• Non ci sono risultati.

Giuseppe Saverio Poli: Magnetic Therapy in Palermo at the Beginning of XIX Cent.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Giuseppe Saverio Poli: Magnetic Therapy in Palermo at the Beginning of XIX Cent."

Copied!
25
0
0

Testo completo

(1)

GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA

JOURNAL OF HISTORY OF MEDICINE

Fondato da / Founded by Luigi Stroppiana

(2)

Articoli/Articles

GIUSEPPE SAVERIO POLI

E UN CASO DI TERAPIA MAGNETICA NELLA PALERMO D’INIZIO OTTOCENTO

RObERTO MAZZOLA

Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno, CNR Napoli, I

SUMMARY

GIUSEPPE SAVERIO POLI:

MAGNETIC THERAPY IN PALERMO AT THE BEGINNING OF XIX CENT. The article presents a not well known text written by Giuseppe Saverio Poli, one of the most important South italian scientist, living and working between the end of XVIII century and the first years of XIX century. The Breve saggio sulle virtù curative della calamita, printed in Palermo in 1811, is a short text devoted to one of the most controversial scientific topic of those years, magnetic therapy.

La recente storiografia ha sottolineato il ruolo dalla cultura medica napoletana tardo settecentesca nel preparare il terreno alla decisa ac-celerazione impressa dai napoleonidi ai processi di modernizzazione della legislazione e delle istituzioni preposte a tutela dei bisognosi e alla sorveglianza della salute pubblica. Per molti aspetti sono emersi non pochi elementi di continuità tra la politica assistenziale e sanita-ria del decennio francese e quella dei borbone1. Ciò nonostante, sul

piano prettamente scientifico sarebbe quantomeno azzardato indicare continuità e cesure del sapere medico – ad esempio, tra le cliniche specialistiche del Decennio e i primi tentativi tardo settecenteschi –

(3)

modulando tempi e modi della sua evoluzione sugli eventi politici e le vicende burocratico-amministrative della sanità meridionale tra Sette e Ottocento. Così come ad enfatizzare i danni provocati dal collasso del sistema educativo causato dalla feroce repressione messa in atto dopo la prima restaurazione borbonica, che com’è noto si accanì in modo particolare contro la classe medica e le sue istituzioni, si corre il rischio di lasciare in ombra i modelli di conoscenza, le impostazioni metodologiche, i riferimenti teorici e gli stili di pensiero che ostaco-larono la configurazione antropologica del sapere medico napoletano tardo settecentesco. Nel Regno di Napoli, come ha giustamente sotto-lineato barbara Ann Naddeo, a differenza di Francia e Germania, la scienza dell’uomo non fu appannaggio dei medici bensì di filosofi la cui “agenda was essentially political”2. Eppure le premesse non

man-cavano. Nell’ultimo trentennio del Settecento, infatti, anche a Napoli come nel resto d’Europa si abbozza la figura del medico-scienziato dell’età dei lumi attento ad “unire le professioni sanitarie, proclama-re l’affinità della scienza e della medicina moderna, articolaproclama-re infine l’insegnamento teorico e la pratica ospedaliera”3. In particolare

l’ospe-dale degli Incurabili nel tardo Settecento diventa il punto d’incontro – e d’irradiazione nell’intero Meridione – di una nuova classe medi-ca impegnata a ridefinire lo statuto del medico nella società partendo dalla riorganizzazione dell’esperienza e della conoscenza medica ac-canto al letto del malato. Nel collegio medico-cerusico dell’ospedale, di fatto trasformato dal protomedico del Regno Giovanni Vivenzio (1737-1815) in vera e propria facoltà di medicina, grazie al magi-stero di Domenico Cotugno (1736-1822), Domenico Cirillo (1739-1799), Nicola Andria (1747-1814), Antonio Sementini (1743-1815), Giuseppe Saverio Poli (1746-1825), Michele Troja (1747-1827), solo per nominarne alcuni, si formò la nuova leva di medici attiva, anche sul piano politico, nell’età compresa tra Rivoluzione e Restaurazione4.

Se consideriamo lo sviluppo del pensiero medico, però, lo scorcio del Settecento può essere indicato come termine ad quem per la

(4)

pri-ma generazione di medici, forpri-matasi intorno alla metà del secolo, accomunata da impostazioni metodologiche e schemi concettuali destinati a subire profondi mutamenti nel corso del primo trentennio del XIX secolo. Come ha osservato Vittorio Donato Catapano, “per una sorta di dissociazione” il mondo medico napoletano, sebbene avesse partecipato in modo originale al processo di riforma della me-dicina e costantemente a giorno delle novità provenienti d’Oltralpe, resta estraneo allo spirito di collaborazione tra filosofia e medicina che anima in Francia i médicien-idèologues, né sembra partecipare alla svolta epistemologica della nascente anatomo-clinica. Lo stallo teorico registrato a Napoli, riflesso della più generale “grande crisi” della medicina italiana d’inizio Ottocento, per riprendere l’espres-sione del Cazzaniga, è imputabile, secondo Catapano, alla deriva sistematica di quanti, allontanandosi dalla tradizione neoippocratica della scuola medica napoletana, furono affascinati dalla dottrina del medico scozzese John brown – introdotta in Italia da Pietro Moscati e Giovanni Rasori e riformata in chiave “italica” da Giacomo Tommasini – seguita dalla precoce diffusione delle teorie omeopa-tiche dell’Hahnemann che ebbero sanzione ufficiale con l’apertura nel 1829 della clinica omeopatica dell’Ospedale Militare di Napoli5.

Nelle pagine che seguono tenterò di spostare termini del problema della “dissociazione”, evocata da Catalano, dal piano dottrinario a quello della dimensione sociale del rapporto tra sapere medico e te-rapeutica nell’età napoleonica. Mi soffermerò in particolare su un testo poco noto di uno dei maggiori scienziati meridionali del tardo Settecento; si tratta del Breve saggio sulle virtù curative della calami-ta di Giuseppe Saverio Poli, edito a Palermo nel 18116, e dove, nella

doppia veste di medico e di studioso di fisica, l’autore affronta, in

corpore vili, uno degli aspetti più controversi del complesso

rappor-to tra medicina e scienze fisiche al “tramonrappor-to dei lumi”. L’operetta composta in tarda età è sicuramente marginale rispetto alle apprez-zate ricerche dell’autore sulla biologia marina del Meridione d’Italia

(5)

e al fortunato manuale di fisica sperimentale, rimasto per oltre un trentennio il testo di riferimento, non solo nell’ateneo napoletano, per gli studenti di medicina7. Non si tratta però di materia estranea

agli interessi dello scienziato pugliese perché, come ha sottolineato Lucia De Frenza “la rivalutazione delle proprietà curative della cala-mita sopraggiunse, per Poli, nel momento in cui manifestò interesse per la teoria galvanica, che gli consentì di mettere a fuoco il proble-ma dell’azione di fluidi che aveva già detto essere proble-manifestazioni diverse della stessa entità naturale, sull’organismo vivente”8.

