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Il verbo nei soggetti afasici: dall'indeterminatezza categoriale a parte del discorso

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Academic year: 2021

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A Nonno Armando

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RINGRAZIAMENTI

Sono diverse le persone che voglio ringraziare per questo lavoro. In primo luogo i pazienti afasici e i soggetti del gruppo di controllo che hanno accettato di sottoporsi a questo test: la loro collaborazione è stata eccezionale. Ringrazio anche l’accoglienza che ho ricevuto dai familiari dei pazienti ai quali ho somministrato il test a casa.

Ringrazio la Dott.ssa Lucia Ferroni e le logopediste Anna, Laila, Maria e Maria Pia, le quali mi hanno sempre seguita con grande disponibilità e professionalità durante tutta l’attività di tirocinio. L'accoglienza e la collaborazione ricevuta da tutti gli altri dipendenti del dipartimento di San Leonardo in Treponzio (LU) è stata altrettanto fondamentale.

Ringrazio la Prof.ssa Florida Nicolai, relatore di questa tesi, per la disponibilità e cortesia dimostratemi durante tutta la stesura del lavoro. Un ringraziamento particolare anche alla Prof.ssa Maria Francesca Romano della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per l’elaborazione dei test statistici.

Infine, un ringraziamento speciale va alla mia amica Elena per la collaborazione durante la preparazione delle immagini del test: il suo aiuto è stato per me davvero prezioso. Ringrazio anche Davide per la scansione di tutte le immagini riportate in appendice.

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INDICE

INTRODUZIONE p.5 PARTE PRIMA CAPITOLO 1: Il linguaggio p.7

CAPITOLO 2: Il disturbo acquisito del linguaggio p.13

2.1 Afasie non fluenti p.15

2.1.1 Afasie fluenti p.18

2.1.2 Disturbi associati p.21

2.2 Afasia e riabilitazione p.22

CAPTOLO 3: Disturbo categoria-specifico per nome e verbo p.23

3.1 Approccio sintattico p.28

3.2 Approccio semantico (cognitivo) p.35

3.2.1 Embodiment p.40

3.3 Approccio lessicale p.43

3.3.1 Sistema semantico lessicale p.46

PARTE SECONDA: ANALISI SPERIMENTALE p.51

CAPITOLO 4: Materiali e metodi p.52

CAPITOLO 5: Descrizione qualitativa e quantitativa del corpus p.62

5.1 Il gesto “comunicativo” p.62

5.2 La produzione linguistica p.65

5.2.1 Omissione del nome nella frase p.65

5.2.2 Omissione del verbo nella frase p.68

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5.2.4 Sostituzione di nome con verbo p.73

5.2.5 La descrizione al posto della denominazione p.75

5.2.6 Forma finita e non finita del verbo p.80

CAPITOLO 6: I nomi e i verbi nei risultati p.83

CAPITOLO 7: Analisi dei risultati p.93

7.1 Analisi 1: verbo e nome isolati e in contesto di frase p.93 7.2 Analisi 2: verbo e nome a confronto nella denominazione e all’interno di frase p.96 7.3 Analisi 3: il verbo “manipolabile” isolato e in contesto di frase p.98

CAPITOLO 8: Implicazioni per la riabilitazione p.100

CAPITOLO 9: Conclusione p.106 Bibliografia p.112 Appendice p.121 Protocollo p.122 Risultati p.139 Profilo pazienti p.186

Profilo gruppo di controllo p.189

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INTRODUZIONE

Il presente studio valuta alcuni aspetti dell’uso del verbo nei pazienti afasici. Nello specifico si mette a confronto la produzione del verbo come forma “isolata” del lessico con la produzione del verbo in contesto di frase, allo scopo di valutare un’eventuale dissociabilità di prestazione ed eventuali connessioni con il tipo di afasia e/o con alcuni aspetti linguistici del verbo in oggetto.

Il mio interesse per il linguaggio e le patologie linguistiche è nato nel corso degli studi universitari frequentando dapprima un seminario della Dott.ssa Taddei, che mi appassionò a tal punto da preparare la mia tesi triennale in lingue e letterature straniere, sotto il consiglio della mia relatrice Prof.ssa Florida Nicolai, su una particolare patologia linguistica, cioè la sindrome di Williams (“Linguaggio e gesto nel bambino Williams”). Il mio interesse sullo studio del cervello e sul suo funzionamento è continuato durante il corso di specializzazione in linguistica seguendo il corso della Prof.ssa Nicolai di neurolinguistica.

Ho scelto l’afasia come argomento poiché è una patologia frequente, non sempre molto conosciuta, il cui disturbo principale coinvolge il linguaggio causando forti difficoltà per una vita “normale”.

Il lavoro è suddiviso in due parti. Nella parte introduttiva è descritta sinteticamente l’afasia: sono analizzate le principali sindromi afasiche, la riabilitazione, i disturbi categoria-specifici per nomi e verbi. Segue una rassegna degli studi clinici sull’elaborazione delle classi lessicali del nome e del verbo nei pazienti afasici.

La seconda sezione è dedicata alla parte sperimentale condotta con la collaborazione di un gruppo di trenta soggetti afasici, ad ognuno dei quali sono stati somministrati sei test: tre test di ripetizione, lettura e denominazione di nomi e verbi come parole isolate (trenta nomi e trenta verbi), e tre test di ripetizione, lettura e produzione di frasi semplici (contenenti gli stessi verbi dei test precedenti).

Prima di iniziare la somministrazione dei test ai pazienti afasici e ai soggetti di controllo, ho trascorso circa un mese di tirocinio presso il Presidio Ambulatoriale di Riabilitazione di San Leonardo in Treponzio (Lucca) per cercare di capire i problemi dei pazienti afasici: leggere e documentarsi sui libri e riviste è molto diverso dal trovarsi di fronte ai pazienti, toccando con mano il problema. In questo modo ho potuto capire le reali difficoltà. Questo periodo di preparazione è stato molto importante. Mi si è presentata una panoramica generale anche sul

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6 modo in cui avrei dovuto lavorare durante la somministrazione dei test: qual è l’atteggiamento giusto da assumere durante un test con questi pazienti? Come comportarsi con i pazienti, con un tipo di afasia molto grave, che quasi non riescono a parlare? Cosa fare se un paziente non riesce a parlare e inizia a disperarsi o ad assumere atteggiamenti agitati? Queste e altre sono alcune delle domande che iniziavo a pormi in previsione della somministrazione dei test. Trascorso questo primo periodo di osservazione, costantemente affiancata dalle logopediste e sotto la supervisione della responsabile del Dipartimento, Dott.ssa Lucia Ferroni, ho potuto iniziare la strutturazione e la somministrazione dei test a tutti i soggetti in trattamento e non, dopo averne valutato la somministrabilità assieme al personale sanitario.

I test sono stati eseguiti a San Leonardo in Treponzio (LU), a Maggiano (LU) e all’ospedale di Lucca. Altri test sono stati eseguiti a domicilio, nel caso di soggetti con difficoltà a uscire di casa. L’accoglienza di queste persone e dei loro familiari è stata eccezionale: li ringrazio infinitamente.

L'accoglienza e la collaborazione ricevuta da tutti i dipendenti del dipartimento, logopedisti e non, è stata altrettanto fondamentale.

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CAPITOLO PRIMO

IL LINGUAGGIO

Il linguaggio è rappresentato nell’emisfero cerebrale sinistro nel 90% delle persone e la lateralizzazione è già presente nel bambino di tre mesi. L’emisfero destro non è tuttavia “muto”.

