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Studio di impatto ambientale preliminare di una cassa di espansione sul fiume bruna

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Academic year: 2021

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INDICE………..1

INTRODUZIONE………..…….3

1 LA VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE E LO STUDIO IMPATTO AMBIENTALE: EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO 1

.

1DALLA DIRETTIVA 85/337/CEE ALLE LEGGI NAZIONALI………4

1.2 DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE AL DPR 12 APRILE 1996……….….….5

1.3 IL DECRETO LEGISLATIVO 152/2006………….……….………7

1.4 LE NORME TECNICHE: SIA………..……….8

1.5 LA NORMATIVA REGIONALE TOSCANA……….………...8

2 LE TECNICHE DI ANALISI DELLE DECISIONI NELLA VALUTAZIONE AMBIENTALE 2.1 L’ ANALISICOSTI– BENEFICI(ACB)………..……….12

2.2 L’ANALISI MULTI OBIETTIVO(AMO)……...……….………….14

2.2.1 Goal Programming (GP)………...15

2.2.2 Multiple Objective Programming (MOP)………….………...16

2.3 L’ ANALISIMULTIATTRIBUTI(AMA)O MULTICRITERI………...17

2.3.1 Definizione della matrice di valutazione……….19

2.3.2 Analisi di dominanza……….……20

2.3.3 Normalizzazione della matrice di valutazione……….………..20

2.3.4 Assegnazione dei pesi ai criteri……….….20

2.3.5 Ordinamento delle alternative………..….….22

2.3.6 Analisi di sensitività………....22

2.3.7 Check-list………....23

3 QUADRO PROGRAMMATICO 3.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO-STORICO DELL’INTERVENTO………..25

3.2 INQUADRAMENTO STORICO NORMATIVO: LA PIANIFICAZIONE ….……27

3.3 IL PIANO ASSETTO DEL TERRITORIO………..…..29

3.4 PIANO DI GESTIONE DEL RISCHIO DI ALLUVIONI……….….32

3.5 L’USO DEL SUOLO………...…34

3.6 VINCOLI………...………..37

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4 QUADRO PROGETTUALE

4.1 ITER DECISIONALE……….42

4.2 DESCRIZIONE INTERVENTI DI PROGETTO………...…44

4.2.1 Le casse di espansione - Criteri generali………..….48

5 QUADRO AMBIENTALE 5.1 IL PROGETTO E LA VALUTAZIONE AMBIENTALE………..49

5.2 ANALISI ALTERNATIVE……….……….50

5.2.1 Alternativa zero………..…50

5.2.2 Alternative con Intervento………..…52

a) Intervento con difese Passive………..52

b) Intervento con difese Attive………...….56

5.3 ANALISI, INDIVIDUAZIONE E STIMA DEGLI IMPATTI………..59

5.4 VERIFICHE……….65

5.5 MITIGAZIONI………...….…68

6 CONCLUSIONI…….………..………70

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INTRODUZIONE

Questo lavoro si prefigge come scopo quello di valutare preliminarmente gli impatti ambientali relativi alla costruenda infrastruttura in Loc. Castel di Pietra nel Comune di Gavorrano fornendo il relativo screening preliminare degli impatti, appunto, sia in fase di costruzione, manutenzione e funzionamento.

Trattasi, nello specifico dell’infrastruttura, di una cassa di espansione per la laminazione delle portate sul Fiume Bruna; e questa tipologia di infrastruttura, risultando in fase progettuale superiore al milione di mc., alla luce della normativa vigente, che verrà esaminata più avanti nel dettaglio, ovvero la L.R.10/2010 e s.m.i. di cui all’allegato B1, soggiace alla verifica di assoggettabilità preventiva alla Valutazione di Impatto Ambientale,ovvero screening, identificando come Autorità competente a rilasciare tale parere la Regione Toscana.

Questo lavoro si prefigge, però, di andare oltre al mero screening, cercando di essere un vero Studio di Impatto Ambientale, valutando quindi alternative e soluzioni, utilizzando uno schema sviluppato dalle linee guida indicate dalle Regione Toscana circa la stesura appunto di uno studio di impatto ambientale. Ciò ovviamente, per ragioni di opportunità e di obiettivi (si tratta comunque di un lavoro accademico), non considerando tutta la documentazione e gli elaborati pedissequamente stabiliti e necessari secondo la normativa vigente, già sopra accennata, ma comunque rispettandone i dettami imposti che come detto saranno visti in seguito sia sul piano progettuale, sia ambientale che programmatico.

Molte sono le metodologie di studio e raffronto utilizzate e codificate a seconda degli autori, sia Italiani che internazionali, e quindi non esiste un metodo standardizzato per la valutazione e lo studio di impatto ambientale; il lavoro in oggetto cerca quindi, come esperimento ed esercizio, restando assolutamente aderente alle linee guida Toscana, di trovare una metodologia “diversa” per la valutazione, testandone poi i risultati attraverso verifiche e riprove su software specifici confrontando così la attendibilità dei risultati e la bontà del metodo utilizzato.

