secolo, con il quale si compie il ciclo dei georgici latini classici, scrisse di caseificio, m a seguendo in t u t t o Columella; aggiunse solo che il mese di Maggio e r a pre-ferito p e r la coagulazione del latte. Per finire la scorsa casearia sui romani, è da rilevare che, m e n t r e essi apprezzavano t a n t o i formaggi, apprezzavano poco il burro, del quale facevano, sì, p u r largo uso, non però come alimento. Lo u s a v a n o come cosmetico, (era detto infatti unguento) e come medicinale. Plinio distin-gueva la casta patrizia da quella plebea per l'uso... del b u r r o . E ' noto l'aneddoto, n a r r a t o da Plutarco nella « Vita di Cesare ». Quando quest'ultimo era proconsole a Milano, fu invitato a pran-zo da u n ricco patrizio, certo Valerio Leonte, e dovette, facendo buon viso a cattivo gioco, m a n g i a r e degli asparagi conditi con burro.

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La fiorente attività casearia r o m a n a , i m p e r n i a t a in preva-lenza sul latte di pecora e di c a p r a , e che aveva il suo epicentro nelle zone centro-settentrionali della penisola,,.decadde con il crollo dell'impero, restringendosi nelle zone m o n t a n e .

E p o c a curtense ( d a l sec. V d.C. a l i ' X I )

Questo periodo, che nelle sue grandi linee si può circoscri-vere dalla lenta fine dell'impero r o m a n o sino all'anno mille, segna,

come si sa, per t u t t a l'Europa e p e r l'intera storia della civiltà, il periodo più oscuro.

Quali furono, in questo lungo periodo, le vicissitudini del nostro caseificio? Come abbiamo accennato, il caseificio r o m a n o , colla fine dell'impero, si andò via via restringendo nelle zone montane, tanto è vero che la culla p r i m a r i a del caseificio ita-liano, nel basso medioevo, si p o n e c o m u n e m e n t e nelle Alpi Retiche.

Questa affermazione h a u n a giustificazione storica.

Le Alpi Retiche comprendono la zona oggi delimitata t r a il passo dello Spluga e il passo di Resia. All'epoca r o m a n a la Rezia era la zona m o n t a g n o s a della E u r o p a centrale abitata dai bellicosi popoli Reti e Vindelici, che diedero m o l t o filo da torcere ai r o m a n i per la conquista. Fu infatti solo nel 15 a.C., colla vittoria di Tiberio e Druso, che la Rezia, aggregata alla Gallia, fu c o s t i t u i t a in pro-vincia a u t o n o m a , con il n o m e di Raetia e Vindelicia. Il confine settentrionale era delimitato dal Danubio ; colla fine dell'impero, la Rezia fu subito invasa dai b a r b a r i ; al tempo di Odoacre e Teodorico solo la Rezia del sud era ancora legata a Roma. Ma in queste m o n t a g n o s e zone ospitali avevano dapprima trovato ri-fugio le popolazioni latine, per contingenti necessità di difesa contro le orde barbariche migrate verso la m o n t a g n a .

I Rezi(21) erano dediti s o p r a t u t t o all'allevamento del be-stiame, n o n avendo che u n a limitata agricoltura. Essi, nel can-tone dei Grigioni, dove erano i m m i g r a t i quattro secoli p r i m a di Cristo, avevano importato dall'Etruria un tipo di bestiame, di-scendente dall'uro selvaggio (Bos primigenius), che si e r a incro-ciato con il « Bos brachjceros » di tipo alpino. Da questo incrocio, prevalentemente, in seguito, pare si sia originala, secondo l'En-geler (22), u n a razza di tipo Bruno-Alpino, che, con epicentro nel-le valli Retiche, diede luogo ad un fiorente commercio zootecnico

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e caseario, che, col tempo s'irradiò nelle zone della bassa Lombardia e anche oltre le Alpi, originando i g r a n d i allevamenti a c a r a t t e r e n o n più brado, ma stazionario.

Storicamente, i contatti commerciali che s'irradiavano dalla Rezia, si svolgevano attraverso il valico del « Septimer », nello Spluga, già noto ai romani. Di là passavano articoli d'esporta-zione di varia n a t u r a : burro, bestiame bovino e b e s t i a m e mi-nuto, formaggi di latte di vacca e di capra, c o r n a ecc. Il mercato di scambio, del resto, tra le Alpi Retiche e le pingui p i a n u r e lun-go il Po, datava da epoca molto lontana, ed è ricordato da Stra-bone che ci dice che i m o n t a n a r i , p e r avere foraggi e vino, da-vano in cambio cera, pece, resina, miele e formaggio.

Colla conquista r o m a n a , r i e n t r a n d o a m m i n i s t r a t i v a m e n t e le Alpi Retiche nella giurisdizione delle c i t t à di Verona, Brescia e Bergamo, le m a n d r e alpine poterono scendere a svernare nelle pianure, in piena sicurezza, migliorando nei pascoli e nei prati

i loro antichi prodotti caseari. 1

Nell'epoca curtense già si profilava, t r a le Alpi e il Po, il grande allevamento del bovino lattifero bruno-elvetico di grossa mole, penetrato, come si è visto, dalle vallate dei Grigioni, e il sorgere lento, m a progressivo, di u n ' i n d u s t r i a casearia che, data la notevole produzione di latte, per le grosse m a n d r i e allevate,

serviva alla fabbricazione di formaggi di grossa mole. Si h a di ciò m e m o r i a in diversi documenti. Nel « Capitulare de Villis » di Carlo Magno, nelle scritture preparate p e r gli a m m i n i s t r a t o r i dei beni delia corona, è detto, fra l'altro : « Omnino p r o v i d e n d u m est, ut c u m omni diligentia formaticum, b u t j r o n c u m s u m m o n i t o r e sint facta et p a r a t a ». Dal che si vede come sin d'allora il for-maggio — detto formatico — si distingueva dal « h u t i r o », e si riconosceva la necessità di fabbricarli con accuratezza. Nel « Ce-dex Dìplomaticus Longobardiae », sono enumerati i tributi di dotti caseari che i conduttori di beni ecclesiastici d a v a n o ai pro-prietari ; tali prodotti, quando sono d e n o m i n a t i « caseus », v a n n o

calcolati a peso, quando invece sono denominati « formaticus », si calcolano a numero, dal che si deduce che i formaggi e r a n o grandi e fabbricati in forme di m i s u r a prestabilita.

