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Il romanzo di Palermo

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Academic year: 2021

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Rivista di Storia delle Idee 4:2 (2015) pp. 143-144 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/04/02/LBR204/02

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

Rosanna Pirajno

Il romanzo di Palermo

C’è tutta la città che mi ha allevata, in questo libro, da quando nel 1945 la mia famiglia approda in un appartamento mezzo bombardato dalle parti di Porta Carini, con un tetto da cui si vedevano le stelle. Dieci anni dopo, la casa a scomputo i miei la comprano dalle parti di viale Lazio, un buon osservatorio per capire come la città cambiava volto. Ma non capimmo, o non si volle capire.

A partire proprio da quegli anni in cui la città, scrollatisi di dosso gli affanni della ricostruzione, si lancia nella costruzione frenetica del nuovo, Piero Violante snoda la cronaca di una intensa stagione di avvenimenti, con notevoli attori, che vede più di ogni altra arte la musica protagonista. Quella che emerge è una città che ha tutti i numeri, per qualità e densità delle intelligenze che la frequentano, per stare alla pari con le più avanzate sperimentazioni culturali che si andavano testando altrove, nelle capitali europee con cui une certaine societé teneva stretti contatti.

Violante scava negli archivi di memorie affollate di fatti e personaggi di rilievo che agiscono per conformare alla modernità una città che risulta sempre sghemba, nonostante le troppo spesso evocate età felicissime che però non videro mai, almeno così si pensava, il libro compiutamente dedicato alla sua anima complessa e sfaccettata. Anzi, se si ammette che anche le città abbiano un’anima, quella della amata-odiata Palermo sarebbe nei fatti una congregazione di anime che godono per diletto e soffrono per dispetto della multiforme realtà in cui sguazzano, anime perennemente ansiose di tuffarsi in un futuro radioso che viene continuamente sconciato dalla imprevedibilità del pappagallino. Il pappagallino della buona fortuna, da Violante eletto a paradigma del declino dell’intellettuale ma pure, più consolatorio, di «una possibile residuale libertà» di esprimersi, di piangere gioire indignarsi profetizzare sventure, anche a costo di finire nel libro nero degli eterni, immusoniti scontenti sciarriati ‘ca cuntintizza.

La passione per la musica, più che il mestiere di raffinato critico musicale che pratica con perizia, guida l’autore in una narrazione a ritmo di swing e mai titolo, Swinging Palermo, fu più evocativo di una città “ballerina” nel senso da noi siciliani attribuito ad una realtà instabile, oscillante tra opposti inconciliabili e irriducibili a ragione. Una realtà che, mentre taluni eventi e personalità e istituzioni tratteggiano una società aperta e proiettata verso il meglio della cultura europea, nei fatti è connotata dalle infami manovre con cui il binomio mafia-politica si giocherà per sempre il futuro urbanistico, produttivo, culturale di una città nata felicissima e sviluppatasi infelicemente.

Dunque la Palermo insieme felicissima e infelicissima, nelle pieghe del lungo racconto si dibatte tra le ombre delle sue eterne incompiute materiali e concettuali e il respiro mitteleuropeo che a tratti la anima per merito di una microsocietà che, perfino nei tremendi anni sessanta, allaccia intensi rapporti culturali e amicali là dove, Vienna Parigi Berlino Francoforte, ferve la Modernità del Novecento e gli aneddoti di cui ci mette a parte Violante tratteggiano una frangia intellettuale aperta e proiettata verso le più ardite innovazioni nelle arti e nelle scienze, sicché musica, pittura, teatro, letteratura, architettura, perfino la psicoanalisi trovano qui esegeti e studiosi e “praticanti” di tutto rispetto.

Sfilano dunque nelle pagine del Romanzo di Palermo di Piero Violante, che usa un linguaggio ironico e affilato capace di rendere godibili anche le «cartoline dalle rovine» mai sanate, nomi e figure di personalità che dal secondo dopoguerra, e fino «all’avvento della quantità e della massa» a segnare il passaggio cruciale dalla qualità, vivificarono la Swinging Palermo di cui dà contezza anche attraverso propri articoli, tra i numerosi usciti sul mitico quotidiano del pomeriggio, L’Ora di Vittorio Nisticò. È un swing che contempla, come si è detto, eventi e situazioni e personaggi e istituzioni e financo capisaldi di legge, talvolta eccelsi talaltra ambigui e intenti a tramare manovre che azzerano ogni progresso. Fino all’Eventone 2 in cui si celebra la riapertura inaugurale del Teatro Massimo, il 23 aprile 1997 dopo 23 anni di inspiegabili lavori, squadernato da Violante con tutta l’ironica crudezza di cui è caricato chi, conoscendo a fondo anfratti e segrete della impalcatura socio-politica della città, scalpita per le storture che non si giustificano, le responsabilità che non si assumono, le «voglie di fratture dentro una storia immobile» che si vorrebbe far esplodere una volta per tutte.

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Rivista di Storia delle Idee 4:2 (2015) pp. 143-144 ISSN. 2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/04/02/LBR204/02

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

Il mai scritto Romanzo di Palermo adesso c’è, si tratta solo di capire se ci fa piacere rispecchiarci nelle vicende oscure che sfarfalleggiano tra le belle intelligenze e le colte iniziative che per un certo periodo la resero modello intellettuale da esportazione, e poi più.

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