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34. Alessia Pizzo, Pandemia

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Academic year: 2021

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Concorso Euclide – Giovani 2021

“La Pandemia come ci ha cambiati”

Pazienza

Alessia Pizzo 3°H Liceo scientifico “Albert Einstein” – Palermo

Giugno. Negazione.

“I dati dell'epidemia: 218 nuovi casi, meno pazienti in terapia intensiva. Nuovo focolaio in una…”

La televisione era accesa, ma non l’ascoltavo.

Mangiavo distrattamente e le mie palpebre erano pesanti: avevo passato tutta la notte a parlare con lui.

Sospirai, pensierosa.

All’inizio, la quarantena fu un dono inaspettato per me, poiché ebbi tempo per coltivare le mie passioni e per ritrovare me stessa. Mai ero stata così serena: finalmente distante dalla società e libera da ogni sua convenzione. Però, col tempo, la noia prese il sopravvento e la mia tranquilla solitudine divenne presto una triste prigione dalla quale non potevo sfuggire.

La scuola sarebbe terminata dopo pochi giorni, ma sarei rimasta a casa fi-no alla fine del mese, obbligata dalla paura a rifiutare ogni invito dei miei amici ad uscire.

Per l’ennesima volta, presi il telefono per controllare se ci fossero nuovi messaggi: un immenso senso di delusione mi pervase quando non ne tro-vai. Cosa non avrei fatto per uscire da quella nuova routine!

Abbi pazienza.

Non potevo attendere pazientemente che gli altri facessero qualcosa. Do-vevo prendere io l’iniziativa, altrimenti sarei morta di noia, aspettandoli.

(2)

Così chiesi ad un mio amico di aggiungermi al gruppo Whatsapp della sua classe, avrei infastidito qualcuno e raccontato delle barzellette finché non mi avrebbero cacciato via, come sempre.

Tutto andò come previsto, ma un ragazzo in particolare catturò la mia at-tenzione: cliccai sul suo numero e due brillanti occhi cerulei (mi chiesi che applicazione di fotoritocco avesse usato) e un viso sorridente mi accolsero. Si chiamava Davide.

Al contrario degli altri, il nostro primo incontro non fu dal vivo, la nostra prima conversazione non fu semplice o superficiale, da un paio di battute divertenti parlammo di poesia, esperienze e dei nostri noiosi coetanei, senza nemmeno chiedere all’altro come stesse, quale fosse il suo nome, colore o cibo preferito.

L’ultima cosa che mi inviò fu la foto dell’alba dal suo balcone, alle sei di mattina.

Mia madre scosse la mia spalla, vedendomi assorta nei miei pensieri. “A cosa pensi? - Mi chiese ridendo, - Non ti sarai mica innamorata!”

“No, no, tranquilla. - Le risposi, sorridendo a mia volta, - Ma sai, ieri sera ho conosciuto…” E cominciai a raccontarle del ragazzo dagli occhi di mare, come questo profondo e misterioso.

Abbia pazienza.

Una fiammella così debole da non meritare la minima attenzione. Luglio. Ossessione.

“Il lockdown è un ricordo, ma anche a giugno, primo mese con piena li-bertà di movimento, i numeri dei consumi sono stati neri per…”

La radio era accesa, ma non l’ascoltavo.

Non avevo voglia di mangiare e nemmeno di sorridere: era da due settima-ne che avevamo discusso e avevamo smesso di scriverci.

(3)

La sera successiva alla nostra prima chiacchierata, provai a riscrivergli. E lui mi rispose! Finimmo di parlare quando i primi raggi di sole attraversarono le nostre finestre. Mi addormentai con uno splendido sorriso in viso ed un’ardente sensazione nel petto.

Ringraziai ancora una volta quel dannato virus, per avermi dato la possibi-lità di provare emozioni, mai sentite prima, e di avere opportunità, inim-maginabili prima. Se all’inizio ero incuriosita da lui, ora aveva tutta la mia attenzione.

Ogni giorno mi sforzai, quasi disperatamente, di trovare dei pensieri filoso-fici e delle domande interessanti da porgli, una volta provai a scrivergli semplicemente “Hey, ciao!”, ma non mi rispose. Forse non avevo attirato abbastanza la sua attenzione.

Abbi pazienza.

Non potevo attendere che lui si decidesse a rispondermi.

Dovevo prendere io l’iniziativa, altrimenti il fuoco che mi stava consuman-do dentro non si sarebbe fermato, aspettanconsuman-dolo.

Così continuai ad inviargli messaggi, ogni giorno: la mia gioia di aver final-mente trovato qualcuno che mi capisse era tale, che gli avrei perfino scrit-to parole vuote pur di parlare con lui.

