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Salute mentale e carcere: una necessità dimenticata

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Academic year: 2021

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OBIETTIVO 2. LA RIFORMA SPEZZATA. COME CAMBIA L’ORDINAMENTO PENITENZIARIO

Questione Giustizia 3/2018

Salute mentale e carcere:

una necessità dimenticata

di Marco Pelissero

In data 2 ottobre sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale i decreti legislativi sulla riforma dell’Ordina-mento penitenziario (numeri 121, 123 e 124). In par-ticolare il d.lgs n. 123 contiene alcune disposizioni in tema di sanità penitenziaria presenti nello schema di decreto legislativo approvato dal Governo Gentiloni ad inizio anno, senza che si concludesse l’iter di appro-vazione definitiva a causa del volgere a termine della legislatura e del timore delle forze politiche di Governo dello scarso appeal elettorale del tema carcere, forte-mente condizionato dai più moderni venti sicuritari.

Il testo approvato costituisce una versione al-quanto falcidiata del precedente: e nel falcidiare, ha deformato il senso complessivo delle proposte di revi-sione dell’Ordinamento penitenziario avanzate dalle Commissioni che avevano lavorato per dare attuazio-ne alla legge delega. Era prevedibile, perché le scelte di politica penitenziaria che sono alla base della ri-forma sono perfettamente in linea con le preoccupan-ti indicazioni di polipreoccupan-tica penitenziaria contenute nel «Contratto per il governo del cambiamento», con il quale è stato siglato il patto di coalizione delle nuove forze politiche di maggioranza e di Governo. Avendo presieduto la Commissione, a suo tempo incaricata dal ministro Orlando di dare attuazione alla riforma della sanità penitenziaria e delle misure di sicurezza personali, mi sento in dover esprimere pubblicamen-te alcune riflessioni sulla profonda difformità tra le scelte in tema di sanità penitenziaria che stavano alla base della proposta della Commissione e l’esito finale dell’iter legislativo.

La sanità penitenziaria costituisce oggi un nervo scoperto del mondo carcerario, come confermano i suicidi, anche recenti, che costituiscono la punta drammatica di un iceberg: il carcere deforma sempre, in modo più o meno significativo, i diritti individuali fondamentali, e tra questi il diritto alla salute che do-vrebbe avere valore preminente, perché la privazio-ne della libertà personale non può comportare anche privazione del diritto alla salute. In particolare, è la salute mentale a risultare fortemente compromessa dalle condizioni di vita detentiva, specie in contesti – come l’attuale – connotati da sovraffollamento car-cerario. Così il carcere diventa collettore, amplificato-re e produttoamplificato-re di forme più o meno gravi di disagio psichico.

La Commissione aveva proposto di operare su due fronti: sulla sanità penitenziaria in senso stretto e su percorsi terapeutici alternativi al carcere.

Sul primo versante, la Commissione, in linea con la riforma del 1999 che aveva affidato la gestione del-la sanità in carcere direttamente al Servizio sanitario nazionale, aveva dato alcune indicazioni: garantire il diritto a prestazioni sanitarie efficaci e tempestive; assicurare interventi di prevenzione, cura e soste-gno del disagio psichico e della marginalità sociale; prevedere procedure più snelle per garantire cure e accertamenti sanitari esterni, in caso di impossibilità di prestazioni negli istituti; introdurre il dovere del medico, all’atto della visita di ingresso, di annotare nella cartella clinica del detenuto, anche mediante documentazione fotografica, ogni informazione rela-tiva a segni o indicazioni che facciano apparire che la La sanità penitenziaria in tema di infermità mentale è l’oggetto di questo brano. Si tratta di un angolo visuale strategico per leggere la cifra complessiva della riforma. Tutto dentro il carcere e niente fuori, potrebbe essere la sintesi. Sulla base questo leitmotiv scompaiono percorsi terapeutici alter-nativi al carcere per i sofferenti psichici, in linea con un impianto legislativo che tace sulle misure alternative.

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persona possa aver subito violenze o maltrattamen-ti, con obbligo di darne comunicazione al direttore dell’Istituto e al magistrato di sorveglianza; garantire la necessaria continuità terapeutica rispetto a trattan-ti in corso all’esterno o all’interno dell’Istrattan-tituto da cui il detenuto sia stato trasferito; assicurare la prosecu-zione del programma di rettificaprosecu-zione di attribuzio-ne di sesso di cui alla legge 164/1982, garantendo il necessario supporto psicologico; prevedere il diritto di effettuare, a proprie spese, trattamenti terapeutici con un sanitario di fiducia. Alcune di queste indica-zioni sono state recepite dalla riforma e, se effettiva-mente attuate (questo sarà il vero banco di prova), contribuiranno a migliorare la sanità all’interno degli Istituti penitenziari. Scompaiono, tuttavia, nel novel-lato articolo 11 dell’Ordinamento penitenziario alcuni elementi che, ad avviso della Commissione erano im-portanti: anzitutto, viene meno il richiamo alla neces-sità che il servizio sanitario nazionale assicuri idonei interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e della marginalità sociale; la Commissione aveva previsto che fosse garantito un presidio del di-partimento di salute mentale adeguato alle dimensio-ni e alle esigenze di ogdimensio-ni istituto e nulla di tutto ciò è presente nel nuovo testo approvato, che rappresenta tra l’altro anche una regressione rispetto alla disci-plina attuale che richiede che ogni Istituto disponga dell’opera di almeno uno specista in psichiatria; viene meno il riferimento alla necessità in capo al medico, all’atto della visita di ingresso in Istituto, di docu-mentare, anche mediante documentazione fotogra-fica, ogni informazione relativa a segni che facciano apparire che la persona possa aver subito violenze o maltrattamenti, con obbligo di darne comunicazione al direttore di Istituto ed al magistrato di sorveglianza (pur in presenza di un obbligo di referto, infatti, la previsione della documentazione fotografica appariva quanto mai opportuna).