John L. Heilbron, nel rimarcare la distanza della fisica moderna dal-la descrizione qualitativa dei fenomeni naturali, a conclusione del suo fondamentale lavoro sull’elettrofisica settecentesca, ricordava come “alla fine degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta del XVIII secolo gli studiosi di elettricità privi di preparazione mate-matica rivolsero la loro attenzione all’elettricità medica ed animale e all’elettrochimica”9. Fenomeno alla moda praticato senza

un’ade-guata conoscenza della materia trattata, in particolare la medicina elettro-magnetica è stata confinata dalla storiografia ai limiti della razionalità scientifica del secolo dei Lumi, espressione di quella scienza popolare che fa da cornice alle ben più avvincenti “rivolu-zioni” terapeutiche di Mesmer e brown che presentano connotazioni culturali, sociali ed ideologiche di tale rilevanza da compensarne il deficit scientifico10.

Il tentativo di molti medici settecenteschi di fornire spiegazio-ni plausibili dei meccaspiegazio-nismi d’azione nell’“economia aspiegazio-nimale” di entità fisiche ancora poco note come l’elettricità e il magnetismo, ma dagli effetti sorprendenti sul corpo umano, non gode di buona fama presso gli storici delle scienze cosiddette “dure” né migliore sorte è stata loro riservata dagli studiosi delle scienze della vita. I primi ne hanno sottolineato la distanza epistemologica dal modello di scienza newtoniano, mentre i secondi stentano a conciliare tali pratiche con le tecniche di laboratorio della fisiologia sperimentale e

(6)

con la riconfigurazione dell’esperienza terapeutica nell’ambito della nascente anatomo- clinica di fine secolo. In generale, dalla prospet-tiva degli storici e dei filosofi della scienza, le terapie elettriche e magnetiche del tardo Settecento rappresentano nel migliore dei casi un classico esempio di riduzionismo biologico, dell’idea cioè che tutti i processi organici siano in ultima analisi riconducibili a forze fisico-meccaniche.

Il risultato un po’paradossale di questo tipo di approccio è un vero e proprio Giano storiografico. Da un lato, infatti, si riconosce il ruolo positivo, ancorché conflittuale della “medicina elettrica”, nell’inte-razione tra scienze mediche e fisiche che si sviluppa a partire dal dibattito sulla teoria dell’irritabilità muscolare e della sensibilità ner-vosa di Haller fino alla contestata scoperta dell’elettricità organica da parte di Galvani, dall’altro si sottolinea lo scarso fondamento teorico delle terapie elettro-magnetiche e la natura ipotetica di modelli espli-cativi che non potevano essere né confermati né confutati. Senza dubbio, l’oggettiva scarsa efficacia della farmacopea pre-rivoluzione batteriologica giustifica la diffidenza degli storici verso l’arte di cu-rare dell’età dei Lumi che offre un’immagine ambigua caratterizzata da un lato dal luminoso esempio della filantropica battaglia contro il vaiolo, dall’altro, dalla perdurante oscura eredità della tradizione umoralista, dei pregiudizi religiosi e delle superstizioni popolari. Lo scarto tra teoria e prassi registrato dagli studiosi si fa più accentuato quando dalle terapie tradizionali si passa alle incursioni dei medici in nuovi campi di sperimentazione terapeutica basate su ipotesi nate in territori dove i confini disciplinari si fanno più sfumati per la man-canza di un adeguato statuto scientifico della materia trattata. Molte delle critiche degli studiosi contemporanei riprendono le per-plessità e lo scetticismo della stessa comunità medica settecentesca ma soprattutto fanno proprie la tesi di quegli scienziati che impegna-ti nella ricerca delle leggi fisiche dei fenomeni elettrici e magneimpegna-tici consideravano l’interesse dei medici un curioso epifenomeno di

(7)

pro-blemi ben più rilevanti per il progresso della scienza. Medici da un lato, fisici dall’altro, dunque, come attesterebbe, secondo una vulgata ancora diffusa, la controversia tra Galvani e Volta11.

Forse su sollecitazione della corte, di sicuro con la sua approvazio-ne – l’opuscolo uscì, infatti, dai torchi della Stamperia Reale – Poli era chiamato a pronunciarsi su di un nuovo rimedio che si diceva facesse miracoli nelle più svariate patologie e sempre più ricercato a Palermo da quando numerosi aristocratici, alti funzionari e notabili borghesi avevano preso a mostrarsi in pubblico con appesa al collo una piccola borsetta di flanella contenente un pezzetto di magnetite. In breve tempo si era scatenata una vera e propria moda, alimentata dalle notizie provenienti dall’Inghilterra, riportate dalla stampa loca-le e abilmente sfruttate dai venditori dell’amuloca-leto che magnificavano il nuovo e semplice modo di giovarsi delle virtù medicinali del ma-gnetismo. In realtà non si trattava di una novità quanto piuttosto del-la riscoperta di una terapia già praticata agli inizi degli anni Ottanta del Settecento dal medico francese Pierre Thouvenel che sulla scia del successo popolare del mesmerismo offriva ai paziente un sachet di metalli e sostanze resinose in grado, a suo dire, di riequilibrare il fluido magnetico presente nell’organismo umano12.

Nella Palermo “inglese” d’inizio secolo Poli era un’autorità indi-scussa e da sempre godeva della piena fiducia di Ferdinando IV che gli aveva affidato l’istruzione e la salute del malaticcio prin-cipe reggente Francesco. Poiché la vicenda si colloca nei torbidi anni del secondo esilio dei borbone e coinvolge in buona sostanza l’aristocrazia e i ceti abbienti della città, è opportuno ricordare che la fallita spedizione anglo-sicula contro Murat del 1810 e la conse-guente crisi dei rapporti tra gli inglesi e la corte, aggravati con l’ar-rivo nell’isola nel luglio del 1811 di lord William benticnck, ave-va inaugurato una stagione di gravi conflitti politici culminati con l’espulsione di Maria Carolina, nel giugno del 1813. Lo scenario politico-militare di quegli anni era a dire poco inquietante: la regina

(8)

accusata di intelligenza con i francesi, il re costretto ad accettare, nel 1812, la nuova costituzione di stampo liberale imposta dagli inglesi, l’esercito scontento, i baroni spogliati dei loro incarichi e come se non bastasse nell’agosto del 1812 ci fu l’attentato dinami-tardo organizzato dal duca Craco13.

In tempi di così forte incertezza politica mentre la regina abusava d’oppio, l’élite cittadina si rifugiava nel privato dedicandosi all’au-toterapia per riaffermare almeno sul proprio corpo un diritto di scelta e controllo che appariva sempre più precario nella sfera pubblica. In fondo anche questo era un vecchio privilegio concesso al rango: il paziente altolocato legava a sé il medico con una relazione di di-pendenza economica e subordinazione sociale che, inevitabilmente, finiva con lo sbilanciare a favore del malato il rapporto terapeutico. Il medico d’antico regime, a sua volta, per sfuggire al vincolo di di-pendenza poteva rifugiarsi nel “nichilismo terapeutico”, coltivando esclusivamente la propria scienza, oppure tentare di allargare la base sociale della clientela e provare ad imporre, con la sua autorevolez-za, a tutti i pazienti indistintamente le cure giudicate più opportune. In tutti i casi però, a cavallo tra Sette e Ottocento, si era ancora lon-tani dall’inversione di tendenza nel rapporto di potere tra medico e paziente avviata nella seconda metà del XIX secolo e consolidata dai successi della teoria microbica della malattia.

