PRINCIPATO
La scuola in ascolto
Tra Bisogni Educativi Speciali
La scuola in ascolto.
Tra Bisogni Educativi Speciali e nuove tecnologie
Agnese Cattaneo Alessia Rosa
La scuola in ascolto.
Tra Bisogni Educativi Speciali
e nuove tecnologie
Presentazione 3
La Prof.ssa Agnese Cattaneo è autrice dei capp. 1-5. La Prof.ssa Alessia Rosa è autrice dei capp. 6-8.
Immagine di copertina: Shutterstock
ISBN 978-88-416-8668-3
Prima edizione: aprile 2015 Ristampe
2018 2017 2016 2015 III II I * Printed in Italy
© 2015 - Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effet-tuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso di-verso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da EDI-SER (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.
Casa Editrice G. Principato S.p.A. Via G.B. Fauché, 10 - 20154 Milano
PRIMA SEZIONE Capitolo I
Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico
1. Il ruolo della scuola nella società della conoscenza
1Il cambiamento è ormai l’elemento caratterizzante del nostro tempo: muta-menti continui, complessi e spesso repentini interessano, di fatto, tutti gli am-biti della vita sociale, economica, culturale e politica; in parallelo, si assiste al continuo evolversi – qualitativo e quantitativo – delle conoscenze ad essi cor-relate. Non a caso, la società contemporanea è stata con successo definita ‘so-cietà della conoscenza’ (knowledge society)2: le Conclusioni del Consiglio
euro-peo tenutosi a Lisbona nel marzo 2000 riconoscevano che “l’Europa è indiscu-tibilmente entrata nella società della conoscenza, con tutte le conseguenze che tale evoluzione implica sulla vita culturale, economica e sociale”3 e che per il
buon esito di questa trasformazione, “di portata comparabile a quella della ri-voluzione industriale”4sarà necessario un nuovo orientamento dei sistemi
edu-cativi degli stati membri verso la messa in pratica del concetto di istruzione e formazione permanente5.
1. Il paradigma pedagogico-didattico 5
1. Per un inquadramento generale del tema si veda: A. Cattaneo, Dalle pratiche ai saperi. La profes-sionalità degli insegnanti fra teoria e azione, Vita e Pensiero, Milano 2009.
2. La fortuna dell’espressione va collegata alla sua capacità di sintetizzare “in una cifra simbolica, i ma-cro-mutamenti che hanno connotato, a partire dagli anni Novanta, il nostro sistema complessivo di vita e che toccano le trasformazioni economiche (globalizzazione e variabilità dei mercati), le rivoluzioni tec-nologiche dell’ICT (la galassia Internet), i processi organizzativi e di lavoro (reti, flessibilità, mobilità), le forme di vita sociale” G. Scaratti, “La conoscenza in azione”, in A. Bruno, C. Kaneklin, G. Scaratti (a cu-ra di), I processi di genecu-razione delle conoscenze nei contesti organizzativi e di lavoro, Vita e Pensiero, Mila-no 2005, p. 288.
3. Commissione delle Comunità Europee, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Bruxelles, 30.10.2000, p. 3, in http://www.pubblica.istruzione.it/dg_postsecondaria/allegati/memoran-dum301000.pdf.
4. Ibi, p. 8. 5. Ibi, pp. 1-26.
1.1 Il senso dell’imparare nella società contemporanea
Lo sviluppo della knowledge society rende sempre più ampia la gamma di cono-scenze, abilità e attitudini richieste agli individui, in termini non solo di incre-mento quantitativo, ma anche di evoluzione qualitativa delle forme di cono-scenza necessarie nei diversi ambiti della vita personale, pubblica e professio-nale6. Per questa ragione, le direttive comunitarie invitano i cittadini del
nuo-vo millennio ad aggiornare in modo continuo le abilità specifiche richieste dal-lo svolgimento di precise mansioni o attività ma li esortano anche ad acquisire e consolidare conoscenze e competenze trasversali per adattarsi ai cambiamen-ti in atto a diversi livelli e in differencambiamen-ti contescambiamen-ti7.
Nello scenario delineato, l’educazione e la formazione degli individui assu-mono un ruolo determinante e differente da quello svolto nelle epoche prece-denti8: nella definizione dei compiti delle istituzioni scolastiche, accanto alla
componente legata all’istruzione e alla trasmissione dei saperi assumono un ruo-lo sempre più centrale le finalità di ordine formativo, legate alla costruzione consapevole e responsabile dell’identità personale degli studenti, ed educativo, volte a promuovere competenza nella relazione e nella collaborazione con gli altri. La stessa normativa vigente, a livello sia nazionale che europeo, assegna al-la scuoal-la un compito molto più complesso del tradizionale insegnamento di concetti collegati ai vari ambiti disciplinari: all’istruzione, finalizzata alla tra-smissione delle singole discipline, si affiancano competenze molto più ampie e trasversali, che travalicano l’ambito scolastico, per coinvolgere i diversi contesti di vita lungo tutto l’arco dell’esistenza9. Come accennato, questo spostamento
di attenzione è legato alle caratteristiche della società contemporanea, la quale impone l’acquisizione di una propensione al cambiamento realizzabile solo me-diante un apprendimento continuo.
1.2 Il senso dell’insegnare nella scuola di oggi
La riflessione su questi temi è ampiamente sviluppata anche nel nostro Paese. Non a caso, nell’individuare le Competenze di base da acquisire per
l’assolvi-6. Commissione delle Comunità Europee, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, Bruxelles, 10.11.2005, p. 3, in http://ec.eu-ropa.eu/education/ policies/2010/doc/keyrec_it.pdf.
7. Commissione delle Comunità Europee, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, Bruxelles, 10.11.2005, p. 3, in http://ec.eu-ropa.eu/education/ policies/2010/doc/keyrec_it.pdf.
8. B. Bertagni, M. La Rosa, F. Salvetti, “Presentazione”, in B. Bertagni, M. La Rosa, F. Salvetti (a cura di), Società della conoscenza e formazione, p. 7.