Nell'anno 905 Iseo retribuiva le m o n a c h e di S. Giulia, a Brescia, con cento libre « de caseo » all'anno, m e n t r e in Val-camonica la corte « Bradella » tributava, tra le altre cose, « 86

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formaticos », e l u s o n e cento, Alfìano q u a r a n t a e c e n t o libbre « de caseo » un'alpe piacentina per il diritto di « erbatico ». Nello stesso anno 905 i Limontini dichiarano che, per antica consue-tudine, dovevano alla corte imperiale di Pavia a n n u a l m e n t e 30 libbre di cacio.

Che nel medioevo la produzione casearia continuasse ad essere predominante con il latte pecorino, più che bovino, e che si svol-gesse ancora in gran parte, nei pascoli m o n t a n i , è d i m o s t r a t o dal fatto che la carne di pecora era v a l u t a t a sul m e r c a t o più di quella bovina. Gli « Statuti di Padova », che v a n n o dal 1226 al 1282, ad esempio, stabiliscono il valore di q u a t t r o danari la libbra, per la carne di buoi, di vacche e di capre, di o t t o invece, quella dei strati. Così a Brescia, gli Statuti del 1385, o r d i n a n o che il ca-strato valga « 5 soldi la libbra » e il m a n z o con dente di vitello, quattro. Tanto sulle Alpi che sugli Appennini, i pascoli m o n t a n i erano denominati « alp e alpi ». I n u n a c a r t a fiorentina del 1032, trovasi un « loco-alpe », presso Firenze ; in u n a di Fiesole, del 1103 si legge « c u m alpibus ». In u n a c a r t a di Ardesio, nella valle Seriana, del 1145, è scrìtto « alpari » p e r pascolare e l'alpe è d e t t a anche « casiera » (alpe sive casiera). I n qualcuna di queste alpi si occupavano di caseificio anche le confraternite religiose. Nella antica chiesa di S. Lorenzo ad Esine, in vai Camonica, esiste un affresco, anteriore al 1500, nel quale si vede u n frate m u n g e r e una. pecora. Il De Crescenzi, nel 1305, nel suo « Ruralium com-modorum libri », scriveva che il formaggio di pecora e r a mi-gliore e che preferivasi fresco, che quello di capra e r a inferiore e che ai tempi suoi le pecore si m u n g e v a n o d u e volte al giorno, sino al dì di S. Michele (29 Settembre). Egli descrive il m o d o di fabbricare il formaggio, che c h i a m a « formula » (formagelle), esattamente come Columella, tredici secoli p r i m a .

E t à dei Comuni e delle Signorie ( X I I - X V sec.)

Il periodo che s'inizia dopo il mille è considerato c o m e u n a epoca di rinascenza anche dell'agricoltura.

Il movimento di riscatto della t e r r a , che si t r a d u c e nel dis-sodamento di estesi boschi, nello scavo di canali d'irrigazione, nell'appoderamento delle terre e nella costruzione di case colo-niche, nella maggiore libertà di alienazione della t e r r a stessa, è particolarmente intenso.

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E ' in questo periodo che il caseificio, trasferito in pianura, comincia lentamente, m a progressivamente, ad a s s u m e r e sviluppo commerciale. Furono le irrigazioni, i p r a t i stabili e le marcite (delle quali ultime si h a la prima notizia in L o m b a r d i a nel 1233), che, moltiplicando i foraggi, diedero i n c r e m e n t o agli allevamenti bovini del piano.

Le grandi opere idrauliche nella valle del Po, iniziate dagli Etruschi (24) e continuate dai Romani (25), i n t o r n o al mille, dopo sei secoli di anarchia e di guerre interne e r a n o d i s t r u t t e : caduti i ponti e rotti i condotti, otturati i canali e le opere d'arte. Con sforzo lento e faticoso le Repubbliche ripresero l'opera di bo-nifica e d'irrigazione, r i a t t a n d o gli antichi canali, a p r e n d o n e dei nuovi.

CoII'aumento della produzione foraggera, coll'intraduzione del trifoglio e soprattutto dell'erba medica, che riprende di nuovo ad essere coltivata, dopo essere stata inspiegabilmente abban-donata, dopo la fine dell'impero r o m a n o (26), si comincia a proj filare la tipica azienda (bergamina) (27), diremo, con linguaggio moderno, ad indirizzo zootecnico, capace di p r o d u r r e 5-6 - Hi di latte p e r la fabbricazione di grandi formaggi. Le p r a t e r i e artifi-ciali irrigate determinarono u n a rivoluzione nel caseificio, perché condussero alla necessità di restringere i pascoli t r a n s u m a n t i e di a u m e n t a r e la stabulazione, e, di conseguenza la convenienza di sostituire le m a n d r i e bovine agli a r m e n t i di pecore e di capre. Il valore comparativo delle pecore andò d i m i n u e n d o a n c h e per l'incremento dato alla coltivazione di p i a n t e industriali, quale il cotone e dei bachi da seta, che fornirono s u r r o g a t i alla lana. Così gli allevamenti bovini n o n solo s u b e n t r a r o n o alle pecore al monte e al piano, e il loro l a t t e fece d i m i n u i r e l'uso di quello pecorino, m a invasero anche molti pascoli riservati ai cavalli, quando, per lo sviluppo delle fanterie, dovuto all'introduzione della polvere pirica, la cavalleria perse il suo p r e d o m i n i o nei conflitti, predominio che s'era m a n t e n u t o fino ad allora quasi esclusivo e per il quale ogni città e b o r g a t a era costretta a man-tenere estesi pascoli.

