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"Le sepolture anomale in Italia, Gran Bretagna e Francia: la paura dei revenants e le testimonianze archeoantropologiche"

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INTRODUZIONE

Col termine “sepolture anomale” ( dette anche “atipiche”, “inusuali”, “devianti” etc.) si considerano i casi in cui l’individuo sia sepolto in modo diverso rispetto alle norme del periodo e/o del gruppo umano di cui faceva parte.1 Nella letteratura folklorica le sepolture anomale sono spesso associate a pratiche necrofobiche e si legano alla paura morbosa della morte e dei morti, i quali, deceduti in modo violento o prematuro, ritornano dalla tomba per tormentare i vivi. La fobia dei revenants è basata sulla concezione che l’entità trascendente dei deceduti non raggiunga la sua ultima destinazione immediatamente dopo la morte, ma

rimanga in uno “spazio liminare” fra il mondo terreno e l’aldilà.2 È dunque necessario purificare il corpo ed il luogo di giacitura prima e dopo il funerale, attraverso una serie di

rituali e pratiche specifiche3, che di solito includono metodi per costringere il corpo a rimanere nella tomba, quali, ad esempio, l’appoggiare un pesante masso sopra il cadavere, o

l’uso di chiodi, cunei, borchie o cinghie, come testimoniano alcuni ritrovamenti non solo in Italia4, ma anche in Francia.5 L’individuazione e l’interpretazione di una sepoltura atipica è tutt’altro che semplice e per definirla come tale non è sufficiente riscontrare sul defunto segni di lesioni o amputazioni, che piuttosto potrebbero essere il risultato di traumi inflitti

peri mortem e/o la causa della sua morte. È stato inoltre ipotizzato che particolari condizioni

patologiche che causano deformità ed alterazioni mentali e psicologiche (come il vaiolo, la lebbra, la tubercolosi ed altre infezioni epidemiche), o morti violente, suicidi, scomuniche,

eresie, atti di stregoneria ed una vita peccaminosa possano influenzare il modello deposizionale.6 Inoltre, particolari segni presenti sullo scheletro o la posizione stessa assunta

dal corpo tuttavia spesso non sono altro che la conseguenza di cause esterne ed incidentali, non legate a motivi rituali, come, ad esempio, rimaneggiamenti della tomba, oppure, talvolta, nel caso di giaciture non convenzionali e scomposte, possono essere causate dalla fretta della

deposizione.7 Quest’ultimo caso è esemplificato dal ritrovamento e dallo studio di alcuni individui ottocenteschi morti di colera e sepolti nel cimitero attorno alla chiesa di San

Michele di Castello a Benabbio, in Val di Lima (Lucca).8 Alcuni di questi scheletri giacevano in modo scomposto, con torsioni innaturali del corpo e ben sei erano addirittura

proni. La posizione “anomala” assunta da queste sepolture non è però il risultato di un’azione volontaria, compiuta intenzionalmente sul cadavere per scopi legati a determinate

1 Cavallini 2011. 2 Barber 1988; Summers 1966. 3 Mullins 2004. 4 Vedi Cavallini 2011.

5 Vedi ad esempio i siti di Arpaillargues (Nizza) e di Scarpone, nei pressi di Dieulouard; Carrière 1902. 6

Tsaliki 2008. 7 Vedi Cavallini 2011. 8 Ibid.

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pratiche funerarie o rituali, ma è semplicemente la conseguenza di un seppellimento affrettato in una posizione puramente casuale, dettato dal terrore suscitato dall’epidemia e

dalla conseguente rapidità dell’inumazione.

Figura 1: Il cimitero del colera di Benabbio

I corpi venivano gettati sbrigativamente nelle fosse, senza badare alla posizione che andavano ad assumere e senza rispettare un orientamento omogeneo.9 Risulta quindi fondamentale comprendere e verificare l’intenzionalità del gesto funerario, che si allontana dal seppellimento convenzionale. Le anomalie propriamente dette sono invece il frutto di azioni volontarie, compiute sul cadavere o sulla tomba prima o dopo la sepoltura, che si differenziano drasticamente dalle pratiche funerarie adottate normalmente, le quali possono spaziare dall’inserimento di oggetti inusuali nel corredo a pratiche di immobilizzazione e costrizione del corpo nella tomba, fino a lesioni fisiche del defunto.10 Anastasia Tsaliki11 nel catalogare le tipologie di sepolture anomale più diffuse nei contesti archeoantropologici, crea una prima suddivisione e riassume i criteri di base che possono essere applicati per l’identificazione di casi devianti.12

Uno dei principali modelli di sepolture atipiche consiste nella chiodatura e legatura del corpo, di cui fanno parte diverse pratiche de posizionali, quali il fissare il morto al terreno con dei pali o dei chiodi. Molte di queste pratiche necrofobiche e di fissatura del cadavere si trovano in varie epoche ed in luoghi disparati e compaiono in

9 Cavallini 2011. 10 Cavallini 2011. 11 Tsaliki 2008. 12 Vedi Cavallini 2011.

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Europa almeno a partire dall’epoca preistorica. Alcuni di questi esempi li troviamo anche in Italia: a Casalecchio di Reno (Bologna) nella tomba 23, databile alla metà del IV a.C., era stato deposto un maschio adulto che presentava delle tracce bruno-nerastre su entrambi gli omeri, i femori e sull’astragalo destro, interpretati come il risultato della decomposizione di fasce o cinghie; a Bologna, nell’area cimiteriale nei pressi della Stazione, sono state riportate alla luce alcune sepolture di epoca romana, come la T109 (I secolo) e la T76 (I-III secolo), che avevano un notevole numero di chiodi collocati non solo attorno allo scheletro, ma infissi in alcune ossa, soprattutto della volta cranica, degli arti superiori e del torace, forse con lo scopo di fissare il corpo a terra.13 Per venire ad un’epoca più recente, interessante è anche il ritrovamento, presso il cimitero medievale del Quarter San Michele, ad Alghero (XVI secolo), di una giovane donna deposta in una trincea che presenta un massiccio collare in ferro che ne blocca il collo, serrandolo al fondo della fossa.14 Riguardo a questa sepoltura sono state avanzate diverse ipotesi, molte delle quali legate a pratiche necrofobiche, ma quella più plausibile, seppur meno suggestiva, è che il collare di ferro sia incidentalmente entrato a far parte della sepoltura di una giovane schiava, deceduta per peste quando ancora era costretta dal collare con cui normalmente i prigionieri e gli schiavi venivano condotti sulle galere spagnole.