L’ancora oggi avvincente narrazione di Giuseppe Pitré14 della vita

palermitana degli ultimi decenni del Settecento ci offre, tra l’altro, un’efficace sintesi sullo stato della medicina a Palermo altalenante tra rinnovamento e tradizione dopo che, nel 1780, l’università aveva ottenuto il privilegio di laurea fino ad allora riservato a Catania15.

Anche in Sicilia si diffondevano le nuove idee provenienti dal continente; nel 1797 a più riprese gli studenti fischiarono il prof. baldassarre Cannata, reo di non aderire al nuovo sistema medico di John brown, le contestazioni misero in subbuglio l’ateneo al punto che i tumulti cessarono solo con l’arresto di alcuni giovani16.

(9)

Ai fini del nostro discorso più che sull’università è opportuno ri-chiamare l’attenzione su alcuni aspetti dell’assistenza sanitaria pub-blica che meglio sottolineano le diverse sfaccettature della pratica medica a seconda delle differenti realtà sociali entro le quali si ar-ticolava il rapporto medico paziente. In generale si può dire, sulla scorta delle ricerche della Raffaele, che la politica assistenziale bor-bonica in Sicilia aveva subito una svolta dopo la peste di Messina del 1743. La costituzione della Suprema Deputazione Generale di Salute Pubblica, posta sotto l’autorità del pretore di Palermo e do-tata di ampi poteri su tutto il territorio siciliano, caratterizzava la sanità pubblica dell’isola, rispetto al resto del Meridione, per un più marcato processo di accentramento burocratico-amministrativo. In alcuni settori, come la tutela della maternità e degli esposti, grazie alla collaborazione tra stato e chiesa, i livelli raggiunti furono deci-samente positivi e ciò anche perché diverdeci-samente da quanto acca-deva a Napoli, a Palermo alcuni dei medici più noti erano uomini di chiesa animati da spirito di carità cristiana17. Con la loro

collabo-razione, nel 1770, l’“Accademia medica” cittadina era riuscita ad aprire presso otto parrocchie altrettanti presidi sanitari gratuiti per i bisognosi affidati a trentasei medici volontari. Ai ceti abbienti, inve-ce, provvedeva la cosiddetta “Associazione del grano” che garantiva agli iscritti cure mediche e degna sepoltura dietro versamento della somma di un “grano” settimanale. Oltre alle iniziative della chiesa e dei privati anche l’intervento dello stato muoveva i primi passi. Nel 1783 il vicerè Caracciolo, nell’ambito di un articolato e illuminato programma riformista18, aveva promosso iniziative di “polizia

medi-ca” assegnando a ciascuno dei quattro quartieri della città due medici e un chirurgo stipendiati. Le norme d’igiene cittadina introdotte ma soprattutto il progettato cimitero civico, comune per tutti gli abitanti senza distinzione di ceto, incontrarono forti resistenze non solo nel mondo ecclesiastico ma anche tra il popolo e i nobili. Nonostante gli insuccessi, dopo il rientro a Napoli del Caracciolo, l’impegno del

(10)

go-verno nel promuovere la salute pubblica non venne del tutto meno. Nel 1787 il vicerè Caramanico accettava la proposta dei medici di estendere a più ampi strati di popolazione a rischio la profilassi anti-vaiolosa già sperimentata a Catania negli anni Sessanta. Un anno più tardi il re ordinava che a Palermo due volte l’anno si istruissero nel-la tecnica dell’inocunel-lazione otto barbieri e otto levatrici provenienti dalle principali città dell’isola. Sempre con l’approvazione del re, nel 1801, Marshall e Wolker praticarono sull’isola le prime vaccina-zioni jenneriane che portarono l’anno seguente all’istituzione della “Direzione Vaccinica” guidata da Michele Troja con la collaborazio-ne di Antonio Miglietta19.

In questo contesto la scienza ufficiale non poteva restare in silen-zio di fronte al diffondersi dell’uso terapeutico del magnetismo al di fuori di ogni controllo professionale e delle autorità sanitarie. I motivi di preoccupazione non mancavano. A differenza di quanto solitamente accadeva, alla nuova terapia non si ricorreva nel chiu-so delle pareti domestiche, nella chiu-solitudine del tradizionale rapporto con il farmaco vissuto nell’attesa e nella speranza dell’efficacia della cura decisa dal medico. Né il successo del rimedio poteva attribuirsi al ciarlatano di turno; secondo il più famoso medico palermitano del tempo, l’abate Meli, si trattava piuttosto della spontanea reazione al discredito di una classe medica abituata a misurare le capacità professionale “dalla mole, peso, tono di voce, maniera di vestire e di marciare, dal salir le scale dei grandi, dalla spessa citazione di autori in lingue esotiche ed altre cose simili. Coloro cui mancano questi naturali requisiti ricorrono ai corteggi, agl’intrighi ed ai ma-neggi poco decenti, per cui questa nobile professione è in oggi cadu-ta nell’ultimo discredito ed avvilimento”20. Dinanzi a questo

ritrat-to, moraleggiante ma realistico, non sorprende che fossero gli stessi ammalati a decidere se, come e quando sottoporsi ad una terapia di cui si discuteva senza reticenze o falsi pudori con amici e conoscen-ti. Nei salotti borghesi e nei ritrovi dell’aristocrazia, il più famoso

(11)

dei quali si teneva nella casa del Marchese di S. Lucia e che, non a caso, era chiamato la grande conversazione, si socializzavano storie di malanni e di guarigioni, in un crescendo di entusiasmo che aveva finito per creare una vera e propria leggenda metropolitana difficile da arginare visto il lignaggio dei testimoni.

Alcuni medici e gli stessi malati avevano tenuto una sorta di “diario clinico”, poi messi a disposizione del Poli, dai quali si apprende, ad esempio, che il principe di butera, sofferente di emicrania e di reumatismi registrava attentamente gli effetti del rimedio. Dopo set-te ore, il magneset-te gli aveva procurato agitazione e sudori freddi e addirittura un aumento dei dolori, ma, trascorse altre due ore, tutti i sintomi erano scomparsi e al loro posto era subentrato “un certo senso di leggerezza e un notabile vigore in tutte le membra”21. Altri,

come nel caso del principe di Paternò Moncada, si erano rivolti al medico di fiducia a cose fatte. L’aristocratico, da anni sofferente di gotta e costretto a letto da due settimane dai dolori, venuto a sape-re del nuovo rimedio si era procurato una calamita e, fiducioso, se l’era appesa al collo; la scomparsa dei dolori era stata certificata dal medico personale, il dott. Manzella che notava, in aggiunta, la scom-parsa del gonfiore tipico dell’affezione. Grazie alla cura il principe aveva riprese la sua vita a corte raccontando a tutti della guarigio-ne, attestata del resto de visu con la partecipazione all’annuale ballo di carnevale, da tempo disertato suo malgrado. Sfortunatamente per lui, dopo pochi mesi il male prese nuovamente a tormentare l’arzillo gentiluomo. Prima di chiudere questa breve galleria di malati illustri va ricordato il caso del principe di belmonte Ventimiglia rimasto gravemente invalido a seguito della frattura del braccio sinistro. Il belmonte aveva deciso di collocare il sacchetto miracoloso all’al-tezza della bocca dello stomaco. Dopo quattro ore aveva avvertito uno stato di crescente agitazione seguito da una settimana di febbre e insonnia. Nello stesso lasso di tempo, però, a poco a poco il braccio, che del resto non aveva mai perso del tutto la sensibilità, aveva

