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8.1 a Franca Tortorella e alunne della classe V B del Liceo Scientifico ''Enzo Siciliano'' di Bisignano, CS - '

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LE GEOMETRIE NON EUCLIDEE

APPARENTI ASSURDITÀ

Alunni: Valentina Giovinco, Valentina Polverazzi, Ilenia Prezioso,

Jacqueline Spera (Classe V B, a. s. 2012 – 2013, Liceo Scientifico “Enzo

Siciliano”, Bisignano CS.

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2 Un salto nel passato per conoscere il mondo della geometria.

Curiosità ed esigenze pratiche hanno da sempre spinto l’uomo ad indagare e ad analizzare il mondo circostante.

Le prime figure geometriche furono, probabilmente, il risultato umano di riportare su una superficie piana la forma del Sole, della Luna, degli animali o, forse, dell’uomo stesso. La natura sembra infatti divertirsi nel mostrare sé stessa tramite elementi che rappresentano dei veri e proprio capolavori geometrici.

Le piramidi, i templi, la necessità di ricalcolare i confini dei terreni che le inondazioni del Nilo periodicamente cancellavano provano che già nella civiltà egizia vi fosse un certo grado di conoscenza geometrica, anche se bisognerà attendere fino al VII secolo a.C. per assistere ad uno sviluppo maggiore, proveniente in gran parte dagli studi condotti in Oriente, che menti eccelse dalla parte opposta del mondo rielaborarono in maniera più formale.

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Ufficialmente la geometria nasce nella civiltà greca con Talete, nel VI secolo a.C.

Fra gli studiosi della Magna Grecia si distinse Pitagora, il quale, attorno al VI a.C., con la fondazione della Scuola Pitagorica a Crotone, diede un grande apporto a questa disciplina. Viene infatti attributo a lui quello che oggi conosciamo con il nome di teorema di Pitagora, che stabilisce una relazione fondamentale tra i lati del triangolo.

Fu tuttavia Euclide, nel III secolo, ad ottenere il primato tra i protagonisti della storia della matematica; primato che riuscì a mantenere per secoli dopo la sua morte.

L’opera che gli conferì tale immortalità fu la raccolta dei 13 libri degli Elementi, in cui il matematico greco riunì, in maniera sistematica e dettagliata, tutto il sapere geometrico dei sui tempi.

I primi sei tomi trattano la geometria piana, i quattro seguenti i rapporti tra le grandezze, mentre gli ultimi tre riguardano la geometria

solida.

Per anni l’opera di Euclide fece da base a nuovi studi per il perfezionamento della geometria.

Nel primo libro degli “Elementi”, Euclide tratta degli enti fondamentali della geometria (punto, retta e piano) attraverso cinque assiomi e cinque postulati. La differenza tra postulati e assiomi consiste nel fatto che gli assiomi sono nozioni comuni che non si riferiscono direttamente alla geometria, mentre i postulati sono ragionamenti basati sugli enti fondamentali.

T a l e t e

P i t a g o r a

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4 Assiomi:

1.Cose uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro;

2.Aggiungendo (quantità) uguali a (quantità) uguali le somme sono uguali; 3.Sottraendo (quantità) uguali da (quantità) uguali i resti sono uguali; 4.Cose che coincidono con un'altra sono uguali all'altra;

5.L'intero è maggiore della parte.

Postulati:

1 .Un segmento di linea retta può essere disegnato unendo due punti a caso; 2. Un segmento di linea retta può essere esteso indefinitamente in una linea retta; 3. Dato un segmento di linea retta, un cerchio può essere disegnato usando il segmento come raggio ed uno dei suoi estremi come centro;

4. Tutti gli angoli retti sono congruenti tra loro;

5. Se due rette tagliate da una trasversale formano angoli coniugati interni la cui somma è minore di un angolo piatto,

allora le due rette si incontrano.

Il V postulato di Euclide.

Per secoli i matematici di tutto il mondo tentarono di dimostrare il V postulato.

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5 L’esperienza di Posidonio

Posidonio (I secolo a.C.) propose una nuova definizione di rette parallele: Due rette complanari sono parallele se sono

equidistanti.

Tale definizione sollevò tuttavia il problema dell’esistenza di rette complanari ed equidistanti. Se, infatti, è facilmente dimostrabile che due rette equidistanti non si incontrano, non si può provare che due rette che non si incontrano sono equidistanti senza ricorrere al V postulato di Euclide.

Giovanni Alfonso Borelli

Borelli (1608 – 1679) cercò di dimostrare l’esistenza di tali rette attraverso il seguente postulato : Il luogo dei punti del piano

equidistanti da una retta e giacente dalla stessa banda di essa, è una retta.

Proclo

Proclo (412 – 485) ritenne di poter sostituire il V postulato di Euclide con uno logicamente equivalente o più restrittivo :

Se una retta incontra una di due rette parallele, incontra anche l'altra.

Due rette parallele ad una terza sono parallele tra di loro.

Nasir – Eddin

Nella stessa direzione si mosse Nasir – Eddin (1201 – 1274), il quale formulò il seguente postulato: Se due rette a,b sono

perpendicolari ed una obliqua ad una trasversale, rispettivamente in A, B, i segmenti di perpendicolari

abbassati dai punti di b su a sono minori di AB, dalla parte di AB da cui questa forma con b un angolo acuto.

Tali ipotesi non possono però essere dimostrate senza ammettere il postulato delle parallele.