Altre pratiche necrofobiche riguardano casi di mutilazioni post mortem e di decapitazione, legata alla credenza che la testa fosse la sede dello spirito e perciò si dovesse conservare o distruggere, a seconda della sua appartenenza ad un familiare o ad un nemico.15 Le sepolture di individui decapitati assumono particolare significato quando la testa si dispone lontano dal collo, come è possibile notare in alcuni scheletri di epoca anglosassone provenienti da Driffield Terrace (York), dal cimitero romano-britannico di Baldock o da quello di Guildem Morden (Cambridgeshire, I-IV secolo d.C.). In Italia, oltre ai casi degli individui decapitati rinvenuti a Roma (Equus Domitiani 2, 1200-850 a.C.) e a Tarquinia (La Civita, VIII secolo a.C.), particolarmente interessante risulta la tomba 49 proveniente dalla necropoli picena di Camerano, del IV secolo a.C.,contenente un individuo adulto il cui cranio è dislocato ed appare adagiato con una certa cura e senza apparenti manomissioni, al livello del bacino, mentre la mandibola è in posizione originaria, così come le vertebre cervicali.16 La mutilazione del corpo può essere interpretata come una punizione extra , aggiunta all’esecuzione, oppure come una pratica per impedire allo spirito del defunto di tornare presso i vivi, come sembrano suggerire alcune delle sepolture rinvenute a Baggiovara (Modena, T13, VI secolo d.C.) e a Casalecchio di Reno (T6, T8, T16, epoca tardo-antica).17 Il rito deposizionale “anomalo” più diffuso è quello delle sepolture prone, oggetto di

13 Ibid. 14 Ibid. 15 Ross 1984. 16Vedi Cavallini 2011. 17 Ibid.

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numerose interpretazioni da parte degli studiosi e degli archeologi, sia appartenenti alla corrente processuale che post-processuale. In alcuni casi tali individui in decubito ventrale erano sepolti in aree isolate, ubicate all’esterno dei cimiteri o in zone decentrate e presentavano anche parti del corpo legate, soprattutto mani e piedi. Frequente è anche il ritrovamento di scheletri proni con evidenti segni di mutilazione post mortem o con la presenza di pesanti massi collocati sul dorso, come nel caso di una donna proveniente dal cimitero sassone di Sewerby, Yorkshire, riferibile al VI secolo d.C. In Italia sono stati rinvenuti numerosi esempi di sepolture prone, con attestazioni che risalgono all’Età del Bronzo (necropoli di Olmo di Nogara), all’Età del Ferro (sepolture di Trani) e all’epoca romana (necropoli Osteria del Curato).18 In ambito medievale particolarmente interessante è lo scheletro di una donna adolescente (T58) proveniente dall’area cimiteriale di Pieve di Pava (Siena); di questa sepoltura, riferibile all’XI-XII secolo d.C., si sottolinea la posizione, anche se prona, piuttosto composta del corpo, probabilmente avvolto originariamente in un sudario, con gli arti superiori leggermente flessi sul pube e quelli inferiori distesi e paralleli, con le ginocchia convergenti.19

Lo scopo principale del seguente studio è quello di creare un censimento il più aggiornato e completo possibile sulla distribuzione dei principali modelli di sepolture anomale (sepolture prone, sepolture con pietre, decapitate e con segni di amputazione) nei principali contesti funerari della Gran Bretagna, della Francia e della Svizzera, per un arco cronologico compreso fra il I secolo d.C. e la prima età moderna. La rassegna di tali casi di anomalia è supportata da un database, disponibile non solo su supporto cartaceo, ma fruibile e consultabile anche online, che permetterà di fornire una schedatura tafonomica ed antropologica chiara e puntuale di ciascuna sepoltura atipica individuata nei singoli siti cimiteriali, cercando di contestualizzarla sia da un punto di vista topografico (concentrandosi in particolare sul rapporto spaziale con le altre inumazioni e la necropoli stessa) che storico e cronologico. L’inserimento dei dati all’interno del database ha permesso inoltre di estrapolare informazioni e grafici di confronto fra le singole unità scheletriche della stessa area sepolcrale, o fra le necropoli della stessa regione, ma anche fra contesti molto lontani nello spazio e nel tempo. Le sepolture anomale rilevate inItalia, Gran Bratagna e in Francia sono state quindi non solo classificate ed analizzate singolarmente, ma anche confrontate e studiate fra loro, allo scopo di ottenere un quadro più completo ed esaustivo sull’evoluzione, la distribuzione e la ricorrenza di pratiche deposizionali simili.

Lo studio si apre con una breve introduzione che, dopo aver fornito una definizione del termine “anomalia” in relazione ai contesti sepolcrali e dopo una digressione sulle pratiche necrofobiche relative alla paura dei morti ed in particolare del ritorno del defunto

18 Cavallini 2011. 19 Mongelli et al. 2006.

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sulla terra, riassume i casi più esemplari rinvenuti nei contesti italiani, analizzati più approfonditamente da chi scrive nel precedente lavoro di tesi triennale: “Le sepolture

anomale in Italia: dalla lettura tafonomica all’interpretazione del gesto funerario”.20

Il primo capitolo è dedicato alla paura dei revenants, i cosiddetti “non morti”, ovvero delle entità né vive né definitivamente morte che, nel cosiddetto “periodo intermedio” o liminare,21 vagano sulla terra tormentando i vivi. Molto interessanti sono i numerosi racconti di apparizioni di questi “spiriti”, diffusi soprattutto in epoca medievale. Tali narrazioni sono il frutto di trasmissioni orali che sono state trascritte in genere da un ecclesiastico e costituiscono il prodotto di testimonianze facenti riferimento all’esperienza visionaria di una terza persona.22 L’attenzione viene spesso posta sull’importanza dello svolgimento corretto del “rito di passaggio” e del funerale, poiché, nell’immaginario collettivo, l’inadempienza alle norme che lo regolano può essere la causa principale del ritorno e della permanenza dei

revenants nel mondo dei vivi. I numerosi racconti sulle varie apparizioni non vanno

considerati solamente come semplici storie, frutto delle credenze e dell’immaginario fantastico di alcune comunità, ma vanno inquadrati in una dimensione storica e sociale, in quanto testimoni dei gesti, dei comportamenti e dei pensieri di una data cultura in una determinata epoca. Infatti le credenze popolari e folkloriche legate alla paura del ritorno dei “non morti” possono influire moltissimo sulle pratiche rituali e deposizionali dei defunti come espressione sociale e culturale di un gruppo umano.