(12)

ripre-so a muoversi con maggiore agilità. Trascorsi altri sette giorni senza ulteriori progressi il principe decise di aggiungere alla calamita na-turale una artificiale e procuratasi una “verga magnetica” l’applicò direttamente al braccio. Pur perdurando lo stato di agitazione e di insonnia il paziente aveva costatato un miglioramento tale da indurlo a continuare con il mix di magnetismo naturale ed artificiale22.

Ovviamente il diffondersi dell’autoterapia minava il prestigio dei medici preoccupati oltre tutto dagli ovvi risvolti economici della vicenda. Si profilava il rischio di una medicina senza medici, un’u-topia particolarmente rischiosa; ovviamente quando ad invaghirse-ne erano i pazienti facoltosi. In qualche caso si correva ai ripari seguendo la corrente. Il già menzionato dott. Meli si adattava a me-dicare “all’inglese” i suoi pazienti di gotta, con risultati non sempre confortanti tanto che qualcuno dei suoi clienti, visto l’insuccesso, sospendeva senza consultarlo la cura e buttava via la calamita. Il Meli, che non voleva passare per ciarlatano o medico alla moda, tentava in tutti i modi di convincere i suoi pazienti a sopportare gli iniziali disturbi che erano un passaggio obbligato verso la guari-gione. I dubbi scientifici e deontologici però lo assalirono e poiché oltre che medico era anche abate, si recò a fare visita ad un vecchio e colto francescano, irrimediabilmente afflitto dalla gotta fin dalla gioventù. Quando giunse al convento con suo grande stupore non lo trovò sprofondato, come al solito, in poltrona bensì seduto su una comune sedia. Accortosi del disagio del medico il settantenne frate gli confidò che da mesi si sottoponeva alla nuova cura e gli descrisse con dovizia di particolari il decorso della malattia durante quaranta giorni di magnetoterapia. Si premurava di riferirgli anche gli effetti “morali” della cura con gli aveva provocato l’alternanza di “una specie di grave malinconia che veniva dileguata da una so-pravveniente insolita ilarità”23. Il risultato però alla lunga era stato

ec-cellente perché finalmente dormiva tranquillamente ed era “sereno di mente” e aveva ripreso a mangiare carne, uova e salumi e bere… rum.

(13)

Sfortunatamente per lui lo stato di grazia non durò a lungo cosicché, quando dopo qualche mese, il male si ripresentò, il saggio frate pen-sò bene di tornare alle medicine tradizionali. Come talvolta accade in simili circostanze non tutti erano disposti a seguire pigramente l’opinione prevalente ed erano stato sollevati dubbi sul reale potere del magnete. Il dott. Scarcella, andava in giro raccontando, a dire il vero con scarso successo, di un cavaliere che spinto dagli amici a riprendere la magnetoterapia, volontariamente sospesa per la sua inefficacia, era andato incontro a guai peggiori culminati con l’ag-gravarsi della gotta.

Le testimonianze riportate nel Saggio mettono in luce la natura socia-le del rapporto terapeutico e confermano socia-le considerazioni dei Porter sulla relativa autonomia del malato ancien régime24. Mentre

nell’o-spedale il malato aveva ben poche possibilità di sfuggire alla medi-calizzazione forzata diverse erano le dinamiche nel rapporto privato tra medico e paziente. Con la clientela pagante gli equilibri di potere si facevano più sfumati e potevano persino invertirsi quando si trat-tava di pazienti altolocati. Una realtà che anche un medico- scienzia-to come Poli non poteva non tenere presente; di qui la prudente di-chiarazione di non voler “magnificare la virtù medicamentosa della calamita”, ma unicamente esporre i fatti per incoraggiare il pubbli-co a “sperimentarla” pubbli-con moderazione e discernimento25. Per prima

cosa, Poli sgombrava il campo da pericolose illusioni invitando tutti alla prudenza e a fare tesoro dei risultati della più avvertita scienza medica che aveva dimostrato essere una “vana lusinga” l’idea che il magnetismo potesse essere una panacea o guarire malattie croniche come la gotta. Né del resto era comprensibile l’improvvisa curiosità dell’opinione pubblica visto che il ricorso al magnetismo non era af-fatto una novità in medicina. Dopo avere ricordato come l’uso della calamita, polverizzata e somministrata per via orale o utilizzata nella composizione di taluni impiastri, fosse già presente nella farmaco-pea antica, Poli liquidava senza mezzi termini le strane idee di

(14)

ma-ghi, alchimisti e astrologhi moderni, che non meritavano nemmeno di essere prese in considerazione da “menti illuminate”. L’implicito riferimento a Paracelso e ai suoi epigoni, era particolarmente oppor-tuno nella città che aveva dato i natali a Cagliostro26.

Poli non smentiva che la recente letteratura medica avesse confer-mato il buon esito della magnetoterapia, ciò accadeva però in un numero limitato e ben preciso di malattie. Dunque, più che negarne l’efficacia Poli proponeva di seguire la prassi terapeutica più accre-ditata non tralasciando di ricordare che, in generale, il corretto uso dei farmaci dipendeva da variabili che solo il medico può valutare. Portare una calamita appesa al collo non era certamente il metodo migliore per sfruttare al massimo la forza del magnetismo. Inoltre in alcuni pazienti la cura poteva risultare dannosa e la casistica mo-strava chiaramente il rischio di effetti collaterali quali agitazione e febbre, anche se il Poli non escludeva che potesse trattarsi di cri-si passeggere foriere di guarigione. Data per accertata l’influenza della forza magnetica sul corpo umano, confermata dalle guarigio-ni ottenute ricorrendo al magnetismo naturale, e ancor più a quello artificiale, Poli sottolineava che i migliori risultati si registravano nelle affezioni provenienti “da attacco nel sistema nervoso”, palpi-tazioni di cuore, convulsioni, mal di denti e affezioni reumatiche27.