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6 Il quadrilatero di Saccheri

Tra i tentativi di dimostrare il V postulato di Euclide un posto di rilievo dal matematico gesuita Padre Giovanni Girolamo Saccheri (1667 – 1733).

Saccheri cominciò con l’osservare che attraverso la proposizione seguente è possibile dedurre il V postulato:

Sia un segmento AB; dagli estremi si elevino due segmenti perpendicolari di uguale grandezza tra loro, AC e BD; si congiunga C con D. Gli angoli α e β sono uguali e retti; si verifica facilmente che anche gli angoli γ e δ saranno anch’essi uguali tra loro. Ma

tali angoli saranno anche retti? Secondo Euclide gli angoli γ e δ sono retti.

Saccheri vuole dimostrare la sua proposizione per assurdo, ovvero negando la tesi da provare.

Egli è considerato il padre, seppure inconsapevole, delle geometrie non euclidee.

β α

γ δ

C

D

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7 La geometria di Riemann

Negando il V postulato euclideo si può ammettere che per un punto esterno ad una retta passino, nel piano, almeno due rette che non la incontrano, ma anche che per il punto non passi alcuna retta che non incontra la retta data. La prima ipotesi porta a sviluppare la geometria iperbolica, la seconda introduce un sistema in cui non esistono rette parallele: la geometria introdotta da Riemann. Pensiamo di sostituire l'assioma della parallela così formulato da Hilbert

data una retta r ed un punto A fuori di essa, allora nel piano individuato da r e da A esiste al più una retta passante per A e parallela ad r

con una nuova proposizione che chiamiamo l'assioma di Riemann: “Due rette qualsiasi di un piano hanno sempre almeno un punto in comune” Da questo assioma segue immediatamente che non esistono rette parallele, per cui non valgono più né il V postulato euclideo, né le proposizioni ad esso equivalenti. Il sistema della geometria di Riemann si basa sull’ipotesi che lo spazio sia finito, in particolare ciò fa riferimento alla retta che, a differenza dei casi euclideo e iperbolico, si comporta come una linea chiusa, avente cioè lunghezza finita pur essendo illimitata (si può continuare a percorrerla senza mai fermarsi).

Per assumere l’assioma di Riemann al posto di quello della parallela occorre apportare ulteriori modifiche al sistema di assiomi della geometria euclidea, in

modo da non cadere in un’incoerenza del sistema stesso.

Geometria sferica e geometria ellittica

Da questo assioma segue immediatamente che non esistono rette parallele, per cui non valgono più né il V postulato euclideo, né le proposizioni ad esso equivalenti. Il sistema della geometria di Riemann si basa sull'ipotesi che lo spazio sia finito, in particolare ciò fa riferimento alla retta che, a differenza dei casi euclideo e iperbolico, si comporta come una linea chiusa, avente cioè lunghezza finita pur essendo illimitata (si può continuare a percorrerla senza mai fermarsi).

Per assumere l'assioma di Riemann al posto di quello della parallela occorre apportare ulteriori modifiche al sistema di assiomi della geometria euclidea, in

modo da non cadere in un'incoerenza del sistema stesso.

Geometria sferica e geometria ellittica

Dall'introduzione dell'assioma di Riemann si possono ottenere, a seconda delle modifiche apportate agli assiomi, due geometrie: una detta sferica ed una detta

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ellittica.

Partendo dall' ipotesi che due rette in un piano hanno sempre almeno un punto in comune e che quindi in un piano non si può condurre (nel senso euclideo del termine) una retta parallela ad un'altra, per un punto ad essa esterno, si può arrivare a dimostrare che tutte le perpendicolari ad una retta r da una stessa parte di essa, passano per un punto P, equidistante da ogni punto di r. Se immaginiamo, poi, tutte le rette della parte opposta, possiamo notare che queste si incontrano tutte in un punto P', con le stesse caratteristiche di P.

Al problema di sapere se P ed P' coincidono possiamo dare due risposte:

- P ed P' non coincidono, ma sono due punti distinti: due rette hanno perciò sempre due punti in comune e si intersecano in una coppia di punti distinti: questo sistema viene chiamato Geometria sferica, ed è assimilabile alla geometria euclidea della sfera se per "rette" assumiamo le circonferenze massime;

- P ed P' coincidono: due rette si incontrano in un solo punto e due punti distinti individuano una sola retta: questo secondo sistema viene chiamato Geometria ellittica.

C'è uno stretto legame fra le due, e se ci si limita a considerazioni di carattere locale le due teorie coincidono.

Descrizione delle caratteristiche principali della geometria sferica. Pensiamo di dividere l'insieme dei punti del piano in coppie di punti, tali che ogni punto appartiene ad una sola coppia e i punti di ciascuna coppia sono distinti. Per due punti appartenenti a coppie distinte passa una sola retta, mentre per i due punti di una stessa coppia passano più rette. Definiamo antipodali due punti appartenenti ad una stessa coppia. In questa geometria le rette sono linee chiuse, due punti antipodali dividono la retta in due parti congruenti, e tutte le rette che passano per un punto dato passano anche per il suo antipodale.