Nel secondo capitolo si procede con un excursus che cerca di ricostruire la storia e l’evoluzione degli studi riguardanti il tema delle sepolture anomale, analizzando il modo in cui i ricercatori, gli archeologi e gli antropologi hanno cercato di affrontare, definire ed interpretare tali contesti sepolcrali del tutto inusuali. La rassegna delle varie correnti di pensiero va dai principali sostenitori della corrente processualista dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, fino agli studiosi post-processualisti dell’ultimo trentennio che si sono susseguiti principalmente in Germania, Gran Bretagna e Francia. Dall’analisi delle idee e delle teorie elaborate da un gran numero di studiosi nel corso dell’ultimo secolo si evince quanto il concetto di “sepoltura anomala” si sia arricchito sempre più di nuove sfaccettature e significati, diventando la spia di concezioni ideologiche complesse che sono il risultato delle tradizioni religiose, popolari e folkloriche dei gruppi umani del passato.

Nel terzo capitolo vengono proposti alcuni esempi di sepolture anomale, in particolare sepolture prone, rinvenute in Italia; tale presentazione è finalizzata ad aggiornare la casistica ed il censimento di tali forme di inumazione inusuale già presentato in Cavallini 2011, “Le

sepolture anomale in Italia: dalla lettura tafonomica all’interpretazione del gesto

20 In Pagani e Cristiani. Forme e attestazioni di religiosità nel mondo antico in Emilia, volume X, 2011. 21 Hertz 1905-1906.

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funerario”.23 In particolare nel lavoro corrente sono descritti tre individui posti in decubito ventrale (T 98, T 104, T 113) rinvenuti nella necropoli veronese del I secolo d.C. compresa fra Via Albere e la Prima Traversa Spianà. Seguono poi altri quattro casi di inumazioni prone (T 54, T 124, T 140, T 161) riferibili alla prima metà del II secolo d.C.; tali individui sono stati messi in luce durante le indagini archeologiche condotte a Padova fra il 1990 ed il 1991, nella zona fra Via Tiepolo e Via S. Massimo.

Dopo una breve introduzione storica e culturale sui rituali funerari diffusi in Gran Bretagna dall’epoca romana all’età medievale, il quarto capitolo è dedicato alla descrizione ed all’analisi dei casi di sepolture anomale più significativi rinvenuti sull’Isola. La presentazione di tali esempi segue un ordine cronologico e prende in considerazione quattro principali modelli di anomalia: le sepolture prone, le sepolture con pietre, quelle con decapitazione e quelle che presentano segni di amputazione. All’analisi ed al confronto fra i contesti esaminati, riferibili soprattutto al VI-VII secolo d.C., segue una parte dedicata ai cimiteri di esecuzione; essi si affermano attorno all’VIII secolo d.C. e si diffondono a macchia d’olio soprattutto in Inghilterra fino al X secolo. Tali cimiteri hanno restituito un’alta concentrazione di sepolture deposte e “trattate” in modo inusuale, compresi numerosi casi di traumi inflitti peri-mortem.

Nel quinto ed ultimo capitolo l’attenzione è rivolta alle sepolture anomale rinvenute in Francia dall’età gallo-romana a quella post-medievale. Tali contesti, che rappresentano solo una piccola percentuale dei casi censiti globalmente, vengono posti in relazione fra loro, seguendo sia un ordine cronologico che logico, con un primo tentativo di confronto e di interpretazione.

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Grafico 1 Totale delle sepolture anomale censite per Nazione

Francia Gran Bretagna Italia Svizzera

Sepolture 123 615 48 19 0 100 200 300 400 500 600 700 N u m e ro

Sepolture anomale

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1.

LA PAURA DEI REVENANTS

La maggior parte degli studiosi e degli archeologi che hanno cercato di affrontare il tema delle “Sepolture Anomale” collegano il ricorso a tali pratiche funerarie ed inumatorie all’idea di impedire volontariamente il ritorno del cadavere, del revenant, fra i vivi. Il

revenant è infatti il morto che ritorna.

Accanto alle credenze religiose cristiane affermatesi in età tardo antica, convive un sistema precristiano di spiegazione dei rapporti tra corpo e spirito, all’interno del quale troviamo le teorie circa i morti anzitempo, coloro che, essendo deceduti prima del momento stabilito dal loro destino, oppure lontano da casa o dai riti funebri, non potevano compiere quella separazione tra anima e corpo fondamentale per il viaggio dell’anima fino alla sua dimora e per il riposo del corpo. Costoro si trasformavano così in esseri liminari e la loro anima, non potendosi allontanare ed approdare alla dimensione ultraterrena, perdeva i suoi attributi spirituali, mentre il corpo non subiva le metamorfosi naturali. Il folklore europeo è popolato da spiriti, vampiri e revenants, i “non-morti”.

Robert Hertz, nel suo studio sulla “doppia sepoltura”24

aveva cercato una spiegazione che giustificasse tutti i rituali attuati, prima per separare definitivamente il cadavere del morto dal mondo dei vivi e dopo per commemorarne il ricordo nel suo stato definitivo di “de-funto”.25

I rituali di occultamento del cadavere attraverso la distruzione delle parti meno

durevoli,variano da popolo a popolo, ma tutti sono diretti ad allontanare lo spirito del morto dal mondo dei vivi, facendone un “buon morto”, accompagnandolo, spingendolo via nel suo viaggio.26

Hertz, nel saggio sulla rappresentazione collettiva della morte, analizza quelle società in cui la morte non viene vista come fatto istantaneo, traendo la maggior parte del suo materiale dagli usi delle popolazioni indonesiane del Borneo. Secondo molti popoli di questa regione vi è un periodo durante il quale l’uomo non è né vivo, né definitivamente morto; Hertz lo definì “periodo intermedio”. Come durante questo periodo il corpo del defunto è repellente e senza forme, così la sua anima è senza dimora e oggetto di terrore, malignamente soggetta ad imporre malattie ai vivi e sono quindi necessarie delle elaborate forme rituali al fine di sviare la sua ostilità.27