Dopo il 1200 la media valle del Po divenne il principale mer-cato caseario dell'Europa. Ciò fa ritenere che, nella bassa Lom-bardia, coll'introduzione delle foraggere nella rotazione, la tec-nica agraria avesse conciliato le esigenze di u n o s f r u t t a m e n t o

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continuato della terra, senza danno alla fertilità, con intensi levamenti di bestiame e, nel contempo, m a g g i o r p r o d u z i o n e di cereali.

Già all'epoca viscontea (1310-1447), per le g r a n d i cure che le Signorie dei Visconti e degli Sforza avevano prodigato alla re-denzione della zona, come ci dice il Luzzatto (28), la valle pa-dana, nella quale affluiva t u t t a la produzione casearia, c o m p r e s a quella, caratteristica della sponda destra del n u m e Enza, in pro-vincia di Reggio Emilia, veniva considerata il m a g g i o r emporio caseario d ' E u r o p a : Lombardia ed. E m i l i a detenevano allora il primato p e r la fabbricazione dei formaggi.

E ' questo il periodo aureo del caseifìcio italiano, d u r a n t e il quale il campo dei traffici si estende dal ducato milanese sino ai paesi più lontani e le sete, le lane e i latticini invadono i mer-cati d ' E u r o p a e d'Oriente, periodo che si protrae, con a l t e r n e vi-cende per circa due secoli, quando m u t a t e condizioni economiche ne determinarono la decadenza, come si vedrà appresso.

Di quanto detto esistono svariate documentazioni, che m e r i t a ricordare.

Nella 3a novella della 8a g i o r n a t a del Dccamerone, il

Boc-caccio fa dire ad u n protagonista, Maso del Saggio, le seguenti parole : « eravi u n a m o n t a g n a di formaggio p a r m i g i a n o sopra la quale stavano gente che n i u n a l t r a cosa facevano che far maccheroni e ravioli ». Da un « Saggio storico sull'antica agri-coltura parmense. » apprendiamo che nel 1492 i piacentini do-n a r o do-n o a Carlo VIII « formaggi di sì grado-ndi forme che p a r e v a do-n o mole da m a c i n a r e ». Nel 1500 il poeta Francesco Maria Grapal-do, (1.464-1515) ritiene il cacio p a r m i g i a n o come il m i g l i o r e che si produca in Italia. Nella « Historia della città di Parma e de-scrizione del fiume Parma » scritta nella seconda m e t à del 1500, dal letterato Bonaventura Angeli, vissuto a F e r r a r a , alla c o r t e dei duchi, il formaggio parmigiano è definito : « c a c i o di quella b o n t à che sà il m o n d o ». La c o m u n i t à di Reggio Emilia nel 1509 regalò al duca Alfonso I di F e r r a l a due forme di « formazo » reg-giano del peso complessivo dì « pesi 10 e libbre 5 ». Nel 1547, la stessa c o m u n i t à donò al conte A. Tassoni, g o v e r n a t o r e della città, u n bella forma dì formaggio del peso di Kg. 34 circa. Francesco Murai ti da Como, agricoltore e storico, vissuto nella seconda m e t à del XV secolo, cita il dono eccezionale di ben 100

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fonile di parmigiano, fatto dai pavesi a Luigi XII. Il c o m u n e di Parma, nel 1477 spedì a G. Galeazzo Visconti e alla m a d r e sua, Maria di Savoia, u n a grossa « soma di p a r m i g i a n o e di robbioli m o n t a n a r i , insieme a cento poponi ». Il Novagero, legato presso la corte pontificia nell'anno 1558, nelle sue lettere d ' a m b a s c i a t a in-formava il governo di Venezia che : « Il S a n t o Padre, cibandosi spesso e in abbondanza dì formaggio parmigiano, s'ingrassava ». Nell'« Itinerarium Italiae », storia di un viaggio in I t a l i a com-piuto nel 1599 dall'inglese T h o m a s Edwards, l ' a u t o r e riporta u n a descrizione delle città italiane, a d ognuna delle quali applica un verso indicante la caratteristica che l a distingue. Così dedu-ciamo che allora, alla città di P a r m a spettava il p r i m a t o caseario : « C o m m e n d a n t Parmam, lac, caseus, atque b u t y r u m ».