Secondo Poli il rapporto tra elettricità, magnetismo naturale e orga-nismo era confermato, anche se per via analogica, dai classici espe-rimenti condotti sui pesci elettrici che mostravano come “la calamita approssimata alla torpedine le toglie, o diminuisca al sommo grado la sua facoltà di dar la scossa”28. Dai risultati delle dissezioni degli

organi elettrici della torpedine eseguite da Hunter e Pringle, inol-tre, si poteva inferire, secondo Poli, che nella torpedine l’azione del magnetismo agiva sull’elettricità accumulata nel sistema nervoso. Negli anni Novanta un’ulteriore conferma sperimentale dell’azione dell’elettricità e del magnetismo sull’uomo era venuta dalla scoperta dell’elettricità animale del Galvani: infatti, secondo Poli,

(15)

se l’elettricità e il galvanismo, che secondo tutte le apparenze han qualche sorta di analogia colla virtù magnetica, siccome alcuni fenomeni sem-brano indicare, agiscono con tanto vigore sul corpo degli animali; perché tanta ripugnanza ad attribuire qualche sorta di efficacia anche alla forza magnetica cotanto poderosa ed attiva?

in campo terapeutico non si può lasciare intentata nessuna strada né si poteva aprioristicamente negare al magnetismo – vista la presenza di ferro nel sangue – “la possibilità di poter operare alcune guarigioni”29.

Data la natura divulgativa del testo lo scienziato non si sofferma-va sugli aspetti teorici della fisica del magnetismo – per maggiori approfondimenti rimandava al suo manuale dove ampio spazio era stato dedicato alla trattazione dei fenomeni elettrici e magnetici – rimarcando, piuttosto, la necessità di adeguare l’inevitabile em-piria dell’ars medendi ai recenti sviluppi dell’elettrofisica grazie ai quali si erano ottenuti magneti artificiali di straordinaria potenza. In tutti i casi si trattava di un settore di studi particolarmente com-plesso ed ancora lontano dai traguardi raggiunti in altri campi delle scienze fisiche.

Il testo si chiude con una breve ricostruzione delle alterne fortune delle terapie elettriche e magnetiche che la comunità scientifica in-ternazionale aveva a lungo considerato un promettente campo d’in-dagine. Nella seconda metà del XVIII secolo, infatti, in tutte le prin-cipali accademie mediche europee le pubblicazioni sull’argomento di scienziati e medici si erano moltiplicate, almeno fino all’anno 1781, quando, sottolinea il Poli, “l’uso della calamita principiò a de-clinare e quindi porsi quasi in abbandono” per poi riprendere vigore nei primi anni del XIX secolo grazie all’impegno di alcuni membri della “Società Reale di medicina” di Parigi. La data indicata non era casuale e Poli per la prima volta nella sua lunga carriera scientifica si pronuncia sulla teoria del “magnetismo animale” di Franz Anton Mesmer. Prima di allora aveva taciuto, così come avevano fatto tutti i principali esponenti della scuola medica napoletana che non avevano

(16)

condiviso la curiosità dei circoli colti del meridione d’Italia per il mesmerismo – testimoniata, ad esempio, dalla lettera del 4 luglio 1786 indirizzata al primo ministro Caracciolo dal segretario dell’ambascia-ta napoledell’ambascia-tana in Francia cavalier Pio, dalla quale apprendiamo che

il parere datomi dallo stesso M. Vicq d’Azyr sul magnetismo animale lo comunico con questo stesso corriere a cotesto sig. duca di Termoli che mi avea fatto delle questioni su di tale materia30.

Sul principio degli anni Novanta, a dare voce allo scetticismo della scienza ufficiale napoletana provvedeva il medico Leonardo Marugj, che nelle riflessioni sullo stato attuale delle scienze, si limitava a liquidare sarcasticamente le speranze di chi si era illuso che

un vellicamento opportuno, un contatto semplice, un gioco delle punte delle dita sufficiente era a guarire presso che tutte le malattie. Ciò fece gran rumore, come dovealo fare: furono dati i Commissarj dal Re di Francia; e questi deponendo di essere tutta impostura svanì nel nascere ogni dottrina, e sistema di tale argomento31.

Va anche ricordato che nell’estate del 1790 il Regno di Napoli era sta-to teatro dell’incursione “scientifica” di Pierre Thouvenel che in diver-si luoghi aveva ediver-sibito le doti di “mineroscopo vivente” dell’asdiver-sistente Pennet i cui presunti successi avvaloravano la teoria dello scienziato francese sull’universale comunicazione dei fluidi elettrici e magnetici. In Italia le sorti della rabdomanzia di lì a poco si sarebbero intrecciate con la controversia sull’elettricità animale scatenata dagli esperimenti di Galvani32.

Nonostante il monito rivolto ai lettori a non confondere il magneti-smo “minerale” con quello “animale”, perché quest’ultimo, qualo-ra esistesse, sottolineava Poli, “potrebbe in certo modo differire dal

minerale come il galvanismo differisce dall’elettricità”33,

l’accosta-mento del “magnetismo animale” di Mesmer all’elettricità organica scoperta dal Galvani era lecito poiché le forze magnetiche ed

(17)

elet-triche presentavano caratteristiche simili ed avevano in natura una diffusione tale da fare ipotizzare che “non siano, quasi sarei per dire, che una medesima cosa, tranne qualche sorta di differenza nella loro modificazione”34. Ancora più esplicito era stato Poli nella Memoria

presentata nel 1784 all’Accademia di Scienze di Napoli dove aveva definito l’elettricità e il magnetismo “modificazione di una mede-sima sostanza”. Per questo motivo, il medico costretto a misurarsi

malgrè lui con il ritorno di teorie e pratiche emarginate dalla

co-munità scientifica ufficiale non nascondeva, passata la buriana, la personale delusione per dubbi lasciati irrisolti dalla rinuncia ad un più attento controllo scientifico in un campo di ricerche incerto ma, secondo lui, basato su di un’ampia, ragionevole e verificata casistica. A tal proposito ricordava che decenni prima a Parigi egli stesso era venuto a conoscenza di alcuni casi di guarigione ottenuti con terapie elettriche e magnetiche, poi presentati da Joseph Aignan Sigaud de la Fond nel Dizionario delle meraviglie della natura, e di fronte ai casi di guarigione non sospetti riteneva opportuno distinguere la pra-tica mesmeriana dalla cornice teorica elaborata dal medico viennese. Di qui l’invito a separare le osservazioni, i “fatti”, dalla risibile cor-nice teorica; per quest’ultima il giudizio era drastico e senz’appello; in definitiva, secondo Poli, “teorie fondamentali su cui scioccamente pretendea Mesmer di appoggiare il suo nuovo ritrovato erano ridico-le ed insussistenti”. Anche la ceridico-lebre machine à guérir e ridico-le messe in scena dei suoi seguaci altro non erano che un “apparato d’impostura, d’entusiasmo e di stravaganza”. Poli non esitava, infine, a giudica-re farneticanti le ipotesi cosmologiche del Mesmer che attribuiva al corpo umano e alla calamita proprietà provenienti da un fluido sot-tilissimo, sparso fra il cielo e la terra, trasferibile da un corpo all’al-tro mediante opportune tecniche con il risultato di produrre effetti salutari “sul sistema nervoso” indipendente dall’età, dal sesso o dal temperamento dei soggetti. Non siamo di fronte ad un semplice caso di ritardo scientifico. Il mesmerismo, infatti, sebbene condannato

(18)

prima dalla facoltà di medicina di Vienna e poi definitivamente bol-lato nel 1784 come “mera impostura” da ben due commissioni com-poste da eminenti esponenti dell’“Accademia delle scienze” e della “Società Reale di medicina” di Parigi, al principio dell’Ottocento conosceva, come ricorda la Montesperelli, un “revival d’interesse” destinato ad ampliare nel corso del nuovo secolo “la zona d’ombra di una gravissima crisi istituzionale ed epistemologica, che poneva in luce il problema della demarcazione fra ciò che è scienza e ciò che non lo è”35. Di questo filo sottile Poli non sembra preoccuparsi e alla

luce delle scoperte del Galvani, giudicava eccessivo il livore con il quale gli avversari di Mesmer che avevano frettolosamente liquidato l’asserita identità dei fluidi elettrici e magnetici naturali con quelli organici. La condanna senza appello della scienza ufficiale aveva di fatto precluso ulteriori approfondimenti sulla relazione tra materia inanimata e funzioni vitali. Anche se la formazione medica lo mette-va in guardia dalla riduzione delle scienze della vita a quelle fisiche, Poli non rinunciava all’idea della sostanziale identità delle leggi che regolano la generalità dei fenomeni della natura.

