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Le donne e la permanente lotta per l’eguaglianza quale paradigma culturale della libertà, della giustizia e della democrazia. Recensione al volume di M. D’Amico, Una parità ambigua. Costituzione e diritti delle donne, Raffello Cortina editore, Milano, 202

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indiscipline

Morlacchi Editore

U.P.

vol.1, 1.2021

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indiscipline

rivista di scienze sociali vol. 1, 1.2021 (semestrale) Morlacchi Editore U.P.

ISSN (print) 2784-8272 – ISBN/EAN (print) 978-88-9392-267-8 DOI 10.53145/indiscipline.v1i1

Direttore editoriale Ambrogio Santambrogio Coordinamento editoriale

Paola Borgna (sociologa, Università di Torino)

Stefano Cristante (sociologo, Università del Salento) Ambrogio Santambrogio (sociologo, Università di Perugia) Collaborano

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Direttore responsabile Giovanni Landi

I contenuti di questo numero sono rilasciati nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale (CC BY-NC 4.0).

Il numero è disponibile in Open Access e acquistabile nella versione cartacea sul sito internet www.morlacchilibri.com/universitypress/ e nei principali canali di distribuzione libraria.

Testata regolarmente registrata presso il Tribunale di Perugia al n. 674/2021 R.G.V.G. (n. 4/2021 Registro Stampa del 05/02/2021).

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ISSN: 2784-8272 (print) | DOI: 10.53145/indiscipline.v1i1.7 www.morlacchilibri.com/universitypress/indiscipline

Francesco Bilancia

Le donne e la permanente lotta

per l’eguaglianza quale paradigma

culturale della libertà, della giustizia

e della democrazia

Marilisa D’Amico

Una parità ambigua. Costituzione e diritti delle donne

Raffaello Cortina Editore, Milano 2020 Parole chiave

Uguaglianza, discriminazione, donne, Costituzione

Francesco Bilancia insegna Diritto pubblico e Libertà economiche e Regolazione dei mercati presso l’Università degli Studi di Chieti-Pescara (francesco.bilancia@unich.it).

Le questioni affrontate in queste brevi riflessioni indotte dalla stimo-lante analisi e dagli importanti elementi, giuridici e di fatto, esposti nel lavoro monografico da cui si trae spunto sono davvero essenziali, starei per dire consustanziali, alla storia dell’umanità. Sono in effet-ti geneeffet-tici delle sue forme aggregaeffet-tive e iseffet-tituzionali; così come della cultura, sociale, politica e giuridica che la caratterizza, ed ancora degli stessi formanti materiali di ciò che siamo soliti chiamare “civiltà”. La storia dell’umanità è, come noto, caratterizzata da un infinito elenco di

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episodi di crudeltà, barbarie, violenze, discriminazioni, lotte fratricide, guerre di conquista, asservimenti, schiavitù, genocidi (di recente sul tema, molto efficacemente, Bregman 2020). E in ognuna di queste ca-dute l’elemento discriminatorio e l’esaltazione della differenza dell’altro hanno costituito la matrice culturale, simbolica, strumentale, politica e quindi polemica del mancato riconoscimento del proprio simile come essere umano e della conseguente violenza fratricida (cfr. Bilancia, Di Sciullo, Rimoli 2008). Non si eviterà, perciò, in questa sede di richia-mare le tracce della diseguaglianza e della discriminazione (rinvio al bel saggio di Nardocci 2016) quali cause costanti di quella tolleranza ed assuefazione che troppo spesso, diffuse nel comune sentire, fungono da sponda alla violenza per ricordare momenti, episodi, fatti, ideologie, regimi politici e sistemi giuridici, così come atteggiamenti culturali e tragedie umane fondate proprio sul mancato riconoscimento del valore dell’eguaglianza. E, con esso, del conseguente venir meno del rispetto, nell’altro, di un essere umano, con la scusa di pretese differenze etniche, religiose, di orientamento personale e sessuale, o ancora di lingua, na-zionalità, o colore della pelle, soltanto per citare le ipotesi più frequenti nella storia e, purtroppo, nell’attualità.