Ma niente andò come previsto, quando il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi cacciò con parole fredde, arrabbiato, smisi di parlare di lui in famiglia ed il fuoco dentro di me si spense, per quanto inaspettato e duro fu il colpo. Ed io che pensavo che provasse il mio stesso piacere a “parlare”.

Al contrario degli altri, noi non avremmo potuto evitarci – lontani dalla scuola, dalla società, – se ci fossimo incontrati, non potevamo vedere o sentire cosa provasse l’altro. Man mano che gli scrivevo, smise di rispon-dermi, come se si fosse ormai annoiato di me, senza nemmeno avermi co-nosciuta veramente.

Una notte mi scrisse “Sorprendimi”.

(4)

Nuovo messaggio da Davidino<3!

“Hey. È da tanto che non parliamo… sono stato troppo diretto?”

Rimasi immobile, incredula per i primi secondi, per poi cominciare a balla-re per la terrazza. La tentazione di rispondergli subito era tanta, ma non l’avrei fatto.

Abbi pazienza.

E la fiamma si riaccese silenziosa e prudente, ma non meno ardente di pri-ma.

Agosto. Mancanza.

"In aumento di un'unità anche il numero dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, che sale a..."

Mio padre stava leggendo il giornale, ma non l’ascoltavo.

Mangiavo lentamente dei biscotti e tenevo gli occhi fissi sul telefono: la terribile connessione internet locale aveva interrotto la nostra prima con-versazione diurna.

Sospirai, seccata.

Dopo che mi riscrisse, non parlammo più della nostra lite. E per la prima volta, quando meno l’aspettai, quando fu lui a cercarmi, si aprì con me: fi-no a quel momento ero stata sempre alla ricerca di ufi-no spiraglio da cui en-trare, per farmi strada nel suo cuore – nel modo sbagliato, forzatamente, – mentre dovevo solo aspettare che lo facesse lui.

Se non ci fosse stato quel virus gli avrei chiesto di uscire, per poter parlare veramente, guardarci e trasmettergli il mio conforto e le mie emozioni con i miei occhi, i miei gesti e la mia voce. Per fargli capire che avrebbe potuto fidarsi di me.

Ma non era necessaria solo la sua fiducia per poter parlare liberamente, per potersi mostrare per ciò che era e per poter confidare le proprie insi-curezze, ma anche tempo. Il suo tempo, non il mio.

E per la prima volta ebbi pazienza.

(5)

A volte, però, presi io l’iniziativa, altrimenti il mio cuore si sarebbe stretto ancor di più per la sua mancanza, aspettandolo.

Così continuammo a scriverci sempre più spesso e curiosi, ascoltandoci. Non parlammo più solo di argomenti complessi, ma anche dei nostri gusti musicali e di momenti felici della nostra infanzia, rallegrandoci a vicenda. Non pensai più a prevedere ciò che sarebbe successo, cominciando ad ap-prezzare la spontaneità di quell’amicizia che stava nascendo con il ragazzo dagli affascinanti occhi.

Insieme a quel nuovo germoglio, anche io stavo crescendo, imparando qualcosa, aprendo la mia mente e il mio cuore a qualcun altro.

Al contrario degli altri, noi non ci conoscemmo di persona, non fummo mai condizionati dall’aspetto fisico dell’altro: due sconosciuti soli, lontani dalle convenzioni sociali e divisi da uno schermo, che descrivono l’altro con so-gni, paure e riflessioni scritte con dei caratteri in codice binario.

Durante una delle nostre chiacchierate notturne, mi scrisse “A me andreb-be andreb-bene avere una persona con cui sto sulla spiaggia, con un asciugamano, e sarei felice. Non mi annoierei. Non mi sentirei a disagio.”

Sentì un tonfo e saltai sul mio sedile, svegliata dal tranquillo flusso di pen-sieri che invadeva anche i miei sogni.

Mio padre tolse le chiavi dalla macchina e aprì lo sportello, guardandomi. “Forza Iris, siamo arrivati! – esclamò entusiasta – Mancano poche settima-ne prima che queste vacanze finiscano. Quindi, perché non passarle al me-glio?” E mi fece uscire.

Era una piccola casa, ma circondata da maestosi alberi e altre piante di ogni tipo, dalle foglie verdi e lucenti come gli occhi del ragazzo, come la speranza che il nostro rapporto potesse crescere e diventare come una se-quoia o un ficus, un giorno.

“È bellissimo” dissi.

