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Bullismo 5a C

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Academic year: 2021

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Il bullismo

Il bullismo costituisce una delle manifestazioni dell’aggressività più deleterie e distruttive. Secondo Dan Olweus, lo studioso scandinavo che per primo studiò il fenomeno del bullismo su larga scala nel 1978, “un bambino subisce prepotenze, ossia è vittima di bullismo, quando è esposto ripetutamente e per lungo tempo alle azioni ostili di uno o più compagni” e quando queste azioni sono compiute in una situazione di “squilibrio di forze, ossia una relazione asimmetrica”: il ragazzo che è vittima della persecuzione, cioè, appare poco capace di difendersi. Si tratta di una definizione più complessa di quanto non appaia a prima vista, perché non si riferisce ad un singolo atto, ma ad una situazione relazionale considerata nel suo svolgersi nel tempo. Ciò potrebbe spiegare perché per gli adulti della scuola (docenti e non) sia spesso difficile osservare e

riconoscere atti di bullismo.

In base alle modalità con cui viene compiuta questa forma di prepotenza è possibile distinguere un bullismo, per così dire, diretto, che si realizza attraverso l’uso delle parole (per esempio minacciando, prendendo in giro, ingiuriando) o ricorrendo alla forza e al contatto fisico (picchiando, spingendo, prendendo a calci, tormentando o dominando un altro). Vi è poi una forma di bullismo indiretto quando le prepotenze vengono messe in atto senza l’uso delle parole o del contatto fisico: con smorfie o gesti sconci, escludendo intenzionalmente la vittima dal gruppo ecc. Risultano ormai accertati tre elementi che caratterizzano il fenomeno del bullismo: i primi due riguardano colui che compie l’azione, il terzo riguarda invece la situazione nella sua globalità. Il primo è l’intenzionalità: il bullo provoca non per caso, ma intenzionalmente, un danno alla vittima;

il secondo è la persistenza: non si tratta di episodi isolati ma ripetuti da parte del bullo nei confronti di un particolare compagno;

il terzo è l’asimmetria: c’è uno squilibrio di potere e di prestigio tra i due attori del dramma, il bullo e la vittima.

Ada Fonzi, una studiosa italiana, ha individuato alcune variabili che incidono in misura diversa su questo fenomeno.

Eccone un elenco.

ETA’. I risultati delle ricerche mostrano che il fenomeno subisce una sensibile diminuzione - in termini quantitativi - nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria. Anche se tutti i ricercatori sono concordi con questa conclusione, rimane aperto un interrogativo: questa diminuzione dipende dalla maturazione dei ragazzi, ovvero dal fatto che con la crescita cresce anche la loro consapevolezza morale, oppure dobbiamo ipotizzare che tra i ragazzi più grandi gli episodi di bullismo siano meno diffusi, ma anche più gravi e crudeli? GENERE. Molti pensano, e la letteratura internazionale ne ha dato per lungo tempo conferma, che il bullismo sia una condotta che interessa quasi esclusivamente il genere maschile. Questa certezza è venuta meno, anche grazie a recenti ricerche condotte in Italia dall’équipe coordinata da Ada Fonzi. Su tutto il territorio nazionale si è riscontrato che le femmine che si dichiaravano prepotenti raggiungevano percentuali consistenti: ciò ha messo in crisi l’immagine tradizionale della donna disposta e abituata a ricevere prepotenze, piuttosto che a farle.

CLASSE SOCIALE. I risultati a questo riguardo sono piuttosto controversi. Se alcune ricerche, soprattutto in Gran Bretagna, hanno mostrato l’esistenza di un rapporto tra bullismo e svantaggio sociale, altre ricerche, condotte in Svezia, Spagna e Portogallo, non sono giunte alla stessa conclusione. Anche in Italia i dati raccolti sembrano indicare che ciò che influisce maggiormente sul bullismo non è tanto la classe sociale di appartenenza dei bulli, ma è piuttosto l’ambiente sociale, ovvero il quartiere e la zona della città in cui i ragazzi vivono. FAMIGLIA. Molto si è indagato sul peso delle relazioni familiari, in particolare del clima educativo creato dai genitori, anche in questo caso raggiungendo risultati divergenti. Se, in alcuni casi, un’educazione permissiva è stata considerata, se non la causa principale, almeno una concausa del 1

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comportamento aggressivo dei figli, in altri casi l’eccessiva severità e l’autoritarismo dei genitori sono stati indicati come i principali responsabili delle azioni ostili messe in atto da bambini e ragazzi contro i loro compagni. Altre ricerche hanno evidenziato l’importanza dei valori trasmessi dai genitori, valori che influenzano il modo in cui i figli entrano in relazione con gli altri e con cui affrontano le difficoltà della vita: è emerso, infatti, che nelle famiglie dei bulli si tende più spesso a utilizzare strategie di soluzione dei problemi che sono fondate sull’individualismo e sull’egoismo. PERSONALITA’. E’ questo il fattore sul quale si è concentrato il maggior numero di ricerche, tese a tracciare una sorta di identikit del bullo e della vittima. Nel bullo sono state identificate caratteristiche quali: aggressività generalizzata, impulsività, irrequietezza, scarsa empatia e atteggiamenti di accettazione e di valorizzazione della violenza. Nella vittima, per converso, sono state identificate caratteristiche quali ansia, insicurezza, scarsa autostima.

