INTRODUZIONE
In seguito a una lettura approfondita di 1984 di George Orwell durante l’ultimo anno delle scuole superiori ho iniziato a nutrire un forte interesse per il modo in cui il linguaggio veniva impiegato come strumento di alienazione sociale e culturale sulla massa durante i regimi totalitari: in particolare i lavori di Hannah Arendt sono stati fondamentali per approfondire ancora di più le mie ricerche. Alla fine del mio percorso di laurea triennale ho proseguito gli studi sulla letteratura distopica attraverso un lavoro di approfondimento del romanzo My di Evgenij Zamjatin. Tutto ciò che ho appreso finora in questo ambito è servito da fondamenta per il seguente lavoro di tesi.
L’obiettivo della mia proposta di traduzione è portare al lettore italiano l’analisi di Michail Vajskopf sulla lingua di Stalin e, più nello specifico, sulle metafore, sui pronomi, ma soprattutto sulle immagini che venivano trasmesse al popolo attraverso la parola. Grazie all’uso di una lingua semplice, chiara e diretta Stalin stabilisce un legame indissolubile con la «sua» massa mostrandole il mondo «allegro» del socialismo.
Nel primo capitolo presenterò il contesto storico in cui si è sviluppata la neolingua, in russo novojaz: partirò dalla costruzione del mito staliniano per poi approfondire la nuova corrente letteraria e artistica del realismo socialista. Il filo conduttore che ci porterà poi all’analisi di Vajskopf della neolingua si basa sulla doppia realtà degli anni Trenta: ciò che veniva mostrato e ciò che veniva celato al fine di presentare al popolo e al mondo intero la grandezza dell’Unione Sovietica. Così come la realtà, anche il linguaggio ha una sua forma binaria: come afferma Oustinoff, il novojaz è
una lingua «deviata», ed esiste col solo scopo di nascondere l’immagine di ciò che viene detto, di separare il significante dal significato.
Nel secondo capitolo proporrò un commento traduttologico della traduzione di alcuni paragrafi del saggio di Michail Vajskopf Pisatel´
Stalin. Dopo una breve introduzione sulla teoria della traduzione, l’analisi si
sviluppa su diversi punti: sui realia, riferimenti bibliografici, metafore e
novojaz.
Nell’ultima sezione si trova la traduzione dei suddetti paragrafi presenti nel capitolo Voprozy jazykoznanija, il primo dell’opera di Vajskopf. Mi sono approcciata al testo cercando di tradurre secondo il principio della traduzione target-oriented attraverso l’ausilio delle note a piè di pagina e di esplicitazioni laddove i riferimenti agli elementi
cultural-specific erano evidenti al lettore russo ma non a quello italiano.
Per traslitterare i termini russi ho fatto riferimento alla traslitterazione scientifica ISO 9. In particolare:
c – «z» dell’italiano pezzo; ch – «ch» del tedesco Bach; č – «c» dell’italiano cielo; ë – «jo» dell’italiano piombo;
j – «i» semivocalica dell’italiano ieri; š – «sh» dell’inglese shift;
šč – «sci» dell’italiano sciare;
y – «i dura» simile alla «i» dell’inglese film; ž – «j» del francese je;
´ – indica il «segno dolce» che in russo palatalizza la consonante precedente.