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Academic year: 2021

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TEORIA TESTO TRADUZIONE

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con il contributo dell’Area dipartimentale in Studi Linguistici, Filologici e Letterari Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trento

Comitato direttivo

Pietro Taravacci (Direttore responsabile),

Andrea Binelli, Matteo Fadini, Fulvio Ferrari, Carlo Tirinanzi De Medici.

Comitato scientifico

Simone Albonico (Lausanne), Federico Bertoni (Bologna), Corrado Bologna (Roma Tre), Fabrizio Cambi (Istituto Italiano di Studi Germanici), Claudio Giun-ta (Trento), Declan Kiberd (University of Notre Dame), Armando López Castro (León), Francesca Lorandini (Trento), Roberto Ludovico (University of

Massa-chusetts Amherst), Olivier Maillart (Paris Ouest Nanterre La Défense), Caterina

Mordeglia (Trento), Siri Nergaard (Bologna), Thomas Pavel (Chicago), Giorgio Pinotti (Milano), Massimo Riva (Brown University), Andrea Severi (Bologna), Jean-Charles Vegliante (Paris III – Sorbonne Nouvelle), Francesco Zambon (Trento).

Redazione

Giancarlo Alfano (Napoli Federico II ), Francesco Bigo (Trento), Daria Biagi (Roma Sapienza), Valentino Baldi (Malta), Andrea Binelli (Trento), Paola Cat-tani (Milano Statale), Vittorio Celotto (Napoli Federico II ), Silvia Cocco

to), Antonio Coiro (Pisa), Alessio Collura (Palermo), Andrea Comboni (Tren-to), Claudia Crocco (Tren(Tren-to), Francesco Paolo de Cristofaro (Napoli Federico II ), Francesca Di Blasio (Trento), Alessandra Di Ricco (Trento), Matteo

Fadi-ni (Trento), Giorgia Falceri (Trento), Federico Faloppa (Reading), Alessandro Fambrini (Pisa), Fulvio Ferrari (Trento), Alessandro Anthony Gazzoli

(Tren-to), Carla Gubert (Tren(Tren-to), Alice Loda (Sydney), Daniela Mariani (Trento – Pa-ris EHESS), Adalgisa Mingati (Trento), Valerio Nardoni (Modena – Reggio Emi-lia), Elsa Maria Paredes Bertagnolli (Trento), Franco Pierno (Toronto),

Stefa-no Pradel (Trento), Antonio Prete (Siena), Massimo Rizzante (Trento), Camilla Russo (Trento), Federico Saviotti (Pavia), Marco Serio (Trento), Paolo Tamassia (Trento), Pietro Taravacci (Trento), Carlo Tirinanzi De Medici (Trento), Alessia Versini (Trento), Alessandra Elisa Visinoni (Bergamo).

I saggi pubblicati da «Ticontre», ad eccezione dei Reprints, sono stati precedentemen-te sottoposti a un processo di peer review e dunque la loro pubblicazione è subordinata all’esito positivo di una valutazione anonima di due esperti scelti anche al di fuori del Co-mitato scientifico. Il CoCo-mitato direttivo revisiona la correttezza delle procedure e approva o respinge in via definitiva i contributi.

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sul tradurre in landolfi: tra teoria e

fisiologia

Raoul Bruni – Università di Padova

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L’intervento si propone di approfondire le riflessio-ni teoriche di Tommaso Landolfi intorno al tradur-re, così come emergono sia dagli scritti di accom-pagnamento a certe opere da lui stesso tradotte, sia dagli articoli di carattere giornalistico, in gran par-te mai raccolti in volume. Pur essendo convinto, al pari di Croce e degli amati romantici, che tradurre un’opera poetica in modo autentico non fosse pro-priamente possibile, Landolfi insisté più volte sul-l’utilità delle traduzioni, specie dalle lingue meno diffuse, e si impegnò in prima persona, fin dagli an-ni Trenta, a tradurre e divulgare i classici della lette-ratura russa in Italia (si pensi alla vasta e importante antologia dei Narratori russi che curò per Bompiani nel 1948). Oltre a molti classici della prosa, Landolfi tradusse, specie nella seconda fase del suo itinerario letterario, esemplari sillogi delle poesie di Puškin, Lermontov e Tjutčev. E in questo caso il tradurre diviene per lui un fondamentale presupposto per la sua attività di poeta in proprio (poi affidata alle tarde raccolte Viola di morte, del 1972, e Il tradimento, del 1977). Ma per Landolfi il tradurre fu anche e sopra-tutto espressione di una «mania dell’impossibile»: la stessa mania che gli dettò le pagine migliori della sua opera più propriamente creativa.

The paper aims at investigating Tommaso Lan-dolfi’s theoretical reflections on translation as they are in the author’s notes to his own versions and newspaper articles, which have been so far not col-lected together. Although Landolfi believed, in the wake of Croce and the Romatics, that an authen-tic act of translation was not possible, he claimed the utility of translations, especially in the case of languages which were then marginal to the Italian literary canon. This is way from the 1930’s onward he attended to the diffusion and translation of Rus-sian classics into Italian such as in the case of the pioneering collection of Russian authors

(Narra-tori russi) edited by Bompiani in 1948. Landolfi’s

in-terest for Russian literature brought him to trans-late, especially in the second part of his life, also exemplary poetic collections by Puškin, Lermon-tov e Tjutčev. The act of translation becomes here the fundamental means of interpretation of Lan-dolfi’s poetic activity, as it is in his late collections

Viola di morte (1972) and Il tradimento (1977).

How-ever, Landolfi’s taste for translation was above all the expression of an «impossible mania», that un-controlled creative feeling that dictated also his best and most inspired literary works.

È paradossale che uno dei più straordinari traduttori del nostro Novecento, quale è unanimemente reputato Tommaso Landolfi, sia stato, al tempo stesso, uno dei soste-nitori più radicali della tesi della strutturale inadeguatezza di ogni traduzione letteraria, se non di ogni traduzione tout-court. Per tale aspetto Landolfi può essere avvicinato a uno dei grandi scrittori italiani a lui più congeniali, Giacomo Leopardi, autore anch’e-gli di memorabili traduzioni letterarie, in questo caso dai classici, e, nondimeno, fautore dell’«assoluta impossibilità, e contradizione ne’ termini, dell’esistenza di una traduzione perfetta».1

Nel racconto che intitola il libro di esordio di Landolfi, Dialogo dei massimi sistemi (1937), Y, autore di alcuni componimenti poetici scritti in una lingua inesistente, nonché intellegibile soltanto a lui, si rammarica di non poter tradurre i propri versi ai suoi inter-locutori, se non in modo del tutto insoddisfacente: «quella traduzione libera [l’autotra-duzione dei versi in questione] non rende neppure lontanamente l’originale. Tradotta,

1 Giacomo Leopardi, Zibaldone, edizione commentata e revisione del testo critico a cura di Rolando Damiani, Milano, Mondadori, 1997, 3954 (7 dicembre 1823).