Dalle citazioni su esposte si paria, dai vari a u t o r i citati, di formaggi di « grossa mole », parmigiano e reggiano. Già prece-dentemente s'è detto che la fabbricazione d ì formaggi v o l u m i n o s i fu determinata economicamente dallo accentramento in p i a n u r a delle grandi m a n d r i e bovine, per lo m e n o nell'Italia settentrio-n a l e ; asettentrio-ncora, s'è settentrio-n o t a t o che settentrio-nell'epoca viscosettentrio-ntea, a Milasettentrio-no, mas-simo, centro u r b a n o del tempo, affluiva t u t t a la produzione ca-searia della valle padana, compresa quella, caratteristica, della sponda destra del fiume Enza, in provincia di Reggio Emilia. Per m o l t o tempo (29) si polemizzò sul luogo di origine e sulla denominazione del formaggio « grana » Reggiano o P a r m i g i a n o o Milanese. Per inciso ricorderemo che la parola « g r a n a » è attri-buto n a t o dal carattere granulare della pasta. P a r e c o m u n q u e accertato (30) che esso ebbe le sue lontane origini nella u b e r t o s a vallata del fiume Enza. Infatti nella evoluzione storica del for-maggio g r a n a emiliano sono r i p e t u t a m e n t e ricordate le località di Traversetolo, Tortiano, Montechiarugolo, poste sulla riva si-nistra dell'Enza, quelle di S. Polo, Montecchio, Bibbiano, Ca-vriago, S. Ilario, poste invece sulla riva destra. Questo r i s t r e t t o comprensorio possedeva, secondo la tradizione, u n a capitale : Bib-biano. Sia Bibbiano che le terre limitrofe a p p a r t e n n e r o sino al

1830 alla giurisdizione civile e religiosa di P a n n a . E ciò p u ò in-dicare u n a delle ragioni per cui il formaggio, qui fabbricato, si diffondesse, p e r t u t t i i mercati, compresi quelli esteri, col n o m e di parmigiano (31).

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fosse limitata alle zone poste sulle sponde dell'Enza (32). Successivamente le caratteristiche sia agronomiche che zootecni-che dell'ambiente originario si diffusero agli interi t e r r i t o r i delle Provincie di Parma, Reggio, Modena, fino alla s p o n d a destra m a n t o v a n a del Po ed a quella sinistra bolognese del Reno.

Sembra perciò inesatta la notizia che si trova nell' « Enci-clopedia agraria » del Cantoni, s t a m p a t a nel 1880 (33), nella quale l'autore ritiene che il nome di parmigiano fosse attribuito al for-maggio grana « perché fabbricavasi nel territorio di C o d o g n o soggetto a P a r m a in origine ». Codogno infatti n o n fu m a i sotto il dominio di P a r m a e se anche lo fosse stato, n o n avrebbe po-tuto p r o d u r r e tanto formaggio da esportarlo in t u t t o il m o n d o . E' più logico credere invece, secondo u n o studio del prof. C. Ro-gnoni (34), che, decaduto nel secolo XVIII il caseificio emiliano (e parmense in particolare) per varie ragioni : frequente morta-lità del bestiame, diminuzione di acque irrigue nelle campagne, insediamento di truppe che impoverirono le t e r r e ed errate di-sposizione governative, il primato della fabbricazione del «gfana» passasse ai lombardi in m o d o particolare, che, s f r u t t a n d o ap-punto la particolare congiuntura sostituirono il loro formaggio a quello parmigiano su molti mercati. Fu anche escogitato il siste-ma di m a n d a r e le forme a P a r m a e a Piacenza, perché vi pren-dessero il n o m e di « parmigiano » e poi, con questa denomina-zione spedirlo anche all'estero.

Dopo il 1500

Il periodo politico che inizia in Italia nel secolo XVI, in conseguenza delle invasioni militari accusa u n a certa decadenza

della vita economica anche nell'Italia settentrionale.

Si determina u n a certa stasi di t u t t a l'attività agricola, colle industrie ad essa connesse, e, di conseguenza, del fiorente ca-seificio settentrionale. A ciò si aggiunge la concorrenza di paesi nuovi che, impadronendosi delle nuove tecniche nella lavora-zione del latte e, migliorandole, inondano i mercati, il cui epi-centro è n o n più il Mediterraneo, m a il m a r e del N o r d . L'alto grado, ad esempio, di perfezionamento raggiunto dal caseificio svizzero e la sua rinomanza in E u r o p a e s o p r a t t u t t o le profonde ripercussioni della scoperta dell'America trasferiscono il c e n t r o dei traffici dalle sponde italiche alle rive del Baltico, del m a r e

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del n o r d e alle coste occidentali dell'Atlantico. E ' in questo pe-riodo, infatti, che i formaggi da tavola Olandesi, Svizzeri e Fran-cesi iniziano la loro ascesa, spesso creati da m a e s t r a n z e italiane, costrette ad offrire allo straniero la loro opera. Contempora-n e a m e Contempora-n t e si comiContempora-nciaContempora-no a vedere i risultati dell'elaborazioContempora-ne iContempora-n- in-dustriale del l a t t e : arrivano sui mercati italiani il latte in pol-vere svizzero, e il b u r r o fabbricato con centrifughe a u t o m a t i c h e nelle cooperative danesi. Di conseguenza si contraggono sensibil-m e n t e i traffici nella penisola e l'industria casearia nordica so-pravvive s t e n t a m e n t e sino alla seconda m e t à del milleottocento.

Le cause di questo improvviso e d e t e r m i n a n t e sviluppo del settore lattiero caseario in t u t t a E u r o p a sono da individuarsi sia in u n a accresciuta produzione di latte, sia in u n lento m a pro-gressivo m i g l i o r a m e n t o di carattere tecnico nei m e t o d i di lavo-razione, il quale, grazie alla disponibilità di macchine adatte, quali, a d esempio, le scrematrici, fa r e c u p e r a r e r a p i d a m e n t e i se-coli p e r d u t i nell'empirismo. Non solo, m a le iniziative di singoli imprenditori e quelle di gruppi di agricoltori trovano l'appoggio sia dei governi che delle a u t o r i t à locali colla istituzione di enti, come le scuole di zootecnia e caseificio, le quali h a n n o avuto lo scopo di tonificare questo nuovo e sostanziale sviluppo del set-tore lattiero e caseario, con l'appoggio di u n razionale orienta-m e n t o tecnico.