Il bullo non agisce isolato. Spesso può contare sulla cooperazione di altri compagni o su astanti che non intervengono e che approvano tacitamente. Ciò è confermato dal giudizio espresso dalle vittime nei confronti dei compagni e verificato da ricerche osservative condotte sul campo, che hanno mostrato che molte persone concorrono a sostenere l’azione del bullo: i compagni che partecipano attivamente alle condotte aggressive, il “pubblico” che lo incita e lo sostiene emotivamente e infine coloro che, con la loro indifferenza, contribuiscono a far calare il velo del silenzio e dell’omertà. bullo non agisce isolato. Spesso può contare sulla cooperazione di

Alcuni contributi delle teorie della psicologia sociale e di recenti ricerche alla comprensione del bullismo1

L’immagine del bullo come soggetto isolato, una sorta di outsider deviante, rifiutato dai più (o sopportato solo per paura) che spesso i media (ma anche alcune ricerche) ci danno, risulta del tutto smentita sia dalle ricerche sul campo, che dalle “storie”, dagli episodi raccolti nel corso delle indagini condotte dall’Istituto “Cobianchi”. Abbiamo invece un bullo leader (o che aspira a diventare tale) e che utilizza non solo la propria forza (e quella dei suoi “aiutanti” bulli), ma soprattutto quella che gli deriva dalla consapevolezza di agire in sintonia con la volontà inespressa del gruppo.

Ma quale gruppo? Per rispondere a questa domanda, introduciamo una importante distinzione, proposta da alcuni studiosi: quella tra classe “istituzionale” e “classe informale”. Il gruppo costituito da tutti i membri della “classe istituzionale”, o “formale” è definito nei suoi compiti e nella sua composizione dagli adulti; al suo interno spesso si formano uno o più sottogruppi (a cui magari è stabilmente connesso anche qualche ragazzo esterno alla classe formale) caratterizzati da intense relazioni reciproche e da una forte identità collettiva. In alcuni casi, fra il gruppo classe “formale” (l’elenco del registro) e quello informale (quello delle amicizie e degli affetti) può esserci una forte discrepanza: quest’ultimo può assumere allora il carattere del gruppo classe “segreto”, che accetta e include i suoi membri, ma anche che, in alcune circostanze, tende a ignorare, o addirittura rifiuta con ostilità chi non ne fa parte (cioè altri compagni di classe e talvolta anche alcuni insegnanti); in questi casi i suoi scopi sono evidentemente del tutto incongrui rispetto alle finalità previste dal percorso scolastico.

La presenza di un “gruppo classe nascosto”, che si costituisce e agisce negli interstizi di quello “ufficiale”, ci aiuta a capire come mai le sue dinamiche (e le sue azioni) siano molto spesso invisibili agli adulti, che riescono a vedere e a rapportarsi solo con il gruppo classe formale.

1 Tratto, con lievi modifiche, da Ottolini et al. Il bullismo dalla fotografia al video, alla ricerca di categorie dinamiche. Un percorso nelle scuole e nel territorio del VCO. Contributo per il convegno

“Peer & Video Education” Verbania 13-15 novembre 2008.

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Per comprendere questi fenomeni, inoltre, è utile distinguere tra “bullismo di inclusione” e “bullismo di esclusione”.

Il bullismo di inclusione, corrispondente al “nonnismo”, designa quali vittime l’intero gruppo di “reclute” (nelle superiori i “primini”), che entrano a far parte del grande gruppo (l’intera scuola). Utilizza in genere modalità rituali tradizionali, che assumono il ruolo di un vero e proprio rito di passaggio, anche se non si escludono varianti (alcune anche particolarmente violente e/o pericolose) frutto del’inventiva dei bulli. La finalità esplicita è quella di includere pubblicamente un nuovo membro nel gruppo, mentre la finalità implicita è quella di ribadire e trasmetterne i valori. La prova a cui il “novizio” è sottoposto è allora anche una “certificazione” della sua adesione a quei valori.

Il bullismo di esclusione designa invece quali possibili vittime uno o più membri del gruppo (quello costituito dalla classe, o quello più ampio dell’intera scuola) che in un modo o nell’altro sono percepiti come diversi rispetto ai valori dominanti e ai processi di costruzione dell’identità del gruppo. La vittima subisce un processo di isolamento, di spersonalizzazione (chi fa parte del gruppo è invece riconosciuto nelle sue caratteristiche peculiari) e di etichettamento (“sfigato/a”, “femminuccia”, “racchia”, “rompiballe”, ecc.) che lo inchioda al ruolo di outsider rispetto al gruppo, spesso addirittura al ruolo di un vero e proprio capro espiatorio.