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la poesia è irriconoscibile e ha perduto tutto; così è destituita di ogni senso»;2mentre nella Piccola apocalisse, un importante racconto della stessa raccolta, Landolfi fa dire a un personaggio, suo evidente portavoce: «tradurre una luce e un colore è impossibile, e sappi anche che niente si può tradurre perché niente ha due significati o due vite».3 Tuttavia, tale radicale scetticismo non impedì a Landolfi né di tradurre numerosi volu-mi da tre diverse lingue (russo, tedesco e francese),4 né di continuare a riflettere sulla natura della traduzione. Sebbene le teorizzazioni di Landolfi su questo argomento non siano mai state espresse in forma sistematica, molto interessanti rimangono gli spunti in merito disseminati nella sua opera. A questo proposito, oltre alle note introduttive che accompagnano rispettivamente le sue versioni dei Racconti di Pietroburgo (1941) di Gogol’ e di Poemi e liriche (1960) di Puškin, meritano di essere presi in considerazione gli scritti landolfiani di carattere critico-giornalistico, costellati da riflessioni, non di rado acute e importanti, sul tradurre, non sempre presenti alla critica.5

Nei suoi intervanti critici, solo in parte raccolti in volume, Landolfi si occupa quasi sempre di autori stranieri, recensendo specialmente opere russe. Al contrario di molti cri-tici di professione di ieri e di oggi, che, occupandosi di letteratura straniera sui periodici culturali, dedicano poco spazio alle specificità della traduzione, Landolfi è molto attento alla qualità delle traduzioni e alle competenze dei traduttori. Talvolta esprime un giu-dizio secco, più o meno positivo o negativo, sulla qualità della traduzione, prestando, non di rado, attenzione anche alle prefazioni e alle note al testo (se, come traduttore in proprio, Landolfi si rifiuterà sempre, a meno che non ve lo costringa l’editore, di scrivere introduzioni e note alle sue traduzioni, come recensore, invece, sottolinea, in vari casi, l’importanza degli apparati esplicativi, per lodarne l’accuratezza, oppure per biasimarne le mancanze).6In altri casi, invece, laddove il volume recensito presenti particolari pro-blemi di traduzione, le sue recensioni si trasformano i veri e propri micro-saggi di analisi

2 Tommaso Landolfi, Dialogo dei Massimi sistemi [1937], in Tommaso Landolfi, Opere I. 1937-1959, a cura di Idolina Landolfi, prefazione di Carlo Bo, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 43-115, a p. 52.

3 Ivi, p. 76.

4 Per una bibliografia delle traduzioni landolfiane, cfr. Idolina Landolfi, L’«infernale lavoro» del

Landolfi traduttore, in «La Scrittura», ii (1996), pp. 6-14, in particolare, pp. 12-13.

5 Mentre, specie negli ultimi decenni, sono usciti diversi studi su Landolfi traduttore (cfr., tra l’altro, Idolina Landolfi, Postfazione, in Nikolai S. Leskov, Il viaggiatore incantato, a cura di Idolina Landolfi, trad. da Tommaso Landolfi, Adelphi, 1994, pp. 187-193; Renzo Rabboni, Landolfi traduttore di Puškin, in

Sequenze novecentesche per Antonio De Lorenzi, Mucchi, Mucchi, 1996, pp. 81-103; Landolfi, L’«infernale lavoro» del Landolfi traduttore, cit.; Marco Sabbatini, Traducere et dicere… «Silentium!» di Fëdor Tju-tčev. Note sull’analisi metrico-linguistica e sulla traduzione di Tommaso Landolfi, in Alizia Romanovic e

Gloria Politi (a cura di), Da poeta a poeta. Del tradurre la poesia. Atti del convegno, Lecce, 20-22 ottobre 2005, Lecce, Pensa MultiMedia, 2007, pp. 245-266; Valentina Parisi, Tommaso Landolfi traduttore di

Michail Lermontov, in Romanovic et al., Da poeta a poeta, cit., pp. 603-619; Valeria Pala, Tommaso Landolfi traduttore di Gogol’, Roma, Bulzoni, 2009), non esiste un contributo specifico sulle riflessioni

teoriche di Landolfi sul tradurre.

6 Ad esempio, recensendo l’edizione francese delle Lettres de Vincent Van Gogh à son frère Théo, pubbli-cata da Gallimard nel 1953, Landolfi, afferma: «fa certamente parte di un certo snobismo o di un certo sadismo francese il non aver corredato il testo di quelle notizie biografiche che, correnti quanto si vuole, sarebbe opportuno tener sott’occhio durante la lettura; e dieci note al più avrebbero risolto la questione» (Tommaso Landolfi, La dolcezza di Van Gogh [1954], in Tommaso Landolfi, Gogol’ a Roma, Milano, Adelphi, 2002, pp. 66-70, a p. 70).

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traduttiva. Basti pensare all’articolo sulla versione dell’Oneghin di Ettore Lo Gatto, dedi-cato quasi esclusivamente a questioni, anche molto tecniche, legate alla traduzione, men-tre dell’opera in quanto tale si parla soltanto nella sintetica conclusione.7Paradigmatica, in questo senso, è anche una delle prime recensioni landolfiane, incentrata sull’antolo-gia di poeti russi del Novecento La violetta notturna, pubblicata per la cura di Renato Poggioli nel 1933. Landolfi vi espone puntualmente i criteri adottati dal traduttore:

il Poggioli non ritiene traducibili se non gli autori coi quali si sia già ricono-sciuta e sperimentata una spiccata affinità spirituale (o semplicemente intellettua-le); parimenti, nella traduzione non ci si dovrà preoccupare di rendere la lettera, ma soltanto l’atmosfera dell’originale, giacché la traduzione stessa, in questo caso, può e deve essere restituita alla sua dignità di libera ricreazione secondo un dato schema, o, per essere più esatti, in una data direzione.