Vediamo alcune delle principali caratteristiche di questa geometria: - le rette sono linee chiuse;

- due punti antipodali dividono una retta passante per essi in due parti congruenti; - tutte le rette sono congruenti, hanno tutte la stessa lunghezza (finita);

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essere infinite;

- tutte le rette che passano per un punto dato passano anche per il suo antipodale; - la somma degli angoli di un triangolo è maggiore di 180°, essa tende a 180° à quando l'area del triangolo tende a 0. Parleremo in questo caso di eccesso angolare (in contrapposizione al difetto angolare della geometria iperbolica), che sarà dato da a+b+g-180°;

-non esistono triangoli o poligoni simili con aree differenti;

-due rette perpendicolari alla stessa retta si intersecano; tutte le perpendicolari alla stessa retta

passano per due punti antipodali;

-due rette qualsiasi hanno un unica perpendicolare in comune;

-non esistono rettangoli;

- il teorema di Pitagora non vale, ma si avvicina al vero col tendere a zero dell'area del triangolo.

Il modello sferico

La geometria sferica possiede un'immediata interpretazione nella geometria, questo è il motivo per cui è stata privilegiata in questa trattazione, essa infatti si presenta come un sistema geometrico che "descrive" la geometria di una superficie sferica dello spazio euclideo; la seguente tabella fornisce la "traduzione" dei termini della geometria sferica in quelli del suo modello euclideo.

Piano Insieme di punti di una superficie

sferica dello spazio euclideo

Punto Punto della superficie sferica

Retta Cerchio massimo della superficie sferica (si ottiene intersecando la superficie sferica con un qualsiasi piano passante per il centro della sfera)

Appartenenza Usuale appartenenza in senso euclideo

Punti antipodali Punti diametralmente opposti della superficie sferica

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Congruenza fra segmenti Congruenza fra gli archi di cerchio massimo in geometria euclidea

Angolo tra due rette Angolo diedro tra i due piani che tagliano la sfera secondo le due rette, oppure

angolo che coincide con l'angolo delle due rette tangenti alla sfera nel punto di intersezione delle due rette e giacenti nei piani da esse individuati

Congrunza tra angoli Congruenza tra angoli in senso euclideo

In base a queste considerazioni è abbastanza intuitivo vedere che tutti gli assiomi della geometria sferica risultano essere proposizioni valide in geometria euclidea.

- Per due punti antipodali passano infinite rette,

infatti ogni piano passante per la retta che unisce i punti diametralmente opposti della sfera la taglia secondo un cerchio massimo passante per i due punti (basti pensare alla superficie terrestre e ai due poli, tutti i meridiani passano per essi);

- Per due punti non antipodali passa una sola retta,

infatti i due punti sulla sfera individuano col centro di essa un unico piano che taglia sulla sfera un cerchio massimo passante per i due punti.

Anche l'assioma di Riemann è verificato, infatti due rette si incontrano sempre, poichè due cerchi massimi sono individuati da due piani, entrambi passanti per il centro della sfera, che hanno quindi come intersezione una retta che taglia la sfera in due punti antipodali comuni alle due rette.

- Tutte le rette sono congruenti, infatti tutti i cerchi massimi sono congruenti fra loro.

- Tutte le perpendicolari alla stessa retta passano per due punti antipodali, infatti tutti i cerchi massimi perpendicolari ad un dato cerchio massimo si incontrano in due punti antipodali.

- Tutte le rette che passano per un punto dato passano anche per il suo antipodale, infatti ogni cerchio massimo che passa per un punto passa anche per il suo antipodale.

E così via; l'immediata visualizzazione della geometria sferica mediante questa interpretazione consente di coglierne facilmente gli aspetti più caratteristici.

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11 Le principali caratteristiche non euclidee della geometria sulla sfera

Aiutandoci sempre con il modello sferico, immaginando dunque che il nostro ambiente geometrico non sia più il piano euclideo ma la superficie sferica S2, riesaminiamo rapidamente le principali caratteristiche non euclidee di questa nuova geometria.

Teniamo presente che il piano e la superficie sferica sono ambienti bidimensionali, anche se la sfera in sé è un oggetto

tridimensionale.

- Le linee "rette" sulla superficie

sferica sono le circonferenze

massime, infatti, esse ci forniscono il percorso più breve tra due punti, non antipodali, di S2. (L'analogia tra le rette del piano euclideo e le rette della superficie sferica è molto forte: entrambe sono caratterizzate dal fatto di essere le linee più brevi, l'unica differenza è che per punti antipodali si perde l'unicità del percorso minimo);

- Per due punti del piano euclideo

passa una e una sola retta, lo stesso accade per due punti non antipodali di S2, ma

per due punti antipodali passano infinite rette;

- due rette euclidee hanno al più un punto in comune mentre due rette di S2 hanno

sempre due punti in comune;

- nel piano euclideo esistono rette parallele, mentre non esistono rette parallele (cioè rette che non si intersechino) in S2, ad esempio tutte le rette perpendicolari ad una retta data, che nel piano euclideo sono tutte parallele tra loro, in S2 si intersecano in una coppia di punti antipodali, detti in questo caso poli; - nel piano euclideo esiste una e una sola retta passante per un dato punto P e perpendicolare a una data retta, in S2 ciò è vero se e solo se P non è un polo per la retta;

- le rette euclidee sono tutte infinitamente estese, mentre in S2 hanno tutte la

stessa lunghezza finita;

- il piano euclideo è infinitamente esteso, mentre S2 ha area finita; - di tre punti qualsiasi di una retta euclidea, uno e uno solo sta tra gli altri due, la stessa cosa non si può dire per una retta di S2 trattandosi di una linea chiusa, quindi se due punti nel piano euclideo individuano un unico segmento, in S2 due punti

individuano due segmenti;

- altra differenza con la geometria euclidea è il fatto che la somma degli angoli di un triangolo in S2 è maggiore di due angoli retti.

