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Controstoria e controcanto

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Academic year: 2021

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Matteo Di Gesù

L’INVENZIONE DELLA SICILIA LETTERATURA, MAFIA, MODERNITÀ

pp. 160, euro 18, Carocci, Roma 2015

Almeno a partire da The Invention of Tradition – volume curato nel 1983 da Eric Hobsbawm e Terence Ranger – poi con grande costanza nell’editoria italiana recente, la formula “invenzione di” pare irresistibile. Nel caso di Matteo Di Gesù, che raccoglie sotto il titolo L’invenzione della

Sicilia una serie di saggi che trattano della letteratura siciliana alle prese soprattutto con il discorso

sulla mafia e sull’unità nazionale, si tratta però di una scelta del tutto coerente con un percorso che da tempo riflette proprio sull’invenzione della tradizione letteraria italiana (da Dispatrie lettere, 2005, a Una nazione di carta, 2013).

In questo caso risulta centrale il ruolo di Leonardo Sciascia, al quale sono direttamente dedicati i due capitoli conclusivi ma che ha parte ben più ampia nel libro: l’antefatto settecentesco affronta la sempre affascinante figura di Francesco Paolo Di Blasi, il protagonista del Consiglio

d’Egitto; Il Quarantotto, racconto degli Zii di Sicilia, risulta essere un momento di svolta

nell’evoluzione del romanzo italiano sul Risorgimento; la lettura della Chiave d’oro di Verga non può fare a meno del precedente leggibile in Cruciverba, e si potrebbe continuare. Tanto più che il capitolo centrale del libro, che più direttamente parla di mafia e letteratura, è il primo dei due dedicati a Sciascia, “mafiologo” controvoglia, sicuramente, ma alla cui attività di narratore e di pubblicista si deve il merito di «aver fatto luce sul retroterra culturale e sui retaggi politici del fenomeno criminale, e dunque sulla sua dimensione tutt’altro che localistica». Inoltre, cosa che conta ancora di più, è il metodo stesso di Di Gesù che rinnova quello di Sciascia: l’indagine «per via letteraria» affronta anche le interpretazioni «per lo più meramente culturalistiche, quando non apertamente negazioniste, che sulla mafia erano state formulate dalla fine dell’Ottocento fino agli anni Settanta», nella consapevolezza che anche la letteratura è stata usata «per ricavare discutibili assunti sul carattere dei siciliani», stereotipi, incrostazioni culturali, astoriche e in fondo autoassolutorie.

Il punto di vista di questo libro è invece rivolto a una “letteratura siciliana” che non punta sull’eccezionalità ma che acquista pienamente il suo senso soltanto dentro alla storia e alla cultura nazionale postunitaria e, paradossalmente, soprattutto quando ne è controstoria e controcanto. Lo mostra, tra gli altri, il percorso di una sorta di «archigenere» che ha attraversato, quasi senza interruzioni, tutta la storia della letteratura postunitaria, ossia il romanzo italiano sul Risorgimento che è in larga parte un «romanzo antirisorgimentale» o comunque aspramente critico rispetto agli aspetti incompiuti e deteriori del processo di unità nazionale, scritto spesso proprio da autori siciliani, da Verga a De Roberto, da Pirandello a Tomasi di Lampedusa (qui, come in altri punti, Di Gesù prosegue gli studi del secondo punto di riferimento principale del libro, Massimo Onofri).

Ma notevole è anche il capitolo sul lombardo Paolo Valera, che con L’assassinio

Notarbartolo o le gesta della mafia (1899) riuscì a scrivere un romanzo-inchiesta, «privo di

deformazioni pregiudiziali di alcun genere, tanto encomiastiche quanto razzistiche», che sembra oggi straordinaria anticipazione di attuali tendenze della non fiction: un testo plurivoco e sperimentale, che esalta l’elemento dialogico e la moltiplicazione dei punti di vista.

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