9. L. Tuffanelli, La diversità come risorsa, in D. Ianes, S. Cramerotti (a cura di), Alunni con BES. Bi-sogni educativi speciali. Indicazioni operative per promuovere l’inclusione scolastica sulla base della DM 27/12/2012 e della CM n. 8 del 6/3/2013, Ed. Erickson, Trento 2013, p. 320.
mento dell’obbligo di istruzione all’interno del sistema scolastico italiano, il le-gislatore ha voluto collegare il possesso delle conoscenze e delle abilità relative ai diversi assi culturali (asse linguistico, matematico, scientifico-tecnologico e sto-rico-sociale) allo sviluppo di precise Competenze chiave di cittadinanza, di ca-rattere complesso e trasversale, così elencate nel D.M. n. 139 del 22.08.2007:
1. Imparare ad imparare 2. Progettare
3. Comunicare
4. Collaborare e partecipare
5. Agire in modo autonomo e responsabile 6. Risolvere problemi
7. Individuare collegamenti e relazioni 8. Acquisire ed interpretare l’informazione.
La principale finalità della scuola si colloca quindi oggi nell’insegnare a ri-flettere o – meglio – nell’indicare agli studenti “come pensare”, per richiamare l’apologo citato in chiusura del presente paragrafo, senza naturalmente dimen-ticare il piano contenutistico del sapere, dal quale non si può in alcun modo prescindere. Occorre oggi più che mai riconoscere che i veri apprendimenti si costruiscono solo su salde basi relazionali e motivazionali10. Apprendere
infat-ti significa cambiare, riorganizzare un comportamento o una conoscenza per ef-fetto di un’esperienza vissuta o di un’informazione ricevuta. Si apprendono le abilità necessarie per “essere nelle cose e nella realtà”, per agire, comunicare, re-lazionarsi con gli altri, con l’ambiente e con coloro che sono intorno a noi11.
La sfida per la scuola consiste pertanto “nell’educare giovani in grado di in-terpretare criticamente la realtà, di favorirne la trasformazione e lo sviluppo, di riconvertire le conoscenze e le competenze acquisite in tempi brevi con dutti-lità di pensiero per rapportarsi all’evoluzione dei tempi e alle repentine e inces-santi trasformazioni che si verificano nel mondo dell’economia, della cultura, della scienza e del lavoro”12.
Il ruolo degli insegnanti è oggi quanto mai complesso e delicato, perché ob-bliga a cercare una mediazione tra istanze fra loro difficilmente conciliabili: per un verso, infatti, essi devono impegnarsi per favorire l’estensione dell’obbligo scolastico e promuovere un’educazione per tutti, nella prospettiva sopra deli-neata del lifelong learning, fornendo ai giovani “un’educazione ampia e globale che li prepari alla vita piuttosto che all’esecuzione di una specifica occupazione
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 7
10. L. Collacchioni, A. Marchetti, L’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali. Dalla nor-mativa alla relazione educativa, Aracne, Roma 2013, p. 103.
11. A. M. Favorini, I problemi di comportamento a scuola. Interventi pedagogici e inclusione, Carocci, Roma 2014, p. 59.
e sia fondata sullo sviluppo dell’attitudine al lavoro di squadra e alla coopera-zione, su di un’attenzione particolare all’ambiente, alla tolleranza e alla com-prensione reciproca”13. Allo stesso tempo, tuttavia, gli insegnanti devono
com-battere l’abbandono scolastico confrontandosi con le sempre più numerose e va-riegate espressioni del disagio giovanile, nonché impegnandosi a contrastare sia le crescenti sperequazioni fra studenti provenienti da contesti sociali ed econo-mici diversi, sia la drastica diminuzione della coesione sociale e l’affiorare di ten-sioni inter-etniche capaci di sfociare in episodi di xenofobia e razzismo14.
In tale scenario, i docenti sono chiamati ad assumere un atteggiamento com-portamentale e mentale di problematicità e di apertura, presupposto necessario per la promozione di una scuola realmente inclusiva, aperta alle differenze; il rischio che si corre, altrimenti, è che la tanto auspicata integrazione resti argo-mento di corsi di aggiornaargo-mento teorici, tema privilegiato di progetti mirati e circoscritti, e soprattutto sia rivolta esclusivamente ad alcune “categorie” speci-fiche di studenti, come per esempio per gli alunni certificati o quelli di diversa etnia15.
La scuola deve invece rivolgersi a tutti gli alunni, guardando alla “persona”, accettando e accogliendo la “diversità” di ognuno come valore e come oppor-tunità di crescita democratica. Ne consegue che il progetto di formazione e di inclusione debba considerare le potenzialità, le inclinazioni, le attitudini, le ca-pacità e i bisogni formativi specifici e “speciali” di ogni alunno16. Lavorare per
l’inclusione significa partire dal piano generale delle modalità di pensiero, del-l’insegnamento, dell’organizzazione, per giungere ad elaborare delle vere e pro-prie linee guida da condividere come comunità scolastica17.
Assumere tale prospettiva significa riconoscere che è importante non tanto ciò che l’alunno sa, ma che cosa egli sa fare e che cosa sa diventare all’interno dei diversi contesti e ambiti di vita: occorre che la scuola arrivi ad influire non solo sulle conoscenze e sulle abilità possedute dai giovani, ma anche e soprat-tutto sul loro modo di pensare, di parlare, di sentire e di agire, assumendo in modo sempre più consapevole le sfide dell’“inclusione dell’altro”, della realizza-zione della convivenza pacifica tra soggetti che la società tende a dividere, non trascurando le loro fondamentali dimensioni identitarie18. Il riferimento alla
persona sopra richiamato va assunto come criterio di elaborazione di tutti i per-corsi educativi inclusivi e pertanto flessibili, differenziati, specifici19. Sappiamo
bene però, che l’interesse per la persona non sempre è al centro del processo
for-13. C. Day, Developing Teachers: The Challenges of Lifelong Learning, Falmer Press, London – Phila-delphia 1999, pp. 7-8.
14. Ibidem.
15. L. Collacchioni, A. Marchetti, L’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali, p. 100. 16. D. Milito, Inclusione, integrazione e bisogni educativi, p. 21.