Inutile aggiungere che questo studio, pur essendo stato portato avanti all’interno con quella che è la autorità individuata alla realizzazione , il consorzio di Bonifica 6 Toscana Sud (già consorzio bonifica grossetana), non può minimamente influire su quelle che sono le valutazioni già fatte, e conseguentemente delle decisione già prese in sede

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centrale, ovvero in Regione, dove, per dettato normativo, si trova il centro decisionale e della responsabilità della salvaguardia dell’ambiente e del territorio.

Come vedremo più avanti nella relazione, la Regione Toscana, si è già mossa con degli studi e dei piani al fine di programmare dei piani di intervento e salvaguardia circa i bacini idrografici, e quindi l’opera che si andrà a studiare, è già stata identificata all’interno di un più complesso intervento, che poi a cascata vede coinvolti gli altri enti che si devono occupare della progettazione definitiva ed esecutiva e quindi più nel dettaglio come realizzare l’infrastruttura.

Lo scopo quindi di questo studio, è quello , anche se come mero esercizio accademico, di valutare se le scelte di “dettaglio” siano effettivamente le “best choices” rispetto alle alternative che sia in termini ambientali, che ingegneristici, che economici si presentano davanti; semmai con la pretesa di individuare mitigazioni o soluzioni che possano esser condivise dal decisore politico.

1 LA VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE E LO STUDIO IMPATTO AMBIENTALE: EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO

Prima di entrare nella analisi, pare opportuno di dare un quadro dei riferimenti normativi della valutazione ambientale nazionale.

La VIA nasce alla fine degli anni sessanta, negli Stati Uniti d'America con il nome di

environmental impact assessment (E.I.A. - in alcuni casi al posto di Assessment si può

trovare Analysis o Statement). L'EIA introduce le prime forme di controllo sulle attività interagenti con l'ambiente, sia in modo diretto che indiretto, mediante strumenti e procedure finalizzate a prevedere e valutare le conseguenze di determinati interventi. Il tutto per evitare, ridurre e mitigare gli impatti.

Il passo avanti decisivo viene fatto nel 1969, con l'approvazione del National

Environmental Policy Act (N.E.P.A.). Questo Atto dispone l'introduzione della VIA, il

rafforzamento dell'Environmental Protection Agency con un ruolo amministrativo di controllo, e dispone l'istituzione del Council on Environmental Quality, con un ruolo consultivo per la presidenza

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Questo a cascata trascina altri governi a intervenire e infatti, ma solo nel 1985, la Comunità Europea emana la Direttiva 337/85/CEE "Concernente la valutazione

dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati".

1.1 Dalla direttiva 85/337/CEE alle leggi nazionali

Nel nostro continente alcune Nazioni e alcune Regioni Italiane si erano mosse indipendentemente ma, l'approvazione della direttiva comunitaria 85/337/CEE del 27 giugno 1985, ne rallentò l'attività, in attesa dell'emanazione della direttiva nazionale, la quale in Italia, rappresentò il punto di arrivo di un lungo ed aspro dibattito parlamentare durato più di cinque anni. Ciò fu dovuto a due cause principali:

 le forti pressioni, strutturalmente contrapposte, delle lobby ambientale e industriale;

 le disomogeneità delle norme interne degli stati membri che ritardarono l'emanazione di un pacchetto legislativo univoco e coerente.

Il primo pronunciamento legislativo italiano risale alla Legge 349/1986 , ossia la legge istitutiva del Ministero dell'Ambiente, il cui articolo 6 fu interpretato come stralcio per una serie di provvedimenti "ponte" relativi ad una serie di adempimenti VIA, in attesa che venisse varata la legge di accoglimento della direttiva CEE. Dal punto di vista delle soluzioni procedurali, si scelse una fase di avvio centralizzata presso il Ministero dell'Ambiente, che però aveva ben poco a che vedere con i principi ispiratori della direttiva. Questa infatti è essenzialmente una procedura che introduce nell'ordinamento comunitario il principio della partecipazione del pubblico, in forma strutturata, alle decisioni autorizzative relative a progetti pubblici e privati che possono avere un forte impatto sull'ambiente fisico e umano. Non si tratta tanto, cioè, di un modo per introdurre nella progettazione delle grandi opere l'attenzione alle questioni ambientali, ma di una procedura di verifica del fatto che queste cautele siano state introdotte e che sia stata prescelta la soluzione che minimizza l'impatto. Una procedura cioè finalizzata a:

 dimostrare a tutti i soggetti potenzialmente interessati i metodi di analisi degli impatti, la valutazione delle alternative e le soluzioni per minimizzare gli impatti stessi;

 consentire ai soggetti di intervenire nella procedura

I due DPCM successivi, il 377/1988 e del 27/12/88, hanno invece inteso la direttiva come una nuova procedura autorizzativa essenzialmente interna alla pubblica amministrazione e ne hanno fatto una sorta di pratica burocratica aggiuntiva alla già cospicua