Questa forma di bullismo si comprende facendo riferimento a una tendenza propria di molti gruppi umani, quella che spinge a stabilire chi è degno di essere “dei nostri” – come si dice in psicologia sociale, ingroup - e chi deve rassegnarsi a starsene fuori e può essere trattato con prepotenza – essendo appunto membro di un outgroup. È un processo di identificazione tra simili che punisce la diversità e la isola come fonte di minaccia all'integrità del gruppo. La paura e il rifiuto delle differenze sono meccanismi difensivi che si producono nelle persone e nei gruppi quando, di fronte alla complessità e a ciò che è sconosciuto, viene messo in atto un processo di categorizzazione della realtà – cioè un processo di interpretazione della realtà sulla base di alcune categorie mentali – che si fonda sulle esperienze e conoscenze precedenti dei soggetti. Tutto ciò che, come conseguenza di questo processo di categorizzazione, può essere riconosciuto e compreso a partire da ciò che è già noto, viene “addomesticato” e accettato, quello che resta tende a essere espulso. In particolare, quando il gruppo che esclude e maltratta coincide con il gruppo-classe (o meglio con la sua anima profonda: la “classe segreta”), le caratteristiche distintive di bullo e vittima possono essere assolutamente diverse da quelle che molta letteratura psicologica sul bullismo spesso ci rappresenta. Le caratteristiche che fanno designare la vittima variano, infatti, da gruppo a gruppo (il “secchione” oppure lo studente con difficoltà scolastiche; la ragazza che veste elegante come quella in jeans, quella “troppo” grassa come quella “troppo” magra, il ragazzo schernito come femminuccia come quello bollato quale rozzo troglodita ecc.) a secondo del modo in cui il gruppo ha costruito la propria identità. Queste caratteristiche possono variare anche rapidamente nello stesso gruppo, sia per dinamiche che nascono al suo interno, che per cause esterne, quali l’etichettamento negativo che ha origine dalla presentazione che i mezzi di comunicazione di massa fanno di certi casi di cronaca: ad es. il ragazzo di origine romena viene bollato improvvisamente come “zingaro e ladro”, o quello napoletano, sino al giorno prima ben inserito, viene denominato “monnezza”. Allo stesso modo le modalità di vittimizzazione – cioè di trattamento della vittima da parte dei bulli - possono variare notevolmente sia da gruppo a gruppo che, nel tempo, nello stesso gruppo: possono assumere forme e rituali tramandati dalla “tradizione”, essere frutto dell’inventiva del leader bullo o di qualche suo supporter, prendere spunto da un film, un video, un fatto di cronaca, utilizzare i nuovi media, ecc.

Alcune modalità di persecuzione (verbale, non verbale, fisica, economica ecc.) e alcuni episodi, visti dall’esterno, possono essere del tutto simili nel bullismo di inclusione e in quello di esclusione, ma quello che realmente cambia in profondità, se assumiamo il punto di vista della vittima, è il percorso e il tipo di sofferenza a cui essa è sottoposta. Infatti, nel bullismo di inclusione troviamo soprattutto sofferenza “preventiva” fatta di ansia e paura (Sarò scelto oggi o

quando? Sarò in grado di sopportare il “battesimo” o farò ridere tutti facendo la figura

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dell’imbranato? I miei compagni, le mie compagne cosa penseranno? …) a cui segue il sollievo di

aver superato la “prova” e magari anche la soddisfazione e la complicità con i “quintini”. Il rito di passaggio è appunto un passaggio stretto, superato il quale si è inseriti ed accettati nel gruppo a pieno titolo.

Ben diversi sono il vissuto e la prospettiva della vittima nella situazione di bullismo escludente: non un passaggio, un salto che permette un ingresso, ma un tunnel che col tempo diventa sempre più oscuro. L’isolamento e la vittimizzazione tendono a durare e ad aggravarsi nel tempo (magari per un intero ciclo triennale o quinquennale di studi) e per la vittima difficilmente si intravede una via d’uscita se non quella della interiorizzazione del ruolo di capro espiatorio, con profonde conseguenze sull’immagine del sé, della propria autostima, oppure quella della fuga, ad esempio tramite una bocciatura ricercata per poter cambiare classe, o il cambiamento di scuola o l’interruzione degli studi, sino all’auto-isolamento totale o all’autodistruzione. Gli studi sul bullismo in molti paesi sono iniziati proprio in seguito ad alcuni drammatici casi di suicidio.

non agisce isolato. Spesso può contare sulla cooperazione di altri compagisolato. Spesso può contare sulla cooperazione di altri compagni l qual è appunto quella

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