I primi studi scientifici di pazienti con disturbo acquisito del linguaggio risalgono all’ultima metà del diciannovesimo secolo (Caplan, 1987). Il neurologo francese Paul Broca fu il primo che stabilì una connessione tra lesioni di aree specifiche del cervello e disturbi afasici: nel 1861 descrisse il caso del paziente divenuto noto come il paziente “Tan” (così chiamato perché era in grado di produrre solo quella sillaba) che presentava un grave disturbo nella capacità di esprimersi attraverso il linguaggio. Alla morte del paziente l’esame autoptico rivelò una lesione di una specifica area del lobo frontale nell’emisfero sinistro (corteccia prefrontale inferiore sinistra, aree di Brodmann 44/45). Broca formulò così la teoria secondo cui quella specifica area del lobo frontale di sinistra era la sede del linguaggio umano (Fig.1), contraddicendo così alla legge biologica generale degli organi simmetrici (in questo caso, i due emisferi cerebrali). In seguito, tra il 1861 e il 1865, Broca osservò otto casi analoghi, ciascuno dei quali presentava una lesione in quell’area specifica dell’emisfero sinistro. Notò inoltre che tutti i pazienti con disturbi del linguaggio dovuti a lesioni dell’emisfero sinistro erano destrimani e presentavano una paresi o una paralisi della mano destra. Questa osservazione condusse all’affermazione del principio, di carattere generale, per cui esiste una relazione crociata tra dominanza emisferica e l’uso preferenziale della mano.

Un passo successivo fu fatto da Carl Wernicke (1874), il quale osservò pazienti che presentavano un deficit linguistico diverso rispetto a quello descritto precedentemete da Broca: i pazienti osservati da Wernicke presentavano un prevalente deficit di comprensione e un eloquio fluente ma scarsamente informativo. In seguito all’esame autoptico, emersero lesioni della regione posteriore–superiore del lobo temporale sinistro (area di Brodmann 22). All’età di soli 26 anni Wernicke pubblicò un lavoro intitolato “The symptom complex of

aphasia: a psychological study on a neurological basis”, dove descriveva un secondo tipo di

afasia (di Wernicke) e ne prediceva un terzo tipo, cioè l’afasia di conduzione, dovuta ad una lesione che disconnette l’area di Wernicke dall’area di Broca, entrambe intatte. Poiché l’area di Broca è preservata, il linguaggio dovrebbe essere fluente ma anomalo; dall’altro lato, la

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8 comprensione dovrebbe essere intatta perché l’area di Wernicke è ancora funzionante, mentre la ripetizione dovrebbe essere fortemente compromessa.

Wernicke propose così un modello che evidenziava come sono connesse le aree del linguaggio nel cervello, con il linguaggio organizzato in componenti separate connesse tra loro e con correlati anatomici distinti. Wernicke assunse che, poiché l’area di Broca è adiacente alla regione corticale del cervello che controlla i muscoli coinvolti nella produzione del linguaggio, questa specifica area incorpora i programmi per la coordinazione complessa di questi muscoli, mentre l’area di Wernicke, adiacente alla regione corticale che riceve gli stimoli uditivi, è responsabile della comprensione del linguaggio. Distinse così due centri del linguaggio: uno per le immagini acustico-verbali, localizzato nelle regioni temporali, uno per quelle motorie-verbali, situato nelle aree frontali. In base a questi dati, Wernicke fece la naturale supposizione che l’area di Broca e l’area di Wernicke dovevano essere tra loro interconnesse. (Geschwind, 1972).

Fig.1. Rappresentazione delle aree del linguaggio e delle loro connessioni (numerazione citoarchitettonica di Brodmann)

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9 Il modello proposto da Wernicke è stato successivamente modificato da Lichteim e, infine, da Geschwind circa cento anni dopo. Tale modello, passato alla storia come il modello Wernicke-Geschwind (Fig.2), pone l’accento sull’importanza di specifiche aree corticali e sulle loro vie di connessione nella sostanza bianca per la rappresentazione delle funzioni linguistiche e comunicative. Secondo tale posizione, componenti discrete sul piano anatomico svolgerebbero specifiche funzioni di input-output per la produzione e la comprensione del linguaggio, e la loro compromissione comporterebbe un deficit delle abilità cognitive linguistiche correlate (Anolli, 2002). Secondo la versione finale del modello, durante la comprensione gli stimoli acustici sono inviati nel sistema sensoriale uditivo che trasmette l’informazione alla corteccia associativa parieto-temporo-occipitale localizzata nel giro angolare e poi all’area di Wernicke, dove si accede dall’informazione fonologica alla rappresentazione delle parole. Da lì attraverso il fascicolo arcuato, un canale di fibre nervose, l’informazione passa all’area di Broca, dove la percezione del linguaggio viene tradotta nella struttura grammaticale di una frase e viene assegnata la struttura sintattica. La rappresentazione delle parole attiva il concetto relato nei centri del concetto e si realizza la comprensione (Nicolai, 2003:42). Secondo il modello analoghe dovrebbero essere le vie interessate durante il compito di produzione, ovviamente in direzione opposta: gli stimoli visivi sono inviati dal giro angolare della corteccia associativa parieto-temporo-occipitale all’area di Wernicke. Una volta formatosi lo schema sonoro, questo viene trasferito all’area di Broca attraverso il fascicolo arcuato (Geschwind, 1972).

L’area di Broca, adiacente alle parti inferiori dell’area motoria (giro prefrontale), è responsabile della produzione linguistica, mentre l’area di Wernicke, localizzata nella regione postero-superiore del lobo temporale (giro temporale superiore), è responsabile della comprensione. Quindi il centro della comprensione e della produzione del linguaggio sono connessi dal fascicolo arcuato che, secondo il modello, trasporta unidirezionalmente i segnali dall’area di Wernicke a quella di Broca. Su questa base neuroanatomica sono state successivamente classificate le diverse afasie. Tale modello prevede che se una lesione colpisce l’area di Wernicke, le parole non vengono comprese. Se la lesione è più estesa posteriormente e inferiormente, il danno può colpire anche la comprensione del linguaggio sia orale che scritto. Al contrario, una lesione nell’area di Broca comporta una grave alterazione nella produzione. Il modello prevede che una lesione del fascicolo arcuato, interrompendo la connessione tra l’area di Wernicke e l’area di Broca, altera il normale flusso del discorso.

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Fig.2. Modello Wernicke-Geschwind

Laspecificità delle aree corticali di Broca per la produzione e dell’area di Wernicke per la comprensione del linguaggio appare, tuttavia, messa in discussione dalla moderna neurolinguistica e dalle tecniche di neuroimmagine, poiché gli effetti delle lesioni cerebrali risultano variabili e non sempre univocamente classificabili.

È stato rivelato da recenti studi una multifunzionalità dell’area di Broca. Secondo questi studi tale area sarebbe coinvolta i) nella fonologia e nel modo in cui sono distribuite e processate le parole; ii) contiene le risorse che vengono reclutate durante le prove di memoria di lavoro; iii) è collegata alle immagini mentali; iv) sembra svolgere un ruolo cruciale in campo sintattico: in particolar modo è stato rivelato un coinvolgimento dell’area di Broca per quanto riguarda la comprensione e la produzione di frasi sintatticamente complesse (Grodzinsky e Amunts, 2006; Grodzinsky e Santi, 2008; Davis et al., 2008). Come si legge in Davis et al. (2008), diversi studi hanno mostrato l’attivazione dell’area di Broca durante compiti diversi. Alcuni mostrano che diverse sottoregioni dell’area di Broca sono responsabili di deficit diversi. Ad esempio, un numero di studi converge con l’ipotesi che la parte anteriore dell’area di Broca

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11 risulta critica durante compiti di tipo semantico, mentre quella posteriore per la ripetizione o la processazione di lettere o sillabe.

Studi sperimentali con afasici agrammatici hanno mostrato le seguenti caratteristiche delle loro abilità di comprensione (Grodzinsky, 2000): i) mostrano prestazioni migliori durante la comprensione di frasi attive rispetto a quelle passive; ii) riescono a individuare violazioni di regole strutturali gerarchiche; iii) sembrano non avere alcun disturbo di comprensione lessicale; la parte del lessico che fa da interfaccia con la grammatica della frase è intatta. Questo è dimostrato dalla loro abilità a individuare violazioni di sottocategorizzazione e struttura argomentale; iv) non mostrano alcun problema in compiti che coinvolgano l’assegnazione tematica; v) non presentano problemi nell’associare un ruolo tematico di un’entrata lessicale nella rispettiva posizione sintattica; vi) non violano il criterio tematico; vii) sono in grado di assegnare il caso ai sintagmi nominali; viii) riescono a manovrare gli aspetti di legamento, che sono le condizioni che definiscono le relazioni anaforiche tra i pronomi e i loro antecedenti.