Secondo Landolfi, una modalità traduttiva come quella di Poggioli corre il rischio di produrre esiti discutibili sia nella scelta degli autori da antologizzare («per dodici poe-ti che ci sono presentapoe-ti, altrettanpoe-ti almeno ne sono tralasciapoe-ti»), sia nella resa dei tespoe-ti poetici: «chi traduce “dagli occhi di coniglio” con “guerci” si assume almeno una grave responsabilità». Se, come si vede, Landolfi non esita a cogliere in fallo Poggioli, con una severità di cui in futuro si sarebbe in parte pentito,8d’altro lato riconosce al volume re-censito il merito di presentare ai lettori italiani «il più delle volte in veste degna e col loro vero volto, un ottimo complesso di poeti quasi tutti di prim’ordine, tutti degni di esser conosciuti, e fino ad oggi scarsamente o malamente tradotti».9

Da queste osservazioni emerge uno degli aspetti più sorprendenti del Landolfi teori-co della traduzione: l’interesse per la funzione divulgativa legata alla pubblicazione delle opere straniere. Chi si aspetterebbe che uno scrittore aristocratico quanti altri mai, critico spietato del processo moderno di diffusione della cultura, in materia di traduzioni, si pre-occupi così spiccatamente della loro utilità divulgativa?10Eppure, se è vero, come scrive nell’importante recensione intitolata Traduzioni poetiche, che «meno la lingua dalla qua-le si conduce una qualsiasi versione è nota, più la versione è utiqua-le»,11l’utilità essenziale di una traduzione, per Landolfi, risiede proprio nel fatto di introdurre il lettore nell’ambito di un inedito mondo letterario. Non a caso, Landolfi, nelle sue recensioni, è sempre mol-to attenmol-to alle letterature apparentemente marginali o ancora scarsamente conosciute in Italia. Occupandosi di un’antologia di narratori bulgari esordisce scrivendo:

7 Cfr. Tommaso Landolfi, Puškin, in «Meridiano di Roma», xxxv (29 agosto 1937), p. VIII [recensione a Aleksandr S. Puškin, Eugenio Oneghin, versione poetica di Ettore Lo Gatto, Milano, Bompiani, 1937]. 8 Cfr., a questo proposito, il ricordo di Poggioli pubblicato da Landolfi nel «Corriere della Sera» il 31 maggio

1963, Morte di un amico (Tommaso Landolfi, Morte di un amico [1963], in Tommaso Landolfi, Opere II.

1960-1971, a cura di Idolina Landolfi, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 809-812).

9 Tommaso Landolfi, Recensione a Renato Poggioli, La violetta notturna. Antologia di poeti russi del Novecento, Lanciano, Carabba, 1933, in «Occidente», vi (1934), pp. 135-136.

10 Così Landolfi aveva introdotto le considerazioni appena citare: «Rimarrebbe qui da fare una questione generale di utilità, sempre a proposito quando si tratta di un’antologia: come e in che misura il Poggioli ha contribuito col presente suo lavoro alla conoscenza e all’apprezzamento della lirica russa contemporanea (o quasi?); ha egli almeno trascelto il meglio di ogni poeta presentato?», (ivi, p. 136).

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Si è abituati a considerare le letterature minori come fiorenti, sia pure pro-speranti, all’ombra delle maggiori, e patrimonio tutt’al più di pochi specialisti, la bulgara per esempio, all’ombra della russa. In conclusione ognuno si crede autoriz-zato a ignorare tutto o quasi di un intero popolo, per quanto piccino, e di un’intera letteratura, per quanto limitata, né ritiene tale conoscenza indispensabile alla pro-pria cultura. Ora, senza star qui a ripetere il luogo comune che qualunque popolo ha una sua parola da dire, un simile punto di vista è per molti riguardi ingiusto. Sarà benissimo che ogni letteratura finché non+ diventa una grande letteratura (e anche allora!…), abbisogna di innumerevoli importi ed aiuti, ma da questo a con-cludere che è inutile ci corre un bel po’. E, tanto per cominciare, gli accostamenti razziali sono quasi sempre arbitrari nell’ambito della storia letteraria.12

Salta subito agli occhi il riferimento all’arbitrarietà degli «accostamenti razziali», particolarmente significativo dal momento che la recensione esce nel 1940, due anni dopo l’approvazione delle leggi fasciste sulla difesa della razza. Del resto, Landolfi, traducendo e divulgando la letteratura russa negli anni del fascismo andava in netta controtendenza con le istanze autarchiche del Regime,13per di più in un periodo in cui la slavistica in Italia era ancora una disciplina agli esordi. Si pensi soltanto al gravoso impegno che si as-sunse con l’editore Bompiani di curare la vasta antologia dei Narratori russi, gran parte delle quale venne preparata, in collaborazione con altri traduttori, nei difficili anni della Seconda guerra mondiale.14Anche nelle recensioni uscite negli anni Cinquanta Landolfi rimane fedele a questa sua idea di utilità nel campo delle traduzioni. Cosicché, ad esem-pio, recensendo una nuova edizione, tradotta dallo stesso Poggioli, dell’antico Cantare

della gesta di Igor, sottolinea l’opportunità di questa operazione editoriale, mostrando

«quanto risulti utile la fatica di Poggioli in ciò che essa ha di nobilmente divulgativo; precipuo suo intento è infatti “presentare ai lettori d’Italia, e nella lingua di Dante, un capolavoro quasi ignoto nel nostro paese”».15Tuttavia, anche in questo articolo, non manca di rimproverare al Poggioli qualche eccesso di libertà nella traduzione: «Posto che ogni versione debba essere in una certa misura dichiarativa (del che ci siamo dopo lunga esperienza convinti), tanto più sensibile una tale esigenza appariva qui, dove ci si muove in una civiltà letteraria e in fondo anche in una immaginativa poco familiari al lettore italiano».16

Sull’utilità di certe traduzioni, Landolfi torna anche occupandosi dell’ampia raccol-ta dei racconti di Tolstoj ediraccol-ta da Einaudi in vari volumi per la cura di Agostino Villa: «possiamo rallegrarci che, grazie ad alcuni intelligenti editori e curatori, la letteratura russa non sia più per il lettore italiano un qualcosa da immaginare, anziché da conoscere,

12 Tommaso Landolfi, Narratori bulgari, in «Oggi», ix (2 marzo 1940), p. 20 (l’antologia di cui si occupa è Narratori bulgari, a cura di Luigi Salvini, Roma, Istituto per le Relazioni Culturali con l’Estero, 1939). 13 Cfr., per questo aspetto, Pala, Tommaso Landolfi traduttore di Gogol’, cit., in particolare, pp. 13-46. 14 Sul progetto e la genesi editoriale dell’antologia Narratori russi. Raccolta di romanzi e racconti dalle origini

ai nostri giorni, a cura di Tommaso Landolfi, Milano, Bompiani, 1948, cfr. Idolina Landolfi, «Il piccolo vascello solca i mari». Tommaso Landolfi e i suoi editori. Bibliografia degli scritti di e su Landolfi (1929-2006), 2 voll., Firenze, Cadmo, 2015, vol. I, in particolare, pp. 20-29.