17. L. Collacchioni, A. Marchetti, L’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali, p. 102. 18. D. Milito, Inclusione, integrazione e bisogni educativi, p. 11-13.
mativo, il quale invece troppo spesso si focalizza sull’attuazione del programma, come se per un docente il compito primario fosse quello di presentare alla clas-se nei tempi previsti una clas-serie di conoscenze rigidamente determinate, indi-pendentemente da quanto ogni alunno abbia realmente appreso. È importante invece comprendere che “il programma, la cui utilità consiste nell’orientare e or-ganizzare il lavoro scolastico annuale, non è la finalità del lavoro dell’insegnan-te, ma si configura come lo strumento che aiuta a seguire un sentiero tracciato, non per il solo scopo di arrivare alla fine ma per apprendere, strada facendo, fer-mandosi, osservando, anche tornando indietro se ce ne fosse bisogno”20. Ogni
docente infatti, attraverso lo svolgimento del proprio programma disciplinare, educativo e didattico, persegue la finalità di promuovere formazione: nei con-fronti degli studenti innanzitutto, ma anche di se stesso, dal momento che il processo di insegnamento-apprendimento ha esiti trasformativi su tutti quelli che sono in esso coinvolti21.
Questa è l’acqua di David Foster Wallace
[trad. di Roberto Natalini]
Trascrizione del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005.
[…] Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pe-sce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuota-re per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’ac-qua?”
È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istrut-tivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenziona-li nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi pre-go, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio.
Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguag-gio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali
luo-1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 9
20. L. Collacchioni, A. Marchetti, L’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali, p. 90. 21. Ibi, p. 91.
ghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.
Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato della vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi per-ché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale.
Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a que-sto tipo di cerimonie, ossia che la vostra educazione umanistica non consista tan-to “nel fornirvi delle conoscenze”, quantan-to “nell’insegnarvi a pensare”.
Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare que-sto genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare.
Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si deb-ba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capaci-tà di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta li-bertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio.
[…] Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintetico per esprimere un’idea molto più significativa e profonda: “im-parare a pensare” vuol dire in effetti im“im-parare a esercitare un qualche con-trollo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso al-l’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà espri-me una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto.
2. La sfida dell’inclusione
“Se trattiamo gli esseri umani per quello che sono, diventa-no peggiori di quello che sodiventa-no in realtà.
Se trattiamo le persone per quello che vorrebbero diventare, le aiutiamo a diventare quello che sono capaci di essere.”
(J.W.Goethe) L’evoluzione dei sistemi di istruzione e formazione delineata nel precedente pa-ragrafo fornisce la chiave di lettura per interpretare gran parte delle dinamiche di cambiamento che hanno interessato la realtà scolastica italiana degli ultimi decenni. Fra i compiti della scuola delineati dall’assetto riformistico avviato con la legge n. 59/1997, che ha introdotto il federalismo amministrativo e ha attri-buito autonomia funzionale alle istituzioni scolastiche del nostro Paese, vi è in-fatti quello di facilitare l’inserimento dei giovani nella nuova “società della co-noscenza”, offrendo loro gli strumenti per fronteggiare la complessità, per esse-re cittadini attivi, per esercitaesse-re un ruolo da protagonisti e poter partecipaesse-re ai processi decisionali.
Non a caso, nel richiamare l’importanza della fase normativa apertasi alla fi-ne degli anni Novanta, le Lifi-nee guida per l’integraziofi-ne scolastica degli alunni con disabilità emanate dal MIUR nel 2009 affermano la necessità di promuo-vere “una scuola non solo per sapere […] ma anche per crescere, attraverso l’ac-quisizione di conoscenze, competenze, abilità, autonomia, nei margini delle ca-pacità individuali, mediante interventi specifici da attuare sullo sfondo costan-te e imprescindibile dell’istruzione e della socializzazione. In questo senso si configura la norma costituzionale del diritto allo studio, interpretata alla luce della legge 59/1997 e del DPR 275/1999, da intendersi quindi come tutela sog-gettiva affinché le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia funzionale e fles-sibilità organizzativa, predispongano le condizioni e realizzino le attività utili al raggiungimento del successo formativo di tutti gli alunni”22.
Sulla scia di tali provvedimenti, la legge n. 53/2003 di riforma del sistema educativo di istruzione e formazione ha compiuto un ulteriore passo avanti, in-dicando quale finalità del sistema educativo il “favorire la crescita della persona umana nel rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, delle differenze e dell’identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, in coerenza con i principi del-l’autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Co-stituzione”, ed introducendo il concetto di “diritto all’istruzione e alla forma-zione” quale diritto che riguarda tutti i giovani e che li accompagna in tutte le fasi della vita, in linea con le direttive comunitarie sopra menzionate23.
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 11
22. MIUR, Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, Agosto 2009, p. 3. 23. D. Milito, Inclusione, integrazione e bisogni educativi, p. 16.
In proposito, gli indirizzi delle politiche formative sono inequivocabili: nel-le Conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea del 2010 si è stabilito che l’inclusione sociale, attraverso l’istruzione e la formazione, dovrebbe promuo-vere approcci all’istruzione efficaci e inclusivi per tutti gli alunni, compresi quel-li con esigenze particolari, trasformando le scuole in comunità di apprendi-mento in cui sia alimentato il senso dell’inclusione e del sostegno reciproco e siano riconosciuti i talenti di tutti gli alunni. L’istituzione scolastica dotata di autonomia funzionale, in tale contesto, è chiamata a realizzare un’offerta for-mativa che da un lato tenga presenti le indicazioni fornite dalle politiche euro-pee in campo formativo e dalla normativa nazionale e regionale, e dall’altro dia riscontro alle istanze e ai bisogni formativi provenienti dal territorio in cui è ca-lata e dai singoli soggetti che in essa interagiscono24.
Sul tema dell’integrazione della diversità nel contesto scolastico è possibile seguire un’evoluzione normativa e istituzionale che fa della realtà italiana un unicum nel contesto internazionale.