Non è stata altresì recepita l’indicazione in favore della costituzione di specifiche sezioni per detenuti con infermità psichica ad esclusiva gestione sanitaria alla quale affidare i detenuti con semiinfermità mentale o con infermità psichica sopravvenuta: l’idea di fondo della Commissione era garantire ai detenuti, per i quali non fossero possibili percorsi di cura fuori dal carce-re per impcarce-rescindibili esigenze di sicucarce-rezza, spazi che, pur all’interno del carcere, garantissero la prevalenza del supporto terapeutico su quello meramente custo-diale. Oggi quelli che la legge di Ordinamento peniten-ziario qualifica, con terminologia oramai antiquata, «istituti per infermi e minorati» (conosciute oggi come «Articolazioni per la tutela della salute mentale in car-cere»), sono del tutto inadeguati alle esigenze poste dall’urgenza di far fronte alla salute mentale in carce-re. Scompaiono, altresì, dal testo approvato in via defi-nitiva i riferimenti al disagio psichico e agli interventi

a supporto della salute mentale che la Commissione aveva suggerito: in particolare la necessità di garantire un presidio del dipartimento di salute mentale adegua-to alle dimensioni ed alle esigenze di ciascun Istituadegua-to, nonché l’attenzione alle infermità psichiche durante la visita di ingresso in istituto.

Il secondo versate di intervento proposto dalla Commissione prevedeva percorsi terapeutici alter-nativi al carcere, al fine di garantire cure adeguate, quando non vi si oppongono imprescindibili esigenze di sicurezza collettiva: il rinvio facoltativo della esecu-zione della pena anche per i condannati in condizioni di grave infermità psichica (oggi tale rinvio è possi-bile solo in caso di gravi infermità fisiche); il poten-ziamento della detenzione domiciliare da eseguire presso specifiche strutture di cura; la previsione di una forma di affidamento in prova a contenuto tera-peutico, modellato sulla disciplina vigente dell’affida-mento in prova dei condannati tossicodipendenti ed affidato alla gestione dei Servizi sociali e del Servizio sanitario.

A queste proposte di riforma, la Commissione aveva affiancato, in conformità alle indicazioni del-la legge delega, un’ampia revisione deldel-la disciplina che, attraverso un lungo e tormentato percorso, ave-va portato al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e alla istituzione delle Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) per gli autori di reati con vizio totale o parziale di mente: il progetto potenziava il profilo terapeutico, senza compromet-tere le esigenze di sicurezza collettiva. Tuttavia, di questa parte del progetto già il precedente Governo non aveva tenuto conto, alterando il senso complessi-vo della riforma delle norme che interessano la sanità mentale in ambito penitenziario.

L’idea di fondo che aveva ispirato il lavoro della Commissione era nel segno del potenziamento dei percorsi extracarcerari a contenuto terapeutico, ri-messi pur sempre alla valutazione della magistratura di sorveglianza, a cui sarebbe spettato contemperare la tutela della salute con le esigenze di sicurezza.

Il decreto legislativo approvato, invece, guarda in modo asfittico alla tutela della salute dei detenu-ti solo attraverso intervendetenu-ti all’interno del carcere, senza concepire la possibilità di percorsi alternativi al carcere. L’intervento si prospetta del tutto in linea con la scelta di approvare una riforma dell’Ordina-mento penitenziario che tace sulle misure alternative alla detenzione, in difformità rispetto a quanto stabi-lito dalla legge delega e non accogliendo le soluzioni, equilibrate e sempre lasciate al vaglio dell’autorità giudiziaria, proposte dalla Commissione Giostra nel-la consapevolezza indiscussa che i tassi di recidiva si abbassano quanto più sono garantiti percorsi extra-carcerari.

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Questione Giustizia 3/2018

Il Governo ha chiaramente fatto una scelta di de-potenziamento della sanità penitenziaria in tema di infermità mentali, concepita solo in termini intra-carcerari e senza valorizzare gli interventi di suppor-to in favore dei detenuti con infermità psichica: non considera che i percorsi terapeutici al di fuori delle mura del carcere non solo garantiscono in modo più efficace ed effettivo il diritto fondamentale alla salute, anche mentale, dei detenuti (e questo già basterebbe a giustificare il loro potenziamento), ma contribui-scono in modo determinante anche alla prevenzione del rischio di recidiva.

Nel frattempo pende innanzi alla Corte costitu-zionale una questione di legittimità costitucostitu-zionale finalizzata ad estendere la misura alterativa della de-tenzione domiciliare, da eseguire presso idonee strut-ture terapeutiche e applicabile ai soggetti con grave infermità fisica, anche ai detenuti affetti da una grave infermità psichica. Vedremo come si pronuncerà la Consulta, ma intanto il legislatore ha perso l’occa-sione per rendere più civile l’esecuzione della pena. Nella stagione in cui la politica invoca costantemente la parola sicurezza, spetta alla magistratura costruire argini a tutela dei diritti fondamentali della persona.

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