Ciò spiega come, negli, stati p r i m a citati, la lavorazione del latte potesse allargarsi in u n a attività industriale e commerciale così ampia sino a rappresentare, in alcuni casi, l'elemento princi-pale dell'economia di u n a intera nazione. Non solo, m a nella m e t à del secolo scorso, quando la produzione dei p r o d o t t i ca-seari cominciò a superare sensibilmente il fabbisogno familiare dei p r o d u t t o r i e si dovettero affrontare, per lo smercio, m e r c a t i lontani dal luogo di produzione, si fece s t r a d a l'idea della coope-razione. E sorsero così le cosidette « latterie sociali », o meglio, con p a r o l a più appropriata, i caseifici cooperativi. Il sorgere di queste istituzioni fu quasi contemporaneo in tutti quei paesi nei quali in seguito esse dovevano assumere importanza sociale ed economica notevole. Così in Danimarca la p r i m a latteria sociale sorse nel 1882 a Hjedding, nello J u t l a n d ; i n Olanda, nel 1886 a Warga, nella F r i s i a ; in Francia a Chaillè, nel 1887 ed in Italia, nel 1881 a Collina, nel Friuli (35). Ma per l'Italia, come si è detto

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precedentemente, bisognò attendere il c o m p i m e n t o dell'unità na-zionale, per risollevarsi dalla profonda crisi economica, ossia dopo il 1870.

S'inserisce in questo m o m e n t o il risorgere dell'industria ca-searia settentrionale, che si avvantaggiò s o p r a t t u t t o del conflitto Franco-Prussiano, che, determinando u n nuovo equilibrio eco-nomico in Europa, favorì sensibilmente le esportazioni n o s t r e di bestiame e di p r o d o t t i caseari.

Conseguentemente, con i notevoli progressi conseguiti frat-tanto nel campo zootecnico, coll'industrializzazione dei processi di trasformazione e coll'aumentata r a p i d i t à delle comunicazioni, il caseificio settentrionale italiano riprende in pochi decenni l'an-tica posizione contribuendo v a l i d a m e n t e alla formazione di u n ampio m e r c a t o internazionale (36).

F r a n c e s c o Cafasi

N O T E

-( ! ) H A H N . E . -( 1 8 5 6 - 1 9 2 8 ) , Waren die Menschen der Urzeit zwischen der

Jagerstufe und der Stufe der Aclcerbauer nomaden?

(2) Secondo B e r t r a n d Russel, Elogio dell'ozio, Ed. Longanesi, Milano, 1964, « Fino ad epoche relativamente recenti vi fu u n a n e t t a separazione t r a i popoli dediti all'agricoltura e popoli dediti alla pastorizia ». Leggiamo nella Genesi. (XLVI, 31-4) che gli israeliti dovettero stabilirsi nella t e r r a di Gessen anziché nell'Egitto vero e proprio, perché gli Egiziani si opponevano alle loro m i r e pastorali. « E Giuseppe disse ai suoi fratelli e a t u t t a la gente del p a d r e suo: Andrò dal Faraone e gli dirò: " I miei fratelli e Ja gente del p a d r e mio, che erano nella terra di Canaan, sono venuti a m e . Essi sono pastori e d h a n n o cura del gregge; h a n n o portato seco le pecore, gli a r m e n t i e t u t t o ciò che avevano. E se vi chiamerà per chiedervi qual'è la vostra ricchezza, r i s p o n d e r e t e : F u m m o pastori dall'infanzia ad oggi, e c o m e noi i p a d r i nostri. Dite cosi per p o t e r abitare nella terra di Gessen, giacché gli Egizi detestano t u t t i i p a s t o r i di pecore " ». Analogo atteggiamento assunsero i Cinesi nei confronti dei p a s t o r i mongoli. Nel complesso, i popoli agricoli h a n n o s e m p r e a v u t o u n g r a d o mag-giore di civiltà e si sono interessati di più alla religione.

( 3 ) R O S A G., Caseificio in Italia e fuori, Milano, 1875.

( 4 ) R O S A G . , o p . c i t .

(5) Nella Bibbia è fatta menzione del formaggio e forse n o n è inutile ricor-dare in quali circostanze: .un vecchissimo p a s t o r e di Betlilem, lesse, vuol s a p e r e notizie dei suoi t r e figli che si trovano sotto le a r m i a c o m b a t t e r e c o n t r o i Filistei. Dice allora a David: « prendi della polenta e dieci p a n i e p o r t a l i ai tuoi fratelli, e prendi inoltre dicci formelle di cacio c presentale al Tribuno, e così ti sarà permesso parlare ai tuoi fratelli ed averne contezza)». Reg. lib. 1 c. 1 7 ; v. 1 8 . riportato da SALERNO G . , Il caciocavallo e la sua fabbricazione sui

monti Pollino, Lauria editore, 1892, pag. 10.

(6) Il medico greco Ctesia, che fu alla corte di Ninive, q u a t t r o c e n t o anni p r i m a di Cristo, riferisce la tradizione che la regine S e m i r a m i d e v e n n e n u t r i t a con il ... cacio che gli uccelli r u b a v a n o ... ai pastori. ROSA G . , op. cit., pag. 5 .