24 Hertz 1905-1906. 25 Ibid. 26 Ibid. 27 Huntington e Metcalf 1985.

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Paul Barber, nella sua opera “Vampiri, sepoltura e morte” analizza il modo in cui i popoli delle culture preindustriali vedono i processi ed i fenomeni connessi con la morte e la dissoluzione del corpo, descrivendo le credenze popolari ed i miti, confrontandoli con le tradizioni folkloriche delle culture e società più antiche.28 Dal suo lavoro si evince che la necrofobia, ovvero la paura di tutto ciò che ha a che fare con la morte, è un tema costante e ricorrente in ogni parte del mondo, in culture e periodi differenti. In particolare, la sua attenzione si rivolge allo studio dei revenants, ovvero persone morte che, decedute prima che venisse il loro momento, non solo si rifiutano di restare morte, ma ritornano a portare la morte ai loro amici e ai loro parenti. Tali individui sono spesso associati e paragonati ai vampiri, con cui vengono confusi in molti modi. Nel capitolo V Barber, sulla base di alcune testimonianze di fonti orali e di alcuni racconti popolari, descrive la nascita del revenant, analizzando i possibili fattori che ne possano determinare l’esistenza: 1) predisposizione; 2) predestinazione; 3) eventi: cose fatte alle persone, cose che queste fanno, cose che accadono loro; 4) non eventi: cose non fatte. Dagmar Burkhart, ad esempio, individua come possibili “non-morti” per disposizione naturale, “le persone senza Dio, malvagi, suicidi, e in più stregoni, streghe e lupi mannari; tra i Bulgari il gruppo si allarga a comprendere ladri, banditi, piromani, prostitute,ostesse disoneste e truffatrici e altre persone disonorevoli”.29 Di frequente le persone diventano revenants senza nessuna colpa, come quando vengono concepite in un periodo consacrato secondo il calendario liturgico, o come quando sono prole illegittima di genitori a loro volta illegittimi,30 oppure possono essere identificati alla nascita, di solito per qualche anormalità, qualche difetto, come nel caso in cui un bimbo nasca con i denti,31 con un capezzolo in più,32 senza la cartilagine del naso o con il labbro inferiore spaccato,33 o con caratteristiche ritenute animalesche, come peluria sul petto o sulla schiena.34

I metodi apotropaici,35 o metodi per stornare il male, sono di diversi generi:comprendono la mutilazione del cadavere, lesioni fisiche, vari riti funerari tesi ad ingannare il mondo degli spiriti. Abbastanza comune è la pratica di collocare degli oggetti accanto al cadavere e di solito ci si aspetta che questi oggetti 1) lo soddisfino in qualche modo, sollevandolo così dal bisogno di ritornare sulla terra, 2) lo rendano incapace di ritornare, oppure 3) soddisfino o spaventino qualsiasi forza demoniaca che cerchi di interferire con il cadavere. A volte gli ultimi due scopi si confondono, o vengono

28 Barber 1988. 29 Burkhart 1966, p. 216. 30 Ibid. 31 Bargheer 1931, p. 88. 32 Cremene 1981, p. 38. 33 Hertz 1862, p. 123. 34 Cremene 1981; Senn 1982, p. 61. 35 Barber 1988.

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reinterpretati. Secondo Norbert Reiter36, i potenziali vampiri o revenants erano seppelliti a faccia in giù allo scopo di impedire loro di farsi strada verso la superficie, con il proposito di indurli a farsi strada a morsi nella terra.37 Barber afferma di aver trovato un’altra interpretazione di questa pratica in Slesia (Drechsler 1903), secondo la quale lo sguardo del presunto revenant era considerato fatale ed il suo cadavere era girato a faccia in giù per proteggere quelli che vi avevano a che fare alla sua morte.38

Spesso si evitava il ritorno del cadavere ricorrendo ad impedimenti fisici, come la legatura di alcune parti del corpo, in particolare gli arti. Barber ricorda che una delle molte teorie sull’argomento, suggerisce che il seppellimento del corpo in posizione contratta possa essere spiegato col fatto che il cadavere fosse legato, affinché non ritornasse dalla morte.39 Oltre ad essere trattato in maniera differente, il presunto revenant può anche essere seppellito lontano dalle altre tombe, come vicino ad un crocicchio, o in un luogo distante dalle abitazioni.

La paura del cadavere, che James Frazer considerava virtualmente universale,40 ha alcuni importanti legami con l’eliminazione del corpo. Barber ipotizza che a determinare il modo in cui viene scelto il metodo da usare contribuiscano le seguenti esigenze:

1. L’eliminazione dovrebbe essere rapida, aver luogo prima che il cadavere abbia

la possibilità di “agire”.

2. Si dovrebbe rendere inerte il cadavere il più presto possibile.

3. Il cadavere dovrebbe richiedere il minimo della manipolazione.

Un contributo fondamentale per comprendere meglio la nascita e l’evoluzione del concetto di revenant e per cercare di chiarire i rapporti di quest’ultimo con i viventi, è rappresentato dall’opera di Jean-Claude Schmitt “Spiriti e fantasmi nella società

medievale”.41 Egli afferma che l’immaginario della morte e del destino dei morti nell’aldilà costituisce universalmente una parte essenziale delle credenze religiose delle società e si manifesta in modi diversi, sottoforma di visioni e di sogni, molto spesso raccolti in veri e propri racconti.42 Tali apparizioni sono legate a quel meccanismo della “memoria dei morti” che aveva lo scopo di favorire la separazione tra i vivi ed il morto, di abbreviare così la sua permanenza nel Purgatorio e di permettere ai viventi di dimenticare il defunto. Ciò veniva garantito attraverso l’adempimento esatto dei rituali di passaggio, con un corretto svolgimento del funerale, delle preghiere e del lutto. Da ciò si deduce quanto il termine “memoria” sia fortemente collegato alla nozione di “oblio”, in quanto non è solamente

36 Haussig 1973. 37 Ibid. 38 Drechsler 1903.

39 Andree, cit. in Pauli 1975, p. 174. Vedi anche Gimbutas, p. 126. 40

Frazer 1933. Vedi anche Wiedemann, 1917, p. 24-25 e Steinmetz, cit. da Meuli, p. 306. 41 Schmitt 1994.

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espressione della memoria collettiva, ma anche una tecnica sociale di oblio.43 Le apparizioni dei defunti non rappresentano quindi la norma delle relazioni fra i viventi ed i morti; secondo Schmitt infatti i vivi immaginano i morti solamente quando non potevano compiere fino in fondo il rituale di separazione da loro, ovvero quando l’oblio si rivelava impossibile in seguito ad una perturbazione del normale svolgimento del rito di passaggio della morte e del funerale. Di conseguenza, da ciò si comprende anche la figura del revenant sia nell’immaginario medievale, sia per la tradizione folk lorica di epoche precedenti: è quel morto che, per un breve periodo di tempo dopo il trapasso, impedisce alla memoria collettiva e familiare di elaborare il lutto. Infatti non tutti i morti tornano e non appaiono a chiunque, in qualunque momento ed in qualsiasi luogo; i morti ritornano preferibilmente quando i riti funebri e del lutto non hanno potuto svolgersi correttamente o completamente, per esempio se il corpo di un annegato è scomparso e non ha potuto essere seppellito secondo le usanze, o anche nei casi di omicidio, suicidio, morte di una donna durante il parto, nascita di un bambino nato morto presentano tutti accadimenti innaturali che costituiscono per la comunità dei viventi pericolo di contaminazione.44 Questi morti sono in genere temuti dalla comunità e giudicati malefici, ovvero entità non più in vita, ma non ancora completamente morte, che, private di una degna sepoltura, sia per motivi accidentali o per negligenza da parte di coloro ancora in vita, rimangono a vagare sulla terra per vendicarsi del torto subito, tormentando i viventi.