In contrasto con i dati appena riportati sulle abilità ricettive intatte dei pazienti, viene osservato un grave deficit nella comprensione di costruzioni derivate dal movimento. Secondo Grodzinsky (2006) l’area di Broca sarebbe specializzata nella conservazione delle tracce dei movimenti.

Secondo una prima proposta (Grodzinsky, 1984, 1986), nell’agrammatismo, tutte le tracce di movimento sono cancellate dalla rappresentazione sintattica con conseguenze nell’interpretazione, nei giudizi di grammaticalità e nel processamento on-line. Un considerevole numero di dati sembrerebbe supportare questa affermazione suggerendo che i pazienti soffrono di un crollo di una parte della sintassi (Grodzinsky, 2000). Secondo Grodzinsky, nell’afasia di Broca le tracce dei movimenti sono invisibili al sistema sintattico perché cancellate nella rappresentazione del paziente. Pertanto, il deficit centrale dell’agrammatismo sarebbe la delezione della traccia.

L’agrammatismo viene dunque ricondotto a un deficit sintattico specifico e circoscritto e la correlazione con l’area di Broca permetterebbe di attribuire a quest’area una funzione specifica: sarebbe il centro neuronale dei meccanismi recettivi specificamente coinvolti nella computazione della relazione tra i costituenti frasali mossi trasformazionalmente e il loro punto di estrazione. Grodzinsky (2002), a conferma di ciò, osserva che gli afasici di Broca hanno pochi problemi a comprendere frasi che non coinvolgano il movimento (l’uomo toccò

la donna; l’uomo che toccò la donna; l’uomo che toccò la donna era alto), diversamente dai

casi in cui è invece coinvolto (la donna è toccata dall’uomo; la donna che fu toccata

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12 Questo approccio all’agrammatismo, che si inserisce all’interno del programma minimalista di Chomsky, costituisce al contempo una novità e una rottura col modello ottocentesco: l’area di Broca è considerata coinvolta anche nella comprensione, ma, al contempo, non è più vista come la casa di tutte le risorse morfosintattiche. La sua compromissione è responsabile di un deficit sintattico parziale (Nicolai, 2003:45). La specificità di questo tipo di comprensione sintattica svolto dall’area di Broca è, secondo Grodzinsky, confermata ulteriormente dalla mancanza di tale deficit negli afasici di Wernicke.

Grodzinsky (2000) afferma dunque che la sintassi è per lo più conservata nella comprensione agrammaticale e che il movimento sintattico è danneggiato seguendo le linee di argomentazione dell’ipotesi della delezione della traccia.

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CAPITOLO SECONDO

IL DISTURBO ACQUISITO DEL LINGUAGGIO

Con “afasia” si indica un disturbo acquisito del linguaggio in seguito a una lesione cerebrale coinvolta nelle funzioni linguistiche. L’afasia acquisita consiste dunque nella perdita della capacità di utilizzare in modo efficace la funzione linguistica integra prima del danno cerebrale, non compromettendo altre capacità cognitive.

L’afasia può essere conseguenza di un ictus cerebrale (più frequentemente), di un trauma cranico e, più raramente, di malattie come i tumori.

I livelli di gravità nel parlare, nel comprendere, nel leggere e nello scrivere variano a seconda di fattori diversi, tra cui l’ampiezza della lesione. Molti pazienti perdono le capacità di esprimere verbalmente anche le più semplici esigenze della vita quotidiana. Ciò può avere conseguenze gravissime sull’autonomia del paziente sul piano personale e lavorativo, nei rapporti sociali, nonché nell’equilibrio emotivo. L'afasico ha infatti consapevolezza del suo stato, conserva tutte le emozioni e le capacità di capire e percepire il mondo che lo circonda. Rinuncia pertanto ai propri diritti e alle proprie mansioni, chiudendosi in un doloroso isolamento. L’afasia non compromette l’intero processo di comunicazione: il paziente, infatti, riesce a comunicare (almeno parzialmente e in rapporto alla gravità del danno) attraverso strategie extraverbali come, ad esempio, il gesto.

La classificazione dei disturbi afasici tiene conto della localizzazione, del tipo e dell’estensione della lesione cerebrale, della tipologia dei disturbi linguistici. Altri fattori che intervengono nel quadro sintomatologico sono la competenza linguistica pregressa e la personalità del soggetto. Fluenza, comprensione, ripetizione e denominazione possono essere compromesse in modo differenziato (Fig.3).

Una prima importante classificazione delle afasie tiene conto della fluenza, cioè dell’abilità e scorrevolezza nella produzione verbale, portando alla distinzione tra afasici fluenti e afasici non fluenti: l’afasico fluente presenta un eloquio relativamente produttivo, riuscendo a produrre una sequenza ininterrotta di più di quattro parole; articolazione, ritmo e intonazione sono relativamente preservati; l’afasico non fluente produce soltanto parole isolate o frasi molto brevi costituite da pochi elementi (si eliminano, ad esempio, aggettivi e avverbi, mentre per lo più preservati sono sostantivi e verbi), motivo per cui si parla, in tal caso, di

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14 “linguaggio telegrafico”; ha difficoltà articolatorie, che si manifestano con sforzi nella produzione di fonemi ed errori di vario tipo. Presenta alterazioni nel ritmo e negli schemi intonativi.

Appartengono alle afasie non fluenti l’afasia globale, l’afasia di Broca, l’afasia transcorticale motoria e l’afasia transcorticale mista. Appartengono alle afasie fluenti l’afasia di Wernicke, l’afasia di conduzione, l’afasia transcorticale sensoriale e l’afasia anomica.

Fig.3. Grafico delle principali caratteristiche linguistiche correlate ai siti della lesione delle afasie (A. Marini 2008:161)

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2.1 AFASIE NON FLUENTI

AFASIA GLOBALE (Fig.4): è il tipo di afasia più grave. Colpisce tutte le aree linguistiche

dell’emisfero sinistro (lesioni fronto-temporo-parietali). La produzione verbale è gravemente danneggiata: si presenta con perdita pressoché totale della parola (vengono preservati soltanto pochi frammenti sillabici) e della scrittura. Sono colpite tutte le quattro abilità linguistiche.

Fig.4. Afasia globale

AFASIA DI BROCA (Fig.5): lesione del lobo frontale inferiore sinistro. L’afasia di Broca è

essenzialmente caratterizzata da i) un linguaggio non fluente, per lo più monosillabico: i soggetti mostrano problemi di agrammatismo, cioè difficoltà nella produzione di parti grammaticali (forte riduzione nell’impiego di verbi, aggettivi, avverbi, preposizioni, congiunzioni, quantificatori ecc.), più o meno sistematicamente omesse. Il paziente produce complessivamente un discorso schematico e telegrafico; ii) difficoltà a produrre la parola

appropriata e a pronunciarla correttamente. I soggetti producono parafasie fonemiche

(alterazione della sequenza di fonemi, omissione, sostituzione, delezione di fonemi all’interno di una parola: scivolare > scivelare; martello > partello; applaudire > appludire;

accarezzare > assarezza; gocciolare > giocciolare; pescare > spessare; paziente BP) e

semantiche (sostituzione della parola target con un’altra correlata dal punto di vista semantico: applaudire > mano; sudare > sole; scivolare > cascare; paziente GB); iii)

disartria (perdita del controllo sui muscoli articolatori) e aprassia (disturbo nella

programmazione articolatoria).

Non sono compromesse, di solito, la capacità di cantare o recitare filastrocche, e di produrre liste di parole (come giorni della settimana, numeri mesi, anni).

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16 Il disturbo di produzione è accompagnato anche da problemi di elaborazione morfosintattica, che determina difficoltà di comprensione nel caso in cui l’interpretazione sia affidata alla comprensione di costrutti grammaticali (ad esempio, non ci saranno difficoltà nel comprendere “il latte è bevuto dal bambino”, mentre sarà possibile riscontrarne nella comprensione di “il bambino è picchiato dalla bambina”).

Fig.5. Afasia di Broca

AFASIA TRANSCORTICALE MOTORIA (Fig.6): lesione situata nelle zone marginali

frontali (area 45 di Brodmann). Simile all’afasia di Broca presenta deficit nella produzione linguistica: eloquio spontaneo non fluente, povero, disprosodico. La comprensione e la ripetizione (c’è anzi un forte ricorso all’ecolalia) sono essenzialmente intatte.