Ebbene, di tutte queste orribili vicende fondate sulla discriminazio-ne come rottura dei valori dell’eguaglianza (esemplare la ricostruziodiscriminazio-ne nel saggio di Ferrara 1994) la matrice originaria risiede proprio nella questione femminile. Come il saggio ben mette in luce, grazie anche alla ricostruzione critica delle analitiche riflessioni storiche condotte da Eva Cantarella, già nel pensiero classico, nella nascente culla della civiltà occidentale, dall’Atene del V secolo alla cultura romana, la con-dizione della donna nella società soffriva di una pregiudiziale idea di inferiorità, di sottomissione e di dipendenza dall’uomo, che la politica ed il diritto concorsero a stabilizzare. Poche eccezioni, nella cultura classica, contraddittorie e comunque foriere di tragico epilogo, come per la figura di Antigone (cfr. Ronchetti 2018, 15 ss.) in un percorso per il resto lineare di diseguaglianza che non è soltanto storico, ma addirittura storiografico, come ben osserva Marilisa D’Amico. Non sembri una banalizzazione del problema, ma l’approccio culturale alla

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questione dell’eguaglianza di genere impone proprio una rilettura pro-fonda della stessa narrazione storiografica, come prova la rappresenta-zione critica degli studi già in età scolare in una prospettiva più con-sona alla reale genesi dei rapporti sociali. Mi riferisco alla esemplare rilettura degli elementi noti della preistoria, sapendo che è “possibile raccontare la Preistoria senza parlare solo di ‘uomini preistorici’”, in un recente libro illustrato, particolarmente riuscito (Serafini, Di Paolo 2018) in attuazione di un progetto ideato dalla Società Italiana delle Storiche (SIS) per la collana Storie nella Storia.

Il volume qui recensito si compone di 12 capitoli lungo i quali, dopo l’introduzione dedicata appunto al pensiero discriminatorio nel mondo classico, si dipana una articolata ricostruzione della questio-ne della parità di gequestio-nere attraverso gli importanti e per molti versi simbolici passaggi storici della lotta per il suffragio femminile; della presenza e dell’importante ruolo delle donne elette nell’Assemblea costituente italiana; delle battaglie politiche e giuridiche contro le diseguaglianze radicate fin nel profondo della legislazione italiana, in relazione sia ai diritti ad una efficace partecipazione politica delle donne a cominciare da una loro effettiva presenza nelle sedi della rappresentanza politica e in generale nelle istituzioni; sia in riferi-mento al complesso sistema degli istituti di disciplina del diritto del lavoro pubblico e privato. Il saggio dedica infatti un’ampia analisi alla lunga evoluzione che il sistema normativo italiano ha dovuto subire fin dai primi del Novecento per assicurare adeguate garanzie di pa-rità di condizioni e di tutele nei confronti delle donne e dei minori nell’ambito del sistema produttivo, anche a salvaguardia dei diritti e dei ruoli in seno alla famiglia. In relazione al punto precedente, il saggio sviluppa, inoltre, un’approfondita analisi delle vicende della rappresentanza di genere nella composizione dei sistemi elettorali, tra interventi legislativi, pronunce della Corte costituzionale e modi-fiche testuali della Costituzione, con attenzione rivolta a tutti i livelli della rappresentanza politica.

Il libro prosegue, quindi, con tre capitoli dedicati alla libertà perso-nale e alla disciplina dei diritti connessi alla salute, alla protezione del

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corpo e alla libertà di autodeterminazione, ricostruendo le storiche vi-cende politiche, legislative e giurisprudenziali in tema di aborto, libertà procreativa e surrogazione di maternità nell’impianto della legge n. 40 del 2004 (si veda, da ultimo, l’approfondita analisi critica di Angelini 2020); e, ancora, riguardo all’orribile questione della c.d. violenza di genere, giustamente qualificata dall’autrice come “emergenza sociale”, ma profondamente radicata nell’incultura di prevaricazione e sopru-so di cui si rende tuttora protagonista il mondo maschile. Esemplare sul punto quanto emerge dal capitolo ottavo dedicato, per l’appunto, alla “comunicazione sessista”. Prima di un epilogo, come dire?, in corso d’opera riferito agli importanti riflessi negativi subiti dal mondo fem-minile a causa dell’emergenza pandemica da Covid-19, i capitoli 11, 12 e 13 sono infine dedicati al tema della diseguaglianza di genere da specifiche prospettive culturali. Dagli sviluppi dell’intelligenza artifi-ciale, i cui algoritmi sorgente sono spesso composti su basi qualificato-rie oqualificato-rientate da pregiudizi di genere e dalla discriminazione intrinseca (esemplare sul punto l’analisi di O’Neil 2016), con conseguenti riflessi sul mondo del lavoro nel sistema delle piattaforme digitali; al delicato tema delle c.d. discriminazioni “multiple”, con una analisi mossa dalla sensibile prospettiva di considerare le aggravanti dei processi di discri-minazione femminile legate ad ulteriori fattori di debolezza intrinseca o da proiezione sociale, con riferimenti specifici ai temi della disabilità, del carcere e dell’essere migrante e/o straniera.