Schmitt inoltre spiega che la dimensione antropologica ed universale del ritorno dei morti è molto diffusa nelle tradizioni occidentali, a partire dall’Antichità fino al Medioevo e addirittura nel folclore contemporaneo, come è rappresentato, ad esempio nell’opera di J. Delumeau, “La Peur en Occident (XIV-XVIII siècle). Une cité assiègée”45 che si ispira allo studio di oltre cinquecento racconti sugli spiriti raccolti nelle campagne polacche da L. Stomma.46

Jean-Claude Schmitt, nella sua opera “Spiriti e fantasmi nella società medievale” intende dimostrare come tali credenze e l’immaginario dei diversi gruppi umani dipendano dalle strutture e dal funzionamento della società e della cultura in una data epoca. Egli, in particolare, afferma che “le «mentalità» non consistono soltanto negli strati antichi e persistenti dei pensieri e dei comportamenti, ma nelle credenze e nelle immagini, nelle parole e nei gesti, che trovano il loro pieno significato nell’attualità presente e ben viva delle relazioni sociali e dell’ideologia di un’epoca. Proprio tenendo conto di questa attualità

43 Ibid. 44 Ibid. 45 Delumeau 1978, p. 86. 46 Stomma 1986.

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comprenderemo come la cultura cristiana del Medioevo abbia ampliato il concetto di apparizione e concepito per i morti altre occasioni di apparire”.47

1.1.

Alcuni racconti di apparizioni dei revenants

I racconti sui revenants sono molto diffusi fin dall’epoca classica; nella letteratura greca , a partire da Omero, abbondano le testimonianze dove l’ “immagine” del morto recente (eídôlon), brutalmente scomparso, ritorna a tormentare i sogni dei vivi che l’hanno amato. I temi più ricorrenti riguardano le morti violente, come le vittime di omicidi che cercano vendetta, anime solitarie che errano attorno alla propria tomba, morti senza sepoltura, suicidi etc. Anche la cultura germanica ci ha trasmesso delle rappresentazioni tradizionali molto importanti ed antiche, come l’Edda, anonima, composta fra il X e il XII secolo, le saghe scandinave ed islandesi, messe per iscritto fra il XII ed il XIV secolo, come l’ Eyrbyggja Saga o Saga di Snorri le Godi, scritta verso il 1230, la Saga di Laxdoela, del 1250, o la Saga des Habitants du Val de Svörfud, realizzata attorno al 1300. All’interno di questi racconti si parla frequentemente di morti che ritornano e che mutilano e tagliano a pezzi tutto ciò che incontrano, devastano interi paesi, costringendo gli uomini e gli animali ad abbandonare le loro case.48 A differenza delle credenze di epoca classica, questi morti non sono visti come delle “immagini”, ma sembrano dotati di veri corpi, come se il cadavere stesso, tornato in vita, fosse uscito dalla propria tomba.49

Nel Medioevo le apparizioni dei revenants sono molto frequenti. L’attitudine della Chiesa di fronte a questo fenomeno è varia; all’inizio lo ha tollerato, in quanto la credenza nei non-morti non era considerata una forma di eresia (Décret. II, Canon XIII, Questio II, Cap. XXIX), ma ben presto ha cercato di distinguere i veri revenants, ovvero coloro che provengono dall’aldilà cristiano e possono essere i messaggeri delle forze celesti, dai falsi, definiti “illusiones daemoni”, ovvero gli spiriti maligni che errano attorno ai villaggi e le città e perseguitano i vivi. Verso la fine del XIII secolo Guillaume Durand, è molto critico riguardo alle apparizioni dei revenants in sogno:

“[…] Come dice S. Agostino […] anche se i morti sembrano parlare e domandare […] non bisogna pensare, a causa di ciò, che questo sia reale: perché anche i vivi, per la maggior parte del tempo, appaiono nei sogni di coloro che sono immersi nel sonno, tanto che loro stessi ignorano di apparire a loro volta.. Perciò, come lui dice, ciò fa credere che siano delle operazioni di angeli che, per una disposizione della Divina Provvidenza, servono a dare

47

Schmitt 1994, p. 7. 48 Delumeau 1978 49 Schmitt 1994

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qualche tipo di consolazione ai viventi; poiché il Concilio di Ancira dice che la maggior parte è spesso ingannata dalle illusioni e dai fantasmi prodotti dai demoni […].”50

Più tardi Jacques de Paradis, nel suo trattato De Apparitionibus, afferma che solo i cristiani vedono le anime dei morti che vengono a domandare dei voti per l’alleggerimento delle loro pene; gli ebrei ed i saraceni, quando vedono gli spiriti, sono vittime dei demoni. Piuttosto che rifiutarli, la Chiesa cerca quindi soprattutto di controllarli, inquadrando tutte le manifestazioni dell’aldilà, in quanto essa deve essere l’unica intermediaria fra Dio e gli uomini. La predicazione costituisce il primo mezzo per realizzare questa integrazione. Gli

exempla sul Purgatorio sono, nella loro quasi totalità, degli exempla sui revenants.

A partire dall’XI secolo compaiono alcuni scritti autobiografici sulle apparizioni dei

revenants; tali testi si suddividono in tre tipologie: in alcuni casi può trattarsi non di una vera

e propria apparizione, ma piuttosto del presentimento di una presenza invisibile e vicina; in altri casi può essere una visione dei morti avuta da svegli, ma percepita durante un momento di estasi. Nella maggior parte dei casi questi racconti autobiografici narrano di sogni. Con il XIII secolo il tema delle apparizioni e dei dialoghi fra i revenants ed i vivi sembra diventare un vero e proprio genere letterario minore. Generalmente il revenant è reso inoffensivo ed è spesso un religioso. Nel folklore esso si manifesta anche concretamente, come entità reale e corporale, non solo spirituale e sembra comparire in vari episodi della vita quotidiana: gira attorno alle case e, nella notte, durante il sonno, tira i piedi dei vivi.51 Queste manifestazioni si fanno sempre più frequenti ed incontrollabili, talmente tanto che per arginarle devono essere adottati altri mezzi, come per esempio, quegli inquisitori. Riguardo a questo tema, particolarmente suggestiva è l’inchiesta inquisitoria tenutasi nel villaggio di Palmiér. Il futuro Benedetto XII si sforza di perseguitare i revenants che tormentano la città episcopale.52 Gli interrogatori di Arnaud Gélis, il messaggero delle anime, sono, a tale riguardo, molto significativi. Questo curioso sacrestano, che incontra lo spirito dei canonici nel chiostro della cattedrale e quelli degli abitanti di Pamiers nei cimiteri all’uscita della città, è molto loquace. I revenants che egli interroga gli chiedono spesso di dire delle messe, di distribuire pane ai poveri, di trovare dell’olio per le lampade delle chiese della regione, tutte cose che i preti raccomandano di inserire nei testamenti dei morenti.53 Spesso i non-morti minacciano quei vivi che non hanno eseguito fedelmente le loro ultime volontà;54 altri ancora confessano di errare a causa di una penitenza dovuta al fatto che il loro corpo non è stato sepolto nel cimitero Saint Antoine (Palmiérs).55 Le anime in pena che egli incontra in

