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Recensione a Dieter T. Roth, The Text of Marcion’s Gospel, Leiden, Brill, 2015.

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Dieter T. ROTH, The Text of Marcion’s Gospel (New Testament Tools, Studies and Documents, 49), Brill, Leiden - Boston 2015 (ISSN 0077-8842; 49 - ISBN 978-90-04-24520-4), 491 pp., € 158.

Il volume di Roth – versione accresciuta di una tesi di dottorato da lui presentata all'Università di Edimburgo nel 2009 – è un tentativo di ricostruire il testo del cosiddetto Vangelo di Marcione. È noto che di questo autore vissuto nel II secolo non possediamo alcuna opera interamente tramandata; ciò che è sopravvissuto del Vangelo che egli utilizzava è conservato all’interno degli scritti dei suoi avversari. Tutta la tradizione patristica è concorde nel considerare questo Vangelo il frutto di una mutilazione e manipolazione del Vangelo di Luca, realizzata da Marcione per motivi teologici.

Nella prima parte del libro (pp. 7-45) Roth fornisce un accurato status quaestionis degli studi sul Vangelo di Marcione, insistendo sui punti di forza e di debolezza dei passati tentativi di ricostruirne il testo; l'operazione è necessaria e anche utile per segnalare alcuni fraintendimenti, principalmente attribuibili alla cattiva conoscenza delle ipotesi sostenute dagli studiosi tedeschi del XIX secolo da parte di alcuni autori contemporanei. La carrellata di autori si muove da coloro che per primi – Richard Simon, Johan Salomon Semler, Heinrich Corrodi, Josias Loeffer e Johann G. Eichhorn – avanzarono dubbi sulla credibilità del punto di vista tradizionale secondo cui Marcione avrebbe semplicemente abbreviato il Vangelo di Luca: è questo il dibattito, ancora attuale, che accompagnerà per decenni quasi ogni intervento dedicato a Marcione e al suo uso delle Scritture. Fra le risposte dei sostenitori della spiegazione tradizionale meritano di essere ricordate quelle di Hermann Olshausen e di August Hahn; a quest'ultimo risale il primo tentativo di ricostruire un testo del Vangelo in questione (1823). Il dibattito si infiammò fra il 1840 e il 1850 con autori quali Albert Schwegler, Albrecht Ritschl, Ferdinand C. Baur, Gustav Volckmar, Adolf Hilgenfeld, fino agli importanti contributi di William Sanday, Hajo U. Meyboom e Theodor Zahn, il quale propose a sua volta una ricostruzione del testo nella sua Geschichte des neutestamentlichen Kanons (1892); è questa l'edizione che verrà adoperata da Von Soden per i suoi lavori critici sul testo del Nuovo Testamento.

Un punto di svolta si ebbe nel 1921 con la pubblicazione del monumentale lavoro di Adolf von Harnack (Marcion. Das Evangelium vom fremden Gott, 2a edizione nel 1924) il quale in appendice alla sua monografia tentò una ricostruzione del testo del Vangelo (Beilage IV) che fino a tempi recentissimi è stata quella più seguita. Le due conclusioni essenziali di Harnack furono le seguenti: il Vangelo di Marcione non è altro che un Luca corrotto (ein verfälschter Lukas); il testo di Luca conosciuto a Marcione, sul quale egli avrebbe operato le modifiche, è quello detto convenzionalmente "occidentale", testimoniato da un gruppo di manoscritti che discordano rispetto al testo della tradizione maggioritaria.

Dieter Roth espone in maniera convincente le ragioni che lo hanno spinto a rivedere il testo proposto da Harnack, inficiato da alcuni presupposti metodologici del filologo tedesco: principalmente, Roth critica la scelta di Harnack di considerare assenti nel Vangelo di Marcione quei testi non citati dalle fonti sopravvissute ma presenti in Luca, qualora essi fossero in contrasto con le preferenze teologiche di Marcione (per come Harnack le intendeva); rileva poi che Harnack ha posto scarsa attenzione nel valutare la precisione nel citare testi scritturistici da parte di ciascuna delle fonti che tramandano i testi di Marcione; infine, è questionabile la scelta di Harnack di servirsi della ricostruzione del testo neotestamentario operata da Tischendorf, ignorando i materiali raccolti da Von Soden.