Tra questi ultimi capitoli, si ripete non meno complessi ed interes-santi nel piano generale dell’opera di quelli presenti nella precedente parte del volume, spicca la questione di quello che l’autrice definisce il “multiculturalismo pericoloso” (cap. 10), tema che reca considera-zioni di particolare momento, nella complessità delle società contem-poranee aperte a differenti e incrementali tensioni connesse alla com-presenza di tradizioni culturali e religiose molto distanti le une dalle altre. Analizzando le drammatiche questioni delle mutilazioni genita-li, dell’uso in pubblico del velo islamico, dell’articolazione patriarcale delle famiglie nucleari ed allargate nei regimi propri di culture antro-pologicamente e giuridicamente molto distanti da quella occidentale,

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fino ai diritti delle donne di fronte ai nuovi fondamentalismi (utile sul punto il riferimento all’approccio analitico di cui al saggio di Ruggiu 2012) compreso l’inimmaginabile ritorno della schiavitù, comunque e sempre foriero di più gravi conseguenze quando a soffrirne siano i soggetti più vulnerabili, quali i minori e le donne. Una congerie di questioni, dunque, molto articolate, complesse e pressanti, che tutte insieme insistono sugli assetti ordinamentali vigenti, stimolando con-tinui interventi giurisprudenziali, e continuando a richiedere soluzioni legislative più attente e meditate. Tutti elementi che rendono le pro-blematiche questioni qui soltanto richiamate tuttora drammaticamen-te presenti nella condrammaticamen-temporaneità sociale, costandrammaticamen-te monito e denuncia di una parità ancora lontana e di una inattuazione costituzionale rive-latrice di una cultura dominante tuttora fortemente intrisa di senti-mento discriminatorio.

Sul piano dell’analisi dei contenuti, buona parte del lavoro è dedi-cata, come è ovvio, al tema della eguaglianza di genere nella storia co-stituzionale italiana, a partire dalle aspettative già presenti nello Stato unitario per il primo fondamentale riconoscimento formale, sul piano giuridico e politico, dell’eguaglianza: il diritto di voto e di elettorato passivo. Sul punto è molto interessante lo studio del pensiero, delle battaglie politiche e del ruolo istituzionale avuto nei due decenni a cavallo tra Otto e Novecento da Anna Kuliscioff, in un capitolo de-dicato al più ampio ambito di riflessione della presenza femminile nel mondo politico, in un’epoca in cui comunque la lotta per il suffragio ha senz’altro rappresentato il tema dominante. Pesa forse, nella critica “di genere” alla cultura marxista, l’assenza di un riferimento al pensiero e al ruolo politico di Rosa Luxemburg, ma in effetti le pagine dedicate al frangente storico sullo sfondo scorrono qui più velocemente rispetto ai temi ed agli argomenti su cui si concentra più in generale l’attenzione dell’Autrice. A partire dal fondamentale contributo delle donne alla nascita della Costituzione repubblicana (fin dalla lotta di Resistenza, come osserva Pezzini 2018), come è ancora oggi quotidianamente testimoniato dall’esemplare levatura morale della Senatrice Liliana Segre, ancora destinataria di beceri indirizzi, spesso vigliaccamente

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anonimi, di violenza verbale, misoginia ed antisemitismo (p. 239); ed alla elaborazione dei contenuti della carta fondamentale (si vedano i riferimenti contenuti nel cap. 3 all’importante ruolo di ciascuna delle donne costituenti).

Tra i tanti temi ed argomenti presenti nella riflessione dell’Autrice, due in particolare meritano forse uno specifico ulteriore richiamo. La questione della rappresentanza di genere a partire dal riconoscimento del suffragio “veramente” universale, e la lunga storia dell’adeguamen-to dell’ordinamendell’adeguamen-to repubblicano italiano al principio di eguaglianza “senza distinzione di sesso” (art. 3 Cost.), in rottura dei mille rivoli del-la legisdel-lazione discriminatoria ancora vigente al momento dell’entrata in vigore della Costituzione.