50

Guillaume Durand, op. cit., Livre VII, Chap. XXXV, p. 106. 51 Fournier 1965-66. 52 Ibid. 53 Ibid. 54 Ibid. 55 Ibid.

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mezzo alle tombe o nella periferia di Palmiér rimangono insaziabili, caratterizzati dall’instabilità e dall’irrequietezza.

Thietmar di Merseburg è il primo a fornire informazioni dettagliate sulle apparizioni dei morti; egli scrive la sua cronaca fra il 1009 ed il 1018 e, basandosi sulle testimonianze raccolte, narra ciò che è accaduto a Walsleben, dopo la sua ricostruzione: al sacerdote della città è apparsa, nel cimitero, una folla di morti ed una defunta, che il curato ha riconosciuto, predice all’uomo l’imminenza del suo trapasso.56

A questo racconto Thietmar ne aggiunge altri in cui i morti si manifestano sempre con dei suoni o delle apparizioni generalmente anonime (una sola volta una parrocchiana defunta può essere riconosciuta). In altri casi la relazione fra il morto ed il vivente si individualizza e vengono forniti anche dei nomi.

Un altro personaggio importante è Gervais di Tilbury, il quale scrive numerosi racconti di apparizioni, di cui, il più lungo, riguarda la manifestazione ripetuta di un giovane uomo morto prematuramente a Beaucarie, fra il mese di luglio e il 29 settembre 1211. Il morto si chiama Guillaume ed appartiene ad una buona famiglia di Apt ed è stato esiliato a Beaucarie, da suo zio, a causa di violenze compiute nella sua città d’origine. A Beaucarie egli muore in seguito ad una rissa; tale morte prematura e violenta lo ha predisposto a diventare un revenant, anche se è deceduto da vero cristiano, con tutti i sacramenti della Chiesa e dopo aver perdonato il suo assassino.57 Le sue apparizioni cominciano tre o cinque giorni dopo la sua morte e la persona che ne è beneficiata è la giovane cugina di undici anni, la quale, in linea con il topos dei racconti su tali manifestazioni di spiriti, lo avrebbe invocato per farsi descrivere il mondo dell’aldilà.58

Una nuova apparizione si ha dopo sette giorni, mentre i parenti del defunto si trovano presso il monastero di Saint-Michel-de-Frigolet, a pregare per lui; egli si manifesta insieme ad un diavolo cornuto, che la bambina mette in fuga con l’acqua benedetta. Nei giorni successivi le visite si moltiplicano e la giovane cugina viene ormai utilizzata dalla comunità come medium per coloro che vogliono interrogare il revenant sul divenire dell’anima dopo la morte. Guillaume racconta l’orrore del trapasso, che descrive come un’esperienza macabra e terribile ed aggiunge che egli ha visto gli angeli e gli spiriti maligni disputarsi la sua anima, fino ad arrivare alla vittoria dei primi. Aggiunge che dopo la scomparsa, l’anima inizia ad errare per qualche giorno (quattro o cinque), al termine dei quali essa, se non appartiene né a santi, né a dannati, raggiunge il purgatorio.

Nel 1323 Jean Gobi, il futuro compilatore della Scala Coeli, riporta, di fronte Giovanni XXII ed i cardinali del Palazzo Apostolico di Avignone, un curioso fatto che ha turbato la piccola città vicino ad Alès. Lo spirito di un uomo, morto dopo qualche tempo,

56 Ibid. 57 Ibid. 58 Ibid.

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torna a tormentare la sua casa e, come nella migliore tradizione del “pessu de mortz”59, la moglie ormai rimasta vedova. Jean Gobi decide così di andare ad interrogare lo spirito maligno che turba la pace della città, accompagnato dal lettore di filosofia del convento, da qualche fratello e da numerosi laici, ben pronti a dimostrare che si tratta di una illusio

daemonis. Egli si siede sul letto di morte, recita le preghiere del defunto e le litanie, e

domanda alla vedova se lo spirito è presente ed in quel momento esso si manifesta, presentandosi come Gui de “Corvo” (o de “Torno”). Jean Gobi inizia allora a dialogare con il non-morto, mettendo in atto un vero e proprio esorcismo, durante il quale il priore scongiura lo spirito di dire sempre la verità:

“Io ti giuro, creatura di Dio, per la sua forza infinita, per la sua saggezza ineffabile, per la sua bontà immensa e per tutte le virtù della santissima trinità, che crea tutte le cose, per il mistero della santa incarnazione, per il merito della sua passione benedetta, per la sua resurrezione vittoriosa e gloriosa, per tutti gli ordini degli angeli santi, e per tutto ciò che può, della sua divina virtù, costringerti di più, io ti ordino e ti costringo a non lasciare questo luogo non prima di aver, nella verità e senza mentire, risposto a tutte le domande che vorrò rivolgerti.

Lui rispose: bene, lo farò.

E allora io lo interrogai per sapere se era uno spirito benigno o malvagio. Lui rispose che era uno spirito buono.

Io lo congiurai anche per tutte le domande seguenti e gli domandai se era uno spirito che avrebbe raggiunto finalmente e senza alcuna restrizione, la beatitudine e la salvezza.

Rispose di sì.

Lo interrogai per sapere chi era.

Egli rispose che era uno spirito che faceva e soffriva il suo Purgatorio. Il Fratello: perché qui e non altrove?

Disse che era qui che aveva commesso il suo peccato. Il Fratello: quale peccato?

Rispose che aveva offeso sua madre.

Il Fratello: il peccato di offendere i genitori è così grande per Dio? Lui rispose: molto grande.