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documentazione richiesta per l'iter autorizzativo di un progetto. Un altro aspetto dubbio dei DPCM suddetti è relativo alle innovazioni che introducono rispetto alle procedure e metodologie di VIA che si sono consolidate nei paesi che già le realizzavano e almeno in parte codificate nella direttiva CEE. Forse per evitare confusioni con la valutazione di impatto ambientale come dovrebbe configurarsi "a regime" si è regolamentata la dichiarazione di "compatibilità ambientale" in modo nettamente diverso dalla prassi consolidata. Infine, sono stati totalmente cancellati dal giudizio di compatibilità ambientale gli impatti socio-economici. La scelta è stata per lo più giustificata con la necessità d'impedire che l'assenza di una legislazione nazionale portasse a differenze di comportamento tra le varie regioni, dando però origine a numerosi inconvenienti, quali:

 rallentamento della diffusione dello strumento, in particolare frenando i contributi che le regioni avrebbero potuto dare alla definizione di una prassi operativa saldamente ancorata nella realtà territoriale e socioculturale del Paese;

 attribuire un'importanza secondaria alla partecipazione, riducendo la VIA a uno strumento essenzialmente tecnico per di più a carattere discrezionale;

 ridurre la VIA a una nuova autorizzazione da aggiungere alle numerose già esistenti, evitando di scegliere tra le due alternative realmente utili: farne un'autorizzazione riassuntiva oppure, come nell'originale statunitense, un percorso precisamente definito per giungere ad una valutazione conclusiva;

Ma la principale criticità del DPCM 377/1988 fu che la VIA veniva prevista solo per i progetti di cui all'allegato I della Direttiva CEE 337 e senza troppi pudori il decreto 377 non fa cenno alcuno ai progetti di cui all'allegato II.

In sintesi, la normativa nazionale, invece di diffondere l'impiego generalizzato della VIA, come cardine di una cultura moderna della gestione del territorio, ne fece uno strumento elitario e centralizzato, riservato a poche attività eccezionali.

1.2 Dalla procedura di infrazione al DPR 12 aprile 1996

Per i motivi suddetti, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, la UE avvia nei confronti dell'Italia e degli altri stati membri inadempienti, una procedura di infrazione per non aver individuato i progetti dell'allegato II ,come previsto dalla direttiva europea. La svolta per il nostro paese verso un nuovo periodo iniziò con l'emanazione del DPR 12 Aprile 1996 il cosiddetto Atto di indirizzo e coordinamento, che rimosse due ostacoli fondamentali all'affermarsi degli studi di impatto ambientale in Italia, definendo le condizioni, i criteri e le norme tecniche per l'applicazione dell'allegato II della direttiva

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del 1985 e promosse gli indirizzi fondamentali per l'attività delle regioni in genere e delle province autonome.

Di fatto, con tale DPR viene conferito alle regioni ed alle province autonome il compito di attuare la Direttiva Comunitaria del 85 per tutte quelle categorie di opere, elencate in due allegati, A e B, non comprese nella normativa statale, ma previste dalla direttiva comunitaria. Le opere dell'allegato A sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria (se queste sono localizzate in un parco, ai sensi della Legge 349/91, la soglia dimensionale è dimezzata); le opere dell'allegato B sono sottoposte a VIA regionale obbligatoria, con soglie dimezzate, solo nelle aree a parco, al di fuori dei parchi sono sottoposte ad una fase di verifica preliminare per stabilire se bisogna fare la VIA oppure no.

Il 27 dicembre 1999 entrò in vigore il DPCM in tema di VIA Regionale, il quale introduceva nuove opere modificandone altre, da sottoporre alla procedura valutativa locale. Il provvedimento modifica gli allegati A e B del DPR 12 aprile 1996 introducendo 12 nuove categorie di opere.

Ai principali riferimenti legislativi sopraesposti se ne aggiungono altri, sempre di livello nazionale, volti a regolare specifici aspetti della VIA che per opportunità si sorvolano.

1.3 Il Decreto legislativo 152/2006

Il 3 aprile 2006 dopo anni di attesa e tra polemiche di tipo sia politico che tecnico, è entrato in vigore il Decreto legislativo 152/2006 "Norme in materia ambientale" , ma i termini vengono subito prorogati i termini previsti dalle disposizioni legislative riguardante le procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e per l‘autorizzazione ambientale integrata (IPPC).

Il Testo del D. Lgs. 152/2006, per quel che riguardava la VIA, presentava alcune difformità con la Direttiva 85/337/CEE, riguardo ad alcune categorie progettuali indicate negli Allegati, presentando diverse categorie di opere e diversi limiti dimensionali. Varie associazioni di addetti ai lavori ed alcuni Enti Locali avevano sottolineato ulteriori dissonanze del testo di legge con altre Direttive comunitarie. Iniziano così gli avvicendamenti legislativi che portano al primo correttivo (D.Lgs 16 gennaio 2008, n.4) pubblicato il 29 gennaio 2008, che sostituiva la parte Parti Prima (disposizioni generali) e Seconda (VIA e VAS) del D. Lgs. 152/2006 e i suoi Allegati. Si susseguono una miriade di correttivi fino all’ultimo del 2010 ma che i questa sede si tralasciano per opportunità.