Come accennato all’inizio di queste note, la diseguaglianza e l’as-senza di parità di genere assumono una connotazione genetica di tut-te le ultut-teriori forme di discriminazione legale, professatut-te nella società civile, messe in atto dal sistema politico e tollerate dalla giustizia uf-ficiale. In ciò la lunga storia delle battaglie per il diritto di voto alle donne si intreccia, in prospettiva comparata, con la drammatica lotta per il diritto di voto dei neri americani. Come è noto, l’Italia riconobbe il diritto di voto alle donne soltanto nel 1946, mentre gli Stati Uniti avevano raggiunto questo traguardo già nel 1920. Tra le donne bene-ficiarie di questo diritto però, ovviamente, non si contavano le persone che non fossero di “pura razza bianca”. Dal riconoscimento formale del diritto fin dal 1870 (la guerra di secessione era terminata nel 1865) almeno fino al 1968 la segregazione razziale, costantemente profes-sata nei fatti e tollerata dalle istituzioni nella vita sociale, politica ed istituzionale degli Stati Uniti – almeno in buona parte degli Stati del Sud e dell’interno – aveva reso inimmaginabile l’attuazione legislativa degli istituti necessari al suo concreto realizzo. Malgrado l’approvazio-ne del Civil Rights Act l’approvazio-nel 1957 e ancora prima del XV emendamento alla Costituzione americana con il riconoscimento del diritto di voto senza distinzione alcuna fin dal 1870, infatti, il Voting Rights Act che rese effettivo questo diritto in concreto, con tutti i corollari strumenti di affirmative action mediante executive orders presidenziali – più in

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generale funzionali al bisogno di provvedere alla c.d. “desegregazione razziale” – fu approvato su iniziativa del Presidente Lyndon Johnson soltanto nel 1965. Nel mezzo, la storia americana fu costantemente inquinata da segregazione razziale innata e culturalmente radicata nel profondo della società civile, con ingiustizie, violenze, linciaggi sempli-cemente tollerati quando non addirittura istigati dalle stesse autorità di polizia locale, fino all’inquinante presenza militante di fenomeni associativi criminali quali il notissimo Ku-Klux Klan, purtroppo attivo ancora oggi (rinvio, almeno per la parte dedicata alla storia americana, al bel saggio di Losurdo 2005).

E la lotta contro la discriminazione razziale, che ebbe tra i suoi più noti simboli Martin Luther King (si veda da ultimo il bel saggio di Naso 2021), fu caratterizzata dall’eroico protagonismo di moltissime donne – cito per tutte Rosa Louise Parks –, tanto da rendere difficile oggi la distinzione, in prospettiva storica, dei successi dei movimenti per i diritti civili tra i complementari ambiti della conquista della pa-rità di genere e della fine della segregazione razziale, almeno sul piano giuridico-formale.

Analogamente importante è la seconda questione, quella del troppo lento ed accidentato percorso di adeguamento dell’ordinamento italia-no alla Costituzione del 1948 (cfr. Sorrentiitalia-no 2011). Qui basti citare soltanto alcuni esempi, che sembrerebbero appartenere al trapassato remoto, ma che purtroppo si collocano temporalmente in un’epoca cro-nologicamente molto vicina ai tempi presenti. Così è noto che la Corte costituzionale ancora nel 1961 (sent. n. 64) tollerava la legalità della discriminazione legale tra i coniugi nella disciplina sanzionatoria pe-nale del “reato” di adulterio, punito soltanto se commesso dalla donna. La Corte confermò “la maggiore gravità della offesa (…) in conformità della comune opinione, riscontrata nella infedeltà della moglie (…) che la moglie conceda i suoi amplessi ad un estraneo (…)”, essendo “offesa più grave che non quella derivante dalla isolata infedeltà del marito”; ciò per via della “maggiore entità della illecita condotta della moglie, rappresentandosi la più grave influenza che tale condotta può esercitare sulle più delicate strutture e sui più vitali interessi di una famiglia” in