Abbi pazienza

E il fuoco ormai mi aveva circondato, ma non minacciava di bruciarmi. Anzi mi accoglieva in un caldo e confortevole abbraccio.

(6)

“Per la prossima volta studiate Guinizzelli ed “Al cor gentile rempaira sem-pre amore”. E ricordatevi ragazzi di non creare assembramenti fuori dalla scuola e di indossare…”

La professoressa parlava, ma non l’ascoltavo.

Sorridevo emozionata e tenevo gli occhi fissi sull’orologio. Quattro mesi erano passati in fretta, ma quei quattro minuti non si decidevano a passa-re né quella campanella a suonapassa-re.

Sospirai, non distinguendo più le emozioni nel vortice che si agitava nel mio petto: ansia, gioia, paura, coraggio, determinazione, preoccupazione e chissà cos’altro.

Prima della quarantena non avevo tempo per me stessa. O, meglio, lo ave-vo, ma lo dedicavo agli altri per risolvere i loro problemi ed aiutarli a ritro-vare loro stessi. Tutto ciò che volevo era vederli sereni: erano finalmente liberi, alcuni ti ringraziavano, altri si arrabbiavano e poi volavano via, senza lasciare niente. Lasciandomi un vuoto immenso nel petto che non riuscivo a riempire.

Io ero solo un mezzo, uno strumento per raggiungere la felicità, dando buoni consigli che io stessa non seguivo. Mi sono sempre presa cura degli altri, dando e dando solo, senza mai ricevere niente in cambio. Non che lo volessi in ogni caso, però...

Una notte mi scrisse “Come fai a essere così? Cavolo sei fantastica! Cioè sei altruista, ma nel senso che proprio ti piace fare del bene. Ed è una bella cosa.” Ed io gli risposi che secondo me tutti potevano fare lo stesso, ma lui ribatté “Io potrei, tu lo fai. E non dire che non sia niente di speciale. TU sei speciale, non ti sottovalutare.”

Ed il cuore mi rimase in gola. Ci augurammo la buonanotte, anche se io avrei voluto urlargli “Prenditi cura di me, per favore!” Ma non lo feci, altri-menti lo avrei spaventato come la prima volta.

Imparai ad avere pazienza.

Ormai non potevo far altro che attendere, stesa sul mio letto, la notte pri-ma, insonne, e nemmeno in quel momento, in classe.

(7)

Non potevo e nemmeno volevo prendere l’iniziativa, aspettavo silenziosa-mente, osservando il fiume del tempo fare il suo corso.

Così il coronavirus cambiò la mia vita, lo stesso virus che aveva seminato morte e distruzione per l’intero mondo: mi insegnò ad avere un occhio di riguardo per me stessa, ad apprezzare le persone per ciò che erano e non per forza aiutarle e risolvere i loro problemi, ma soprattutto ad aspettare, senza avere fretta, a non agire impulsivamente. Finalmente mi sarei godu-ta l’attimo.

Da quel giorno smisi di fare previsioni su ciò che sarebbe potuto accadere, lasciando la possibilità alle persone, alla società ed alla vita di sorprender-mi. Poco dopo, sparì anche la noia.

Finalmente anche io ero libera, libera di spalancare le mie ali e volare nell’ampio cielo limpido della mia vita. Mi mancava solo un ultimo passo. Mi alzavo e risiedevo dalla sedia, da almeno tre minuti. Non volevo manca-re di rispetto alla professomanca-ressa, ma le farfalle nel mio stomaco non dava-no segdava-no di volersi fermare. E quando la campanella suonò, il mio cuore si fermò e cominciai a tremare. Salutai l’insegnante.

Resistetti alla tentazione di correre verso la porta e, invece, camminai len-tamente verso questa, facendo respiri profondi – i quali, oneslen-tamente, non mi calmarono affatto.

Poco dopo che uscì in corridoio, lo vidi sbucare dalla classe accanto con il mio amico, che chiamai, salutandolo. Mi avvicinai e mentre altri studenti affollavano l’androne, ebbi il coraggio di guardarlo.

Tutto intorno a noi sparì: gli schiamazzi, gli studenti, il mio amico e le far-falle nel mio stomaco. Mi persi nei suoi splendidi occhi azzurri – anche più brillanti di quelli nella foto, – come il cielo. Il suo sguardo trafisse il mio cuore con una freccia. Feci quell’ultimo passo.

“Ciao” Mi disse, scrutandomi curioso. “Hey” Risposi io, che ormai avevo perso le parole.

Finalmente, come gli altri eravamo là, fermi, non più a guardare uno scher-mo, bensì gli occhi dell’altro. Niente più caratteri scritti, ma solo nuove

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