Lo schema di seguito riportato (fig. 1) richiama le fasi che hanno scandito il progressivo ingresso nella nostra scuola degli studenti considerati a vario ti-tolo, nelle diverse epoche, “problematici” o “diversi”. Come si vedrà, ad un pri-mo pri-momento – durato fino agli anni Sessanta – in cui agli alunni “anormali” era del tutto preclusa l’iscrizione agli istituti scolastici comuni (fase dell’esclu-sione), fece seguito una fase di medicalizzazione culminata nell’attivazione pres-so le scuole medie di classi differenziali, dette “classi di aggiornamento”, non-ché di “sezioni speciali” rivolte a bambini dai 3 ai 6 anni affetti da disturbi del-l’intelligenza, del comportamento o da menomazioni fisiche e sensoriali. Già negli anni Settanta però, caso unico nel contesto europeo, lo Stato italiano ri-conobbe agli alunni in situazione di difficoltà il diritto all’educazione e al-l’istruzione in classi normali della scuola pubblica; in questa fase, che è stata de-finita “dell’inserimento”, erano tuttavia ancora esclusi i soggetti “affetti da gravi deficienze intellettuali o menomazioni fisiche” particolarmente significative. Fu quindi superato il modello delle scuole speciali, che tuttavia non furono aboli-te. L’effettiva equiparazione dei diritti degli studenti disabili a quelli dei propri coetanei fu realizzata soltanto nel 1977, quando la legge n. 517, richiamando esplicitamente l’art. 3 della Costituzione, sancì – almeno sul piano formale – l’obbligatorietà della presenza dei soggetti in situazione di handicap nelle scuo-le comuni, aboscuo-lendo scuo-le classi di aggiornamento e scuo-le classi differenziali e intro-ducendo la figura dell’insegnante di sostegno. La cosiddetta fase dell’integra-zione, inaugurata sul piano formale in quell’anno, è proseguita sino alla fine de-gli anni Novanta del secolo scorso, quando ha cominciato ad affermarsi la fase dell’inclusione, fondata su di una lettura più complessa e dinamica del signifi-cato della diversità di cui ogni individuo è portatore nei differenti contesti so-ciali e di vita.
Figura 1– Fasi dell’introduzione della diversità nel contesto scolastico italiano
La scheda riportata a conclusione del presente paragrafo (figura 3) permet-te di seguire le principali tappe che hanno segnato l’evoluzione delle fasi sopra sintetizzate, attraverso la presentazione in ordine cronologico dei provvedi-menti normativi che hanno contribuito, a diverso titolo, a tracciare la traietto-ria delineata. In questa sede, merita soffermarsi sul delicato passaggio fra la quarta e la quinta fase, ossia sul superamento della prospettiva dell’integrazio-ne a favore di un’ottica più propriamente inclusiva.
Negli ultimi anni il termine “inclusione” ha infatti cominciato gradualmen-te a sostituire quello di “ingradualmen-tegrazione”, anche se talvolta i due vocaboli sono usa-ti in maniera intercambiabile. La sovrapposizione lessicale spesso riscontrata nel loro utilizzo è un indicatore della difficoltà degli insegnanti a rielaborare il cam-biamento in atto, in cui nuove e precedenti teorizzazioni convivono in modo implicito25.
A livello normativo il termine “integrazione” è stato ufficializzato dalla leg-ge n. 517/77 – che come si è detto riflette la formalizzazione di una delle con-quiste più importanti della scuola italiana: l’integrazione nelle classi normali degli alunni con disabilità – e, soprattutto, dalla Legge n. 104/92; il termine “inclusione”, invece, è stato reso ufficiale dalla Convenzione dell’ONU sui di-ritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge n. 18 del 3 marzo 200926, cui hanno fatto seguito le Linee guida per l’integrazione
scolasti-ca degli alunni con disabilità in precedenza citate.
Nell’adozione prima dell’una e poi dell’altra prospettiva, le scelte dell’Italia si sono rivelate illuminate e all’avanguardia nel contesto internazionale. Rispetto all’integrazione, basti rilevare – con il legislatore – che «dietro alla coraggiosa scelta della scuola italiana di aprire le classi normali affinché diventassero effet-tivamente e per tutti “comuni”, c’è una concezione alta tanto dell’istruzione quanto della persona umana, che trova nell’educazione il momento prioritario del proprio sviluppo e della propria maturazione. Crescere è tuttavia un avve-nimento individuale che affonda le sue radici nei rapporti con gli altri e non si può parlare di sviluppo del potenziale umano o di centralità della persona con-siderandola avulsa da un sistema di relazioni la cui qualità e la cui ricchezza è
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 13
Fase dell’esclusione (fino al 1960) Fase della medicalizzazione (1960-1970) Fase dell’inserimento (1970-1977) Fase dell’integrazione (1977-1999) Fase dell’inclusione (dal 1999 a oggi)
25. S. Tabarelli, F. Pisanu, Elementi generali di approfondimento sui BES nel contesto italiano, “I Qua-derni della Ricerca”, Loescher Editore, Torino 2013, p. 23 (www.loescher.it/download/QuaQua-derni/Qua- (www.loescher.it/download/Quaderni/Qua-derno_03_31050.pdf ).
il patrimonio fondamentale della crescita di ognuno. La scuola è una comuni-tà educante, che accoglie ogni alunno nello sforzo quotidiano di costruire con-dizioni relazionali e situazioni pedagogiche tali da consentirne il massimo svi-luppo»27.
La via italiana all’integrazione degli alunni disabili si è di fatto fondata sul-la mediazione resul-lazionale nei confronti delsul-la csul-lasse (assicurata dall’insegnante di sostegno), finalizzata all’inserimento e all’apprendimento, con l’intento di perseguire come obiettivo primario (peraltro ampiamente raggiunto) la garan-zia della frequenza scolastica generalizzata da parte degli studenti in situazione di handicap. In tempi più recenti, le mutate condizioni dei contesti sociali ed educativi hanno fatto nascere una nuova sensibilità verso il tema della diversi-tà che evidenzia i limiti del modello “integrazionista”, riconducibili alla debo-lezza di alcuni assunti posti alla base di tale prospettiva28.