15 Tommaso Landolfi, Un antico canto epico [1954], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 62-65, a p. 62 (recensione a Cantare della gesta di Igor, a cura di Renato Poggioli, Einaudi, 1954).

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e abbia acquistato la dignità anche esteriore che le compete»;17e sottolinea la necessità di tradurre in italiano anche le opere teoriche di Tolstoj, alcune delle quali hanno, a suo giu-dizio, un valore intrinseco non minore rispetto a certi testi narrativi del grande scrittore russo.

L’utilità intrinseca alle traduzioni da lingue poco note sembra addirittura permet-tere di aggirare, almeno per certi versi, la preliminare impasse dell’intraducibilità della poesia. Occupandosi dell’edizione italiana di un classico polacco, come il Pan Tadeusz di Adam Mickiewicz, Landolfi, pur affermando che nella traduzione si è perduto «molto e forse troppo dell’originale», esorta comunque il lettore italiano a non lasciarsi scappa-re l’occasione di accostarsi ad un testo come questo, giacché: «la vera poesia è una gran signora, e per noi pitocchi le briciole che cadono dalla sua mensa sono ancora (coi tempi che corrono) un cibo sostanzioso».18

Sulla base della sua concezione di utilità nel campo delle traduzioni, lo scrittore, nel-la già citata recensione Traduzioni poetiche, giudica positivamente l’antologia di Heine curata da Tomaso Gnoli e Amalia Vago, giacché, sebbene la traduzione non sia priva di mende (Landolfi afferma anzi che queste nuove traduzioni solo di rado superano per qualità quelle già esistenti), rimane il fatto che «pochi purtroppo conoscono il tedesco; e non è escluso che, fra tante versioni, qualcuna pure serbi un vago riflesso dell’originale. / Alle brutte un lettore di buona volontà ne sarà invogliato a studiare quella lingua: per vedere se è proprio tanto bestia quanto sembra, questo Heine!».19

Viceversa, quando la lingua da cui si traduce è ben nota, come il francese, nel caso di poeti di ardua lettura quali quelli antologizzati nel volume Liriche francesi

moder-ne,20 secondo Landolfi (e qui è invece riconoscibile la sua tipica sensibilità aristocrati-ca), andrebbe addirittura messa in discussione la stessa ragion d’essere di una eventuale traduzione:

Vale davvero la pena di tradurre dal francese e non, badiamo, un romanzo popolare, ma anzi un gruppo di poeti di ombratile comprensione, raffinati e in fondo aristocratici? O non è piuttosto vero che chi ignora il francese non soltanto ignora anche Supervielle, ma non ha e non potrà avere nessun interesse per lui? Non è vero insomma che, come si dice, chi vuol leggere Supervielle se lo legge in francese?

Inoltre questa antologia, che pure pretenderebbe di fornire un quadro esemplare del-la lirica francese moderna, appare a Landolfi un’«opera né utile né completa», giacché le scelte dei traduttori sono giudicate troppo idiosincratiche («di Jammes non si ricorda neppure De l’Angelus de l’aube à l’Angelus du soir o Le deuil des primevères, di Superviel-le si è tradotto soltanto da Saisir, di Rimbaud dai Premiers vers, di Verlaine delSuperviel-le poesie

17 Tommaso Landolfi, Il caparbio Tolstoj [1955], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 209-213, a p. 213. 18 Tommaso Landolfi, I verdi paradisi [1956], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 270-274, a p. 274

(recensione a Adam Mickiewicz, Pan Tadeusz, trad. da Clotilde Garosci, Torino, Einaudi, 1956). 19 Landolfi, Traduzioni poetiche, cit. (Landolfi si riferisce a Heinrich Heine, Antologia lirica, a cura di

Tomaso Gnoli e Amalia Vago, Milano, Mondadori, 1935).

20 Liriche francesi moderne nelle traduzioni premiate al Concorso per il premio di versione poetica della XIX

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più o meno religiose (Pöesies religieuses, Sagesse, Amour, Bonheur, Liturgies intimes) e via dicendo»). Discutendo della stessa antologia Landolfi introduce «il crudo e cornuto di-lemma che si presenta spesso ad ogni traduttore poetico […]: rendere o il senso logico, il metro, la lettera dell’originale, o quel qualcosa che con la lettera non ha nulla a che fare e che chiameremo provvisoriamente tono». Secondo Landolfi non esistono soluzioni prestabilite: «Sta al traduttore medesimo risolvere volta e volta tale difficoltà come me-glio gli sembri, e secondo la natura del poeta che traspone». Landolfi si sofferma poi sul caso di Mario Muner, il quale

traducendo Bateau ivre (e dico poco!) crede di poter rendere l’alessandrino originale col nostro endecasillabo; non solo, ma trovandosi innanzi (scelgo a caso) il famoso verso million d’oiseaux d’or, ô future vigueur, crede opportuno tradurlo con follia di voli d’or, futuro vigore, per serbare al verso trasposto il senso logico – per così dire – dell’originale. Ebbene, una tale risoluzione non mi pare, nel caso pre-sente, affatto legittima e avrei preferito che, pur di serbare il ritmo ideale del verso francese, il Muner si fosse risolto magari ad inventarsi un nesso di sana pianta.21

Quasi vent’anni più tardi, occupandosi di un’altra antologia della poesia francese moderna, nella fattispecie Parnassiani e simbolisti francesi, curata da Vincenzo Errante,22 Landolfi conferma le medesime perplessità: «vale la pena tradurre da poeti francesi, e per l’appunto di non agevole comprensione, o è piuttosto vero che chiunque sia in grado di avvicinarsi a poeti non pure come Bertrand, Nerval, Rimbaud, Mallarmé, Apollinaire, Valéry, ma come Verlaine, Jammes e persin Coppée, è anche ipso facto in grado di legger-seli nel testo?».23Anche a proposito di questa antologia, cui pure riconosce dei meriti, Landolfi mette in risalto i rischi dell’arbitrarietà della scelta («Ammesso […] che il folto stuolo di poeti qui presentati abbiano tali caratteri in comune da poter essere ricondot-ti a un’unica temperie […], potrà bastare questa supposta unità di tono, nonché un’af-fermata affinità del traduttore coi tradotti, a sostenere la redazione di alcune centinaia di versioni poetiche?»)24e analizza, nel dettaglio, alcune soluzioni traduttive discutibili riscontrate, ad esempio, nella resa di alcuni versi delle Correspondances baudelairiane.