Il fratello domandò se avrebbe scontato la sua pena nel purgatorio comune o in uno particolare, ovvero il luogo in cui, a causa del peccato, dovrà restare due anni, a meno che dei voti dei benefici non vengano in suo aiuto […].”60

59 Chiffoleau 1980. 60 Chiffoleau 1980.

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In questo dialogo straordinario, lo spirito di Gui de “Corvo” è letteralmente addomesticato da Frate Prêcheur, mentre con la sua vedova si era comportato, per così dire, come un revenant “ordinario”.61

Nel corso degli otto giorni che avevano seguito il decesso e che avevano preceduto l’intervento di Jean Gobi, lui non parla, la sua voce si sente indistintamente e come molti altri revenants, si lamenta, geme; la sua funzione non è quella di parlare, ma in tempo di lutto, di venire ad infastidire e tormentare il riposo della sua vedova. Per quanto riguarda il peccato da lui commesso in vita, ovvero quello di aver offeso sua madre, per Jacques Chiffoleau ci troviamo davanti ad una manifestazione assai classica di lutto patologico:62 la vedova mantiene in vita in modo illusorio e allucinatorio il marito che ha perso da poco e questi tormenti sono molto frequenti nel Medioevo ed integrati nei comportamenti sociali, in modo che gli abitanti ed i domenicani di Alès si associno senza difficoltà.63

L’esorcismo recuperatore di Jean Gobi serve a far parlare il revenant, a farlo diventare uno spirito loquace e ragionevole. Il domenicano in questo caso gioca un ruolo all’incirca simile a quello di Arnaud Gélis, “le messager des âmes” a Pamiérs, ma, al contrario del sacrestano, conosce la teologia e trasforma lo spirito errante di Gui de “Corvo” in una di quelle anime del Purgatorio che vengono a reclamare dai viventi le preghiere per i morti.64

La storia dello spirito di Alès non si ferma nel 1330, ma si diffonde nell’intera Europa, forse amplificata e rimaneggiata da un chierico di Bologna.65 Attraverso questo esempio dell’inquadramento dei revenants, si può anche notare come nel Sud della Francia, alla fine del XIII secolo e all’inizio del XIV, la Chiesa aveva provato concretamente di imporre il Purgatorio, integrando questa parte nell’aldilà folklorico finora inafferrabile.

Nel 1400 un monaco anonimo dell’abbazia cistercense di Byland, nella contea di York (Inghilterra) rinviene un manoscritto più antico di circa due secoli, conservato all’interno della biblioteca del monastero e scopre che in due punti le pagine sono vuote. Decide così di scrivere di sua mano una dozzina di racconti straordinari e fantastici, che riguardano fatti recenti e locali, che egli ha raccolto dalla tradizione orale. Undici delle dodici storie riguardano le apparizioni dei morti avvenute non in sogno, ma in stato di veglia e sono tutte apparizioni individuali, anche se spesso si manifestano accompagnate da un corteo di spiriti che accompagnano il revenant.66 In generale gli scopi e le ragioni di tali apparizioni sono conformi agli schemi abituali ed all’ideologia ecclesiastica. I non-morti si manifestano a causa dei loro peccati non espiati: omicidio (tra cui quello di una donna incinta), furto (come ad esempio di cucchiai, di sei denari, o di fieno per far ingrassare fraudolentemente un bue),

61 Ibid. 62 Ibid 63 Ibid. 64 Ibid 65 Ibid. 66 Ibid p. 168-69.

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spergiuro, sottrazione del patrimonio, concubinato di un prete, o ancora morti non battezzati. Altri sono stati scomunicati dai viventi e sono morti senza essersi riconciliati con la Chiesa.67 Si tratta di anime in pena ai quali i vivi chiedono, attraverso rituali particolari, di dire il loro nome, la causa della loro apparizione ed il rimedio, ovvero ciò di cui hanno bisogno, che in generale riguarda l’assoluzione da parte di un prete.

Due secoli prima, sempre nello Yorkshire, Guillaume de Newburg, presenta dei racconti simili, riguardanti le apparizioni dei revenants ed i metodi messi in opera dai vivi per liberarsi di loro. Questi racconti non parlano mai delle “anime del purgatorio”, ma di spiriti molto corporei, che escono dalle loro tombe, vagano fuori dei cimiteri, terrorizzano gli abitanti del villaggio che li riconoscono senza difficoltà e li catturano con la stessa violenza. Tali revenants si presentano generalmente sotto una forma umana, ma alcuni possono essere soggetti a sorprendenti metamorfosi, come il trasformarsi in cavalli imbizzarriti, in cani con catene al collo […]68

La paura del ritorno del morto ha quindi origini molto antiche e si afferma soprattutto in epoca medievale, in un momento in cui la Chiesa ed il clero accrescono sensibilmente la loro influenza religiosa e materiale sulla società laica, inculcando ai fedeli una morale religiosa centrata sulla nozione di peccato, di penitenza e di salvezza, che culminò, nel XII secolo, nella nascita del concetto di Purgatorio.69

La necrofobia e la credenza nelle apparizioni degli spiriti e dei “non-morti” sopravvive anche in epoca post-medievale e moderna.

Molto interessante, ad esempio, è l’opera di Agostino Calmet (1986), “Dissertazioni sopra le apparizioni de spiriti e sopra i vampiri, o i redivivi d’ Ungheria, Moravia etc.”70, in cui, nella II Dissertazione, dedica molto spazio al racconto delle apparizioni di alcuni

revenants,che nonostante la loro morte ed il loro seppellimento, tornano a vagare sulla terra

dopo un periodo di tempo variabile e tormentano i viventi. In questi racconti, ambientati nel XVII-XVIII secolo, il revenant viene spesso associato ad un vampiro o ad un fantasma che si manifesta ai vivi con grande aggressività, tormentandoli e cercando perfino di ucciderli:

“[…]Vi si vedono per comun detto uomini morti da molti anni, o per lo meno da molti mesi, ritornare, parlare, camminare, inquietare i villaggi, offendere gli uomini e gli animali, succhiare il sangue de’suoi propinqui, portare ad essi malattie, e farli morire, di maniera che non si può liberare dalle visite moleste, e dalle inquietudini di costoro, se non con il dissotterrarli, impalarli, tagliar loro la testa , strappar loro il cuore, ovvero abbruciarli. A coloro che ritornano dessi il nome di Oupiri, o Vampiri, vale a dire sanguisughe, e se ne raccontano particolarità cotanto singolari, precise, e vestite di circostanze così probabili, e

67 Ibid p. 169. 68 Ibid p. 170. 69 Schmitt 1994. 70 Calmet 1986.

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d’informazioni così giuridiche, che bisogna quasi adottare l’opinione, che corre in que’paesi, che coloro escano veramenta da’loro sepolcri, e cagionino tutti quegli effetti, che comunemente si dicono […]”.71

Tali entità sono quindi percepite dalla comunità dei viventi come soggetti malvagi e pericolosi che devono essere fermati; l’unico rimedio per placare la loro collera e far sì che smettano di tormentare i vivi è quello di distruggerli, bruciando i loro corpi o decapitandoli:

“[…] un pastore del villaggio di Blovv presso la città di Kadam in Boemia, che comparì più volte, e che chiamava per nome alcune persone, le quali certamente dentro otto giorni morivano. I paesani di Blovv disotterrarono il corpo del pastore, e con un palo fittogli per mezzo il corpo lo conficcarono in terra. […] La notte medesima si rialzò , molti pose in un grande spavento, e ne uccise molti di più di quel che aveva fin allora fatto. Quindi lo consegnarono al carnefice, che lo mise sopra una carretta per trasportarlo fuori della villa, e bruciarlo. […] Finalmente lo bruciarono, e così finì quel Fantasima di apparire, e di nuocere.”