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In figura è rappresentato il modello della geometria sferica, in cui il piano è rappresentato dalle coppie di punti antipodali, e dalle rette che sono i cerchi massimi. L'immagine mostra un triangolo con le tre altezze che si incontrano nei poli; misurando gli angoli del triangolo si trova che la loro somma è maggiore di 180°.

La geometria ellittica e la fisica moderna

A partire dalla pubblicazione del saggio di Riemann, vennero intraprese diverse ricerche nel campo della matematica pura e della fisica matematica che fanno uso del concetto di varietà. In particolare, si indagò sulla possibilità di estendere alcune discipline classiche della fisica matematica agli spazi a curvatura non nulla, nella speranza di trovare nuove soluzioni ai problemi rimasti irrisolti. La condizione indispensabile per queste ricerche era la necessità di esprimere le equazioni fondamentali della fisica matematica in una notazione generale che restasse valida per ogni tipo di spazio, euclideo e non. Da queste ricerche nasceva la nozione di tensore e di calcolo tensoriale elaborata da Ricci-Curbastro e Levi-Civita verso la fine del secolo. Intorno al 1912, Einstein si servì degli strumenti matematici elaborati da Gauss, Riemann, Levi-Civita e Ricci-Curbastro per elaborare la teoria della relatività generale. Nella conferenza di Kyoto del 1922, Einstein affermò

Se tutti i sistemi sono equivalenti allora la geometria euclidea non può valere in ciascuno di essi. Abbandonare la geometria e conservare le leggi fisiche è come descrivere i pensieri senza parole. Bisogna cercare le parole prima di poter esprimere i pensieri. Che cosa si doveva cercare a questo punto? Tale problema rimase insolubile per me fino al 1912, quando all'improvviso mi resi conto che la teoria di Gauss delle superfici forniva la chiave per svelare questo mistero. Compresi che le coordinate di una superficie di Gauss avevano un profondo significato. Non sapevo però a quell'epoca che Riemann aveva studiato i fondamenti della geometria in maniera ancora più profonda. [...] Mi resi conto che i fondamenti della geometria avevano un significato fisico. Quando da Praga tornai a Zurigo, vi trovai il matematico Grossmann, mio caro amico: da lui appresi le prime notizie sul lavoro di Ricci e in seguito su quello di Riemann.

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La geometria ellittica possiede un'interpretazione particolarmente importante nello spazio fisico, fornendo il quadro matematico per la teoria della relatività generale. Einstein nella sua teoria suppone che la curvatura dell'universo sia influenzata dalla massa degli oggetti contenuti. Più un oggetto è denso, maggiore sarà la curvatura e quindi in quel punto lo spazio sarà più "spigoloso". Nei pressi della Terra questo fenomeno non è osservabile, ma già lo spazio nei pressi del Sole è sufficientemente curvo da deviare leggermente i raggi delle stelle che lo attraversano. Il fenomeno che si osserva è un apparente spostamento delle stelle dalla loro consueta posizione.

I corpi celesti più interessanti in questo campo sono i Buchi Neri, la cui origine è data da una stella massiccia che termina la sua vita in un corpo dalla densità e massa altissime, tali da trattenere la luce che emette. La teoria di Einstein prevede che lo spazio intorno ad un buco nero sia così deformato da provocare fenomeni molto strani. Per esempio, un raggio di luce che passasse alla distanza di una volta e mezzo il raggio dell'orizzonte degli eventi (limite oltre il quale nemmeno la luce può sfuggire) si fermerebbe su un'orbita intorno all'oggetto, se passasse più vicino formerebbe una curva molto stretta, simile ad una parabola, se passasse invece più lontano formerebbe una curva un po’ più larga. Si può notare che, se i raggi di luce rappresentano le rette, lo spazio intorno al buco nero è fortemente curvato, ed è descrivibile solo con una geometria non euclidea.

Geometria iperbolica

Uno dei postulati logicamente equivalenti al V è quello di Playfair, quindi una buona negazione del V può essere formulata come la negazione del postulato di Playfair. Ovvero:

Esistono almeno un punto P ed una retta AB

tali che:

I) P non è su AB né sul suo prolungamento II) per P passano almeno 2 rette parallele ad AB

Accettiamo la geometria neutrale e sostituiamo il V postulato con questo, saremo

allora in una geometria non euclidea: quella iperbolica.

Come è possibile che vi siano due parallele alla stessa retta passanti per lo stesso punto?

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Siamo abituati a pensare che, data AB ed il punto P, ci sia solo la retta CD come parallela alla prima.

fig.1

Ma proviamo a pensare che

ne esista una seconda:

pensiamo ad una retta

passante per P che non coincida con CD.

fig.2

Diremmo che questa non possa essere parallela ad AB perché convinti che incontri AB in un certo punto prima o poi. Ma proviamo a prescindere dall'apparenza del disegno; possiamo dimostrare che il prolungamento di EF debba per forza incontrare AB?

Teniamo presente che siamo in una geometria neutrale a cui abbiamo aggiunto la negazione del postulato di Playfair, non abbiamo più il teorema 30 di Euclide che ci dice che rette parallele ad una stessa retta sono parallele fra loro, quindi non deve disturbarci il fatto che nel nostro caso EF e CD, entrambe parallele ad AB, si incontrino in P.