Secondo lo scienziato pugliese un più attento vaglio delle presunte guarigioni affidato ad “esperienza e ragione” avrebbe consentito di approfondire senza pregiudizi e preconcetti l’eventuale esistenza e i reali effetti sull’organismo del “magnetismo animale”. La natura sottolineava, è come una carta geografica dove sono riportati molti fiumi dei quali s’ignora la sorgente; “contentiamoci dunque di osser-varne gli effetti” ascoltando persino “i suggerimenti delle donnic-ciuole e de’villani” frutto di lunga esperienza anche perché “questa è la prima base su cui fin dal suo nascere fu fondata la medicina”36.

E, fuor di metafora, anche se non riusciamo a spiegare la causa del “magnetismo animale” perché rifiutare, si chiedeva Poli, la possibi-lità stessa che l’interazione fra soggetti diversamente ‘sensibili’ ai fluidi elettrici e magnetici possa produrre “una certa influenza onde un uomo può far sentire una certa sensazione nella macchina di un

(19)

altro, che ne sia suscettibile, per lo mezzo di certi dati movimenti delle sue mani, ed operare per tal mezzo la guarigione di alcuna sorta di affezioni nervose”37. Il tempo e l’esperienza avrebbero deciso il

destino del “magnetismo animale”. Poli non riteneva di tradire l’i-deale newtoniano di scienza sperimentale cui s’era ispirato nella sua lunga attività di scienziato e naturalista né possiamo considerarlo un mesmeriano attardato se teniamo presente quanto scriveva, in quello stesso torno di tempo, un determinista convinto come Laplace, che sottolineava a proposito del mesmerismo che

nous sommes si éloignés de connaître tous les agens de la nature, qu’il serait peu philosophique de nier l’existence des phénomènes, uniquement parce qu’ils sont inexplicables dans l’état actuel de nos connaissances38.

Poli, per parte sua, poco o punto incline allo studio psicologico della suggestione e alla matematizzazione dei fenomeni, si arrestava sulla soglia di un materialismo inquieto ma, in definitiva, chiuso nella fi-duciosa attesa della futura comprensione delle misteriose forze che agiscono sull’organismo umano. Di lì a qualche decennio l’elettrofi-siologia sperimentale avrebbe contribuito allo sviluppo della ricerca bio-medica mentre Poli si congedava dai lettori avvisandoli che

D. Simone Natale capomastro ferraio di Sua Maestà, volendo rendere facile a ognuno l’acquisto delle calamite artificiali, di cui si è ragionato in questo saggio, si è applicato di proposito a costruirne di varie specie e grandezze, di acciaio ben temperato e fornite di notabil forza magnetica. Non avendo egli avuto in mira il suo interesse ma bensì il pubblico vantag-gio le vende a’ seguenti ravantag-gionevoli prezzi.

(20)

bIbLIOGRAFIA E NOTE

1. FRANCO S., La politica sanitaria durante il decennio francese nel Regno

di Napoli. Minturno (LT), Carananica, 2000; bOTTI G., L’organizzazione sanitaria nel decennio e VALENZI L., La povertà a Napoli e l’intervento del governo francese. In: LEPRE A., Studi sul Regno di Napoli nel decennio francese (1806-1815). Napoli, Liguori, 1985, pp. 81-98 e 59-80; RAFFAELE

S., Aspetti di politica assistenziale nella Sicilia borbonica. Catania, 1984; GUIDI L., L’onore in pericolo. Carità e reclusione nell’Ottocento

napole-tano. Napoli, Liguori, 1991; bORRELLI A., Medicina e società a Napoli nel secondo Settecento. Archivio storico per le provincie napoletane 1994:

123-177; bOTTI G., Da ospedale-ricovero a ospedale clinico: il Collegio

medico-cerusico degli Incurabili di Napoli. In: bOTTI G. [et alii], Povertà e benefi-cenza tra Rivoluzione e Restaurazione. Napoli, Morano, 1990, pp. 239-257;

DE ROSA G., Mezzogiorno e organizzazione sanitaria nell’età moderna:

alcuni aspetti. Rassegna economica 1973; 37: 1363-1381; MUSI A., La pro-fessione medica nel Mezzogiorno moderno. In: bETRI M.L., PASTORE A., Avvocati, medici, ingegneri. Alle origini delle professioni moderne. bologna,

Clueb, 1997, pp. 83-92. Su medici e speziali “giacobini” RAO A.M.,

Socio-logia e politica del giacobinismo: il caso napoletano. Prospettive Settanta;

1979: 212-239; PIERRI P., Le vaccinazioni antivaiolose nel Regno delle Due

Sicilie. Archivio storico per le provincie napoletane, 1988; 409-418.

2. NADDEO b.A., The Science of Man as the Science of Society. Medical

antro-pology in the Kingdom of Naples (1760-1790). Annali dell’Istituto Italiano per

gli Studi Storici, 1999; XVI: 289.

3. ROCHE D., La cultura dei Lumi. Letterati, libri, biblioteche nel XVIII secolo. bologna, Il Mulino, 1992, p. 405.

4. CATAPANO V.D., Matti agli ‘Incurabili’ di Napoli. Napoli, Liguori, 1995; bORRELLI A., Istituzioni scientifiche medicina e società. Biografia di

Dome-nico Cotugno (1736-1822). Firenze, Olschki, 2000; ID., Le origini della scuola medica dell’ospedale degl’Incurabili di Napoli. Archivio Storico per le

Pro-vince Napoletane 2000; 135-149; ANGRISANI V., L’Ospedale degli

Incura-bili di Napoli. Cenni storici. Miscellanea 21, 1968: 5-18, Istituto di storia della

medicina dell’Università di Roma; bOTTI G., Da ospedale-ricovero a ospedale

clinico: il Collegio medico-cerusico degli Incurabili di Napoli. In: bOTTI G., Povertà e beneficenza tra Rivoluzione e Restaurazione. Napoli, Morano, 1990,

pp. 239-257; IACOVELLI G., Gli acquedotti di Cotugno. Medici pugliesi a

(21)

5. CAZZANIGA A., La grande crisi della medicina italiana nel primo

Otto-cento. Milano, Hoepli, 1951. CATAPANO V.D., con la collaborazione di

ESPOSITO E., Medicina a Napoli nella prima metà dell’Ottocento. Napoli, Liguori, 1990, pp.117-153. Sulle dottrine mediche di John brown si veda bYNUM W.F. e PORTER R., Brunonianism in Britain and Europe. London, The Wellcome Institute, 1988. CANGHUILEM G., Ideologia e razionalità

delle scienze della vita. Firenze, La nuova Italia, pp. 39-47. Cfr.