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1.4 Le norme tecniche: SIA

E’ tutt’oggi in vigore il D.P.C.M. 27 dicembre 1988 , che contiene le Norme Tecniche

per la redazione degli Studi di Impatto Ambientale (SIA) e la formulazione del giudizio

di compatibilità, che definiscono, per tutte le categorie di opere, i contenuti degli Studi di Impatto Ambientale e la loro articolazione, la documentazione relativa, l’attività istruttoria ed i criteri di formulazione del giudizio di compatibilità. Lo Studio di Impatto Ambientale dell’opera deve essere redatto conformemente alle prescrizioni relative ai Quadri di riferimento Programmatico, Progettuale ed Ambientale:

- il Quadro Programmatico: fornisce gli elementi conoscitivi sulle relazioni tra l’opera progettata e gli atti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale; - il Quadro Progettuale: descrive il progetto e le soluzioni adottate a seguito degli studi effettuati, nonché l’inquadramento nel territorio, inteso come sito e come area vasta interessati

- il Quadro Ambientale: sviluppato secondo criteri descrittivi, analitici e previsionali. Considera le componenti naturalistiche ed antropiche interessate (Atmosfera, Ambiente idrico, Suolo e sottosuolo, Vegetazione, flora e fauna, Ecosistemi, Rumore e Vibrazioni, Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, Salute pubblica, Paesaggio), le interazioni tra queste ed il sistema ambientale preso nella sua globalità

1.5 La Normativa Regionale Toscana

Alla luce di quanto detto in precedenza, ossia della continua evoluzione e mutazione della normativa nazionale circa il recepimento della direttiva europea sulla valutazione ambientale, le Regioni le quali per prime, ancor prima della norma nazionale, si erano mosse in quel senso, si sono dotate nel tempo di una normativa propria. In base ai mutamenti della normativa nazionale, e agli indirizzi regionali, alla regione Toscana si arriva alla L.R. 79/1998 cui seguono le delibere di Giunta1068/99 e 1069/99 che regolano negli allegati le norme tecniche e le linee guida della V.I.A Regionale. Va sottolineato comunque che, nonostante nel 2010 sia stata varata la nuova norma regionale, la già citata L.R. 10/2010, tali allegati sono ancora in essere e in vigore in attesa di nuovi regolamenti attuativi.

In particolare D.G.R. 1068 ovvero con la istituzione delle linee guida, porterà alla pubblicazione ed elaborazione dei “Quaderni di valutazione ambientale” da cui in questo

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lavoro si cercherà di partire, e di usare in seguito per lo studio ambientale in oggetto, cercando di capire anche se tale strumento, almeno nel caso di specie, sia ancora attuale e strumentalmente efficace per l’analisi.

Dai capitoli che seguono inizierà lo Studio di Impatto vero e proprio diviso nei quadri indicati dagli articoli 3,4,5 e seguenti del il D.P.C.M. 27 dicembre 1988 integrato dalla D.G.R. 1069/99, non prima però, di aver fatto alcune digressioni circa lo studio delle analisi delle decisioni, specificatamente in merito al loro uso nella valutazione ambientale.

2 LE TECNICHE DI ANALISI DELLE DECISIONI NELLA VALUTAZIONE AMBIENTALE

La legge italiana, oltre che quella di altri paesi, prescrive che ai progetti soggetti a studio di impatto ambientale venga fatta anche, all’interno dello studio preliminare, una valutazione attraverso Analisi Costi Benefici. Purtroppo tale legge, non dà prescrizioni anche su come fare tali analisi, togliendo quindi al provvedimento buona parte del suo significato ovvero quella di sottoporre i progetti ad una vera valutazione in grado di discernere tra diverse alternative progettuali e non di progetto che risponda meglio al criterio scelto dal legislatore, cioè la massimizzazione dell’utilità sociale.

Nella pratica, per piccoli progetti ma purtroppo anche per quelli grandi, la procedura comunemente seguita per la “valutazione” è la seguente:

Figura 2.1: Il metodo di valutazione a supporto di un progetto

Negli studi di impatto ambientale vengono infatti proposte un certo numero di alternative, ma di fatto la valutazione avviene solamente per una di esse, quella implicitamente già

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scelta attraverso altre considerazioni rispetto a quella prescritta dal legislatore. La valutazione viene di fatto compiuta più per giustificare la scelta, non per scegliere e perde quindi il suo significato. Valutare in questo modo significa verificare che il progetto sia fattibile, ma non che sia il progetto o l’alternativa migliore.