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AFASIA TRANSCORTICALE MISTA (Fig.7): le lesioni circondano le aree perisilviane

senza tuttavia interessarle direttamente. L’eloquio è non fluente, la denominazione deficitaria, la scrittura e la lettura compromesse, disturbi nella comprensione. La ripetizione è buona. Sono presenti fenomeni ecolalici.

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2.1.1 AFASIE FLUENTI

AFASIA DI WERNICKE (Fig.8): lesione del lobo temporale postero-superiore. Questo tipo

di afasia colpisce fondamentalmente la capacità di comprensione della lingua sia scritta che orale; la produzione è abbastanza fluente e correttamente articolata, ma le frasi sono spesso prive di significato e le parole non sono contestualmente adeguate. L’eloquio è principalmente caratterizzato da i) parafasie fonemiche (rincorrere > rancorrere; paziente GB; candela >

lume … cume; sole > pole; paziente CF); ii) parafasie semantiche (gocciolare > acqua; gatto > canino; paziente OB); iii) circonlocuzioni (pettinare > trattore … no dottore -il paziente fa

il gesto di pettinarsi- … quello che accendi e poi fona; annaffiare > pianta l’acqua perché

hanno freddo, hanno bisogno di ... acqua; sbucciare > aregge ... scuote questo qui per mangiarla; fischiare > suona, è tutto fermato, bloccato .... ha fermato tutto ... allarme ... a volte sono a calcio, a volte il vigile; la donna annaffia i fiori > pulisce i … che … ne campi che accende … pulisce la … questa ragazza che pulisce per scrivere accendere … ha freddo … è caldo e allarme ci mette li… d’estate hanno noia se non l’accendi; paziente CF).

Si presenta come un’“insalata di parole”, e non parole, in quanto si tratta di un parlare sconnesso. Utilizzo, come nei tipi descritti precedentemente, esempi presi dalla produzione di un paziente del corpus raccolto, RP: mordere > è come alla patata e come un amarocco;

guardare > sembra sala pomodoro cestini vi tata norta; mela > la garoppa a come ha messo patati; cane > marottatino con garottolo; il cane morde il ragazzo > fa fittatutattotopipi è un marocchino è un mattonini è grande barocca matone, c’ha anco il bimbettino.

Sono compromesse anche le altre tre abilità.

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AFASIA DI CONDUZIONE (Fig.9): lesioni parietali. Nell’eloquio spontaneo il paziente è

fluente ma compie frequenti parafasie soprattutto fonemiche. Presenta problemi con la denominazione, la ripetizione e la lettura ad alta voce, mentre la comprensione (anche scritta) risulta relativamente meno compromessa.

Fig.9. Afasia di conduzione

AFASIA TRANSCORTICALE SENSORIALE (Fig.10): la lesione è estesa alle aree

parietali e temporali adiacenti all’area di Wernicke. L’eloquio è fluente con molte parafasie verbali che lo rendono un vero e proprio gergo. La ripetizione è corretta ma con scarsa comprensione. Ci sono problemi anche con la denominazione.

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AFASIA ANOMICA (Fig.11): lesione all’area temporo-parieto-occipitale. La principale

caratteristica di questo tipo di afasia è l’anomia, cioè la difficoltà nel recupero lessicale. Conseguentemente, si verificano problemi sia in compiti di denominazione sia nella conversazione spontanea (anomie per oggetti e situazioni: l’uomo martella > un uomo prende

il … la paziente imita l’azione di martellare; il bambino accarezza il gatto > un bambino… -la

paziente imita l’azione di accarezzare- il gatto; il ragazzo si lega la scarpa > un ragazzo… -la paziente imita l’azione di legare- la scarpa; paziente EDP). La produzione verbale è fluente ma spesso interrotta per la difficoltà a reperire la parola giusta.

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2.1.2 DISTURBI ASSOCIATI

Raramente il danno cerebrale è circoscritto alle sole aree del linguaggio; la lesione spesso colpisce le aree limitrofe dando così luogo ad altri disturbi. Tra questi:

• EMIPLEGIA: disturbo dei movimenti del braccio e della gamba destri.

• EMIANOPSIA: perdita della visione nella parte destra dello spazio. Il soggetto ha l’impressione di non vedere più dall’occhio destro ma, in realtà, in caso di lesione sinistra, vede con entrambi gli occhi ciò che si trova alla sua sinistra.

• APRASSIA: disturbo del gesto intenzionale che può colpire parti diverse del corpo. L’aprassia orale è un disturbo dei movimenti volontari della zona buccofacciale: il soggetto, pur non avendo alcun tipo di paralisi dei muscoli facciali, non è in grado, ad esempio, di soffiare o di tirar fuori la lingua a richiesta. L’aprassia ideativa, invece, è l’incapacità di compiere intenzionalmente gesti che richiedono l’uso di oggetti al di fuori di un contesto, se il gesto è cioè richiesto in una situazione “innaturale” (ad esempio, la richiesta di mostrare l’uso delle forbici senza avere nulla da tagliare).

• ANOSOGNOSIA: disturbo raro conseguente a lesione dell’emisfero di sinistra. Il soggetto non è consapevole delle proprie difficoltà, non si rende conto di avere problemi di linguaggio (nel caso di afasia) o difficoltà nel movimento (nel caso di emiplegia).

• ALTERAZIONI DEL COMPORTAMENTO: spesso i pazienti possono reagire comportandosi in maniera diversa rispetto a prima dell’insorgenza dell’ictus. È frequente l’insorgenza di sintomi depressivi e di rassegnazione di fronte alla malattia.

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2.2 AFASIA E RIABILITAZIONE

Nei primi mesi dopo l’evento traumatico, nella maggior parte dei casi, il disturbo afasico tende a migliorare spontaneamente seppure con grande variabilità interindividuale. L’afasia è un disturbo che non regredisce in modo rapido: il recupero è un processo lento e graduale. Le possibilità di recupero dipendono essenzialmente dal tipo e dall’estensione della lesione e dalla gravità iniziale dell’afasia.

Il trattamento riabilitativo può iniziare anche precocemente ma nelle prime settimane il quadro del paziente afasico è molto variabile. Dopo 3-4 settimane è possibile fare una valutazione ponderata utilizzabile come punto di partenza per la riabilitazione e come elemento di confronto per valutare i miglioramenti.

Obiettivo della terapia è migliorare tutte le capacità linguistiche, favorire una comunicazione corretta ed efficace, incoraggiare la partecipazione del soggetto alla vita sociale.

Per la valutazione del linguaggio afasico esistono diverse batterie di test in lingua italiana. Quelle che consentono valutazioni più dettagliate e approfondite sono la Batteria per l’Analisi

dei Deficit Afasici (B.A.D.A., Miceli et al., 1994), l’Aachener Aphasie Test (AAT, Luzzatti et al., 1996), e l’Esame del Linguaggio II (Ciurli et al., 1996).