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(7) Il « n o m a d i s m o », fenomeno tipico dei p r i m i r a g g r u p p a m e n t i umani è influenzato dal fattore ecologico. A questo proposito, e ciò confermerebbe la genesi orientale del caseificio, c'è da n o t a r e che i popoli europei, almeno nell'Europa meridionale, n o n hanno mai p r a t i c a t o la vita n o m a d e , d a t o il clima favorevole. T a m a r a T. Rice: « Gli Sciti », Milano, il Saggiatore, pag. 14, 1958; « l'economia pastorale degli Sciti dipendeva in certo m o d o dall'esistenza di c o m u n i t à agricole », il che tenderebbe a confermare le vedute di coloro che ritengono la pastorizia un fenomeno dipendente e secondario della coltivazione.

( 8 ) F A N F A N I A . , Poemi omerici ed economia antica, Giuffré, Milano, 1960,

pag. 120.

(9) F A N F A N I A., op. cit., pag. 63; il Forni opina che i ciclopi siano da iden-tificarsi con ima delle t a n t e popolazioni appenniniche descritte dal Puglisi, (La civiltà appenninica, Firenze, 1959), in Rivista di Storia dell'agricoltura, n. 1, 1962, pag. 76.

(10) Secondo il Fanfani, op. cit., pag. 47, sotto molti aspetti l'economia agri-colo-pastorale, descritta da Omero nell'Iliade, corrisponde a quella greco-micenea. I re sono « pastori » e i beni si l'aiutano in buoi. Ancora, duemila a n n i prima dello sviluppo della civiltà omerica, esistevano in Grecia forme di agricoltura e di allevamento di un certo rilievo.

(11) De Re Rustica, Lib. 2° cap. I: « De lacte et caseo, q u a m scriptores Graeci appellaverunt, ac scripserunt de ea re p e r multa ».

(12) Così si legge nel canto 13° dell'Iliade. Gli Sciti erano n o t i ai Greci di Omero come un popolo di « galattofagi ». P e r loro il cibo principale era il « K u m i s », latte di cavalla fermentato ancora in uso p r e s s o i Mongoli. RICE. T., op. cit. pag. 57.

<13) Sulla origine del b u r r o è intuitivo p e n s a r e che esso sa sia formato collo sbattimento... r. aturale che il latte, (di capra, d i pecora, di cammello) traspor-tato anticamente in otri di pelle appesi al dorso dei cavalli, o asini o cammelli stessi, subiva, col m o t o uniforme degli animali negli s p o s t a m e n t i delle popo-lazioni attraverso le lunghe carovaniere asiatiche, in u n processo n a t u r a l e di mantecazione.

( D 4 ) P L I N I U S MAJOR, De idiversitate caseorum: « Ex u t r i q u e d e n t a t i s c a s e u m

non fit, quoniam eorum lac n o n coit ». (Il cacio non si fa dagli animali dentati in e n t r a m b e le mascelle, p e r c h é il loro latte non caglia). A questo p r o p o s i t o un tipico formaggio meridionale, « il caciocavallo », fu ritenuto, dato il nome, che si fabbricasse con latte di ... cavalla. In realtà il n o m e deriva dal fatto che alle forme, lavorandole in modo particolare, fusiforme, si dava p r o p r i o la configurazione di un ... cavallo. Ancora oggi, infatti, è r i m a s t a l'usanza, nelle fiere dei piccoli paesi della Calabria, vendere, p e r i b a m b i n i i « cavallucci » di p a s t a filata. Antica come il grana settentrionale la parola caciocavallo si rinviene negli scrittori del medioevo. Franco Sacchetti, ( 1 3 3 5 - 1 4 0 0 ; « Trecento novelle ») nella 198" novella, n a r r a n d o del cieco di Orvieto, che con una sua astuzia, fa r i m e t t e r e i centi fiorini rubatigli da Juccio fa dire a costui che i danari pro-messigli avrebbe investiti in acquisto di « carne salata e caciocavalli, di cui la gente d'arme di quei tempi era molto ghiotta ». In alcune liquidazioni fiscali del feudo Pollino del 1556, è riportato l'elenco dei comuni, 22, da S. Chirico Raparo fino a Castrovillari ed Altomonte, i cui a b i t a n t i m a n d a v a n o i loro armenti « a fida » sul detto monte. E' anche r i p o r t a t o il peso totale dei « caciocavalli » raccolti e venduti, dopo due anni di stagionatura, a « g r a n a

otto il rotolo ». (SAI.ERNO G., Il caciocavallo e la sua fabbricazione sui monti

Pollino, Lauria editore, 1 8 9 2 ) ,

(15) Secondo altra origine si fa derivare la p a r o l a formaggio da « forma di Maggio » p e r la manipolazione del latte fatta specialmente nel m e s e di ... Maggio.

(16) Varronc, nel « De Re Rustica », 2-11 « Ibi enim solent sacrificar! lacte p r ò vino ».

(17) Al tempo dei romani, si p u ò dire, si avevano già le principali forme e qualità degli odierni formaggi. Plinio r i p o r t a le denominazioni di « Caseus

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bubulus » p e r i formaggi di vacca e « caseus c a p r i n u s », p e r quelli di pecora e di capra, non si sa se per indicare nomi specifici di u n a d a t a specie c due categorie. Columella parla di « caseus oculatus », forse l ' a t t u a l e E m m e n -thal; il « caseus fìstulatus » si può i n t e r p r e t a r e come il m o d e r n o Gorgonzola, come nel « caseus discombinatus » si p u ò intravedere il formaggio da grattugia, e nel « lac concretimi » il latte rappreso.

