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Can we “improve” the forest?

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Academic year: 2021

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Copyright © by the Italian Society of Silviculture and Forest Ecology.

E’ possibile migliorare il bosco?

Renzo Motta

Dip.to AGROSELVITER, Università degli Studi di Torino, v. L. Da Vinci, 44 - Grugliasco (TO)

Abstract: Can we ”improve“ the forest? A comment is made on the way public funds are often used in Italy to achieve a rather ambiguous goal, referred to as “improvement of the forest”.

Keywords: silviculture, management, public funds, forest improvement, Italy.

Citation: Motta R, 2007. E’ possibile migliorare il bosco? Forest@ 4 (3): 244-245. [online] URL: http://www.sisef.it/.

In questi ultimi decenni in molte Regioni italiane una parte degli interventi selvicolturali viene effet-tuata con il finanziamento, totale o parziale, dell’En-te pubblico.

In alcune Regioni, o meglio in alcuni comprensori forestali, dove esiste una filiera legno vitale, l’inci-denza degli interventi effettuati con finanziamento pubblico è limitata, ma in altre parti del territorio questi rappresentano una parte rilevante degli inter-venti effettuati in bosco.

Di solito si tratta di interventi effettuati al di fuori di un sistema selvicolturale e in particolare di inter-venti che seguono un lungo periodo di abbandono delle pratiche tradizionali (ad esempio, cedui abban-donati o popolamenti di alto fusto in cui non sono stati effettuate le necessarie cure colturali) e inter-venti in successioni secondarie in fase evolutiva.

E’ inutile nascondersi che questa situazione non rappresenta un buon indicatore sullo stato di salute del settore foresta-legno in Italia in quanto è la con-seguenza di una sostanziale perdita di redditività e di un evidente scarso interesse dei proprietari, dei fruitori e, più in generale, della pubblica opinione nei confronti delle sorti e delle potenzialità del setto-re.

Questa situazione, se utilizzata in modo opportu-no, potrebbe avere anche alcuni aspetti positivi: la ri-dotta pressione nei confronti dell’aspetto produttivo è una condizione “nuova” (se consideriamo anche solo gli ultimi secoli del rapporto uomo-foresta) e le risorse a disposizione potrebbero utilmente essere destinate alla realizzazione di interventi colturali atti a recuperare la funzionalità e la qualità di un patri-monio forestale che è stato intensamente sfruttato per secoli.

Ma in realtà che cosa succede?

Almeno una parte di questi interventi sono effet-tuati con l’etichetta di “Interventi di miglioramento forestale” e, a partire proprio da questa denomina-zione, si inizia ad intuirne l’ambiguità sia per quanto riguarda gli obiettivi che per quanto riguarda i meto-di. I selvicoltori, e tutti coloro che si occupano di ecologia forestale, sanno bene che non è possibile “migliorare il bosco” e, in ogni caso, la natura può provvedere benissimo, con tempi più o meno lunghi ma sicuramente ecologicamente adeguati, a dei cam-biamenti di composizione e/o strutturali che aumen-tano la stabilità ecologica dei popolamenti forestali. Quello che è possibile invece effettuare è il “miglio-ramento delle funzioni svolte dal bosco” quindi del ruolo che il bosco svolge in funzione delle aspettati-ve di proprietari, fruitori ed opinione pubblica.

La mancanza di obiettivi ben definiti rende da un lato difficile valutare la qualità degli interventi, dal-l’altro lato rende problematica la realizzazione di questi da un punto di vista pratico. Questa ambigui-tà si traduce frequentemente in interventi dal basso, deboli, inefficaci che non hanno nessuna incidenza sul futuro del popolamento forestale mentre l’inter-vento selvicolturale dovrebbe essere, anche quando effettuato a macchiatico negativo, un investimento sul futuro del bosco con ricadute positive per la co-munità e per la gestione territoriale.

Il dubbio che può essere legittimamente espresso è se l’intervento selvicolturale, in questi casi, sia non il mezzo per raggiungere degli obiettivi colturali ma, piuttosto, il fine per giustificare il finanziamento pubblico. In quest’ultimo caso occorre considerare alcune pericolose conseguenze negative, sia a breve sia a lungo termine. Tra quelle a breve possiamo

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Motta R - Forest@ 4 (3): 244-245

curamente annoverare il fatto che nonostante la di-sponibilità di risorse non si verifichi un effettivo mi-glioramento della funzionalità dei popolamenti fore-stali; tra quelle più a lungo termine il pericolo mag-giore è che l’intervento selvicolturale nella pubblica opinione venga ad assumere il significato di uno strumento assistenziale, cioè il mezzo (indipendente-mente dal tipo, dalle modalità di realizzazione e dal-la qualità dell’intervento) per accedere ad un finan-ziamento.

Diversi colleghi, sia nelle Università che nelle Am-ministrazioni Regionali e Provinciali, sono ben con-sapevoli dell’importanza di tornare a porre gli obiet-tivi e la qualità dell’intervento selvicolturale al cen-tro dell’attenzione ed in molti strumenti

politici-am-ministrativi in cui si individuano i criteri per la desti-nazione delle risorse nel settore forestale sono già evidenti i segnali di una forte attenzione al problema sollevato.

E’ però indispensabile una maggiore attenzione e responsabilizzazione a tutti i livelli ed in particolare tra coloro che credono che la selvicoltura abbia anco-ra, nel nostro paese, un ruolo importante per la filie-ra legno e per la gestione del territorio.

Author’s Box

Renzo Motta è docente di selvicoltura all’Università di To-rino; il suo principale interesse riguarda l’ecologia dei pro-cessi di rinnovazione naturale e la selvicoltura dei boschi di montagna; Email: renzo.motta@unito.it

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