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CAPITOLO TERZO

DISTURBO CATEGORIA-SPECIFICO PER NOME E

VERBO

Le ipotesi sulla rappresentazione delle informazioni linguistiche nel cervello a lungo si sono basate esclusivamente sullo studio dei pazienti afasici. Attualmente, alle ricerche afasiologiche, un’altra opportunità di studio dell’elaborazione cerebrale delle funzioni linguistiche è rappresentata dallo sviluppo delle tecniche di neuroimmagine (PET, SPECT, fMRI, MEG e potenziali evocati) che hanno reso possibile lo studio dell’organizzazione funzionale del cervello anche in soggetti normali, consentendo di tracciare, con buona approssimazione, la mappa dei sistemi percettivo, motorio e cognitivo. Questi nuovi metodi si basano sul principio che la quantità di sangue che irrora un dato tessuto e il suo metabolismo dipendono dall’attività svolta da quel tessuto in relazione a un compito specifico (ad esempio, denominazione, lettura a voce alta, compiti di decisione lessicale ecc.): maggiore è l’attività funzionale svolta da un tessuto, maggiore dovrà essere il suo metabolismo e l’apporto di sangue. Questi studi consentono senza dubbio di integrare i dati in quanto gli studi basati su pazienti con lesioni cerebrali indicano quali regioni sono critiche per l’elaborazione di un particolare compito, ma non possono mostrare tutti i circuiti realmente coinvolti nella sua elaborazione. Nel cervello colpito da afasia le regioni normalmente attive durante lo svolgimento di un dato compito potrebbero ancora funzionare, ma il loro contributo potrebbe non essere manifesto, in quanto potrebbero inviare input ad una regione cruciale per quel compito e colpita da lesione. Inoltre, poiché l’attività in alcune regioni potrebbe inibire l’attività di altre, le lesioni potrebbero condurre al mascheramento di processi normalmente occorrenti - o persino attivare alcune funzioni normalmente soppresse (facilitazione paradossa). Inoltre, i dati clinici forniscono un quadro dello svolgimento di una funzione dopo che è avvenuto un deficit. Pertanto, non è da escludersi che si verifichino processi compensativi che potrebbero mascherare alcuni effetti del danno e occultare il ruolo di diverse aree cerebrali in caso di normale funzionamento. Dunque, il quadro basato sulle lesioni è un quadro parziale, pur restando un’essenziale fonte di conoscenza, soprattutto se integrato, come ho detto, con gli studi con neuroimmagine.

Vasta è la letteratura che indaga i correlati neuronali mettendo a confronto nomi e verbi. L’ipotesi che nomi e verbi possano essere immagazzinati in aree cerebrali differenti è stata

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24 testata attraverso questi studi che in qualche misura evidenziano una correlazione tra deficit nella produzione dei verbi e lesioni anteriori che generalmente coinvolgono la corteccia prefrontale sinistra, e deficit nella produzione dei nomi associato a danno del lobo temporale sinistro (Siri et al., 2008).

Questo dato è stato confermato da diversi studi. Ad esempio, Damasio e Tranel (1993) hanno osservato tre pazienti che mostrano una doppia dissociazione durante il recupero di nomi e di verbi in compiti di denominazione. Più precisamente, due di questi pazienti che mostrano difficoltà selettive nel recupero dei nomi presentano lesioni nelle regioni anteriori e medie temporali dell’emisfero sinistro, il paziente che mostra difficoltà selettive nel recupero di verbi presenta una lesione nella corteccia premotoria sinistra.

Mätzig e Drucks (2006) hanno testato un gruppo di pazienti afasici sempre sulla dissociazione nome-verbo, ed hanno confermato che quelli che presentano un deficit del nome presentano lesioni al lobo temporale sinistro.

Meno chiari sono i correlati anatomici del danno associato ai verbi. Infatti, le sedi delle lesioni risultano più disseminate, anche se, nella maggior parte dei pazienti, si osserva uno schema della sede della lesione che va dalle parti antero-posteriori del lobo temporale alle parti infero-posteriori del lobo frontale sinistro. Tornando a Mätzig e Drucks (2006), anche loro confermano che i pazienti con deficit del verbo presentano lesioni più disseminate: lobi frontali, temporali, occipitali e/o parietali e gangli di base.

Sulla base di questi dati si può quindi pensare che l’area fronto-temporale sinistra sia deputata all’elaborazione dei nomi e l’area fronto-parietale sinistra all’elaborazione dei verbi. I dati sono a favore dell’ipotesi di due distinti circuiti neuronali associati con la morfosintassi verbale e con la morfosintassi nominale: il primo, fronto-parietale, deputato alla morfosintassi verbale, comprenderebbe le strutture prefrontali anteriori e superiori; il secondo, fronto-temporale, deputato alla morfosintassi dei nomi, comprenderebbe le strutture prefrontali inferiori e posteriori (Caramazza e Finocchiaro, 2002).

Presi congiuntamente, i dati anatomici ottenuti in pazienti con disturbo selettivo per nomi o per verbi suggeriscono che una lesione del lobo temporale è in ogni modo richiesta perché si verifichi un deficit di recupero lessicale. La lesione si estende dal lobo temporale al lobo frontale quando il difetto di recupero della parola riguarda i nomi di azione, e verso le aree associative posteriori quando sono più difficili da produrre e da comprendere i nomi di oggetti.

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25 Rimanendo nell’ambito dei deficit di classe grammaticale, il caso sicuramente più studiato è, come ho anticipato, quello che riguarda la possibile dissociazione nome-verbo. Come ricordano, tra gli altri, Denes e Dalla Barba (1998), il filosofo italiano Giovanni Battista Vico fu tra i primi a porre l’attenzione sul disturbo selettivo di nomi o verbi: egli osservò il comportamento di un paziente che ricordava i nomi ma dimenticava i verbi (Principi di

Scienza Nuova, 1744). Secondo Vico, questo indebolimento selettivo dei verbi era

riconducibile alla maggiore fragilità di questa parte del linguaggio poiché “i nomi suscitano

idee che lasciano tracce durative, mentre i verbi suscitano movimenti che si riferiscono a frazioni transitorie di tempo e spazio” (p. 505).

Come si legge in Gainotti (1998),Vico non è stato soltanto il primo a descrivere la dissociazione tra nomi e verbi in seguito a danno cerebrale, ma ha anche considerato tale dato come prova sperimentale della correttezza della sua teoria sull’organizzazione mentale del linguaggio, anticipando di fatto i metodi della neuropsicologia cognitiva. L’osservazione di Vico è rimasta isolata e non ha avuto un impatto immediato sul pensiero medico a lui contemporaneo. Dovrà infatti trascorrere ancora un secolo prima che Broca, Wernicke ed altri neurologi correlino sintomi afasici a danni di strutture neuronali specifiche.

Se l’osservazione di Vico è un aneddoto importante dal punto di vista storico, più rilevante dal punto di vista della ricerca attuale è il contributo di Pitres (1898a, 1898b) con il suo studio sull’afasia amnesica. Due sono i punti importanti:

1) anticipa che una componente importante dell’afasia, ovvero l’indebolimento nel recupero lessicale, può risultare da un danno del sistema della memoria (memoria semantica);

2) descrive una varietà clinica di afasia amnesica, che chiama “antonomasia”, il cui danno selettivo riguarda i nomi. Nella discussione dei meccanismi patologici sottostanti a questo indebolimento per i nomi, scarta la possibilità che il danno selettivo risulti dal danno di un “centro” cerebrale che immagazzina specificamente la rappresentazione dei nomi.

Come Vico, suggerisce che l’indebolimento selettivo per i nomi possa essere dovuto a differenti velocità di memoria per le diverse parti del linguaggio.

Contrariamente a Vico, però, Pitres sostiene che le parole che designano qualità e azioni (aggettivi e verbi) sono più resistenti al degrado della memoria rispetto alle parole che

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26 denotano entità concrete (come i nomi). Il dato veramente importante delle sue speculazioni è l’aver presentato casi di indebolimento selettivo per i nomi.

Contrariamente alle sue posizioni teoriche, i suoi dati mostrano che la maggioranza dei pazienti con danno selettivo per i nomi presentano una lesione cerebrale localizzata nel lobo temporale sinistro e, in particolare, nel giro angolare sinistro.

L’indebolimento selettivo di nomi e verbi in pazienti con danni cerebrali viene considerato da molti studiosi una delle più significative scoperte nel campo della neurolinguistica: numerosi studi clinici e sperimentali, pubblicati in diversi numeri di Brain and Language, hanno infatti posto l’attenzione sulla comprensione e produzione di queste due categorie grammaticali tenendo conto di diversi compiti (in particolare, prove di denominazione, ripetizione, lettura e comprensione) e variabili psicolinguistiche. Tra queste, la frequenza d’uso, in quanto generalmente le parole a bassa frequenza vengono recuperate con maggiore difficoltà rispetto a quelle ad alta frequenza; la complessità fonologica, data dal numero di sillabe o dei fonemi, in quanto risulta che le parole composte da un maggior numero di sillabe o fonemi sono più difficili da recuperare, e la familiarità. Un dato molto importante viene fornito dall’età di acquisizione. Infatti, sembra che sia coinvolta, anche in misura maggiore rispetto ai parametri di frequenza e familiarità, nell’organizzazione mentale e influenzi il grado di vulnerabilità in caso di danno cerebrale: i lessemi acquisiti più tardi durante lo sviluppo linguistico sarebbero maggiormente vulnerabili, quasi in osservanza della cosiddetta legge di Ribot che sostiene la più facile perdita di ciò che è stato acquisito dopo (Nicolai, 2003:66).