In ogni caso la questione di fondo rimane sempre, in Landolfi, quella della sostanzia-le intraducibilità della poesia. Così scrive in una recensione alla silloge di Ripellino Poesia

russa del Novecento:25

è traducibile, generalmente parlando, la poesia? Certo che no, per quanta di-ligenza e perfino congenialità vi ponga il traduttore: che magra figura fanno per esempio nella presente raccolta alcuni componimenti folgoranti e vibranti dove la

21 Landolfi, Traduzioni poetiche, cit.

22 Parnassiani e simbolisti francesi, cur. e trad. da Vincenzo Errante, Firenze, Sansoni, 1953.

23 Tommaso Landolfi, Il traduttore errante [1954], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 57-61, a p. 58. Anche occupandosi di una traduzione italiana dei Mémoires di Stendhal, Landolfi si chiede: «Se diciamo, questi Mémoires son davvero, come a noi sembra manifesto, libro di un tono peculiare e destinato a questa classe di lettori che oggi si chiamano “qualificati”, valeva poi la pena tradurli con grande studio e fatica?» (Tommaso Landolfi, Stendhal in diligenza [1957], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 345-349, a p. 348). 24 Landolfi, Il traduttore errante [1954], cit., p. 58.

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musica allude per prima a un contesto logico, e lo va determinando, ed esso le pre-sta alcunché delle sue strutture, dove per ciascuna parola ha un incalcolabile peso e propone impensati rapporti e affonda le sue radici in un immemoriale passato filologico, etnico, religioso.26

Perciò, si chiede ancora Landolfi, «nella esigua misura in cui la poesia debba con-siderarsi traducibile, è da preferire una versione che, di necessità meno rigorosa, tenti di riprendere i ritmi e le movenze originali per trasferirli se possibile nell’ambito della lingua in cui si traduce, ovvero conviene tenersi contenti a una versione letterale precisa?». Il nodo, il dilemma evocato anche nelle altre recensione, gli appare assai difficile da scioglie-re, «poiché quello che si guadagna da una parte, seguendo una qualunque delle due vie si perde dall’altra».27

Ma come si regolava Landolfi, come traduttore in proprio, di fronte alle possibili mo-dalità traduttive? Fin dall’esordio ufficiale come traduttore, avvenuto nel 1934,28allorché aveva pubblicato, nella rivista «Occidente», le proprie versioni di alcuni testi di Tolstoj allora inediti in italiano, la sua posizione è già chiaramente delineata: «Nella versione, in linea di massima più che letterale, ho scrupolosamente serbate, spesso con grave pregiu-dizio dell’espressione italiana, tutte le particolarità o imperfezioni, stilistiche sintattiche e di ogni genere, del testo».29Nella nota che accompagna la sua versione dei Racconti di

Pietroburgo di Gogol’, pubblicati nel 1941 da Rizzoli, conferma la stessa posizione:

Due parole ora sulla versione. Colla quale, è presto detto, ci siamo studiati di aderire, per quanto era possibile e ce lo concedevano le leggi della nostra lingua, al testo originale. Di questo cercammo di riprodurre non solo il piglio, ma persino le incongruenze, i costrutti faticosi, le ridondanze, i luoghi comuni, le audaci o, se si vuole, arbitrarie temporazioni, la punteggiatura eccetera. Insomma tutte le più minute particolarità; a costo d’affaticare in qualche luogo anche il lettore. Che ne avrà, in compenso, un fraseggio quasi sempre testuale. Non ci pare comunque nostro diritto intervenire in alcun modo nel contesto.30

Donde, appunto, le perplessità espresse verso i criteri, troppo elastici e idiosincratici, adottati da Poggioli nella Violetta notturna e in antologie come Liriche francesi moderne e Parnassiani e Simbolisti francesi, e, inversamente, l’elogio delle versioni poetiche «let-terali» di Angelo Maria Ripellino, che diverrà il suo consulente di riferimento per le traduzioni dal russo eseguite per Einaudi. A proposito della citata antologia Poesia russa

del Novecento, afferma che «le versioni del Ripellino sono perlopiù soddisfacenti; […] le

26 Tommaso Landolfi, Il Parnaso russo [1955], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 179-183, alle pp. 180-181. 27 Ivi, p. 181.

28 In realtà, Landolfi si era già cimentato in precedenza con la traduzione, volgendo in italiano alcuni brani di Anna Achmatova per la sua tesi, incentrata sulla poetessa russa, discussa, presso l’Università degli Studi di Firenze, nel 1932.

29 Tommaso Landolfi, Inediti di Tolstoj, in «Occidente», vii (1934), p. 7.

30 Tommaso Landolfi, Introduzione, in Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, trad. da Tommaso Landolfi, Milano, Rizzoli, 1941, p. 13.

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sue letterali interpretazioni debbano tenersi per esatte»;31mentre, recensendo l’edizione curata da Ripellino delle Poesie di Pasternak,32dichiara:

Quali siano i criteri ai quali si è ispirato, egli stesso dichiara in una avvertenza là dove dice che si trovava costretto dal suo «“sistema“ di traduzione, che si pro-pone il massimo di fedeltà lirica e filologica, a trovare in ogni verso, oltre l’alone di magia sonora, il senso preciso delle espressioni»; […] il Ripellino si distingue per serietà di preparazione, per acuti riferimenti, per sensibilità sempre sveglia, e il tutto condisce con un pizzico di giovanile baldanza, che certo non guasta tra gli slavistici squallori.33

Come è stato osservato, la predilezione di Landolfi per le versioni che riproducano scrupolosamente le tonalità verbali dell’originale sembra collocarlo «all’interno di quella linea romantica della traduzione che affonda le radici nel Divano occidentale-orientale di Goethe (1813-185), nonché nel trattato di Friedrich Schleiermacher Dei diversi modi di

tradurre (1813)».34Si aggiunga inoltre che l’atteggiamento scettico generale di Landolfi nei riguardi della traducibilità della poesia lo avvicina, oltre che a Leopardi e a certi autori romantici tedeschi,35a Benedetto Croce e al suo celebre e influente saggio del 1936 su

L’in-traducibilità della rievocazione.36Tuttavia quella di Landolfi sul tradurre è una teorizza-zione in fieri (come si è visto, i passi delle sue recensioni incentrate sulla traduteorizza-zione siano pieni di domande lasciate in sospeso), che non si chiude in formulazioni rigide. Già negli anni Trenta, nella già citata recensione all’Oneghin di Ettore Lo Gatto, Landolfi aveva scritto che «Tradurre propriamente un poeta significa renderne non soltanto, anzi non tanto la lettera, quanto le articolazioni e inflessioni metriche, il piglio, le impostazioni, e minutamente le fasi, musicali e via dicendo. Significa non tanto riprodurre un contesto, quanto un contesto armonico»,37Poi, quando si trovò egli stesso alle prese con Puškin in veste di traduttore, affermò di essersi «avveduto che tradurre letteralmente, dico inter-linearmente, Puškin era il modo migliore per tradirlo»,38mettendo così in discussione quel criterio di fedeltà scrupolosa all’originale che aveva seguito in precedenza.