COSMA-CINI G., Teorie e prassi mediche tra Rivoluzione e Restaurazione:

dall’ide-ologia giacobina all’idedall’ide-ologia del primato. In: DELLA PERUTA F. (a cura

di) Storia d’Italia. Annali 7: Malattia e medicina, Einaudi, Torino, 1984, pp. 151-205; ID., COSMACINI G., Storia della medicina e della sanità in

Ita-lia. Roma-bari, Laterza, 1987, pp. 257-276. DE FRANCESCO A. Fortune (e sfortune) del brownismo nell’Italia di Bonaparte: l’esempio di Tommaso Cappiello, medico di Picerno. Nota a CAPPIELLO T., Confutazione del sistema di Brown. Manduria, Laicata, 1999, pp. 7-39.

6. POLI G.S., Breve saggio sulla calamita e sulla sua virtù medicinale. Palermo, Stamperia Reale, 1811. D’ora in poi Breve saggio. Sull’opuscolo si è di recente soffermata DE FRENZA L., Verghe elettriche e verghe magnetiche a Napoli

nei primi decenni dell’Ottocento. Anthropos & Iatria 2003; 1: 88-96. Per una

sintetica biografia scientifica del Poli vedi la scheda di DE FRENZA L. In De CEGLIA F.C., Scienziati di Puglia. Secoli V a. C.-XXI d.C., bari, Adda, 2007, pp. 161-164.

7. POLI G.S., Testacea utriusque Siciliae eorumque historia et anatome tabulis

aeneis illustrata. 2 voll., Parmae, ex Regio Typographeio, 1791-1795; ID., Ele-menti di fisica sperimentalecomposto per uso della Regia università. 2 voll.,

Napoli, Di Simone, 1787. SCHETTINO E., L’insegnamento della fisica

speri-mentale a Napoli nella seconda metà del Settecento. Studi Settecenteschi, 1998;

367-376. L’edizione veneziana del manuale del Poli con il supplemento di Dan-dolo V., Fondamenti della scienza fisico-chimica, fu adottato per gli studenti pavesi su suggerimento di A. Volta che sottolineava l’equilibro con il quale lo scienziato napoletano presentava le opposte tesi sulla nuova chimica. Si veda la lettera al Magistrato Politico Camerale ed alla Giunta degli studi VOLTA A., Epistolario. 5. voll., bologna, Zanichelli, 1949-1953, vol. III, p. 517. Delle prime tre edizioni venete furono vendute ben diciottomila copie. Sulle Note del Dandolo al manuale del Poli si è di recente soffermata R. SELIGARDI,

Lavoi-sier in Italia. La comunità scientifica italiana e la rivoluzione chimica. Firenze,

Olschki, 2002, pp. 35-43 cfr. SEbASTIANI F., I fluidi imponderabili. Calore ed

(22)

8. DE FRENZA L., op. cit. nota 6, p. 92.

9. HEILbRON J.L., Alle origin idella fisica moderna. Il caso dell’elettricità. bologna, Il Mulino, 1984, p. 373.

10. EGO A., «Animalischer Magnetismus» oder «Aufklärung»: eine

mentalität-genschlichtliche Studie zum Konflikt um ein Heilkonzept im 18. Jahrhundert,

Würzburg, Königshausen un Neumann, 1991. Su medicina elettrica e mesme-rismo vedi SUTTON G., Eletric medicine end Mesmeris. Isis 1981; LXXII: 375-392. Dopo il pioneristico studio di DARTON R., Mesmerism and the End

of the Enlightenment in France. Cambridge (Mass.), Harvard U.P., 1968, (tr.it.,

Milano, Medusa, 2005); numerosi autori nell’affrontare gli aspetti scientifici del mesmerismo ne hanno messo in luce le implicazioni politiche, religiosi, sociali e di costume, e non sono mancati i tentativi di inserire Memser nella prospettiva della psicologia dell’incoscio. Cfr. RAUSKY F., Mesmer ou la

révolution thérapeutique. Paris, Payot, 1977 (tr.it., Milano, Feltrinelli, 1980);

CRAbTREE A., From Mesmer to Freud. Magnetic Sleep and the Roots of Psychological Healing. Hamilton (N.Y.), Yale U.P., 1993.

11. Vedi PERA M., La rana ambigua. La controversia sull’elettricità animale tra

Galvani e Volta. Torino, Einaudi, 1896.

12. DE FRENZA L., I sonnambuli delle miniere. Amoretti, Fortis, Spallanzani e il dibattito sull’elettrometria organica e minerale in Italia (1790-1816), Firenze, Olschki, 2005, p.27.

13. Sul protettorato britannico vedi bIANCO G., La Sicilia durante

l’occupa-zione inglese (1806 -1815). Palermo, Reber, 1902; RENDA F., La Sicilia nel 1812. Caltanissetta-Enna., 1963.

14. PITRĖ G., La vita in Palermo cento e più anni fa. 2 voll., Palermo, Reber, 1904-1905, in partic. vol. I, cap. III e vol. II capp. XXII, XXIII e XXV. Sulla medicina in Sicilia nella prima età moderna vedi DOLLO C., Modelli

scientifici e filosofici nella Sicilia spagnola. Napoli, Guida, 1984, in partic.

I capp., II, III e V; sull’insegnamento delle discipline scientifiche a Palermo vedi NASTASI P., Domenico Scinà e la fisica palermitana fra Settecento e

Ottocento. Studi Settecenteschi 1998; 377-406.

15. Il testo della riforma dell’università del 1779 in COCO A., La Facoltà di

medicina e l’Università di Catania. Firenze, Giunti, 2000.

16. PITRĖ G., op. cit. nota 14, vol. II, p. 441.

17. RAFFAELE S., Aspetti di politica assistenziale nella Sicilia Borbonica. Catania, 1984; ID., Dalla beneficenza all’assistenza. Momenti di politica

assistenziale nella Sicilia moderna. Catania, 1990. Nelle sue ricerche la

(23)

e l’autorevole esponente del clero Francesco Emanuele Cangiamila, autore nel 1747 dell’Embriologia sacra; dalla loro collaborazione scaturirono le Istruzioni sugli esposti del 1751

18. PONTIERI E., Il riformismo borbonico nella Sicilia del Sette e dell’Ottocento. Napoli, ESI, 1961.

19. bORRELLI A., Dall’innesto del vaiolo alla vaccinazione jenneriana: il

dibattito scientifico napoletano. Nuncius, Annali di storia della scienza. 1997;

1: 67-85.