Molti di questi studi (ad esempio, Miceli et al., 1984, 1988; McCarthy e Warrington, 1985; Zingeser e Berndt, 1988, 1990; Caramazza e Hillis, 1991; Marshall et al., 1998; Collina et al., 2001; Hillis et al., 2002; Silveri et al., 2003; Laicona e Caramazza, 2004; Menichelli e Semenza, 2006 e molti altri sui quali tornerò) hanno osservato che un indebolimento prevalente nel denominare le azioni e produrre verbi è solitamente presente in pazienti non fluenti/ agrammatici, quindi, principalmente, negli afasici di Broca, mentre un indebolimento nel denominare oggetti e produrre nomi è solitamente osservato in pazienti anomici.

Il problema relativo all’indebolimento generale dei nomi nell’afasia anomica e dei verbi negli agrammatici rimane un dato clinico consolidato da molteplici studi che necessita però di una spiegazione adeguata. Manca, infatti, un’interpretazione unitaria sulla natura di tale dissociazione. Come vedremo nei prossimi paragrafi, tra le interpretazioni più accreditate, da una parte sembra che sia la funzione sintattica suscettibile di indebolimento (ipotesi sintattica). Dall’altro lato si fa una distinzione di tipo semantico (ipotesi

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semantico-27 concettuale) e lessicale (ipotesi lessicale). Queste ultime due teorie, come vedremo, fanno entrambe riferimento al modello semantico-lessicale.

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28

3.1

APPROCCIO SINTATTICO

In ambito linguistico, alcuni studi ritengono che la differenza di elaborazione di nomi e verbi sia riconducibile alla diversa funzione sintattica, sostenendo che l’informazione sulla classe grammaticale non è specificata nel lessico, ma è una funzione della sintassi (la classe grammaticale sarebbe quindi assegnata alle parole solo all’interno del contesto sintattico). La sintassi costituisce un settore della linguistica particolarmente complesso e di notevole importanza sul piano evolutivo, in quanto la capacità di combinare tra loro gli elementi lessicali creando significati nuovi e potenzialmente infiniti, è l’aspetto principale che distingue il linguaggio umano da quello animale. Molti linguisti, a partire da Chomsky, pongono la sintassi al centro dell’elaborazione del linguaggio umano. L’ipotesi fondamentale della teoria generativista elaborata da Chomsky è che l’apprendimento delle forme sintattiche stia alla base dello sviluppo del linguaggio. Il generativismo tenta quindi di spiegare le leggi che regolano il linguaggio, ed ha come obiettivo principale quello di sviluppare una grammatica in grado di generare frasi. Da questa prospettiva Chomsky ha sostenuto che la teoria sintattica presenta uno statuto speciale rispetto agli altri livelli, poiché la fonologia e la semantica sono da considerarsi soltanto come sistemi di uscita che permettono di interpretare il messaggio linguistico e la morfologia è vista distribuita nella sintassi. La teoria della grammatica rappresenta dunque una delle più importanti teorie riguardo lo studio della sintassi. Propone di rappresentare la facoltà del linguaggio come interazione tra un modello base di costruzione strutturale e un fattore trasformazionale innato che “genera” tutte e solo le frasi di una data lingua, in base a “regole di struttura sintagmatica”. Questa teoria vede come il parlante di una lingua sia in grado di produrre e comprendere frasi che non ha mai ascoltato prima, in base a regole interiorizzate. La teoria si fonda dunque sull’idea di una grammatica universale (GU): ogni parlante è in grado - in base ad una competenza innata - di produrre e comprendere un numero illimitato di frasi nella propria lingua, generandole a partire da un numero limitato di regole determinate secondo principi universali. Secondo la teoria della GU, il parlante conosce quindi un insieme di principi (che fanno parte dell’equipaggiamento biologico umano) applicabili ad ogni lingua, e un insieme di parametri che possono variare da una lingua all’altra, variabili che possono spiegare la diversità delle lingue.

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29 Per citare solo alcuni degli studi più significativi che si collocano all’interno del quadro teorico sintattico, ricordo Miceli et al. (1984) i quali, osservando il comportamento di pazienti agrammatici e pazienti anomici, hanno notato che, mentre i pazienti agrammatici mostrano una maggiore compromissione nella denominazione dei verbi, i pazienti anomici mostrano il fenomeno opposto, cioè maggiori difficoltà nella denominazione di nomi, sostenendo che il deficit legato ai verbi è un deficit dell’elaborazione sintattica. Nel 1988, Miceli et al. confermano i dati precedenti a sostegno di una compromissione selettiva di nomi e verbi: osservano anche che alcuni pazienti agrammatici hanno un indebolimento selettivo per i verbi (e alcuni anomici per i nomi) solo nella fase di produzione, in assenza di disturbi di comprensione della stessa categoria.

Zingeser e Berndt (1988) descrissero un paziente anomico con una difficoltà selettiva nella produzione di nomi sia nella modalità orale che in quella scritta. Nel 1990, Zingeser e Berndt confermarono i dati ottenuti da Miceli et al. (1984) osservando il comportamento di pazienti agrammatici (che presentavano prestazioni peggiori con i verbi) e anomici (che mostravano una maggiore compromissione di nomi). Gli autori suggeriscono che il recupero del verbo è implicitamente coinvolto con i processi sintattici, e che l’abilità preservata nell’elaborazione sintattica nei fluenti aiuta la loro produzione dei verbi.

Secondo teorie più recenti, come ad esempio quella esposta da Friedmann (2000), il deficit nel recupero del verbo frequentemente osservato nei pazienti agrammatici va spiegato come un danno a livello sintattico che causa problemi con la flessione del verbo. L’omissione del verbo in questi pazienti risulterebbe dallo stesso deficit che causa gli errori nella flessione verbale, cioè un deficit di tipo sintattico. Questo in accordo con “l’ipotesi della potatura dell’albero sintattico” (Friedmann e Grodzinsky, 1997) proposta inizialmente per spiegare casi di dissociazione tra la flessione di tempo e la flessione di accordo in soggetti parlanti arabo e ebraico: il tempo risulta più vulnerabile dell’accordo e si suggerisce che ciò sia il risultato delle differenti posizioni che tali flessioni occupano nell’albero sintattico. Quindi il deficit è collegato non solo ai diversi tipi di categorie flessive, ma anche alla loro collocazione nell’albero sintattico. All’interno della teoria linguistica di stampo generativista, la flessione verbale non è concepita soltanto come una categoria morfologica, ma come una categoria sintattica con un proprio posto nell’albero sintattico. Secondo tale teoria, la difficoltà dei pazienti agrammatici nella produzione di tempi verbali (nonché nella costruzione di strutture sintattiche complesse) deriva da un danno specifico localizzabile in qualche punto preciso dell’albero sintattico. Questi autori sostengono che la conseguenza del deficit sia una struttura sintattica “potata” che danneggia la produzione di tutti gli elementi che si trovano nei nodi più

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30 in alto rispetto al nodo deficitario. Pertanto, il tempo è indebolito, diversamente dall’accordo, perché il nodo dell’accordo è più basso. Ciò spiegherebbe il fatto per cui nei pazienti agrammatici un danno relativo al tempo verbale impedisce la corretta produzione di tempi verbali, nonché ad esempio della costruzione delle frasi interrogative e l’uso dei complementatori (che hanno una posizione più alta nell’albero) mentre lascia intatto l’accordo grammaticale.

Gli autori propongono quindi un grado di misurazione di gravità del deficit agrammatico in base al luogo sintattico del nodo deficitario nella struttura: più basso è il nodo danneggiato più grave è il deficit.