Un’altra questione che torna a più riprese nelle pagine critiche di Landolfi è quel-la delquel-la modalità di traslitterazione delle parole russe, e, più in generale, straniere. Lo scrittore denuncia l’eccessiva disinvoltura di certi traduttori che seguono criteri di

traslit-31 Landolfi, Il Parnaso russo [1955], cit., p. 181.

32 Boris Pasternak, Poesie, cur. e trad. da Angelo Maria Ripellino, Torino, Einaudi, 1957.

33 Tommaso Landolfi, Pasternak col batticuore [1957], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 400-404, a p. 403.

34 Parisi, Tommaso Landolfi traduttore di Michail Lermontov, cit., pp. 611-612. La studiosa fa riferimen-to all’auriferimen-torevole classificazione proposta da Georges Mounin, Teoria e sriferimen-toria della traduzione, Torino, Einaudi, 1965, p. 54.

35 Sul tema dell’impossibilità della traduzione nel romanticismo tedesco, cfr. Tzvetan Todorov, Teorie

del simbolo, a cura di Cristina De Vecchi, Milano, Garzanti, 1984, in particolare, pp. 248-250.

36 Benedetto Croce, L’intraducibilità della rievocazione, in La poesia. Introduzione alla critica e storia

della poesia e della letteratura, Bari, Laterza, 1936, pp. 100-106.

37 Landolfi, Puškin, cit.

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terazione del tutto arbitrari.39Come aveva già precisato nell’introduzione all’antologia dei Narratori russi, Landolfi propende per la trascrizione scientifica, «perché» scrive -«l’esperienza mi ha insegnato che qualunque trascrizione, questa o la mista o la fonetica, è ugualmente inservibile, intendo, ai fini di una retta pronuncia. Epperò tanto valeva fa-re il comodo dei pochi».40Da cui le critiche ai traduttori che adottano una modalità di trascrizione «mista» o tendenzialmente fonetica: a un traduttore di Čechov, Giuseppe Zamboni, rimprovera di aver adottato una forma di trascrizione «che non è la scientifi-ca né la fonetiscientifi-ca ma alcunché di mezzo, che dunque per definizione non può servire né a chi sappia di russo né a chi ne sia digiuno - supposto provvisoriamente che la foneti-ca serva a qualcuno». La questione sollevata, secondo Landolfi, è solo apparentemente secondaria, dato che «bisognerà pure decidersi una volta a illuminare l’onesto lettore, che si vede presentare questi benedetti nomi russi in tutte le salse, cioè in grafie di li-bro in lili-bro diverse». Landolfi auspica opportunamente «una unificazione delle diverse grafie» e dunque l’adozione unanime della modalità di trascrizione scientifica. Dal mo-mento che non esiste una «grafia che possa indurre un ignaro della lingua a pronunciare correttamente le parole russe; convenzione per convenzione,» - scrive ancora Landolfi, confermando quanto già affermato nella citata introduzione ai Narratori russi - «perché dunque non si stabilisce definitivamente quella che fa almeno il comodo dei pochi? O al-trimenti (essendo qui la trascrizione scientifica ciò che per le altre lingue la grafia naturale od originale) perché non si tenta di trascrivere foneticamente anche le parole inglesi e te-desche, col pretesto che non tutti conoscono gli idiomi di Shakespeare e di Goethe?».41 Tornando sull’argomento nella già citata recensione all’edizione dei Racconti di Tolstoj curata da Villa, Landolfi ribadisce così il concetto:

Anche qui la trascrizione vuol essere fonetica, eppure non lo è rigorosamente, come dimostrerebbe la stessa grafia del nome di battesimo dello scrittore; se d’al-tronde il Villa scrive per esempio Varegnka (nell’illusione che il lettore legga il gn come in legno) che bisogno ha allora del segno š e di altri che non si è risolto ad ab-bandonare? A noi, lo ripetiamo, par curioso questo furore fonologico e ortoepico riservato alla sola lingua russa. Ma noi abbiamo rinunciato a capire quali criteri seguano i traduttori italiani: urge, questo è certo, un accordo tra loro.42

Insomma: come nell’ambito della traduzione, così anche in quello della traslittera-zione, Landolfi censura soprattutto l’arbitrarietà e l’eccessiva disinvoltura e auspica l’in-dividuazione di criteri comuni, che siano condivisi dalla comunità dei traduttori.

39 Così scrive Landolfi a proposito della traduzione dell’Autobiografia spirituale di Nikolaj Berdjaev, curata da Giuseppe Donnini (Firenze, Vallecchi, 1954): «Al traduttore, che è tra i nostri più diligenti, vorremmo raccomandare […] di curare un po’ più le sue controtrascrizioni, o ricostituzioni di grafie originali. Qual’è ad esempio la gran famiglia comitale polacca dei Sapega: forse quella dei Sapieha? E chi è un dottor Ljubeck: forse il dottor Luebeck? Quanto al Jouhandot, c’è da scommettere che si tratti del nostro volgare Jouhan-deau» (Tommaso Landolfi, Un Russo in Europa [1954], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 52-56, a p. 56).

40 Tommaso Landolfi, Introduzione, in Landolfi, Narratori russi, cit., p. XVIII.

41 Tommaso Landolfi, Il mistero di Čechov [1955], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 194-198, alle pp. 197-198.