Dopo Harnack non molti autori si sono interessati a Marcione: Robert Smith Wilson, Paul-Louis Couchoud (sostenitore della priorità di Marcione su Luca, subito criticato da Alfred Loisy), John Knox (che si occupò ampiamente dello stile e del vocabolario di Marcione, come farà anche più recentemente Joseph B. Tyson), Edwin C. Blackman, David S. Williams, Raymond J. Hoffmann (molto scettico sul valore delle attestazioni patristiche), Ulrich Schmid. Un posto particolare spetta a Kenji Tsutsui che nel 1982 ha tentato una nuova ricostruzione del Vangelo di Marcione, la prima dopo quella di Harnack. Più recentemente Matthias Klinghardt, Jason D. BeDuhn e Markud Vinzent hanno nuovamente messo in dubbio la tradizionale vulgata secondo cui Marcione si sarebbe limitato a corrompere il Vangelo di Luca.

In merito a questo problema della priorità fra Marcione e Luca, Roth espone diligentemente le posizioni dei diversi studiosi ma non si avventura a proporre una soluzione definitiva: egli si limita a preoccuparsi di restituire correttamente il testo del Vangelo che Marcione usava. A questo proposito l'autore chiarisce fin da principio che il suo intento non è quello di risalire a un supposto testo originale del Vangelo di Marcione, ma quello, più misurato, di proporre una ricostruzione il più possibile accurata di tale Vangelo sulla base delle fonti che ne contengono frammenti e citazioni; in altre parole, stabilire il miglior testo raggiungibile sulla base di ciò che è sopravvissuto (p. 4). In effetti non ci sono garanzie che il testo attestato in una fonte sia davvero la lezione originale del Vangelo di Marcione, non fosse altro perché Tertulliano e Adamantius ci

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informano che i seguaci di Marcione hanno continuato a modificare i suoi testi scritturistici anche dopo la morte del fondatore: vera o falsa che sia questa affermazione, essa è spia di una trasmissione testuale complessa e non immobile. Ecco perché a Roth pare ragionevole presentare il testo ricostruito non come ciò che esattamente stava nelle mani di Marcione, ma come ciò che stava nelle mani delle sue fonti. La scelta è prudente, ma può aprire scenari ancor più complessi (i testi che le fonti avevano a disposizione erano uguali? se no, come distinguere le discrepanze?). La consapevolezza del ruolo fondamentale che le fonti hanno nel processo di ricostruzione spinge Roth a dedicare molta attenzione alle fonti stesse, per stabilire come e con quale grado di probabilità si possano usare per lo scopo prefissato, cercando di evitare certi errori metodologici compiuti dagli studiosi del passato.

Nella parte dedicata ad esporre i criteri metodologici (pp. 46-82) Roth presenta le fonti che saranno utilizzate per la ricostruzione del testo marcionita: Tertulliano (che riporta 438 versetti del Vangelo), Epifanio di Salamina (114 versetti), Adamantius (75) e una decina di altre fonti (38 versetti). Fornisce poi alcune tabelle in cui ogni versetto del Vangelo di Marcione che sia stato citato da una fonte (numerato, come da tradizione, seguendo Luca) viene affiancato dalla menzione della fonte stessa, permettendo di vedere in un colpo d'occhio quali versetti sono citati e da chi sono citati, se una o più volte, se da uno o più autori. Non sempre l'operazione è semplice, perché ci sono occasioni dove le fonti non sono interpretabili in maniera univoca. In caso di dubbio, l'autore preferisce essere cauto piuttosto che riconoscere una citazione di Marcione in un testo che non la contiene. Una prima tabella contiene l'elenco dei versetti di Marcione attestati dalle fonti come esistenti; la seconda tabella contiene l'elenco dei versetti che le fonti (quasi esclusivamente Epifanio) dichiarano come assenti nel Vangelo di Marcione.

Roth conosce bene le difficoltà di una ricostruzione congetturale basata su citazioni. La credibilità delle fonti, a maggior ragione se ostili, non è assoluta; inoltre è ormai abbastanza chiaro che i testi dei Vangeli canonici hanno avuto una storia redazionale abbastanza lunga, e non c'è motivo per pensare che ciò non sia avvenuto anche con Marcione. Unendo queste cautele con un più profondo studio del contesto singolo dal quale ciascuna citazione proviene, l'autore pensa di poter giungere a un testo maggiormente fondato dal punto di vista critico rispetto a quello proposto da Harnack. A differenza di altri autori precedenti, poi, egli rifiuta di valutare le testimonianze fornite dalle fonti servendosi di ragionamenti congetturali che prendono in considerazione le presunte tendenze teologiche di Marcione; in altre parole, Roth non accoglie o respinge lezioni testuali sulla base delle categorie teologiche che la tradizione eresiologica attribuisce a Marcione, ma si limita a considerazioni di tipo puramente filologico che soltanto in seguito, fondandosi sul testo ricostruito, dovrebbero servire a ricostruire la teologia propria di Marcione. L'operazione mi sembra corretta, ma al contempo molto lontana dagli interessi degli scrittori antichi che citavano Marcione: lo scopo principale dei suoi detrattori, infatti, non era quello di esaminare il testo del “suo” Vangelo dal punto di vista critico o di occuparsi precipuamente delle varianti fra i testi evangelici, quanto piuttosto quello di criticare la teologia del suo "autore"; la loro scelta di commentare questo o quest'altro versetto obbedisce a esigenze puramente controversistiche. Di ciò occorre sempre tener conto.