Una corretta procedura di valutazione avrebbe dovuto procedere in modi diverso. A partire dalle medesime alternative, e durante la fase di progettazione, si sarebbe dovuto creare un iterativo di progetto e valutazione. Vanno definite cioè un numero ragionevole di alternative, almeno a grandi linee. La prima traccia progettuale di tutte va valutata secondo i diversi criteri definiti nel SIA, non unico quello economico individuando quella o quelle fattibili e tra esse un primo ordinamento. Il processo iterativo va portato avanti, affinando le scelte progettuali, continuamente valutato. Il risultato di una buona analisi non è “il progetto x fattibile”, ma “i progetti x,y,z sono fattibili e preferibili tra loro secondo questi criteri…”. Le indicazioni fornite sono il libero oggetto della scelta politica.

Il processo descritto è sicuramente complesso e di implementazione più difficile di quello comunemente usato. Il SIA viene redatto dal progettista, e non dall’Agente o dall’Amministrazione che commissiona il progetto, ma questi dovrebbe essere in grado di proporre progetti di cui conosce i costi e i benefici e che ritiene rispondenti al criterio di efficienza economica. Inoltre l’Agente o l’Amministrazione, possiedono strumenti modellistici e conoscenze della realtà territoriale che il progettista non ha, rendendo ancora più efficace la valutazione. Le procedure di valutazione possono essere inserite in tutti i livelli progettuali e in progetti di tutte le scale, dal microprogetto ai grandi piani o politiche. Non è possibile descrivere qui a lungo le proposte seguenti, di cui esistono conoscenze scientifiche e tecniche a diversi livelli di maturità. Per alcune di esse infatti non vi è ancora un livello sufficiente di codificazione per partire senza una fase di ricerca, mentre per tutte è opportuno definire una procedura comunque riproducibile, oltre che ragionevolmente semplificata.

Le norme tecniche sul SIA, non definiscono i metodi di valutazione; questo viene demandato alle analisi multicriteriali.

Tale strumenti si basano sulla valutazione attraverso matrici, ovvero tabelle a doppia entrata in cui si possono valutare per comparazione, gli impatti che si hanno o si potrebbero avere determinati dalle azioni che sono in progetto di effettuare.

In linea col fatto che la valutazione ambientale, ossia lo studio e la attenzione per tale tematica nasce e si sviluppa nel mondo anglosassone, le metodologie maggiormente

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accreditate e usate nell’ambito dei processi decisionali vanno dalla classica Analisi Costi Benefici (ACB) alle più recenti Analisi Multi Criteri (AMC).

L’analisi tradizionale dei costi-benefici è stata accantonata a causa della crescente influenza dei nuovi metodi di comparazione a criteri multipli; danno ragione di ciò i seguenti motivi:

- impossibilità di includere effetti intangibili nell’ACB;

- natura conflittuale dei moderni problemi di pianificazione valutazione;

- desiderio di non trovarsi di fronte a una decisione forzata, ma di avere davanti un ampio spettro di possibilità.

Infatti, la novità di queste tecniche rispetto a quelle tradizionali è la rinuncia al paradigma dell’ottimalità a favore invece della ricerca di un compromesso ottimale in cui non si ricerca un risultato unico, ma sono individuati quegli elementi necessari a chiarire le priorità su cui basare le scelte; queste metodologie di Analisi Multi Criteri sono nate intorno agli anni ’70.

Non è quindi più necessario attribuire a ogni criterio un valore monetario, come nell’Analisi Costi – Benefici, ma qui ogni criterio è valutato in base all’unità di misura più appropriata; nel corso dell’analisi i criteri di tipo qualitativo vengono trasformati in punteggi secondo delle scale opportunamente studiate e infine, poiché le diverse scale di misura non sono confrontabili tra loro, viene effettuata una standardizzazione o normalizzazione, cioè ogni punteggio di ciascun criterio viene ridotto a una scala compresa tra 0 e 1; i metodi utilizzati per questo processo di standardizzazione possono essere diversi.

Le metodologie di Analisi Multi Criteri si possono dividere in due categorie: - Analisi Multi Obiettivi (AMO);

- Analisi Multi Attributi (AMA).

Nel caso dell’AMO il processo decisionale è volto all’individuazione della soluzione migliore all’interno di un insieme infinito di alternative, implicitamente definito dai vincoli del problema; lo scopo è quindi quello di “creare” la migliore alternativa considerando i livelli di raggiungimento degli obiettivi.

Nell’AMA, invece, lo scopo è quello di trovare la soluzione più soddisfacente tra un

insieme finito di alternative, le quali vengono disposte in una scala di preferenza; il

problema quindi consiste nella ”selezione” della migliore alternativa e non nella sua creazione.

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Riassumendo, l’insieme delle soluzioni ammissibili è continuo nel primo caso e discreto nel secondo.

Figura 2.2: Le tecniche di valutazione a supporto di un problema decisionale

In questo capitolo ci si propone di illustrare sinteticamente l’Analisi Costi – Benefici e le tipologie di Analisi Multi Criteri, in particolar modo l’Analisi Multi Attributi alla quale, essendo quella maggiormente utilizzata, viene più comunemente attribuito il nome generale di “analisi multicriteri”.