(18) A titolo di curiosità, ecco l'alimentazione dei r o m a n i , nella Roma repubblicana, uguale p e r ogni cittadino: colazione al m a t t i n o — « ientaculum » — pane, formaggio e vino a n n a c q u a t o p e r gli uomini; pane, formaggio e latte per le donne; pane e latte p e r i bambini. A b a s e di formaggio e legumi ers. il pranzo, (prandium); la cena, (coenam) era arricchita dalla « p a p p a », (puls) ossia farina di farro tostata, cotta nel latte, o più spesso nell'acqua c olio e cosparsa di formaggio. La carne si c o n s u m a v a solo nelle feste. In seguito, q u a n d o la Roma imperiale entrò in c o n t a t t o con il fasto greco e levantino, l'alimentazione divenne più ricercata e sontuosa, m a i p r o d o t t i caseari, escluso il burro, rimasero s e m p r e alla base di ogni ricetta culinaria. Znzzos R., Latte

e derivati presso gli antichi romani, in Mondo del latte, 1960.

(19) « Non solum agrestes saturai, sed etiam eleganti uni m e n s a s iucundis et numerosis dapibus e x o m a t » (Lib. 1" cap. 2°).

(20) « Aesinatae ex Umbria, mixtoque H c t r u r i a e atque Liguriae confinio Lunensem, magnitudine cospicuum, quippe, et ad singula rnillia p o n d o premi t u r ». Plinio, Cap. 42, Naturalis Hisloria.

(21) Così ci dice Francesco Niger, descrivendo la terra e gli allevamenti

dei Rezi; citato in. ENGELER W., La razza bruno-alpina della Svizzera, Ed,

Sez., Roma. ^ (22) ENGELER W., La razza bruno-alpina della Svizzera, Ed. Sez., Roma. A

proposito deua razza bovina alpina già Plinio aveva n o t a t o che nelle alpi le vacche erano più. piccole e davano più latte, ( p l u r i m u m lactis alpinis q u i b u s m i n i m u m corporis, 8, 45 , 70). Ancora Cassiodoro, (Var. 3, 50) ci dice che la razza piccola alpina fu in p a r t e sostituita dalla grande podolica, i m p o r t a t a dagli Alemanni rifugiatisi nella Rezia alla fine del V secolo, dopo la sconfitta subita da p a r t e dei Franchi.

(23) Del. caseificio retico sono r i m a s t e nelle zone dei Grigioni e nella lingua ladina le derivazioni originarie, come, ad esempio le voci, greche, di: m a n d r a , malga, malghes, alpe, stalla; così si denomina « m o t e s », il formaggio fresco, ( m u s t e s caseus) « matel », il latte fresco r a p p r e s o , « mol », il siero, « p u s a », i.1 colostro, « m a s c h e r p a », il fior di latte, « fasser », la forma di formaggio, (in greco = « faselos-navicella) « iola », la c a p r e t t a , « vasif », l'ariete, « m a r n a » , la vacca grande, « gic », il formaggio bianco magro. (ROSA G., op. cit.).

( 2 4 ) P L I N I U S , Hìst. lib. 3 ° : « Omnia ea, fluminaquc, p r i m a fecere Tusci, egesto amnis i m p e t u per transversum in H a d r i a n o r u m pludes ».

<25) Virgilio accenna all'uso della chiavica: « claudite rivos p u e r i » (26) A proposito dell'erba medica r i t e n i a m o utile r i p o r t a r e alcune n o t e storiche di questa i m p o r t a n t e foraggera. Pare che la coltura, già fiorente a p a r t i r e dal 2" secolo a.C., p r e s s o i r o m a n i e i greci, che l ' i m p o r t a r o n o dalla Media, dopo una campagna militare c o n t r o i Persiani, (circa 400 anni a.C.) venisse a b b a n d o n a t a , in Italia, dopo le invasioni b a r b a r i c h e . E v i d e n t e m e n t e non si può parlare di abbandono, m a p i u t t o s t o è da p e n s a r e che la coltiva-zione sia caduta in disuso. Ri; F., infatti, nella sua « Lettera sulla coltivacoltiva-zione

dell'erba medica in Italia» Milano, MDCC-C, V i l i , scrive: «Si è scritto, ed

è generale opinione che l'erba medica si perdesse in Italia a! tempo dei Coti. Per quante ricerche abbia fatto per ritrovare sopra quali fondamenti sia stabilita questa credenza non ho potuto rinvenire alcuna a b b a s t a n z a ragione-vole. E ' p e r a l t r o assai verosimile c.he fosse a n d a t a affatto in dimcntic:inza la m a n i e r a p e r ò di coltivarla ». Piero de Crescenzi non la cita affatto. II p r i m o a riparlarne è il napoletano DELLA PORTA G. B . , (Vi/Ine; lib. 1 2 ° ) che la vuole reintrodotta in Italia dagli Spagnoli, (da qui il nome di erba spagna e spa

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gnaro, o spagnara, in luogo di medicaio) e accenna a qualche particolarità colturale. Il botanico Andrea Mattioli, vissuto parecchi anni dopo il Della Porta, assicurava che ai suoi tempi: «pochissimi esistevano che avessero veduto l'erba medica e la seminassero ». Agostino Gallo di Brescia, (metà del secolo XVI nelle sue « Venti giornate di Agricoltura » discorre a lungo della coltura, che appare coltivata da tempo, e con successo dai bresciani, ai quali p e r t a n t o spetterebbe il merito di averla, per i primi, accolta sulla riva sinistra del Po. Degno di menzione è Clemente Africo, agricoltore pata-vino, n a t o agli inizi del secolo XVI, che nella sua « Agricoltura accomodala

al-l'uso dei nostri tempi e al servizio di ogni paese » .Venezia, 1572, ne] libro 6°,

scrisse sulla medica, dandone i precetti p e r b e n coltivarla nel Padovano.

TANARA V., 1644, Economia del diradino in villa, non fa che r i p e t e r e q u a n t o scrissero i due succitati georgici. Nel secolo successivo al Tanara molti agronomi, tra cui l'Onorati, il Gagliardo, Sante Benetti e Girolamo Spada da Macerata si soffermano dettagliatamente sul governo del medicaio.