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Quando discorre di traduzione, Landolfi mette in rilievo certi aspetti solitamente ignorati dai traduttologi specializzati, come le implicazioni psicologiche e, addirittura, fisiologiche del tradurre. Così recita l’incipit, assolutamente anticonvenzionale della sua introduzione a Poemi e liriche di Puškin: «Lasciando che o perché giudico inutile in ogni caso parlare d’un poeta, per me il tradurre o appena il rileggere un qualunque scrittore è rendermelo come dire avverso; insomma qualcosa di simile a quanto avveniva a Gulliver colle gigantesse. Inoltre un uomo della mia età non dovrebbe mai mettersi a tradurre le opere d’un giovane: c’è di messo la fisiologia, che diamine».43La traduzione di Puškin commissionatagli da Einaudi inaugura la seconda fase della parabola di Landolfi tradut-tore, nella quale, come ha scritto la figlia Idolina, «il lavoro di traduzione costituiva in pratica la sua unica fonte di sostentamento, e dunque, in quanto, tale, assolto come un obbligo»:44il diario letterario Rien va contiene, infatti, molti riferimenti ai fastidi che l’«infernale lavoro»45procura allo scrittore.

In questa seconda fase, Landolfi traduce quasi esclusivamente testi poetici46(in par-ticolare, oltre a Puškin, Lermontov47e Tjutčev),48e li traduce da poeta, privilegiando l’endecasillabo e il novenario, e utilizzando spesso rime e figure di suono (assonanze, al-litterazioni, ecc.), tant’è che queste tre versioni poetiche dal russo possono considerarsi anche una sorta di cantiere49da cui nasceranno i frutti più importanti dell’ultimo perio-do della sua attività letteraria, le due tarde raccolte di versi, Viola di morte e Il

tradimen-to.50Non per nulla Tjutčev è il dedicatario, insieme a d’Annunzio, di Viola di morte,51

43 Tommaso Landolfi, Introduzione, in Aleksandr S. Puškin, Poemi e liriche, cur. e trad. da Tommaso Lan-dolfi, Torino, Einaudi, 1960, p. VIII. In una lettera inviata a Leone Traverso il 6 novembre 1947, Landolfi aveva scritto che: «al traduttore è richiesta, se non una certa affinità coll’autore tradotto, almeno una cer-ta dose di tolleranza nei suoi riguardi» (la lettera è cicer-tacer-ta in Landolfi, «Il piccolo vascello solca i mari».

Tommaso Landolfi e i suoi editori, cit., vol. I, p. 60).

44 Landolfi, Postfazione, cit., p. 187.

45 Cfr. Landolfi, L’«infernale lavoro» del Landolfi traduttore, cit. Per la storia editoriale del Landolfi tra-duttore sono fondamentali anche i due recenti volumi postumi della stessa I. Landolfi, già citati in prece-denza (Landolfi, «Il piccolo vascello solca i mari». Tommaso Landolfi e i suoi editori, cit.), in particolare il vol. I.

46 In una lettera del 20 marzo 1962, Landolfi scrive a Ripellino a proposito di futuri progetti di traduzione: «le pinate pagine di prosa russa mi danno il panico; se russo ha da essere, sia almeno un poeta» (la lettera è citata in ivi, vol. I, p. 204). Fa eccezione Leskov: la traduzione di Il viaggiatore incantato, pubblicata nel 1967 da Einaudi, rappresentò, non a caso, per Landolfi, un incarico particolarmente fastidioso e gravoso, cfr. Landolfi, Postfazione, cit.

47 Michail Jur’evič Lermontov, Liriche e poemi, trad. da Tommaso Landolfi, introduzione di Angelo Maria Ripellino, Torino, Einaudi, 1963.

48 Fëdor Ivanovič Tjutčev, Poesie, trad. da Tommaso Landolfi, introduzione di Angelo Maria Ripellino, Torino, Einaudi, 1964.

49 Su questo punto, cfr. Giovanni Maccari, Il tempo della poesia, in «Paragone», lxxii-lxxiv (2007), pp. 18-34, in particolare, p. 28. A Maccari, principale animatore del “Centro Studi Landolfi”, sono grato per i preziosi suggerimenti e l’aiuto nel riperimento degli articoli landolfiani di difficle reperibilità. 50 Sul rapporto tra le traduzioni poetiche di Landolfi e le sue due raccolte di versi, cfr.Dario

Momiglia-no, Eros, logos e «divina inconcludenza» nella poesia di Tommaso Landolfi, Roma, Bulzoni, 2012, in particolare, pp. 75-85.

51 Sull’influenza di Tjutčev nelle liriche di Viola di morte, cfr. Catherine de Wrangel, «Viola di morte»

et Fiodor Ivanovitch Tioutchev: une poésie cosmique, in «Chroniques italiennes», lxxxi-lxxxii (2008),

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mentre Il tradimento contiene una poesia intitolata Puschiniana.

Occorre aggiungere che la consapevolezza dei limiti e delle ambiguità della traduzio-ne rappresentò per Landolfi anche un tema letterario tutt’altro che secondario. Già si sono riferiti alcuni passi in proposito rinvenibili nella sua prima raccolta narrativa; per quanto riguarda il Landolfi più maturo, basterà pensare ai titoli dei suoi tre diari sui

ge-neris52LA BIERE DU PECHEUR, Rien va e Des mois. Notissime sono le ambiguità

semantiche del primo titolo («BIERE» può significare sia «birra» sia «bara», e «PE-CHEUR» può essere inteso sia come «pescatore» sia come «peccatore»); a Rien va Landolfi avrebbe inizialmente preferito, come titolo, l’espressione inglese No dice, del gergo dei dadi, più adeguata ad esemplificare le sfumature nichilistiche del libro: «In al-tri termini, il mio titolo era meramente negativo [No dice]; e questo di Rien va torna a positivo (giustificata sicché l’interpretazione di alcuni tra i migliori recensori)»;53 in-fine, nel terzo titolo, mois può significare «mese», ma anche «me», in forma plurale, con tutte le implicazioni psicologiche e esistenziali che la seconda interpretazione impli-ca. Il gioco del tradurre, nelle varie declinazioni possibili, è quindi parte integrante della scrittura di Landolfi. E il fatto che egli ritenga impossibile o inadeguata ogni traduzio-ne rende l’attività di tradurre pienamente affitraduzio-ne alla sua singolare poetica: non è forse vero, del resto, che tutta l’opera landolfiana è giocata sul filo dell’impossibile? In que-sto senso, l’atto di tradurre può essere senz’altro considerato una delle incarnazioni più esemplari di quella mania che ispirò le sue pagine migliori: «mania dell’impossibile in letteratura, ossia di voler ottenere (per tradurre ciò provvisoriamente) dalla parola scritta ciò che essa non può dare».54Si noti che anche in questa formulazione, che è, in certo senso, lo stemma stesso dell’opera landolfiana, torna ancora una volta, nella parentetica, la metafora dell’intrinseca inadeguatezza della traduzione, in questo caso riferita ad un concetto, che, per l’appunto, potrà essere reso solo provvisoriamente. Non solo, quin-di, il tradurre come forma di letteratura, ma anche, viceversa, la letteratura come forma, mai pienamente compiuta, di traduzione. Bisogna proprio dare ragione a Eugenio Mon-tale: «Landolfi, […] quando scriveva in proprio non faceva altro che tradursi, tenendo nascosto in sé l’originale».55

52 Sui titoli dei diari landolfiani, cfr. Andrea Cortellessa, “Caetera desiderantur”: l’autobiografismo

flui-do dei diari lanflui-dolfiani, in Le lunazioni del cuore. Saggi su Tommaso Lanflui-dolfi, a cura di Iflui-dolina Lanflui-dolfi,

La Nuova Italia, 1996, pp. 77-106, in particolare, p. 83.