20. Citato in PITRĖ G., op. cit. nota 14., vol. II, p. 376. 21. Breve saggio, op. cit. nota 6, p. 41.

22. Ivi, pp. 42-45. 23. Ivi, p.46.

24. PORTER D., PORTER R., In Sickness and in Health: the British Experience

1650-1850. London, Fourth Estate, 1988.

25. POLI G.S. Breve saggio… op. cit. nota 6, p. 47.

26. Secondo Paracelso applicando la calamita alle parti malate si poteva modifi-care l’influsso del fluido etereo terrestre e cosmico agente in senso positivo o negativo sul corpo umano.

27. POLI G.S. Breve saggio… op. cit. nota 6, p. 56.

28. Ivi, p. 57. Sulle ricerche sui pesci elettrici vedi PICCOLINO M., bRESA-DOLA M., Rane, torpedini e scintille. Galvani, Volta e l’elettricità animale. Torino, bollati boringhieri, in particolare cap. IV pp. 129-181.

29. Ivi., p. 67.

30. Citato in: SCHIPA M., Un ministro napoletano del secolo XVIII (Domenico

Caracciolo). Napoli, Pierro, 1897, pp. 45-46.

31. MARUGI L., Stato attuale delle scienze. Napoli, s.n.t., 1792, parte I, t. I, pp. 50-51.

32. CIANCIO L., La resistibile ascesa della rabdomanzia. Pierre Thouvenel e la

«Guerra di Dieci anni». Intersezioni 1992; 2: 267-290. DE FRENZA L., op.

cit. nota 12. Su galvanismo e rabdomanzia vedi bERNARDI W., I fluidi della

vita. Alle origini della controversia sull’elettricità animale. Firenze, Olschki,

1992, pp. 326-339.

33. POLI G.S. Breve saggio… op. cit. nota 6, p. 68.

34. Ivi, p. 24. Lo stesso concetto lo ritroviamo nella Memoria presentata nel 1784 all’Accademia Reale “la materia elettrica, e la folgore sieno per ogni sorta di riguardo la medesima cosa; e che ambedue non differiscano altrimenti dalla forza magnetica, se non che come il fuoco vedesi differir dalla luce: intendo dire con ciò, che siccome il fuoco, e la luce, comeché secondo tutte

(24)

le più plausibili apparenze sieno dotati della stessa natura, pure appaiono tra se diversi, per ragione che la luce ha per naturale proprietà di muoversi costantemente in linee dritte, e’l fuoco per lo contrario, fornito di movimento perturbato, si suol propagare in ogni sorta di direzione, così la forza magne-tica quantunque abbia un’essenza comune con quella dell’elettrico fluido, e della folgore, pure non di meno si diffonde costantemente giusta la determi-nata direzione, che si sporge dall’uno all’altro polo, o ad altra, che a cote-sta si approssima; laddove il fluido elettrico, e la folgore trascorr sogliono indifferentemente in qualsivoglia sorta di direzioni. Tutte le altre diversità apparenti, che tra esse si scorgono, qualora vogliasi attentamente paragonare insieme, venir possono originate dalla diversa modificazione di una mede-sima sostanza. E poiché il ramo di scienza appartenente all’elettrico fluido, è per sua natura più suscettibile di esser investigato dall’umano ingegno, per esser egli più a portata di soggiacere a nuovi, e sempre variati cimenti; perciò lo stabilimento della già dichiarata analogia tende moltissimo a facilitare i progressi delle nostre ricerche in una materia così intralciata ed oscura, qual è quella del magnetismo” (POLI G.S., Osservazioni fisiche concernenti

l’elet-tricità, il magnetismo e la folgore. Atti della Reale Accademia delle Scienze e

Belle Lettere di Napoli dalla fondazione fino all’anno 1787, Napoli, Campo, 1788, pp. 194-195).

35. MONTESPERELLI F., Flussi e scintille: l’immaginario elettromagnetico

nella letteratura dell’Ottocento. Napoli, Liguori, 2002, p. 13.

36. POLI G.S. Breve saggio… op. cit. nota 6, p. 60. 37. Ivi, p. 70.

38. Il passo per intero recita: “de tous les instrumens que nous pouvons employer pour connaître les agens imperceptibles de la nature, les plus sensibles sont les nerfs, surtout lorsque leur sensibilité est exaltée par des circonstances particulières. C’est à leur moyen, que l’on a découvert la faible électricité que développe le contact de deux métaux hétérogènes; ce qui a ouvert un champ vaste aux recherches des physiciens et des chimistes. Les phénomènes singu-liers qui résultent de l’extrême sensibilité des nerfs dans quelques individus, ont donné naissance à diverses opinions sur l’existence d’un nouvel agent que l’on a nommé magnétisme animal, sur l’action du magnétisme ordinaire et l’influence du soleil et de la lune, dans quelques affections nerveuses; enfin, sur les impressions que peut faire naître la proximité des métaux ou d’une eau courante. Il est naturel de penser que l’action de ces causes est très-faible, et peut facilement être troublée par un grand nombre de circonstances acci-dentelles; ainsi de ce que, dans quelque cas, elle ne s’est point manifestée,

(25)

on ne doit pas conclure qu’ elle n’existe jamais. Nous sommes si éloignés de connaître tous les agens de la nature, qu’il serait peu philosophique de nier l’existence des phénomènes, uniquement parce qu’ils sont inexplicables dans l’état actuel de nos connaissances”. LAPLACE (de) P-S. Théorie analytique

des probabilités. Paris, Courcier, 1812, p. 358.

Correspondence should be addressed to:

Roberto Mazzola, Istituto per la storia del pensiero filosofico e scientifico moderno, CNR Napoli, Via Porta di Massa, 1 – 80133, Napoli, Italia.

Riferimenti

Documenti correlati

Maria Cristina Misiti – Dirigente Ufficio I° staff, Dipartimento per la Formazione Superiore e per la Ricerca - MIUR Giovanna Cassese – Accademia di Belle Arti di Napoli -

 Gli studenti iscritti ad un Corso di laurea in lingua inglese, saranno esonerati dal sostenere il test solo se il livello di inglese di accesso al proprio corso di laurea è pari

— Ma il fatto sta che allorchè in quella notte di febbrajo suonò quella tal ora, la contessa discese, e Amorevoli si alzò dal sedile di sasso e si tolse d'intorno

I componenti (linee, quadri e protezioni) utilizzati in un impianto elettrico devono essere idonei al tipo di posa e alle caratteristiche dell'ambiente e all'impianto, sempre

Il madrelinguismo corrisponde al livello C2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento (QCER). 3) Avere conseguito un livello minimo di competenza linguistica pari al livello

DIRECT (DIabetic REtinopathy Candesartan Trials) è un gruppo di 3 studi clinici multicentrici, randomizzati e controllati con placebo, finalizzati a verificare se il

titoli abilitanti all'esercizio di una delle professioni sanitarie ricomprese nella classe della laurea magistrale in Scienze delle professioni sanitarie tecniche assistenziali,

This paper has presented a brief overview of the early undergraduate and graduate students careers of Ernest Rutherford and Beatrice Hill Tinsley at the University of Canterbury