Diremmo che questa non possa essere parallela ad AB perché convinti che incontri AB in un certo punto prima o poi. Ma proviamo a prescindere dall'apparenza del disegno; possiamo dimostrare che il prolungamento di EF debba per forza incontrare AB?

Teniamo presente che siamo in una geometria neutrale a cui abbiamo aggiunto la negazione del postulato di Playfair, non abbiamo più il teorema 30 di Euclide che ci dice che rette parallele ad una stessa retta sono parallele fra loro, quindi non deve disturbarci il fatto che nel nostro caso EF e CD, entrambe parallele ad AB, si incontrino in P.

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E ancora, non abbiamo più il postulato di Euclide che ci

porterebbe a dire che,

poiché PQB+QPF<180°, le due rette AB eEF si incontrano.

fig.3

E potremmo andare avanti ancora, scontrandoci con asserzioni logicamente equivalenti al V postulato, e trovandoci a dover ogni volta ricordare che l'abbiamo negato.

La verità è che nel disegno sembra talmente evidente che EF incontrerà AB che crediamo di poterlo dimostrare, ma significherebbe dimostrare che AB è l'unica parallela, ovvero dimostrare il postulato euclideo, problema che è stato spina nel fianco dei matematici per 2000 anni.

Ai nostri occhi può sembrare che la negazione del postulato di Playfair sia "incompatibile con la natura di una linea retta", per dirla alla Saccheri, ma dobbiamo sforzarci di superare ed ingannare il consueto modo di pensare la geometria e non spaventarci dal fatto che la geometria iperbolica sfugge da ogni tentativo di rappresentazione intuitiva.

Proviamo a passare da un sistema assiomatico materiale, o teoria scientifica, a un sistema assiomatico formale.

E convinciamoci che un sistema matematico (sistema assiomatico formale) è sostanzialmente una pura struttura logica, alla quale si può annettere un significato o meno. Forse in questo modo la geometria iperbolica ci disarmerà un po' meno. Proviamo per un attimo a credere che le rette CD e EF siano entrambe parallele ad AB senza pretendere che questo abbia il significato che siamo soliti attribuire alla geometria che descrive il nostro mondo fisico.

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16 Disegniamo in questo modo le nostre rette: fig.4 Il postulato iperbolico

Trattando la questione delle rette parallele abbiamo visto una negazione del postulato di Playfair; da qui in poi svilupperemo la geometria iperbolica sulla base di una versione più forte della negazione di tale postulato.

Postulato 1

Se P è un punto qualunque e AB una retta qualunque che non passa per P (nemmeno se prolungata), allora vi sono due rette YPZ e WPX passanti per P tali che:

I) YPX non è un'unica retta,

II) YPZ e WPX sono entrambe parallele ad AB,

III) nessuna retta passante per P interna a ^YPX è parallela ad AB.

La condizione I afferma semplicemente che YPZ e WPX sono rette distinte. Questo postulato comprende la negazione del postulato di Playfair vista in precedenza, e in più due ulteriori affermazioni. Innanzitutto asserisce che l'esistenza di parallele multiple è un fenomeno universale che si verifica per ogni punto P del piano e per ogni retta AB non passante per esso. mentre il postulato di Playfair garantiva che questo accadesse almeno una volta, per un punto ed una retta particolari.

Inoltre le due parallele del postulato 1 sono le due parallele più basse, in ambo le direzioni, passanti per P; la condizione III afferma infatti che una retta per P al di sotto di una delle due non sarebbe parallela ad AB. Questa proprietà non era

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specificata per le parallele del postulato di Playfair.

I termini primitivi della geometria iperbolica sono gli stessi che intervengono nella geometria euclidea: punto, linea retta, superficie e superficie piana. Anche gli altri termini vengono mantenuti, con l'aggiunta di nuovi che definiremo via via.

Gli assiomi sono le nozioni comuni euclidee e tutti i postulati eccetto il V, che viene sostituito dal POSTULATO 1. Questo fa sì che restino validi tutti i teoremi della geometria neutrale, e cioè i teoremi che si possono dimostrare senza l'utilizzo del V postulato.

Le parallele iperboliche Teorema 1

Nella situazione descritta nel POSTULATO 1, ogni retta passante per P che

entra nell'angolo ^ZPX è parallela ad AB.

Le rette passanti per P si dividono in due categorie:

una di cui fanno parte le infinite rette che entrano nell'angolo ^YPX, le quali, se prolungate, intersecano AB o il suo prolungamento;

l'altra di cui fanno parte le rette YPZ e WPX e le infinite rette che entrano nell'angolo ^ZPX, le quali, per quanto prolungate, non incontrano mai la retta AB né il suo prolungamento. Queste ultime sono dunque parallele ad AB. All'interno della seconda categoria YPZ e WPX occupano una posizione privilegiata, segnano infatti il confine fra una categoria e l'altra.

Definizione 1

Nella situazione descritta dal POSTULATO 1, le rette YPZ e WPX si dicono parallele asintotiche per P ad AB, e le rette passanti per P che entrano in ^ZPX si dicono parallele divergenti per P ad AB.