“Il solo rimedio contro queste Apparizioni si è decapitare, e abbruciare il corpo di coloro, che appariscono.

Tuttavia non fassi questa esecuzione senza prima praticare gli ordini di Giustizia; si citano, si esaminano testimoni, si ascoltano le ragioni, si considera il corpo dissotterrato per vedere, se vi si trovano i segni ordinari, da’ quali si conghiettura esser dessi, che molestano i vivi, come la mobilità e la flessibilità delle membra, la fluidezza del sangue, l’incorruzion delle carni. Quando vi si trovino questi segni, si danno in mano al carnefice che li brucia. Succede tal volta, che queste Fantasime compariscono per tre o quattro giorni ancora dopo l’esecuzione. Qualche volta si differisce per sei o sette settimane il dar sepoltura a i corpi di persone sospette, e quando non si putrefanno, quando restano colle membra flessibili e mobili, come se fossero vivi, allora si abbruciano. Asseriscono per cosa certa, che le vesti di costoro si muovon da sé senza che alcuno le tocchi, e si è veduto, non è gran tempo, a Olmutz, continua il nostro Autore, uno Spettro, che gattava de i sassi, e metteva in confusione gli abitanti […].” 72

“[…] Credono in oltre, che i corpi di questi Scomunicati molte volte appariscano ai vivi e di giorno e di notte, parlino con essi, li chiamino, li molestino. […] Per liberarli da questi Geni cattivi non v’è altra strada che disotterrare il corpo della persona, ch’è apparita, e bruciarlo dopo aver sopra di esso recitato alcune orazioni. Allora quel corpo si riduce in polvere, e più non comparisce. […] Non han trovato via più sicura da liberarsi dalle loro molestie, e apparizioni pericolose, quanto abbruciare, e fare in pezzi que’corpi, che servono

71 Calmet 1986, cap. II, pp.170-172. 72 Calmet 1986, cap. VII, pp. 170-171.

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di strumento alla loro malizia, ovvero strappar loro il cuore, lasciarli putrefare prima di sotterrarli, decapitarli, ovvero con un grosso chiodo traforar loro le tempia […]”.73

Interessante è osservare che tali revenants la maggior parte delle volte si manifestano non sottoforma di spiriti, ma come esseri concreti e reali, entità corporali che sono simili ai viventi:

“[…] Quindici anni sono, un soldato di guarnigione alloggiato in casa d’un paesano Haidamaco su le frontiere d’Ungheria, vide entrar in casa, in tempo ch’egli era a tavola col suo ospite padron della casa, un incognito, si assise con essi alla tavola. Il padrone n’ebbe un grandissimo spavento, e tutti gli altri della compagnia. Il soldato stava tranquillo non sapendo cosa ciò fosse; ma essendo morto il giorno seguente il padron della casa, informatosi il soldato rilevò, che quello era stato il padre del suo ospite, morto e sepolto da dieci anni, il quale era venuto a mettersi in quella guisa a lui vicino, e ad annunziarli la morte.

Il soldato ne informò tosto il Reggimento, e ‘l Reggimento ne diede avviso agli Uffiziali Generali, che diedero commissione al Conte di Cabreras Capitano del Reggimento d’Alandetti infanteria, di prendere esatte informazioni del fatto. […]

Quindi si fece disotterrare il corpo di quel Fantasima, e fu trovato come quello d’un uomo morto in quel punto, e ‘l di lui sangue come quello d’un uomo vivo. Il Cont e di Cabreras lo face decapitare, e così rimettere nel suo sepolcro. Si fece processo ancora d’altri Rifurgenti, e tra questi d’un morto trent’anni fa, il quale era tre volte comparso nella sua casa, all’ora del pranzo, e aveva succhiato il sangue al collo la prima volta al suo Fratello, l’altra a un suo figliuolo, la terza a un servo, e tutti e tre erano morti sul fatto. Su questa deposizione il Commissario fece di seppellire quell’uomo, e ritrovatolo come il primo, col sangue fluido, come l’avrebbe un uomo vivente, comandò che gli traforassero con un chiodo le tempia, e lo mettessero di nuovo in sepoltura […]”.74

Il termine francese revenant, letteralmente “colui che ritorna”, è stato esteso ad altri contesti europei per indicare un’entità non viva, ma non ancora definitivamente morta, che, in uno stato liminare, torna sulla terra per tormentare i vivi. L’immaginario della morte e del divenire dei morti nell’aldilà costituisce una parte essenziale delle tradizioni e delle credenze religiose della società ed i sogni e le visioni occupano uno spazio molto importante. Nel Medioevo, così come in altre epoche, la forma particolare dell’esistenza che si presta ai defunti dipende dallo sviluppo del “rito di passaggio” della morte. I morti, infatti, sembrano ritornare preferibilmente quando non si è potuto praticare normalmente o correttamente il

73 Calmet 1986, cap. XXX, p. 200. 74 Calmet 1986, cap. VIII, pp.170-173.

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rito funebre o del lutto. La dimensione antropologica ed universale del ritorno dei morti è presente nella tradizione occidentale, dall’Antichità al Medioevo, fino al folklore contemporaneo.

I numerosi racconti sulle varie apparizioni non vanno però considerati solamente come semplici storie, frutto delle credenze e dell’immaginario fantastico di alcune comunità, ma vanno inquadrati in una dimensione storica e sociale, in quanto testimoni dei gesti, dei comportamenti e dei pensieri di una data cultura in una determinata epoca. Infatti le credenze popolari e folkloriche legate alla paura del ritorno dei “non morti” possono influire moltissimo sulle pratiche rituali e deposizionali dei defunti come espressione sociale e culturale di un gruppo umano.

Figura

Figura 1: Il cimitero del colera di Benabbio

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