Si è così fatto strada un nuovo paradigma: dal concetto di integrazione (so-stanzialmente finalizzato a consentire e facilitare agli alunni con bisogni “di-versi” la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica degli “altri”) si è passati a quello di inclusione (che muove dalla necessità di strutturare i conte-sti educativi in modo tale che siano adeguati alla partecipazione di tutti, cia-scuno con le proprie caratteristiche). È infatti ormai diffusa la consapevolezza che l’area dello svantaggio e della fragilità è molto più ampia di quella della di-sabilità, e va affermandosi il diritto di ogni alunno ad una scuola su misura; co-me esposto nel paragrafo seguente, in questo scenario si collocano l’adozione di strumenti diagnostici complessi quali l’ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute) e la recente affermazione nel contesto scolastico nazionale e internazionale del concetto di B.E.S. - Bisogni Educativi Speciali, al quale possono essere ricondotte tre diverse categorie (ap-profondite nei successivi capitoli): la disabilità; i disturbi evolutivi specifici, fra cui figurano i disturbi specifici dell’apprendimento contemplati dalla Legge 170/2010; l’area dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. Per ri-spondere in modo efficace a tali bisogni e garantire il successo formativo di tut-ti gli studentut-ti, come richiesto dalla normatut-tiva, la scuola deve riconoscere che questioni quali l’individualizzazione dell’insegnamento e la personalizzazione dell’apprendimento rappresentano oggi la vera sfida pedagogica e didattica.
L’accettazione della diversità, in tutte le sue espressioni, è infatti alla base del concetto stesso di inclusione educativa così come è andato affermandosi nei si-stemi di istruzione dell’Europa e del mondo a partire dall’ultimo decennio del XX secolo. Questa diffusione è stata guidata da un impegno lodevole per il di-ritto di tutti gli studenti ad avere pari opportunità di partecipazione attiva nel-la società; tra gli eventi chiave di tale evoluzione merita di essere ricordata nel-la Dichiarazione di Salamanca, approvata dall’Unesco nel 1994, secondo la quale «ogni bambino ha il diritto fondamentale all’istruzione e a ciascuno deve
sere data la possibilità di raggiungere e mantenere livelli accettabili di appren-dimento».
Le caratteristiche salienti degli scenari educativi delineati dalla prospettiva dell’integrazione e da quella dell’inclusione sono efficacemente descritti da F. Da-vigo:
“Il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l’idea di integrazione è quel-lo «assimilazionista», fondato sull’adattamento dell’alunno disabile a un’orga-nizzazione scolastica che è strutturata in funzione degli alunni «normali». Al-l’interno di tale paradigma, l’integrazione diviene un processo basato principal-mente su strategie per portare l’alunno disabile a essere quanto più possibile si-mile agli altri. La qualità di vita scolastica del soggetto disabile viene dunque va-lutata in base alla sua capacità di colmare il varco che lo separa dagli alunni nor-mali. Ora, non solo è improbabile che questo varco possa essere effettivamente colmato (con il carico di frustrazione che da ciò inevitabilmente deriva), ma so-prattutto è l’idea stessa che compito del disabile sia diventare il più possibile si-mile a una persona normale a creare il presupposto dell’esclusione. Porre la nor-malità (qualunque cosa essa sia) come modello di riferimento significa, infatti, negare le differenze in nome di un ideale di uniformità e omogeneità. […]
Viceversa l’idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Se l’integra-zione tende a identificare uno stato, una condil’integra-zione, l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni – a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale – possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola. […] Inclusione è ciò che avvie-ne quando «ognuno sente di essere apprezzato e che la sua partecipazioavvie-ne è gra-dita». La nozione di inclusione riconosce che c’è un rischio di esclusione che oc-corre prevenire attivamente, e al tempo stesso afferma l’importanza del coinvol-gimento di tutti gli alunni nella realizzazione di una scuola realmente acco-gliente, anche mediante la trasformazione del curriculum e delle strategie orga-nizzative delle scuole, che devono diventare sensibili all’intera gradazione delle diversità presenti fra gli alunni”29.
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 15
28. S. Tabarelli, F. Pisanu, Elementi generali di approfondimento sui BES nel contesto italiano, p. 23. 29. F. Davigo, Introduzione, in T. Booth, M. Ainscow, L’Index per l’inclusione, Erickson, Trento 2008, pp. 12 e 13.
Figura 2– L’evoluzione dal modello dell’integrazione a quello dell’inclusione
Dal quadro sin qui tracciato emerge – come osservato da S. Tabarelli e F. Pi-sanu – che “se storicamente il modello dell’integrazione precede quello dell’in-clusione, sul piano culturale dovrebbe essere collocato a valle: se l’inclusione rappresenta una disponibilità incondizionata in presenza della quale è possibi-le pensare che ogni persona ha diritto alla propria diversità e che è responsabi-lità della scuola sia predisporre interventi individualizzati per tutti i BES sia eli-minare le barriere fisiche e culturali alla piena partecipazione alla vita della scuo-la, allora l’inclusione è la condizione necessaria perché l’integrazione dei disa-bili sia effettiva”30.
La scheda di seguito riportata ripercorre, attraverso la presentazione dei prin-cipali provvedimenti normativi in materia, le tappe che hanno portato all’af-fermazione del modello dell’inclusione scolastica nella realtà italiana, lungo l’av-vicendarsi delle fasi sopra citate. I contenuti dei provvedimenti relativi alle ul-time due fasi, quella dell’integrazione e quella dell’inclusione, saranno oggetto di specifico approfondimento nei paragrafi successivi.
Scheda 1– Tappe principali verso l’affermazione del modello inclusivo31
Fino al 1960 – FASE DELL’ESCLUSIONE
1. Riforma Gentile (R.D. 3126/1923)– Formalizzazione delle scuole per cie-chi e sordomuti purché in “assenza di altre patologie che ne impediscono l’ot-temperanza”; istituzione di scuole speciali per minorati psichici.
2. C.M. 11 marzo 1953, n. 1771/12– “Le classi speciali per minorati e quelle di differenziazione didattica sono istituti scolastici nei quali viene impartito l’in-segnamento elementare ai fanciulli aventi determinate minorazioni fisiche o psi-chiche ed istituti nei quali vengono adottati speciali metodi didattici per l’inse-gnamento ai ragazzi anormali, es. scuole Montessori. Le classi differenziali, in-vece, non sono istituti scolastici a sé stanti, ma funzionano presso le comuni
30. S. Tabarelli, F. Pisanu, Elementi generali di approfondimento sui BES nel contesto italiano, p. 24. 31. Tabella rielaborata a partire da A. M. Favorini, I problemi di comportamento a scuola, pp. 29-30.