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18 Geometria dello spazio-tempo

Negli ultimi tre decenni la nostra concezione dello spazio e del tempo si è arricchita notevolmente e ha conosciuto dei cambiamenti profondi grazie all’introduzione di un insieme di nuove strutture matematiche non puntuali, non lineari e non commutative, che formano quella che oggi viene chiamata geometria quantica. Queste strutture sono il cuore delle teorie di Gauge non-abeliane e in grado di unificare le particelle con i campi e la geometria dello spazio-tempo con la dinamica dei fenomeni fisici tramite la descrizione e il modellamento delle interazioni fondamentali. La costruzione allargata del modello standard della fisica, che ingloba l’interazione elettrodebole (forza elettromagnetica più forza debole) e l’interazione forte, è infatti interamente fondata sull’idea di gruppo di simmetria e di spazio con connessione sul quale esso agisce. Se però, da un lato, un simile modello descrive profondamente e in modo coerente le interazioni fisiche dovute alle tre forze fondamentali esistenti in natura, dall’altro, esso è incapace di spiegare la forza di gravitazione e, di conseguenza, di inglobare la relatività generale in un’immagine unitaria del mondo fisico. I tentativi fatti negli ultimi anni per unificare le forze elettrodebole e forte del modello standard nella teoria quantistica dei campi di gauge con la forza gravitazionale della relatività generale hanno prodotto, dagli anni Settanta in poi, una serie di sviluppi teorici fondamentali. La teoria delle supercorde e la geometria non-commutativa appaiono tra i più significativi e profondi, sia sul piano delle strutture matematiche che esse hanno contribuito a scoprire o a

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chiarire, che su quello dei nuovi concetti filosofici introdotti.

L’idea filosofica di fondo sottostante a queste teorie, e in particolare alla teoria delle supercorde, consiste nell’estendere l’idea dello spazio-tempo quadridimensionale della relatività generale a dimensioni superiori, idea che fu proposta nella seconda metà degli anni Venti del secolo scorso dal fisico Theodor Kaluza e dal matematico Oscar Klein, ripresa e sviluppata in seguito, agli inizi degli anni Settanta, dalla teoria della Supergravità. Nella teoria delle supercorde, si tratta in particolare di pensare i nostri spazi a tre e quattro dimensioni come degli oggetti geometrici immersi in un superspazio che comporta una o più dimensioni supplementari (per l’esattezza sei dimensioni spaziali che si aggiungono alle tre dello spazio usuale e al tempo della relatività). Queste dimensioni “nascoste” potrebbero avere un’influenza sulla gravità a piccolissime distanze, e quindi aiutare a capire il comportamento di certi fenomeni dovuto alla supposta natura quantistica della gravitazione alla scala della lunghezza di Planck. Giova ricordare che all’origine dei tentativi di unificazione delle forze attraverso la geometria cui si è appena accennato (che in realtà risalgono ai lavori di Riemann e Clifford della seconda metà dell’Ottocento), c’era la necessità di spiegare il conflitto tra la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica di Bohr e Heisenberg. Due possibilità sono state considerate. La prima è stata l’elaborazione di una teoria relativista consistente dei fenomeni quantistici, che ha cercato di realizzare Einstein dagli anni Trenta del secolo scorso proponendo diverse generalizzazioni della teoria del trasporto parallelo di Tullio Levi-Civita e dell’oggetto geometrico di connessione di Elie Cartan, ma come si sa, tali tentativi non hanno dato i risultati sperati. L’altra possibilità ha favorito l’elaborazione di un nuovo quadro matematico capace di inglobare sia le forze quantistiche, che la gravitazione. Si tratta dell’approccio sviluppato in particolare da Hermann Weyl (1929) e ripreso da C. N. Yang e R. L. Mills (1954), che ha tentato fin dall’inizio di geometrizzare prima la forza elettromagnetica, poi le forze deboli e forti nel contesto delle teorie di Gauge abeliane e non-abeliane. Le teorie di Gauge hanno un profondo significato geometrico, giacché si basano sui concetti fondamentali di spazio fibrato (o fibrato principale) e di connessione con curvatura; questi concetti generalizzano la nozione di spazio euclideo. Se M è una varietà differenziabile che rappresenta un modello di spazio-tempo, e se in ciascun punto p di M si trova definito un sistema fisico con lo spazio di stati interni j–1(p), allora una connessione sopra un oggetto geometrico (uno spazio) è una regola o un processo che permette di trasportare il sistema lungo le curve tracciate sulla varietà M. L’immagine geometrica che sta alla base della teoria di Gauge rappresenta uno schema matematico tra i più profondi che si

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conoscano in fisica, dal momento che permette la descrizione di un universo idealizzato nel quale si considerano solo un piccolo numero di interazioni fondamentali. Per esempio, un campo gravitazionale è una connessione che “vive” nello spazio dei gradi interni di libertà di un giroscopio; la connessione permette di seguire l’evoluzione del giroscopio nello spazio-tempo. Anche un campo elettromagnetico è una connessione nello spazio dei gradi interni di libertà di un elettrone quantico, e la connessione permette di seguire l’evoluzione dell’elettrone nello spazio-tempo. Un campo di Yang-Mills è a sua volta una connessione nello spazio dei gradi interni di libertà di un quark. L’idea essenziale è che lo stato interno della materia, in ciascun punto e a ogni istante nello spazio-tempo, descrive una connessione nel fibrato principale. La materia agisce sulla connessione imponendo delle limitazioni alla sua curvatura (in altre parole, condizionando il tipo di deformazioni che la curvatura conferisce allo spazio), e la connessione a sua volta agisce sulla materia forzandola a propagarsi per trasporto parallelo lungo le “linee-universo” (le traiettorie del sistema fisico). Per questo, le celebri equazioni di Einstein del 1915-16 che descrivono il campo gravitazionale, quelle di Dirac che descrivono l’interazione tra il campo elettromagnetico e l’elettrone (una particella dotata di spin), e infine quelle di Yang-Mills che descrivono le interazioni dovute a tutte le forze fondamentali della natura tranne la gravità, sono esattamente

l’espressione e la realizzazione di questa idea.