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vista del “turbamento psichico, con tutte le sue conseguenze sulla edu-cazione e sulla disciplina morale che, in ispecie nelle famiglie (e sono la maggior parte) tuttora governate da sani princìpi morali, il pensiero della madre fra le braccia di un estraneo determina nei giovani figli”; senza tacere del “pericolo della introduzione nella famiglia di prole non appartenente al marito, e che a lui viene, tuttavia, attribuita per presun-zione di legge”. L’impressionante tenore delle formule e degli argomenti utilizzati dalla Corte costituzionale giustifica in questa sede la lunghez-za della citazione. Questa posizione culturale verrà superata dalla stessa Corte soltanto nel 1968 (con la sent. n. 126), riconoscendo che in effetti “La legge, non attribuendo rilevanza all’adulterio del marito e punendo invece quello della moglie, pone in stato di inferiorità quest’ultima, la quale viene lesa nella sua dignità, è costretta a sopportare l’infedeltà e l’ingiuria, e non ha alcuna tutela in sede penale”.

Ma gli episodi di discriminazione tollerati dall’ordinamento giuridico italiano ancora diversi anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione sono innumerevoli. Al caso del divieto per le donne di accedere alla magistratura (fino a Corte Cost., sent. n. 33 del 1960, si veda p. 72) vanno aggiunte la previsione del diritto ad una riduzione della pena nel caso di cui all’art. 587 del codice penale per “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira de-terminato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia (…)” (noto come c.d. “delitto d’onore”, nel senso di delitto in parte giustificato da ragioni di tutela dell’onore proprio o della propria famiglia). E ancora l’istituto del c.d. “matrimonio riparatore”, che prevedeva l’e-stinzione del reato di violenza carnale nel caso in cui lo stupratore accondiscendesse a sposare la vittima dell’aggressione sessuale, “sal-vando l’onore della famiglia”. E proprio in questi giorni l’Italia cele-bra l’eroica reazione di una donna che, ancora minorenne, fu la prima a rifiutare il matrimonio riparatore con il suo stupratore, affrontando coraggiosamente tutte le conseguenze di paradossale riprovazione sociale per aver compiuto una scelta di libertà, una scelta di dignità. Era il 1965.

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L’una e l’altra fattispecie furono abrogate dalla legge soltanto nel 1981; e soltanto nel 1996 il legislatore italiano riconobbe lo stupro come un reato contro la persona e non più contro la morale. Vicende queste che è sempre utile ricordare, proprio al fine di non abbassare mai la soglia dell’attenzione di fronte ai molti elementi discriminatori che, seppur non legalmente, l’ordinamento e prima ancora la società civile continuano a tollerare almeno di fatto, dando fondamento alle richieste di azioni positive proprio allo scopo di superare situazioni che la cultura giuridica e politica contemporanee, ma prima ancora la morale comune e la coscienza collettiva, già dovrebbero assumere esse stesse come intollerabili. Di qui la rilevanza dei molti moniti contenuti nel saggio di Marilisa D’Amico affinché il legislatore assuma iniziative politiche ed azioni positive, in un’ottica di affermazione di una diversa cultura giuridica, più attiva e presente sulle questioni di genere. I più recenti contributi della c.d. letteratura di genere, infatti, hanno ormai da tempo portato, sul piano della riflessione scientifica in tema di de-mocrazia, la prospettiva di analisi un tempo attenta alla sola dimensio-ne familiare, domestica, dell’ottica di gedimensio-nere e dell’etica della cura sul piano più generale delle relazioni sociali e nella dimensione politica. Ai lavori opportunamente già richiamati in questo libro vorrei aggiun-gere, almeno, Nedelsky 2011, Paternò 2006, 2017 e Tronto 2013, per ispirare quanti abbiano realmente a cuore l’idea che eguaglianza e de-mocrazia sono valori che stanno o cadono insieme alla parità di genere ed al riconoscimento dei diritti delle donne che ne costituiscono im-portanti corollari.

Questo libro dedicato al tema Costituzione e diritti delle donne è un’opera che, per le ragioni che si spera di essere riusciti a mettere in evidenza, rappresenta un contributo importante, concorrendo a consolidare le riflessioni sulla parità di genere nell’essenziale contesto della lotta per l’eguaglianza e contro ogni forma di discriminazione. Un compito che la comunità politica, il legislatore e la giurisprudenza devono assumere quale obiettivo comune e per il cui perseguimen-to il contribuperseguimen-to della letteratura scientifica rappresenta una essenziale sponda, culturale e civile.

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