Modello fondato sulla necessità di
strut-turare i contesti educativi in modo tale che siano adeguati alla partecipazione di tutti, ciascuno con le proprie caratteristiche
Cambiamento generalizzato nel modo di
insegnare e di valutare, per rispondere alle diverse situazioni e in relazione alle effettive difficoltà
Educazione inclusiva COINVOLGIMENTO
PROCESSO
Modello sostanzialmente finalizzato a
consentire e facilitare, per alunni con biso-gni “diversi”, la maggior partecipazione possibile alla vita scolastica degli “altri”
Maggior avvicinamento possibile fra
per-corsi comuni e perper-corsi differenziati
Educazione speciale ASSIMILAZIONE
scuole elementari ed accolgono alunni nervosi, tardivi, instabili, i quali rivelano la inadattabilità alla disciplina comune e ai normali metodi e ritmi di insegna-mento e possono raggiungere un livello migliore solo se l’insegnainsegna-mento viene ad essi impartito con modi e forme particolari”.
Dal 1960 al 1970 – FASE DELLA MEDICALIZZAZIONE
1. Legge 31 dicembre 1962, n. 1859– Legge della scuola media unificata, i cui artt. 11 e 12 decretano la costituzione di classi differenziate nella scuola media, chiamate “classi di aggiornamento”.
2. Legge 18 marzo 1968, n. 444– Istituisce la formazione di sezioni speciali per bambini dai 3 ai 6 anni affetti da disturbi dell’intelligenza, del comporta-mento o da menomazioni fisiche e sensoriali.
Dal 1970 al 1977 – FASE DELL’INSERIMENTO
1. Legge 118/1971– All’art. 28 riconosce agli alunni in situazione di difficol-tà il diritto all’educazione e all’istruzione mediante l’inserimento, su iniziativa della famiglia, in classi normali della scuola pubblica escludendo, tuttavia, i sog-getti “affetti da gravi deficienze intellettuali o menomazioni fisiche di tale gra-vità da impedire e/o rendere difficoltoso l’apprendimento e l’inserimento nelle classi normali”. È superato quindi il modello delle scuole speciali, che tuttavia non sono abolite.
2. Documento Falcucci (C.M. 277/1975)– Prevedeva l’inserimento graduale di alcuni alunni che presentavano particolari problematicità, riportando al con-tempo “la complessità e la gravità dei problemi di natura strutturale e organiz-zativa” da affrontare.
Dal 1977 alla fine degli anni Novanta– FASE DELL’INTEGRAZIONE
1. Legge 517/1977– Riguarda le “norme sulla valutazione degli alunni e sul-l’abolizione degli alunni e sulsul-l’abolizione degli esami di riparazione nonché al-tre norme di modifica dell’ordinamento scolastico”; questa legge, richiamando esplicitamente l’art. 3 della Costituzione, sancisce l’obbligatorietà della presenza dei bambini in situazione di handicap nelle scuole comuni, abolisce le classi di aggiornamento e le classi differenziali e introduce la figura dell’insegnante di so-stegno.
2. C.M. 28 luglio 1979, n. 199– Ribadisce il diritto ad avere l’insegnante di so-stegno, mediatore didattico pedagogico, all’interno della sezione e della classe. 3. Sentenza 215/1987 della Corte Costituzionale– assicura la frequenza agli allievi handicappati nelle scuole medie superiori.
4. Legge quadro 104/1992– Raccoglie ed integra tali interventi legislativi di-venendo il punto di riferimento normativo dell’integrazione scolastica e sociale delle persone con disabilità. Sancisce “l’integrazione scolastica della persona han-dicappata nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado e nelle università”.
5. Atto di indirizzo D.P.R. 24 febbraio 1994– Specifica le funzioni della dia-gnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del Piano educativo indivi-dualizzato.
Da fine anni Novanta ad oggi – FASE DELL’INCLUSIONE
1. D.M. 22 marzo 1999, n. 71– “Orientamenti generali per una nuova politi-ca dell’integrazione”: atti normativi volti a tutelare il numero degli alunni nelle classi in presenza di alunni in situazione di disabilità (è fissato un tetto massimo di 20 alunni per classe nelle scuole materne, elementari e medie; massimo di 25 alunni nelle scuole secondarie di secondo grado, “qualora lo richiedano il tipo di handicap, adeguatamente documentato, e gli obiettivi formativi del piano educativo individualizzato”).
2. Legge 59/1997 e D.P.R. 275/1999– Regolamento dell’autonomia scolasti-ca, il cui art. 4 sancisce che le istituzioni scolastiche “riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziati-ve utili al raggiungimento del successo formativo […]. A tal fine, possono adot-tare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune e tra l’altro […] l’atti-vazione di percorsi didattici individualizzati, nel rispetto del principio generale dell’integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni in situazione di handicap secondo quanto previsto dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104”.
3. Legge n. 53/2003– Delega al Governo per la definizione delle norme gene-rali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzio-ne e formazioistruzio-ne professionale: legge di riforma della scuola, sancisce i principi di personalizzazione e individualizzazione dell’apprendimento a favore di tutti gli studenti.
4. D.P.C.M. 185/2006 – Regolamento recante modalità e criteri per l’indivi-duazione dell’alunno come soggetto in situazione di handicap.
Atto d’intesa 20 marzo 2008 – Conferenza unificata tra governo, Regioni, Pro-vince autonome, Comuni e comunità montane, in merito alle modalità e ai cri-teri per l’accoglienza scolastica per la presa in carico dell’alunno con disabilità. 5. Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, settembre 2007 – Ribadiscono che “la definizione e la realizza-zione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della sin-golarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspi-razioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione”. 6. Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 18/2009– Impegna tutti gli Stati firmatari a prevedere forme di integrazione scolastica nelle classi comuni (specificità ita-liana) e afferma il “modello sociale della disabilità” – secondo cui la disabilità è il risultato dell’interazione fra il deficit di funzionamento della persona e il con-testo sociale – richiamando esplicitamente la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (International Classification of
Functioning, Disability and Health – ICF) approvata nel 2001 dall’Assemblea Mondiale della Sanità dell’OMS.
7. Agosto 2009– Linee guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disa-bilità, varate dal ministro Gelmini. Forniscono agli operatori scolastici una vi-sione organica della materia e presentano indicazioni operative per favorire la piena integrazione degli studenti disabili.