Una volta stabilito un testo, Roth lo mette a confronto con la tradizione manoscritta di Luca e i suoi paralleli sinottici usando gli apparati delle edizioni critiche di Tischendorf, Von Soden, Nestle-Aland e, per il solo Luca, dell'edizione delle American and British Committees of the International Greek New Testament

Project (disgraziatamente costellato da numerosi errori).

Grossa parte del volume è dedicata all'esame delle fonti, che si sviluppa sempre secondo questo schema: considerazioni sul testo (edizioni critiche disponibili), considerazioni sulla affidabilità delle citazioni riportate da quella fonte e osservazioni generali sul suo modo di usare le citazioni bibliche. Seguono le citazioni di Marcione per come sono presentate nelle fonti, con commento estensivo.

L’autore che Rot affronta per primo è Tertulliano, da cui ricaviamo il 90% del testo marcionita sopravvissuto, la cui disamina è suddivisa in due capitoli: prima i testi di Marcione citati da Tertulliano in più di una occasione (pp. 83-184), poi quelli citati soltanto una volta nell'Adversus Marcionem, sui quali conseguentemente è più difficile fare affidamento esclusivo, per mancanza di possibile confronto (pp. 185-269). Harnack riteneva che Tertulliano lavorasse sulle opere di Marcione in traduzione latina; Roth è persuaso invece che egli disponesse del testo greco e lo abbia tradotto in latino lui stesso. Pare che in genere Tertulliano abbia proceduto nella confutazione del Vangelo di Marcione commentando i versetti nell'ordine in cui li trovava nel testo di cui disponeva; c'è evidenza del fatto che tralasciava di citare precisamente Luca, anche quando istituiva paragoni fra l'uno e l'altro; si registra una generale inclinazione nel riferirsi al testo del Vangelo di Matteo, piuttosto che a quello di Luca; infine, la precisione con cui Tertulliano ha lavorato progressivamente diminuisce con il procedere del quarto libro dell'Adversus Marcionem. Nel citare, Tertulliano compie operazioni di abbreviamento, cambiamenti retorici, alterazioni per motivi vari: Roth

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(seguendo Schmid) si sofferma soprattutto sulle variazioni nell'uso delle congiunzioni, sui cambiamenti nell'ordine delle parole e nella posizione dei pronomi e sulla sua tendenza a usare il tempo futuro quando interagisce con i testi biblici.

La seconda fonte più importante per il Vangelo di Marcione è Epifanio di Salamina (pp. 271-346). Nel XLII libro del Panarion egli si prefigge lo scopo di discutere la vita di Marcione e confutare il suo insegnamento. Sostiene di aver scritto qualche anno prima un trattato contro Marcione, estraendo dal suo Vangelo (e dall'Apostolikon) alcuni passaggi che avrebbe voluto usare contro lui stesso. Questi passaggi li avrebbe raccolti e numerati, e poi ripresi nel Panarion in un momento in cui non aveva più la possibilità di consultare ulteriormente il testo originale di Marcione. Le sue citazioni del testo marcionita stranamente sono ripetute per due volte (Panarion 42,11,6 e 42,11,17) e già in passato gli studiosi avevano cercato di comprendere il motivo di questa strana struttura: Zahn (seguito poi da Harnack) aveva ipotizzato che Epifanio non avesse completato la sua opera contro Marcione e avesse inserito il testo parziale all'interno del Panarion qualche anno dopo, aggiungendovi poi la propria refutazione; la prima lista sarebbe quella più vicina all'originale, mentre la seconda sarebbe secondaria rispetto alla prima e da essa dipendente, una mera ripetizione che avrebbe soltanto un valore per lo studio della critica testuale di Epifanio. Invece Schmid ha negato che la prima lista sia stata redatta dall'originale Vangelo di Marcione e la seconda lista sia dipendente dalla prima; Roth condivide questa idea e sostiene che per entrambe le liste Epifanio abbia compiuto un lavoro diretto sulle fonti. In ogni caso, le varianti fra le due liste si riducono a pochi casi (si fornisce una comoda tabella comparativa). Roth giustamente segnala che il lavoro di restituzione testuale può essere inficiato dalle scelte compiute dall'editore moderno del Panarion; le varianti possono in certi casi essere dovute a problemi di trasmissione del Panarion stesso, e non da discrepanze nelle fonti a cui Epifanio attingeva: pertanto andrebbero tutte studiate in modo approfondito controllando la trasmissione individuale di ciascuna e ricorrendo nuovamente all'esame dei manoscritti.