2.1 L’ ANALISICOSTI– BENEFICI(ACB)

L’Analisi Costi Benefici (ACB) è nata come una metodologia di supporto alle decisioni per la scelta tra diversi progetti di investimento. Consiste nel confrontare una o più proposte d’investimento con l’alternativa-zero, cioè con l’ipotesi di lasciare la situazione immutata: tra tutte viene scelta l’alternativa che consente il guadagno più elevato. Il vantaggio dell’ACB sta nel fatto che, a differenza di alcune analisi multicriteri, è indipendente dalle alternative irrilevanti: questo vuol dire che l’aggiunta di eventuali alternative, anche perdenti, non modifica il risultato dell’analisi.

Gli effetti di un progetto sono divisi in due grandi gruppi: i benefici, che rappresentano gli effetti positivi, e i costi, rappresentanti invece gli effetti negativi per l’obiettivo che si intende raggiungere. Costi e benefici sono valutati in termini monetari per quanto riguarda tutte le grandezze coinvolte nel progetto, sia per quelle con un proprio valore di mercato sia per quelle che non hanno un proprio prezzo di mercato (come

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l’inquinamento, il tempo, la qualità dell’ambiente, ecc…); queste ultime vengono trattate attraverso l’uso di “prezzi ombra”.

Il limite dell’ACB risiede proprio in questa metodologia di analisi di tipo monetario secondo la quale tutti i beni o servizi devono essere valutati sul mercato. Alle grandezze non aventi un proprio valore di mercato viene associato, il prezzo ombra: tuttavia, la stima dei prezzi ombra è caratterizzata da una certa soggettività, in quanto l’ente pubblico affida la determinazione dei prezzi ombra a una commissione che dovrebbe stabilirli in modo del tutto obiettivo, ma è chiaro che ogni individuo ha il proprio punto di vista che influenza la decisione; per esempio per ragioni politiche, si potrebbero privilegiare alcuni obiettivi rispetto ad altri.Il passaggio chiave di questa metodologia di analisi risiede nell’attualizzazione dei costi e dei benefici futuri, cioè in una omogeneizzazione temporale dei costi e dei benefici utilizzando fattori di correzione che rendono omogenei e comparabili in un dato istante questi elementi; questa fase dell’analisi può essere svolta utilizzando un tasso di sconto intertemporale che può essere il Valore Attuale Netto (VAN) o il Tasso Interno di Rendimento (TIR).

Il VAN rappresenta la somma attualizzata di tutti i costi e i benefici che possono generarsi entro un certo orizzonte temporale T:

    T n n sociale n n i C B VAN 1 1

dove isocialeè il tasso di sconto sociale.

Nel caso si debba valutare se un investimento è fattibile o meno, ciò che interessa è il segno del VAN: l’investimento è fattibile quando il segno del VAN è positivo, non è fattibile quando il VAN ha segno negativo.

Qualora invece si debba decidere tra più investimenti, si sceglierà quello con il VAN più elevato.

Il TIR o SRI (Saggio di Rendimento Interno) è invece il tasso di sconto che annulla il VAN, cioè è definito come il valore soglia tale per cui il VAN è nullo e si trova ponendo pari a zero l’espressione precedente:

1

0 1   

T n n sociale n n i C B

dove isocialeTIR

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T n n n T n n n TIR C TIR B 1 1 1 1

Nel caso si debba scegliere tra più investimenti, la scelta ricadrà sull’investimento con il TIR più elevato.

Per la graduatoria di investimenti alternativi i due metodi possono dare risultati diversi, ma normalmente si preferisce utilizzare il VAN perché ad esempio ill TIR tende a preferire progetti con vita utile più breve e a beneficio più immediato, che però può risultare minore; tuttavia il solo VAN in certi casi non è sufficiente per stabilire una graduatoria tra gli investimenti, in quanto alcuni di questi, al variare del tasso di sconto sociale, potrebbero avere lo stesso VAN; in questo caso la scelta della soluzione ottima verrà effettuata considerando il TIR e ricadrà sull’investimento col TIR maggiore.

2.2 L’ ANALISIMULTIOBIETTIVI(AMO)

I metodi di analisi multiobiettivi sono quelli caratterizzati da un numero infinito di alternative tra cui scegliere. Questi metodi partono da determinati obiettivi e cercano la soluzione migliore per raggiungerli: tale soluzione si trova minimizzando gli scarti dei risultati rispetto agli obiettivi prefissati attraverso una modulazione degli interventi, cioè incrementando man mano la quantità di input. Si determinano pertanto dei meccanismi interattivi tra l’analista e il decisore tali da generare un insieme sempre mutevole di alternative.