8. Legge 170/2010– Nuove norme in materia di disturbi specifici di appren-dimento in ambito scolastico.
9. Luglio 2011– Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli stu-denti con disturbi specifici di apprendimento.
10. D.M. 27 dicembre 2012– Strumenti di intervento per gli alunni con biso-gni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, va-rati dal ministro Profumo.
11. C.M. 6 marzo 2013, n. 8– Indicazioni operative D.M. 27 dicembre 2012 12. Nota Ministeriale n. 1551, 27 giugno 2013– Piano Annuale per l’Inclusi-vità (Direttiva 27 dicembre 2012 e C.M. n. 8/2013)
13. Nota Ministeriale n. 2563 22 novembre 2013– Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali. A.S. 2013/2014. Chiarimenti. 14. Febbraio 2014– Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri.
3. Il concetto di Bisogno Educativo Speciale e la logica dell’ICF
“Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”(Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, Firenze 1967) Come si è detto, con la progressiva affermazione della logica dell’inclusione nel contesto scolastico, il concetto di diversità ha perso la sua carica semantica-mente negativa, si è aperto a nuove attribuzioni di senso e di significato che, a loro volta, hanno generato nuovi sistemi valoriali. Ciò ha determinato, per dir-la con D. Milito, una “profonda trasformazione antropologica” mediante l’af-fermazione di “un nuovo paradigma che produce, attraverso un processo anco-ra in atto, cambiamenti profondi nelle anco-rappresentazioni sociali e cultuanco-rali del-la diversità umana”32: la riflessione educativo-pedagogica è infatti oggi più che
mai attenta alle speciali differenze insite in ogni persona, che talvolta giungo-no a configurarsi come bisogni educativi speciali. Come si è visto, se la pro-spettiva dell’integrazione tende a sottolineare uno stato, una condizione, quel-la dell’inclusione evoca invece un processo, ossia quel-la capacità di fornire una cor-nice di senso entro cui gli alunni, a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale, possono essere ugualmente valorizzati, in un conte-sto di uguaglianza di opportunità33.
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 19
32. D. Milito, Inclusione, integrazione e bisogni educativi, p. 24. 33. Ibi, p. 23.
Nella letteratura internazionale, il concetto di inclusione si applica a tutti gli alunni come garanzia diffusa e stabile di poter partecipare alla vita scolastica e di raggiungere il massimo possibile in termini di apprendimento e di parteci-pazione; nel nostro Paese, in particolare, esso è usato per ampliare il riferimen-to, in termini di riconoscimento dei bisogni e di individualizzazione, anche a soggetti in difficoltà che non presentino disabilità. Il traguardo a cui tendere consiste infatti nel riconoscere e nel rispondere efficacemente ai diritti di indi-vidualizzazione di tutti gli alunni caratterizzati da una qualche difficoltà di fun-zionamento, indipendentemente dalla natura e dalla causa degli ostacoli in-contrati. Una scuola che sa rispondere adeguatamente a tutte le difficoltà degli alunni e sa prevenirle, ove possibile, diventa poi una scuola realmente inclusi-va, dove si eliminano le barriere all’apprendimento e alla partecipazione di ognuno34.
Se la scuola vuole diventare davvero inclusiva ha bisogno di «normalità di-venuta speciale», di condizioni ordinarie di funzionamento che siano davvero rispondenti alla complessità dei bisogni educativi di tutti gli studenti. Questa è la sfida della «speciale normalità»35: introdurre nelle logiche di
funzionamen-to didattico e organizzativo dell’intera comunità educante specifici accorgi-menti tecnici, pedagogici, didattici e psicologici che rendano la quotidiana e “normale” realtà scolastica adatta a rispondere efficacemente ai Bisogni Educa-tivi Speciali (BES) degli alunni.
L’evoluzione dalla logica dell’integrazione a quella dell’inclusione si gioca quindi, innanzitutto, rispetto ai soggetti destinatari dei processi di individua-lizzazione/personalizzazione dell’offerta formativa: nel primo caso ci si riferisce agli alunni con disabilità, nel secondo a tutti gli alunni con bisogni educativi speciali. In particolare, il concetto di BES si estende al di là delle categorie del-la disabilità e dei disturbi clinicamente certificati, per riferirsi a tutti gli alunni che vanno male a scuola (failing) per una varietà di altre ragioni che ne impe-discono il progresso ottimale: in questo senso, esso non può in nessun modo essere ricondotto ad una diagnosi clinica, ma corrisponde ad una dimensione pedagogico-politica la cui utilità e pertinenza si giocano nei contesti delle po-litiche di riconoscimento dei diritti e di allocazione delle risorse.
Assumendo tale prospettiva, la recente normativa sul tema dei BES – il rife-rimento va innanzitutto alla Direttiva Ministeriale emanata dal MIUR il 27/12/12, intitolata Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi spe-ciali e organizzazione territoriale per l’inclusionse scolastica, e ai provvedimenti
34. D. Ianes, Bisogni Educativi Speciali su base ICF: un passo verso la scuola inclusiva, Aprile 2013 in http://www.laboratoriodidattico.it/wp/wp-content/uploads/2013/05/BES_Ianes.pdf (consultato il 14/12/14).
35. Cfr. D. Ianes, La Speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusione per le disabilità e i Bi-sogni Educativi Speciali, Erickson, Trento 2013.
ad essa collegati36– compie un vero e proprio “salto epistemologico all’interno
dell’area che la legge definisce dello ‘svantaggio scolastico’, grazie al progressivo svincolamento delle difficoltà nei processi di apprendimento da una visione esclusivamente deficitaria, poiché collegata ad aree mal funzionanti del cervel-lo, mediante una loro inclusione nel discorso che invece si basa sulla soggetti-vità personale”37.
Ogni insegnante sa bene, per esperienza diretta, che gli allievi che vivono le più variegate situazioni di difficoltà sono ben più di quel 2-3% di alunni con una disabilità certificata: stime recenti riconoscono nella maggior parte delle classi la presenza di almeno un 10-15% di soggetti con qualche altro tipo di problema/difficoltà/disturbo38. Nella normativa citata, l’espressione BES
indi-ca quindi tutte le situazioni in cui gli studenti incontrano importanti difficol-tà nel percorso scolastico, riconducendole a due gruppi principali39:
1. Le condizioni già oggetto di interventi regolati da specifica normativa: 1.1. Alunni disabili, ai sensi della L.104/1992
1.2. Alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia), ai sensi della L. 170/2010
2. Tutte le altre situazioni citate dalla D.M. 27/12/12 o previste dalla L. 53/2003, individuate nello schema riportato alle pagine successive (Fig. 4).