Data l’attitudine di Epifanio, capace di citare le Scritture talvolta in modo preciso, talvolta in modo assai negligente, per analogia è difficile formarsi un giudizio preciso su ognuna delle sue citazioni del Vangelo di Marcione. Anche in questo caso si registra la tendenza a mescolare materiale proveniente da Luca e da Matteo.

La terza maggiore fonte sul Vangelo di Marcione è il trattato De recta in Deum fide di un autore ignoto, a lungo attribuito a Origene in quanto il personaggio che difende la fede ortodossa contro i seguaci di Marcione porta nel dialogo in nome di Adamanzio (347-395). Il trattato è conservato sia in greco sia nella traduzione latina di Rufino. Contro chi considerava la versione latina più rispondente all'originale greco rispetto al testo greco sopravvissuto (Caspari, Zahn), Roth segue gli autori che danno priorità al greco e attribuiscono le differenze fra i due testi alla mano di Rufino. In seguito egli affronta il problema delle fonti del trattato, se cioè l'autore abbia avuto sottomano i testi biblici di Marcione o soltanto delle fonti antimarcionite. L'attitudine verso questo scritto è generalmente pessimistica, in quanto la maniera di citare dell'autore è poco affidabile e ambigua. Secondo Roth soltanto 75 versetti possono essere considerati possibili testimonianze del Vangelo di Marcione, anche se, visto il generale costume di citare in maniera non precisa, è bene adoperarli nella ricostruzione come fonti marcionite più o meno sicure soltanto quando sono attestati anche da altre fonti.

Il nono capitolo (pp. 396-409) discute le attestazioni del Vangelo di Marcione presenti in fonti diverse da quelle precedentemente citate: Origene, Ireneo, Efrem, Eznik di Kolb, Clemente di Alessandria. Infine, a conclusione del libro, si presenta la ricostruzione del testo greco del Vangelo di Marcione (pp. 410-436). È evidente che essa differisce sostanzialmente da quella di Harnack: diversi versetti sui quali le fonti tacevano, e che Harnack indicava come assenti nel Vangelo di Marcione, sono più propriamente identificati come "non attestati". Roth si impegna a segnalare il livello di affidabilità che può essere assegnato ad ogni lezione del testo, e lo fa distinguendo ciascuna opzione con accorgimenti tipografici: in grassetto egli indica le lezioni che considera sicure (attestate dalla tradizione manoscritta e confermate sulla base di considerazioni metodologiche), in grassetto corsivo quelle molto verosimili (la attestazione manoscritta presenta qualche problema, oppure essa è concorde ma proviene da una fonte non del tutto affidabile, oppure la citazione ha qualche possibilità di essere soltanto un adattamento o un'allusione al passaggio in questione), in tondo le lezioni probabili (dove lo stile di citazione della fonte, una esplicita affermazione o la tradizione manoscritta forniscono qualche evidenza non inattaccabile), in corsivo le lezioni possibili (attestate da una fonte ma senza che essa possa fornire la certezza di una sicura provenienza da Marcione), in tondo racchiuso fra parentesi tonde le citazioni il cui ordine delle parole non è ricostruibile (a dispetto di alcune allusioni alla lezione, la lezione precisa non è attestata dalla fonte), in tondo racchiuso fra parentesi graffe le lezioni attestate dove l'ordine delle parole è dubbio, qualunque sia il grado di certezza in merito alla presenza di

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queste parole nel testo di Marcione, e infine il tondo racchiuso fra parentesi quadre indica le parti non attestate e i commenti aggiunti all'interno di un versetto.