53 Aggiunge Landolfi: «Una maligna osservazione, invece: come mai nessun critico, tra cui gran barbe di dottori, mi ha contestato l’errore (o preteso errore) di sintassi?», (Tommaso Landolfi, Des mois [1967], in Landolfi, Opere II, cit., pp. 679-802, a p. 698). Un’ulteriore auto-interpretazione del titolo, opportu-namente ricordata anche da Cortellessa nel saggio succitato, si trova in una lirica del Tradimento: «Rien n’va serait peut-être / Mieux dit, je veux l’admettre. / Et néammoins… Eh quoi! / C’est rien qui va, pas moi» (Tommaso Landolfi, Il tradimento, Milano, Adelphi, 2014, p. 58).

54 Tommaso Landolfi, LA BIERE DU PECHEUR [1953], in Landolfi, Opere I, cit., pp. 567-668, a p. 593. 55 Eugenio Montale, Rien va [1963], in Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa,

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Riferimenti bibliografici

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cura di Idolina Landolfi, Milano, Rizzoli, 1992, pp. 679-802. (Citato a p.135.) — Dialogo dei Massimi sistemi [1937], in Tommaso Landolfi, Opere I. 1937-1959, a cura

di Idolina Landolfi, prefazione di Carlo Bo, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 43-115. (Citato a p.126.)

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2002, pp. 270-274. (Citato a p.129.)

— Il caparbio Tolstoj [1955], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 209-213. (Citato alle pp.129,133.)

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— Il Parnaso russo [1955], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 179-183. (Citato alle pp.131,132.)

— Il tradimento, Milano, Adelphi, 2014. (Citato a p.135.)

— Il traduttore errante [1954], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 57-61. (Citato a p.130.)

— Inediti di Tolstoj, in «Occidente», vii (1934), p. 7. (Citato a p.131.)

— Introduzione, in Nikolaj Gogol’, Racconti di Pietroburgo, trad. da Tommaso Landol-fi, Milano, Rizzoli, 1941. (Citato a p.131.)

— Introduzione, in Tommaso Landolfi (a cura di), Narratori russi. Raccolta di romanzi

e racconti dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani, 1948. (Citato a p.133.) — Introduzione, in Aleksandr S. Puškin, Poemi e liriche, cur. e trad. da Tommaso

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— LA BIERE DU PECHEUR [1953], in Landolfi, Opere I, cit., pp. 567-668. (Citato a p.135.)

— La dolcezza di Van Gogh [1954], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 66-70. (Citato a p.126.)

— Morte di un amico [1963], in Landolfi, Opere II, cit., pp. 809-812. (Citato a p.127.) — Narratori bulgari, in «Oggi», ix (2 marzo 1940), p. 20. (Citato a p.128.)

— (a cura di), Narratori russi. Raccolta di romanzi e racconti dalle origini ai nostri

giorni, Milano, Bompiani, 1948. (Citato alle pp.128,133,136.)

— Opere I. 1937-1959, a cura di Idolina Landolfi, prefazione di Carlo Bo, Milano, Rizzoli, 1991. (Citato alle pp.126,135-137.)

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— Pasternak col batticuore [1957], in Landolfi, Gogol’ a Roma, cit., pp. 400-404. (Citato a p.132.)

— Puškin, in «Meridiano di Roma», xxxv (29 agosto 1937), p. VIII. (Citato alle pp.127,

132.)

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— Rien va [1963], in Landolfi, Opere II, cit., pp. 243-364. (Citato a p.132.)

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parole chiave

Tommaso Landolfi; Teoria della traduzione; Poeti-traduttori.

notizie dell’autore

Raoul Bruni, italianista e critico letterario, è assegnista di ricerca “senior” all’Univer-sità di Padova. Ha insegnato presso l’Univerall’Univer-sità di Firenze, l’Univerall’Univer-sità SWPS (Varsavia) e l’Università Pedagogica di Cracovia, dove è stato ricercatore. Ha pubblicato saggi in-centrati prevalentemente sulla letteratura italiana otto-novecentesca e i volumi Il divino

entusiasmo dei poeti. Storia di un topos (Aragno, 2010) e Da un luogo alto. Su Leopardi e il leopardismo (Le Lettere, 2014); ha curato numerosi volumi miscellanei e due opere di

G. Papini. Collabora con «Alias», «L’Indice» e altri periodici cartacei e on-line.

raoulbruni@gmail.com

come citare questo articolo

Raoul Bruni, Sul tradurre in Landolfi: tra teoria e fisiologia, in «Ticontre. Teoria Testo Traduzione», iv (2015), pp.125–139.

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teoria e pratica della traduzione 185

Valerio Nardoni, L’incontro con la propria voce: sull’apertura di Descripción de

la mentira di Antonio Gamoneda 187

reprints 205

Furio Jesi, Vera storia dell’uomo senza ombra (a cura di Marco Tabacchini) 207

Marcello Pagnini, L’ermeneutica letteraria e i problemi della contestualizzazione

(a cura di Francesca Di Blasio) 225

indice dei nomi 241

(19)

con il contributo dell’Area dipartimentale in Studi Linguistici, Filologici e Letterari Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trento

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Registrazione presso il Tribunale di Trento n. 14 dell’11 luglio 2013 Direttore responsabile: Pietro Taravacci

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nella piattaforma OJS della rivista, seguendoquesteindicazioni. Per la sezione monografica, invece, le date di scadenza e la modalità di presentazione dei con-tributi sono reperibili nel call for concon-tribution relativo. I Reprints sono curati di-rettamente dalla Redazione. I saggi pubblicati da «Ticontre», ad eccezione dei

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