Gli alunni con BES non rappresentano pertanto una terza categoria di alun-ni problematici (accanto agli alunalun-ni con disabilità e a quelli con DSA), come molto spesso si cade nell’errore di pensare: tutti gli alunni con difficoltà nel-l’ambito scolastico presentano un Bisogno Educativo Speciale, e appartengono a una macrocategoria che comprende gli studenti con disabilità, con DSA e con altre forme di difficoltà di vario genere, fino a quelle ambientali e socioecono-miche. Come osservato da D. Ianes, “questa macro-categoria, che tra l’altro era già stata introdotta nella legislazione scolastica trentina nel 2006 – si veda la Legge 5/2006 “Sistema educativo di istruzione formazione del Trentino” – fa fa-re un passo avanti verso una maggiofa-re equità nella lettura dei bisogni educati-vi; dopo la legge 104 del 1992, infatti, soltanto nel 2010 la Legge 170 ricono-sce i diritti alla personalizzazione del percorso formativo agli alunni con DSA, lasciando però esclusi ampi strati di popolazione scolastica con problemi ma senza diagnosi cliniche di qualche genere. Con le più recenti disposizioni sui
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 21
36 Si vedano in particolare la C.M. n. 8 del 06/03/2013, e le due Note del MIUR n. 1551 27/06/2013 e n. 2563 del 22/11/2013.
37. D. Pegoraro, Bisogni Educativi Speciali. Per una scuola a misura di allievo, SEI, Torino 2014, p. 47. 38. D. Ianes, V. Macchia, S. Cramerotti, L’individuazione dell’alunno con bisogni educativi speciali su base ICF: indicazioni e strumenti, in D. Ianes, S. Cramerotti (a cura di), Alunni con BES. Bisogni educati-vi speciali, p. 33.
39. MIUR, D.M. 27/12/12, Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organiz-zazione territoriale per l’inclusione scolastica, p. 2.
40. D. Ianes, V. Macchia, S. Cramerotti, L’individuazione dell’alunno con bisogni educativi speciali su base ICF: indicazioni e strumenti, p. 21.
BES si amplia la gamma di alunni che hanno diritto a qualche forma di perso-nalizzazione, comprendendo anche situazioni che non sono in qualche modo diagnosticate o certificate. La lettura del bisogno diventa quindi meno clinica-mente orientata e più equa, portando la scuola a riconoscere e legittimare tut-ti i BES, al di là delle differentut-ti eziologie”41.
Ma che cosa si intende, esattamente, per BES? Per chiarire ulteriormente la questione, particolarmente delicata e attuale, è opportuno soffermarsi sulla de-finizione del concetto, ormai accreditato nella letteratura scientifica, di Bisogno Educativo Speciale (BES).
Esso indica:
Qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo ed apprenditivo, espressa co-me funzionaco-mento […] problematico anche per il soggetto, in termini di dan-no, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizza.42
L’espressione Bisogni Educativi Speciali designa quindi una svariata gamma di difficoltà43:
a) che emergono nei contesti dedicati all’educazione e all’apprendimento; b) che insorgono in età evolutiva e sono destinate ad evolvere e a modificar-si inmodificar-sieme al soggetto, modificar-sia lungo l’asse diacronico (grazie alla crescita e alla ma-turazione dell’individuo) sia lungo quello sincronico (in virtù – oppure a cau-sa – dell’evolversi del contesto in cui esso è inserito). Possono quindi essere tem-poranee e transitorie;
c) che hanno una ricaduta negativa sul funzionamento del soggetto nei di-versi ambiti della sua vita personale e sociale (apprendimento, autostima, auto-nomia…);
d) che sono fonte di problema e di disagio per il soggetto stesso, il quale le vive come un ostacolo, se non addirittura come un danno o una fonte di ver-gogna (stigma sociale);
e) la cui significatività non dipende tanto dalla causa oggettiva (eziologia medica o psicologica) interna al soggetto, quanto dall’incapacità del contesto (e in esso dell’insegnante), di fornire risposte adeguate ai bisogni speciali del soggetto.
41. Ibidem.
42. Ibi, p. 36. Tale definizione è stata formulata per la prima volta dall’autore in D. Ianes, Bisogni edu-cativi speciali e inclusione. Valutare le reali necessità e attivare tutte le risorse, Ed. Erickson, Trento 2005.
43. A. Cattaneo, Sciogliere i nodi. La sfida dell’inclusione, in M. Zioni, E. Morosini, A. Cattaneo, Il laboratorio del lettore competente. Guida per l’insegnante, Principato, Milano 2015, pp. 27-28.
1. Il senso dell’inclusione nel contesto scolastico 23
44. Schema ripreso e rielaborato a partire da D. Pegoraro, Bisogni Educativi Speciali. Per una scuola a misura di allievo, p. 54.
Figura 3– Le diverse categorie di Bisogni educativi speciali nella scuola italiana44
DISABILITÀ
Necessità di una certificazione
specialistica
Assenza di certificazione spe-cialistica, individuazione affidata all’osservazione dei docenti e all’eventuale segnalazione
della famiglia, eventualmente sostenuta da
documenti di varia natura ritardo mentale disturbi generalizzati di sviluppo patologie della motricità e sensoriali patologie neurologiche o riferibili ad altri disturbi organici DSA (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia) disturbi del linguaggio disturbi della coordinazione motoria
disturbi del comporta-mento (fra cui i di-sturbi dell’attenzione e dell’iperattività) funzionamento cognitivo limite svantaggio e deprivazione sociale svantaggio familiare (famiglia difficile) svantaggio psicologico (difficoltà psicologiche) svantaggio linguistico e culturale (differente bagaglio linguistico e culturale) DISTURBI EVOLUTIVI SPECIFICI AREA DELLO SVANTAGGIO SOCIO-ECONOMICO, LINGUI-STICO E CULTURALE