All’interno di questo approccio si collocano anche gli studi di Randall e Tyler (2003) e di Druks e Carroll (2005). Randall e Tyler (2003) osservano che i pazienti afasici da loro esaminati presentano problemi con la flessione del verbo. Testano 4 pazienti afasici in compiti di produzione di nomi e verbi: ripetizione di singole parole, decisione lessicale, denominazione, produzione di frasi, flessione di omonimi (nomi o verbi). Dai risultati emerge che i pazienti presentano prestazioni peggiori con i verbi rispetto ai nomi nella prova di denominazione. Inoltre, mostrano anche una dissociazione chiara nei compiti sulla flessione di omonimi soltanto quando è il verbo a richiedere un processo flessivo (ad esempio passare dalla prima persona singolare alla terza o viceversa), presentando maggiori difficoltà quando devono aggiungere al verbo il suffisso flessivo della terza persona singolare del presente. Gli autori non riscontano differenze di performance con la produzione di nomi e verbi negli altri compiti. Druks e Carroll (2005) descrivono il paziente agrammatico DOR con lesioni cerebrali sia all’area di Broca che a quella di Wernicke: nella prova di denominazione presenta maggiori difficoltà con i verbi rispetto ai nomi. Nel parlato spontaneo fa un uso quasi esclusivo della copula mentre produce molti nomi, aggettivi e avverbi; in vari compiti mostra un netto deficit nella produzione dei tempi verbali e nel capirne il significato mostrando di non avere accesso alla conoscenza del tempo grammaticale, in accordo con “l’ipotesi della potatura dell’albero sintattico” secondo la quale, come ho ricordato, il tempo risulta più vulnerabile a causa di un danno specifico in qualche punto preciso dell’albero sintattico.

Molti studi hanno analizzato il ruolo della struttura argomentale del verbo. Emerge una difficoltà associata al numero di argomenti richiesti dal verbo. Più precisamente: i verbi che richiedono un maggior numero di argomenti sono prodotti dai pazienti afasici agrammatici con maggiore difficoltà rispetto ai verbi che richiedono un minor numero di argomenti (Thompson et al., 1997, 2007; Kim e Thompson, 2000; Collina et al., 2001, 2007; Thompson, 2003; Bonakdarpour et al., 2007). Ad esempio, Thompson et al. (1997) mostrano che la

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31 struttura argomentale influenza il recupero dei verbi: osservano che i loro pazienti agrammatici hanno difficoltà con il recupero del verbo sia in compiti di denominazione che in compiti di produzione di frasi. In particolare osservano che la difficoltà nel recupero del verbo aumenta con l’aumentare del numero di argomenti richiesti dal verbo selezionato. Concludono suggerendo che le proprietà della struttura argomentale dei verbi sono una dimensione importante dell’organizzazione lessicale che influenza il recupero dei verbi e la produzione di frasi nei pazienti agrammatici.

Collina et al. (2001) analizzano il ruolo della complessità della struttura argomentale durante la produzione di nomi e verbi in tre pazienti italiani agrammatici. Tutti e tre mostrano una chiara dissociazione nome-verbo quando viene loro richiesto di produrre nomi e verbi in compiti di denominazione di immagini. Vengono selezionate 4 serie di parole da produrre durante il compito di denominazione: nomi non argomentali (ad esempio “medaglia”), nomi argomentali (ad esempio “pianto”), verbi argomentali monovalenti (ad esempio “dormire”) e, infine, verbi argomentali bivalenti (ad esempio “sparare”). I tre pazienti mostrano un identico risultato: producono meno errori nella produzione dei nomi non argomentali rispetto alla produzione dei verbi; producono meno errori coi verbi monovalenti rispetto ai bivalenti, e meno errori coi nomi non argomentali rispetto ai nomi argomentali.

Un altro studio più recente di Collina et al. (2007) attraverso fMRI condotto su un gruppo di 5 soggetti italiani utilizzando lo stesso materiale dello studio precedente, conferma il ruolo della complessità della struttura argomentale durante la produzione di parole evidenziata dall’attivazione della zona corticale: le regioni di attivazione supportano l’ipotesi che sono coinvolti diversi circuiti neuronali quando si considerano nomi non argomentali e verbi. Thompson et al. (2007) hanno condotto uno studio su un gruppo di 6 afasici di Broca attraverso la tecnica di eye-tracking, cioè una tecnica che registra e analizza i movimenti oculari, in questo caso quando vengono prodotte frasi. Le immagini vengono presentate su un computer e viene chiesto ai soggetti di descriverle usando semplici frasi. Viene analizzata la struttura argomentale dei verbi che conferma un effetto della complessità della struttura argomentale. Questo effetto è confermato anche dallo studio di Bonakdarpour et al. (2007) condotto attraverso fMRI su un gruppo di 5 pazienti agrammatici sottoposti ad un compito di decisione lessicale di verbi monovalenti, bivalenti e trivalenti. Anche loro riscontrano un effetto della struttura argomentale.

Tutti questi risultati indicano che la complessità argomentale può colpire l’abilità dei pazienti agrammatici durante la produzione di parole. Questi dati mettono infatti in evidenza che la complessità della rappresentazione semantica dei verbi influenza il loro recupero, confermando così l’ipotesi della complessità della struttura argomentale elaborata da

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32 Thompson (2003): quando un verbo diventa più complesso dal punto di vista della sua struttura argomentale, quindi in base al numero di argomenti richiesti, aumenta la difficoltà nel recupero e nella produzione del verbo. La conoscenza lessicale, dunque, coinvolge anche l'informazione sintattica. Lo studio di Thompson (2003) condotto su un gruppo di 8 pazienti agrammatici osserva che durante un compito di produzione narrativa i verbi monovalenti sono prodotti con maggior frequenza, seguiti dai bivalenti e dalla copula. Al contrario, i verbi trivalenti sono prodotti poco frequentemente, a sostegno di una difficoltà legata al numero di argomenti richiesti dal verbo, in accordo con i risultati di Thompson et al. (1997) e di Kim e Thompson (2000).

Altri studi ancora hanno analizzato il fattore della transitività analizzando il verbo dal punto di vista delle tre classi di verbi transitivi, inergativi e inaccusativi. Questi studi hanno prodotto risultati contrastanti: ad esempio, Davidoff e Masterson (1996) segnalano che i verbi transitivi sono acquisiti prima rispetto agli intransitivi. Questa superiorità per i verbi transitivi è in accordo con i risultati ottenuti dallo studio di Jonkers (1999) e da Bastiaanse e Zonneveld (2004, 2005) e Bastiaanse et al. (2009). Jonkers (1999) osserva che gli afasici di Broca presentano prestazioni migliori nella denominazione di verbi transitivi rispetto a quelli intransitivi.

Bastiaanse e Zonneveld (2004, 2005) e Bastiaanse et al. (2009) hanno approfondito l’elaborazione dei verbi transitivi, sottoponendo a pazienti agrammatici e fluenti frasi contenenti verbi con transitività alternata (l'uomo suona la campana - la campana suona). Bastiaanse e Zonneveld (2004) hanno sottoposto il test a 9 pazienti afasici di Broca ed è emerso che i verbi usati come intransitivi, sebbene superficialmente meno complessi, risultano più difficili dei verbi usati come transitivi.

Lo stesso risultato è emerso dallo studio successivo (Bastiaanse e Zonneveld, 2005) condotto questa volta anche su 8 afasici di Wernicke e 8 afasici di Broca. I risultati mostrano che mentre per gli afasici di Wernicke non c’è sostanziale differenza, gli afasici di Broca mostrano difficoltà maggiori con i costrutti non-accusativi dei verbi transitivi (la campana

suona): le frasi con verbi che hanno il tema in posizione di soggetto sono più difficili da

produrre rispetto alle frasi con lo stesso verbo con l’agente in posizione di soggetto. Come ci mostrano Pennisi e Perconti (2006:229), “ciò indicherebbe che il danno all'area di Broca non

impedisce la sintassi in generale ma solo una parte della sua componente trasformazionale: l'impossibilità di riportare il soggetto nella sua posizione rispetto al verbo causa la cecità ricostruttiva complessiva e, quindi, l'impossibilità di elaborare il verbo”.