Le conclusioni e piste aperte per il futuro (pp. 437-440) servono all'autore per trarre alcune considerazioni generali sul lavoro svolto. Giustamente la sua ricostruzione del testo non è presentata come la “ultima parola”, ma costituisce un nuovo solido punto di partenza per ulteriori discussioni. Quanto alla somiglianza fra Marcione e il testo occidentale di Luca, Roth registra molte somiglianze ma anche qualche divergenza; ad esempio, il testo di Marcione include Lc 22,20, assente nei manoscritti testimoni del testo occidentale (è una delle “non-interpolazioni occidentali”). Harnack accettava l'idea che il testo di occidentale di Luca noto a Marcione fosse già stato armonizzato e influenzato da Matteo e Marco; ma è anche possibile che le armonizzazioni, originariamente assenti, siano state prodotte dagli autori che citano Marcione. Roth offre la propria ricostruzione come uno strumento per valutare più attentamente varie questioni che riguardano la formazione del Vangelo quadriforme e nota che l'apparato dell'edizione di Luca del Nestle-Aland sarebbe da rivedere per quanto concerne le attestazioni di Marcione.

L'opera di Roth oltre alle risposte a cui espressamente desidera rispondere propone ulteriori interrogativi e segna nuove piste di ricerca. Al di là della questione della priorità fra Luca e Marcione, che nuovamente si trova al centro dell'attenzione di numerosi studi, il testo marcionita invita a riflettere con occhi nuovi sulla ricostruzione della storia testuale del Vangelo di Luca. Qual è il valore del cosiddetto testo occidentale? Come valutare le citazioni di Luca che in realtà rimandano all'attuale Matteo? Esisteva un Ur-Lukas anteriore al testo canonico attualmente conosciuto? Soprattutto: si tiene sufficientemente in considerazione l’evidenza, che dalla sua parte ha ormai numerose attestazioni a favore, che i Vangeli hanno avuto non soltanto una complessa storia formativa all'interno della tradizione orale che li precede, ma anche una lunga fluidità redazionale nelle redazioni scritte? In questo senso l'importanza degli studi su Marcione risiede anche nel ruolo che essi possono e debbono avere nella complessa ricostruzione della formazione, della storia redazionale e della trasmissione dei Vangeli più antichi in generale.

Purtroppo l'imponente lavoro di Roth è uscito quasi contemporaneamente a una ancor più corposa pubblicazione di Matthias Klinghardt che tenta una sua personale ricostruzione del Vangelo di Marcione (Das älteste Evangelium und die Entstehung der kanonischen Evangelien, A. Francke Verlag, Tübingen 2015). Roth purtroppo non ha avuto modo di poter beneficiare dell'opera di Klinghardt; quest'ultimo invece aveva sottomano il lavoro di Roth nella forma da lui presentata come tesi di dottorato nel 2009, la quale però era abbastanza diversa: infatti Roth nel 2009 si limitava a prendere in considerazione le attestazioni di Marcione in Tertulliano, ignorando le altre fonti. Ecco il motivo per cui Klinghardt si è servito della sua ricostruzione in maniera limitata, a causa del carattere intrinsecamente parziale (Klinghardt, p. 453: «Roths Rekonstruktion beschränkt sich auf den von Tertullian verwendeten Text und berücksichtigt die anderen Zeugnisse nicht; aus diesem Grund wird seine Arbeit nur gelegentlich erwähnt»). A differenza di Roth, poi, Klinghardt ha l'intenzione di affrontare di petto la questione della priorità Marcione-Luca e sceglie per la priorità del primo, presentando il suo Vangelo come la più antica rappresentazione letteraria della vita di Gesù, dalla quale non soltanto Luca, ma anche tutti gli altri evangelisti, avrebbero attinto il proprio materiale. Un primo confronto fra le due ricostruzioni, quella di Roth e quella di Klinghardt, mostra una non perfetta sovrapponibilità, come c'era da aspettarsi da un lavoro di filologia congetturale. Proprio in un passaggio che Roth segnalava come caso esemplare che farebbe pensare a una possibile seriorità di Marcione rispetto a un testo molto simile al nostro Luca canonico (Lc 4,43 e 16,16; pp. 436-437) le due ricostruzioni non coincidono. E ancora: il già menzionato Lc 2,20, assente nei manoscritti testimoni del testo occidentale ma secondo Roth presente in Marcione, per Klinghardt era assente. Resta da valutare caso per caso, versetto per versetto, se e quanto la convinzione nell'anteriorità di Marcione possa aver influito sulla ricostruzione filologica dell’älteste Evangelium proposto da Klinghardt.

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