I concetti di fibrato principale e di connessione sono così diventati tra i costituenti più importanti della fisica. Le teorie quantistiche di gauge (o teorie di Yang-Mills) sono infatti costruite a partire dall’idea che a ogni entità fondamentale della teoria fisica corrisponde un concetto della geometria e topologia differenziali; questi concetti possono essere di natura locale, come la curvatura, o globale, come il fibrato principale. Così, ad esempio, l’intensità del campo elettromagnetico s’identifica con la curvatura della connessione; l’integrale d’azione corrisponde essenzialmente alla misura globale della curvatura; certi invarianti topologici e algebrici appartenenti alla teoria delle classi caratteristiche possono essere associati alla descrizione della carica della particella nel senso di Yang-Mills. Più generalmente, esiste una corrispondenza diretta tra i concetti della teoria dei campi quantistici di gauge e quelli della teoria geometrica e topologica dei fibrati. È il caso di sottolineare che la relatività generale è stata la prima realizzazione importante di questo programma di geometrizzazione della fisica. Una delle sue caratteristiche fondamentali è di ammettere, per i fenomeni a scala macroscopica (cioè dell’intero universo) che essa spiega con grande precisione, l’esistenza di un

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gruppo matematico di simmetrie che lasciano localmente invarianti le leggi di quegli stessi fenomeni. In altre parole, si può effettuare qualsiasi trasformazione del sistema di coordinate curvilinee nell’intorno di un punto dato in questo stesso spazio-tempo, e definito mediante una metrica pseudo-riemanniana di tipo iperbolico, senza che le leggi fisiche dei fenomeni ne risultino alterate. Il che significa che le simmetrie della relatività generale non hanno un significato globale. Per simmetria globale si intende una simmetria per via della quale una trasformazione può essere eseguita uniformemente su tutti i punti dello spazio, mentre nel caso di una simmetria locale, ciascun punto è trasformato indipendentemente l’uno dall’altro. La teoria della relatività generale, cosi come la teoria elettromagnetica di Maxwell, è dunque una teoria di gauge locale. In effetti, il fatto che intervengano dei campi materiali indica chiaramente che la geometria dello spazio-tempo, caratteristica dei fenomeni a larga scala studiati dalla relatività generale, si trova a essere condizionata dalla più o meno grande densità di materia presente nel campo. La simmetria sulla quale si fonda la relatività generale non riguarda tanto un campo fisico che si propaga attraverso lo spazio e il tempo, quanto la stessa struttura geometrica dello spazio-tempo. Detto diversamente, la relatività generale non considera le cosiddette simmetrie interne, che concernono le proprietà dei campi quantistici come la fase, la carica, ecc., né considera le interazioni tra le particelle e gli altri campi quantistici della materia alla scala subatomica. Il punto importante è che l’insieme dello spazio-tempo della relatività ristretta e dello spazio interno della meccanica quantistica presenta una struttura matematica molto più ricca di quella rispettiva di ogni singola teoria: si tratta, più precisamente, di una struttura di spazio fibrato nel quale le trasformazioni del gruppo di simmetrie interne – un gruppo di Lie non-abeliano – generano degli spostamenti lungo le fibre, e i campi di gauge corrispondono alle connessioni di Cartan.

I Quadrivettori

Nella Fisica Classica di Newton-Galileo, il tempo t è lo stesso per ogni osservatore e, quindi, per descrivere il moto di un corpo ( punto materiale) in diversi sistemi inerziali è sufficiente trovare come cambiano le coordinate spaziali x, y e z che individuano la posizione del corpo ad un generico istante t. Il problema è, quindi, intrinsecamente dimensionale e completamente descritto dal vettore tri-dimensionale r (t ) = (x(t ), y(t ), z(t )). Nel caso della Fisica Relativistica, invece, anche il tempo dipende dalla posizione in cui esso viene misurato e, quindi, per poter descrivere interamente il moto di un corpo non basta conoscere le sue coordinate

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spaziali x, y, z in un dato Riferimento inerziale ma si deve anche conoscere il tempo misurato da un orologio che si trovi nel punto di coordinate x,y, z nello stesso Riferimento. Se cambiamo riferimento, non solo cambieranno le coordinate spaziali ma anche quella temporale. Quindi, mentre la Fisica Classica è intrinsicamente tri-dimensionale, la Fisica Relativistica è quadri-dimensionale. In particolare, per individuare completamente la posizione di un corpo nello spazio-tempo relativistico rispetto ad una certa origine si dovranno dare 4 coordinate: tre coordinate spaziali x,y, z e una temporale t. Possiamo, perciò, introdurre un oggetto rappresentato da quattro coordinate