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33 Il risultato è infine confermato da uno studio molto recente (Bastiaanse et al.,2009) che, ancora ricondotto a frasi contenenti verbi con transitività alternata, vuole mostrare l’influenza della complessità linguistica nella produzione da parte di pazienti agrammatici. Non emerge una differenza significativa nei fluenti, mentre nei pazienti agrammatici si ha una performance migliore con i verbi quando sono usati transitivamente. L’errore più frequente nella condizione inaccusativa è la produzione della costruzione transitiva introducendo l’agente (spesso il pronome “io”) che non è rappresentata nella figura: ad esempio, il libro sta

bruciando> io sto bruciando il libro. Come possiamo osservare, da questi studi emerge una

superiorità per i verbi transitivi.

Risultati opposti a quelli appena menzionati sono riportati ad esempio, da De Bleser (2000) e da De Bleser e Kauschke (2003). Dallo studio di De Bleser (2000) emerge che i verbi intransitivi sono acquisiti prima e sono meno danneggiati negli afasici di Broca, probabilmente per la loro struttura argomentale più semplice. De Bleser e Kauschke (2003) confrontano un gruppo di bambini tedeschi (di età compresa tra i 2-6 e 8 anni) con un gruppo di 11 pazienti afasici (2 globali, 5 fluenti e 5 non fluenti). Il risultato mostra un chiaro effetto categoria-specifico per entrambi i gruppi con un vantaggio per i nomi e per i verbi intransitivi. Luzzatti et al. (2002), confermano i risultati ottenuti da De Bleser (2000) mostrando che la denominazione dei verbi transitivi è più danneggiata negli afasici di Broca. Inoltre, nei pazienti non fluenti i verbi inaccusativi sono processati peggio dei verbi inergativi. L'ipotesi degli autori è che, sebbene i verbi inaccusativi, come gli inergativi, non prevedono un oggetto diretto, presentano una struttura argomentale diversa1 e il soggetto grammaticale degli inaccusativi non è l'agente ma è il tema. Ciò sarebbe marcato, nella struttura superficiale, dall'uso dello stesso ausiliare (essere) dei costrutti passivi (il pane è tagliato dal ragazzo) che, per essere disambiguato, richiede un'ulteriore trasformazione semantica nella struttura profonda della frase.

Questo deficit osservato nell’uso dei verbi inaccusativi è confermato anche da Thompson (2003) e da Lee e Thompson (2004). Thompson (2003) osserva che durante la produzione di verbi inaccusativi e inergativi i pazienti agrammatici mostrano maggiore difficoltà durante la produzione dei verbi inaccusativi. Lee e Thompson (2004) osservano che durante un compito di comprensione e produzione di verbi inaccusativi e inergativi in contesto di frase, 8 pazienti

1 Come si legge in Jezek, 2003:144 “i verbi Inergativi hanno un Soggetto sottostante e non hanno

Oggetto, mentre i verbi Inaccusativi hanno un Oggetto sottostante e non hanno Soggetto. In termini di Struttura Argomentale, i verbi Inergativi hanno un argomento esterno e non hanno un argomento interno, mentre gli Inaccusativi hanno un argomento interno e non hanno un argomento esterno”.

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34 agrammatici mostrano una produzione peggiore dei verbi inaccusativi, a sostegno della loro struttura argomentale più complessa. La comprensione risulta vicina alla norma sia per gli inergativi che per gli inaccusativi.

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3.2

APPROCCIO SEMANTICO (COGNITIVO)

L'ipotesi semantico-concettuale riconduce la differenza tra nomi e verbi a effetti di concretezza, immaginabilità e altre dimensioni correlate col significato lessicale. Secondo questo approccio, i nomi sono recuperati meglio poiché risultano più immaginabili e dotati di maggiore concretezza rispetto ai verbi (Bird et al., 2000). I disturbi selettivi possono dunque riflettere un danno al recupero delle proprietà semantiche che hanno un peso diverso per le due categorie.

Se la rappresentazione semantica consiste in una serie di tratti semantici e se il soggetto accede solo a un numero limitato di essi, in quanto la sua rappresentazione semantica è degradata, questo selezionerà parole che condividono con quella target i tratti semantici per lui integri.

L’ipotesi che il danno possa collocarsi al livello semantico, come si legge in Bird et al. (2003), è supportata da due serie di dati clinici:

1) l’osservazione di McCarthy e Warrington (1985) i quali descrivono il caso del paziente agrammatico ROX che presenta un indebolimento selettivo nella comprensione e produzione di verbi e una performance migliore con i nomi concreti e, mentre riesce a discriminare verbi distinti semanticamente, fallisce nel compito quando questi sono correlati tematicamente o semanticamente (ad esempio, uccidere/

morire, comprare/ vendere). Gli autori attribuiscono questo deficit al degrado della

rappresentazione semantica delle azioni;

2) i dati longitudinali ottenuti da Daniele et al. (1994) che mostrano come disturbi con nomi e verbi si presentano anche nel contesto di malattia degenerativa. Gli autori riportano il caso di due pazienti colpiti da afasia progressiva testati su compiti di comprensione e produzione di nomi e verbi: RA, quando viene valutata la prima volta, mostra una comprensione di verbi leggermente compromessa, mentre la comprensione dei nomi è intatta. Nomina correttamente il 65% di verbi e il 96% di nomi. Dopo un anno, la sua performance con i verbi peggiora sia in comprensione che in produzione. Anche i nomi mostrano segni di indebolimento nella denominazione e un lieve deterioramento nella comprensione.

Il paziente GG viene valutato 3 volte. Anche lui in compiti di denominazione è più danneggiato con i verbi rispetto ai nomi. La comprensione dei verbi nel corso delle tre

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36 sedute cala, mentre quella dei nomi rimane integra, nonostante una variazione nella denominazione dei nomi (con punteggi che calano dal 96% al 83%). GG sembra dunque avere una leggera anomia per i nomi con comprensione intatta. Questo porta gli autori ad assumere che la loro performance è dovuta alla malattia progressiva che colpisce principalmente i verbi con un indebolimento nella loro comprensione, concludendo che è il deterioramento progressivo della memoria semantica che colpisce i verbi più dei nomi e la produzione più che la comprensione.

Altri studi si collocano all’interno di questo paradigma teorico. Allo scopo di isolare le difficoltà di tipo semantico da quelle di tipo sintattico sono state adottate diverse strategie. A un primo esame di natura lessicale si è osservato, infatti, che non tutti i verbi presentano la stessa percentuale di difficoltà: alcune ricerche analizzano la complessità semantica del verbo, mettendo a confronto verbi semanticamente leggeri (i cosiddetti light verbs), quelli cioè che dipendono più strettamente dalla posizione sintattica che dal contenuto semantico (ad esempio, andare, fare, colpire) e verbi con maggior peso semantico (heavier verbs), legati quasi esclusivamente al contenuto semantico-lessicale (ad esempio, correre, volare,

frantumare). Un esempio possono essere i verbi andare (light verb) e correre (heavier verb):

mentre andare implica un solo tratto semantico, cioè il movimento da un posto ad un altro,

correre implica più tratti semantici: esprime sempre un movimento da un posto all’altro e in

più esprime il modo (cioè un movimento che sia rapido e con un andatura “saltellante”). Un altro esempio possono essere i verbi colpire (light verb) e frantumare (heavier verb): entrambi indicano l’azione di colpire qualcosa, in più il verbo frantumare indica come viene eseguita l’azione dal soggetto (in modo violento).

Da queste ricerche è emerso che in generale i verbi leggeri risultano più difficili da produrre rispetto a quelli pesanti. Ci sono diversi studi che si sono occupati della dissociazione tra verbi pesanti e verbi leggeri. Per citare solo alcuni di questi studi ricordo, ad esempio,Breedin

et al. (1998) che hanno analizzato il ruolo della complessità semantica nel recupero verbale in

un gruppo di otto pazienti non fluenti attraverso un compito di completamento di una storia. Prima è stato valutato il loro grado di agrammatismo attraverso un compito di parlato spontaneo. Tre soggetti sono stati classificati come agrammatici. I risultati hanno mostrato che i pazienti agrammatici producono un numero maggiore di verbi pesanti, mentre i soggetti non agrammatici (ad eccezione di uno), producono un numero maggiore di verbi leggeri. Secondo il modello proposto da Gordon e Dell (2003), come ho anticipato, verbi semanticamente leggeri dipendono maggiormente dall’input sintattico, mentre quelli pesanti

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