(27) L'origine della pai-ola « bergamina », secondo il « Dizionario pittoresco

della storia naturale e delle, manifatture », Milano, Borroni e Scotti, 1840,

è questa: « n o m e dato forse in origine alle m a n d r e del Bergamasco che veni-vano a trovar pascolo nel Milanese, Pavese e Lodigiano, e poi a t t r i b u i t o a tutte quelle grandi unioni di vacche che al medesimo scopo in appresso vi si raccolsero ».

(28) L U Z Z A T T O G., Breve storia economica d'Italia, Ed. Einaudi, pag. 299:

« Ma l'indizio p i ù significativo dell'aumentato interesse p e r l'agricoltura è offerto dalle cure sempre maggiori che Comuni e Signorie, col concorso dei maggiori proprietari, rivolgono alla regolazione delle acque, allo scavo di . canali, al prosciugamento e all'irrigazione delle terre della bassa . L o m b a r d i a . ^ La redenzione dell'ampia zona compresa t r a la linea delle ' risorgive e la riva sinistra del Po, che ha trasformato una sequela quasi i n i n t e r r o t t a di brughie-re, di macchie palustri, di paludi in u n o dei territori più i n t e n s a m e n t e coltivati d ' E u r o p a , non è stata l'opera di u n a generazione o di u n secolo, m a forse di milenni. I n t e r r o t t a però da lunghi periodi di abbandono, in cui si era distrutto quello che si era o t t e n u t o nei secoli precedenti, essa è stata ripresa i n t o r n o al mille e continuata e intensificata nella età comunale, viscontea e sforzesca. I n soli 36 anni, dal 1439 al 1475, si c o s t r u i r o n o a s u d di Milano 90 k m di canali navigabili dotati di 25 conche, e da quei canali maggiori si derivarono numerosi canali minori e fossati p e r l'irrigazione Nem-meno allora l'opera potè considerarsi completa, m a i n t a n t o si era fatto un passo decisivo verso la redenzione della bassa Lombardia ».

( 2 9 ) S A N I E., « Il parmigiano reggiano dalle origini ad oggi », Tipografia emiliana, 1956: « La denominazione fu causa, nel passato, di lunghe ed appas. sionale polemiche, ove parmigiani e reggiani si contesero, p e r m o l t i decenni, il p r i m a t o nella produzione del celebre grana ».

(30) B E S A N A C „ Caseificio, Utet, 1908.

( 3 1 ) S A N I E . , o p . o i t .

(32) Anche, RE F., nella « Lettera sulla coltivazione dell'erba medica in

Italia », Milano, G. Silvestri, MDCCCVIII, così si esprime: « L'origine della

fabbricazione del grana si deve trovare vicina alla sistemazione dell'agricoltura irrigua la quale dicesi che data dal 1150 al 1200; si trova citato sui libri il suddetto formaggio verso il 1500. E' certo che la sua fabbricazione, siccome è complessa e lunga non è di quelle che s'inventano di botto, m a che si sviluppano e perfezionano collo andare degli anni p e r opera di molli individui ».

(33) C A N T O N I G., Enciclopedia agraria, p a r t e 7", pag. 530: « Forse perché,

fabbricavasi nel territorio di Codogno soggetto a P a r m a in origine, poi venne detto anche formaggio lodigiano perché si fabbrica nel lodigiano a cui venne aggregato Codogno... ». Anche il Cantù, del resto, nella <-. Grande Illustrazione

. Lombardo Veneto », voi. i, pag. 365 ribadisce q u a n t o detto da Cantoni:

* Tale fabbricazione (del grana) cominciossi nelle parti, della provincia Lodi-giana vicina ai. Po, ne' tempi remoti uniti al. ducato di Parma, di cui faceva

(18)

parte anche la terra di Fombio, ove, come in a l t r e su quella linea, continuasi a far formaggio: lo perché presero n o m e di parmigiani; se p u r non è che di P a r m a fossero i primi che ne trafficarono ;al m o d o c h ' e r a n o detti L o m b a r d i tutti i cambisti e banchieri ».

(34) R O G N O N I C., « Per la storia del formaggio grana », P a r m a , 1896 (35) La d a t a del 1881 è storicamente accertata. Ma, secondo il . Fascetti,

Il cooperativismo in Italia, Tip. V. Porta, Piacenza, 1902, s e m b r a che

esistes-sero latterie sociali nel Trentino fin dal 1400. In Valtellina forme r u d i m e n t a l i per la lavorazione in comune del latte verso il 1500, nel Friuli intorno al 1700. (36) E ' doveroso ricordare i nomi di coloro che c o n t r i b u i r o n o a realizzare sul piano industriale le grandi risorse del caseificio italiano. Il p r i m o vagone di b u r r o italiano fu spedito in Inghilterra da un oscuro casaro lombardo, Pietro Polenghi di Codogno. Nel 1900 Polenghi, insieme a L o m b a r d o fondò la società omonima. Fu merito di questi due pionieri aver usato, p e r p r i m i in Italia, il procedimento Just-Hatmaker e Krause p e r la preparazione del latte in polvere. Ancora nel 1870 un modesto casaro della Valsassina, Mattia Lo-catelli, inizia il commercio e la stagionatura del « Gorgonzola ». (Oggi la ditta «Locateli!» produce t u t t i i tipi di formaggi, compreso, il « p e c o r i n o » meri-dionale, e anche i tipi svizzeri). Nel 1882 Davide Galbani inizia la fabbrica-zione dei formaggi meridionali.

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