Sono metodi che si basano sullo schema della programmazione lineare, in quanto gli obiettivi vengono trasformati in vincoli non rigidi di una matrice di programmazione lineare e viene utilizzata come funzione obiettivo la minimizzazione degli scarti dagli obiettivi prefissati; in questo modo si può ponderare la funzione obiettivo assegnando agli scarti maggiore o minore importanza a seconda della necessità di avvicinarsi o meno alla condizione di vincolo rigido.

I metodi multiobiettivo sono probabilmente i primi metodi a essere stati applicati nel campo dell’aiuto alle decisioni e possono essere suddivisi in due sottoinsiemi:

- Metodi della programmazione ad obiettivo o Goal Programming (GP);

- Metodi di programmazione multi obiettivo o Multiple Objective Programming (MOP).

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2.2.1 Goal Programming (GP)

Nella programmazione ad obiettivo o per obiettivi definiti il decisore sceglie in base a un certo numero di traguardi tra loro incompatibili e/o conflittuali. Il problema decisionale in questo caso si risolve con la ricerca della soluzione più vicina all’insieme dei traguardi (obiettivi definiti) espressi dal decisore. Il GP quindi simula un processo decisionale in cui si cerca di soddisfare contemporaneamente tutti gli obiettivi prefissati.

L’approccio del Goal Programming può essere sinteticamente descritto nelle seguenti fasi:

 Individuazione degli obiettivi attraverso una combinazione di attributi (o criteri) e di

target (o traguardi): i primi rappresentano descrizioni matematiche di aspetti importanti

del problema, mentre i secondi esprimono il livello di prestazione desiderabile secondo ogni attributo. Per ciascuno dei k criteri di valutazione viene individuato un valore atteso o traguardo che il decisore desidera raggiungere. La combinazione di un obiettivo con il suo traguardo determina la costruzione di una finalità (goal);

 Studio delle variabili di deviazione: rappresentano quantitativamente il non raggiungimento o il superamento del target; queste variabili deviazionali possono quindi essere negative (di non raggiungimento) nko positive (di superamento) pk.

Nel GP la funzione obiettivo da minimizzare sarà costituita dall’insieme di tali variabili deviazionali:

   m k k k k n p w U 1 min dove:

U = funzione obiettivo da ottimizzare;

k = criteri di valutazione;

wk= pesi dei criteri;

nk= variabile deviazionale negativa; pk= variabile deviazionale positiva.

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Lo scopo del metodo è quindi quello di minimizzare le deviazioni tra i valori target e i valori di aspirazione delle variabili. Tale processo di minimizzazione può essere eseguito attraverso varie tecniche; tra queste si possono individuare tre categorie principali:

2.2.2 Multiple Objective Programming (MOP)

La programmazione con obiettivi multipli è una tecnica di aiuto alle decisioni, che ha validità in ambienti caratterizzati da obiettivi multipli in conflitto tra loro, senza che per i relativi attributi venga precisato un traguardo. Dato che il raggiungimento di tutti gli obiettivi simultaneamente è impossibile, lo scopo di questo metodo consiste nell’individuazione di un insieme di soluzioni efficienti o pareto-ottimali rispetto agli obiettivi espressi dal decisore. L’insieme delle soluzioni efficienti si può trovare utilizzando tre possibili metodi:

1. Metodo della pesatura

Riunisce tutti gli obiettivi in un’unica funzione obiettivo, stabilendo un peso per ogni obiettivo e poi sommando tutti i componenti risultanti. L’insieme di soluzioni efficienti si ottiene effettuando una parametrizzazione dei pesi.

2. Metodo del vincolo

Implica l’ottimizzazione di uno degli obiettivi, tramite imposizione di vincoli sugli altri. Tale metodo consente di ottenere l’insieme delle soluzioni efficienti con la parametrizzazione dei coefficienti che rappresentano gli obiettivi. Questo metodo garantisce soluzioni efficienti solo quando i vincoli degli obiettivi sono legati alla soluzione ottimale.

3. Simplesso multicriteri

E’ possibile trovare tutti i punti estremi efficienti e consente di spostarsi da un punto efficiente estremo all’altro adiacente. È possibile poi verificare l’efficienza di ogni soluzione trovata limitando la dimensione dei problemi operativi.

L’analisi multi obiettivi può risultare particolarmente utile nel caso di piani territoriali in cui si deve individuare, o meglio cercare, la combinazione migliore tra varie attività progettuali, per le quali possono essere formulate infinite soluzioni.

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2.3 L’ ANALISIMULTIATTRIBUTI(AMA)O MULTICRITERI

L’analisi multiattributi o multicriteri comprende un insieme di metodi per la valutazione e la scelta tra diverse alternative progettuali, nei quali si cerca di tenere in considerazione in modo esplicito la molteplicità delle dimensioni del problema decisionale: infatti, a differenza dell’ACB caratterizzata da un unico criterio di scelta, quello economico, l’analisi multicriteri consente di valutare i progetti di investimento secondo più criteri, scelti e pesati dal decisore e consente di avere una valutazione più completa degli effetti di un progetto, poiché non è una valutazione esclusivamente monetaria, ma contiene indicatori misurabili in modo quantitativo e qualitativo.