R = (x,y,z,t ) (1)

che viene detto quadrivettore nello spazio-tempo [ come (x,y,z) rappresentava un vettore nello spazio]. Ora, come abbiamo già osservato, le dimensioni delle coordinate spaziali ( metri) sono diverse da quelle delle coordinate temporali (secondi). La differenza ha un'origine storica dovuta al fatto che, prima della Fisica Relativistica, il tempo e lo spazio apparivano entità completamente differenti e, quindi, era apparso naturale definirli utilizzando unità di misura diverse. Adesso, invece, abbiamo trovato che, nel passaggio da un riferimento inerziale ad un altro, le coordinate spaziali e temporali si vengono a mescolare le une nelle altre attraverso le Trasformazioni di Lorenz in modo assai simile a quanto avviene per le coordinate spaziali x,y,z in una rotazione. Dunque, in Relatività, risulta più naturale usare per le coordinate spaziali e temporali le stesse unità. In effetti, con questa scelta, le trasformazioni di Lorentz per la variabile spaziale x e per quella temporale risultano totalmente simmetriche. Ad esempio, possiamo usare come unità di tempo il metro-luce che corrisponde al tempo impiegato dalla metro-luce nel vuoto per percorrere un metro. In alternativa, potremmo anche continuare a definire il secondo come unità di tempo e utilizzare come unità di lunghezza il secondo luce definito come lo spazio percorso dalla luce in un secondo ( circa 300.000 km). Qui decidiamo di misurare il tempo in metri-luce. Se il tempo espresso in secondi è t, il corrispondente tempo

espresso in metri ( metri-luce) è

t = ct, (2) dove c » 300.000 Km/s.

Con questo nuovo tempo, espresso in metri, la velocità v = Dx/Dt di un corpo risulta un numero puro adimensionale poichè Dx e Dt hanno le stesse dimensioni.

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In particolare, v = Dx/Dt = Dx/(cDt )=V/c dove V indica la velocità del corpo nelle unità standard ( m/s). Dunque, la velocità di un corpo nelle nuove unità di misura viene a coincidere con il parametro relativistico b definito in precedenza. In particolare, nelle nuove unità la velocità della luce è pari a c/c = 1. Se utilizziamo queste nuove unità di misura, quando diremo che un corpo viaggia con velocità v = 0.1, significherà che esso viaggia con una velocità pari a 0.1 volte quella della luce,

cioè circa 30.000km/s.

Per ottenere la forma delle equazioni di Lorentz con il tempo misurato in metri-luce, basterà, perciò, sostituire in esse al posto di t il nuovo tempo t ( t = ct ) , e al posto di c il valore c =1 ricordandosi che, ora, la velocità v rappresenta il parametro adimensionale b =V/c. Per ritornare alle relazioni scritte nelle solite unità, basterà sostituire al posto di t il valore ct e al posto di v il valore V/c. Riassumendo, nelle nuove unità valgono le uguaglianze:

c = 1 , b = v , g = 1 / ( 1- v2)

La distribuzione delle masse-energia determina una distorsione dello spazio-tempo; un corpo libero di muoversi, anche la luce, si muoverà allora sempre lungo le geodetiche dello spazio-tempo, che però adesso possono non coincidere più (in presenza di masse o concentrazioni di energia) con delle rette come nella geometria euclidea (vedere anche geometrie non euclidee), ma sono generalmente delle curve.

Lo spazio-tempo di Minkowski allora non potrà più essere descritto, come nella relatività speciale, dalla geometria euclidea (seppure a 4 dimensioni) e in esso non potremo più considerare sistemi di riferimento cartesiani ortogonali, ma sistemi di riferimento curvilinei, detti gaussiani.

Sappiamo tuttavia, in base al principio di equivalenza, che si possono sempre eliminare localmente gli effetti del campo gravitazionale scegliendo un sistema di riferimento in caduta libera. Ciò corrisponde a considerare localmente un sistema di riferimento cartesiano, poiché la coincidenza con le coordinate curvilinee del sistema di riferimento, in piccole regioni dello spazio-tempo, diviene abbastanza buona.

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Un concetto necessario per descrivere lo spazio-tempo deformato è comunque quello di curvatura dello spazio (nella quarta dimensione ct). Per illustrare il concetto il più semplicemente possibile ci si può aiutare con qualche esempio tratto dalla geometria in tre dimensioni.

Si immagini allora lo spazio-tempo a 4 dimensioni (3 spaziali ed una temporale) ridotto a due sole dimensioni spaziali ed ad una temporale. Si può pensare allo spazio (a 3 dimensioni) come se fosse la superficie (a 2 dimensioni) di un telo elastico nella terza dimensione che rappresenterebbe il tempo.

NCLUSIONE

CONSIDERAZIONI

Il quinto postulato di Euclide costituisce un bivio: • Accettandolo si ha la geometria euclidea

• Negandolo si ottengono le altre geometrie

Non c’è una geometria migliore o “più vera” delle altre

Nel suo trattato La Scienza e l’Ipotesi lo stesso Poincaré esprime questo concetto: Se la geometria fosse una scienza sperimentale non sarebbe una scienza esatta e andrebbe soggetta ad una continua revisione.

Che si deve quindi pensare della questione circa la verità della geometria?

Essa non ha alcun senso. Sarebbe come domandare se il sistema metrico sia vero e false le antiche misure; se siano vere le coordinate cartesiane e false quelle polari.

e alternative è migliore o “più

vera” de

Una geometria non può essere più vera di un’altra; essa può essere soltanto più

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