L’analisi multicriteri è un sottoinsieme dei metodi di valutazione multidimensionale in cui si hanno come input un numero finito di alternative tra le quali va individuata una scala di preferenza per poter giungere alla scelta della soluzione più soddisfacente nel rispetto dell’obiettivo generale.

Il primo passo nell’analisi multicriteri (e in generale in qualsiasi processo decisionale) consiste nel determinare gli elementi che caratterizzano la decisione:

- obiettivo finale: nel caso di opere pubbliche è un obiettivo di utilità sociale che interessa varie categorie di cittadini; tuttavia, poiché diverse categorie di cittadini possono avere interessi alquanto diversi, si potrebbe andare incontro alla definizione di più di un obiettivo generale;

- criteri: strumento attraverso il quale le alternative vengono confrontate tra loro rispetto all’obiettivo finale; sono indicatori delle prestazioni o degli impatti delle varie alternative misurabili in modo quantitativo e qualitativo; in un problema più dettagliato possono essere presenti anche dei sotto-criteri e in tale caso sono questi lo strumento con cui le alternative vengono confrontate tra loro;

- alternative: diverse soluzioni progettuali volte a raggiungere l’obiettivo finale.

Le analisi multi criteri partono da due matrici principali:

1) la matrice di valutazione, che valuta gli effetti delle alternative;

2) la matrice delle priorità, che riporta l’importanza assunta da ciascun criterio a seconda dei valori assegnati.

La combinazione di queste due matrici consente di ottenere un ordine di preferenza tra i progetti analizzati che aiuta l’organo decisionale nell’approvazione del miglior progetto.

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La scelta tra i vari progetti è alquanto difficile perché nel processo decisionale intervengono numerosi agenti i quali, avendo interessi anche contrapposti, attribuiscono un’ importanza diversa ai vari effetti delle alternative progettuali; di conseguenza la ponderazione dei criteri segue uno schema lineare qualora si è in presenza di un unico decisore o di un gruppo di decisori omogeneo, mentre seguirà uno schema non lineare in presenza di interessi contrapposti tra diversi decisori; in quest’ultimo caso sarà necessaria un’analisi di sensitività per valutare la stabilità della soluzione al termine del processo di analisi.

Tutti i metodi di analisi multicriteri sono strutturati in sei principali fasi: 1) Definizione della matrice di valutazione;

2) Analisi di dominanza;

3) Normalizzazione della matrice di valutazione; 4) Assegnazione dei pesi ai criteri;

5) Ordinamento delle alternative; 6) Analisi di sensitività;

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Nei paragrafi seguenti analizzeremo queste varie fasi dell’analisi multicriteri descrivendo le varie tecniche che è possibile utilizzare e illustreremo, infine, una tecnica di analisi multicriteri semplificata, ma comunemente usata nel settore dei lavori pubblici: la check-list o check-lista di controllo che difatti sarà quella utilizzata dal nostr studio sulla base delle linee guida della regione.

2.3.1 Definizione della matrice di valutazione

La matrice di valutazione (anche detta matrice di impatto o matrice di analisi o matrice dei punteggi) è una matrice bidimensionale nxm dove n sono i criteri (C1, C2, …, Cn) e m

le alternative progettuali (A1, A2, …, Am). Gli elementi di questa matrice possono essere

indicati per mezzo di una funzione gi(j) che rappresenta il valore attribuito all’alternativa

j sulla base del criterio i. Quindi gli elementi della matrice di valutazione sono i punteggi

attribuiti a ogni alternativa rispetto a ciascun criterio.

C1 C2 Cn

A1 g1(A1) g2(A1) gi(A1) gn(A1) A2 g1(A2) g2(A2) gi(A2) gn(A2) g1(Aj) g2(Aj) gi(Aj) gn(Aj) Am g1(Am) g2(Am) gi(Am) gn(Am)

Figura 2.4: Matrice di valutazione

Questi punteggi o attributi possono avere diverse unità di misura quantitativa (o cardinale), qualitativa o ordinale (i progetti vengono disposti secondo un ordine) a seconda del criterio considerato.

L’analisi multicriteri è proprio quella metodologia di valutazione che consente di analizzare nel processo decisionale sia informazioni hard o quantitative sia informazioni soft o qualitative.

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In certi casi i criteri possono essere suddivisi in sotto-criteri: in questo caso la matrice di valutazione è costituita da n sotto-criteri e m alternative.

2.3.2 Analisi di dominanza

Quest’analisi consente di eliminare dal processo decisionale quelle “eventuali” alternative progettuali che risultano dominate in senso paretiano; questa procedura consiste nel verificare se esiste qualche alternativa che per ogni criterio ha risultati peggiori rispetto a un’ altra.

Date due alternative Aje Ak, Ajdomina Ak(Aj>Ak) se e solo se xjixki per ogni i=1,…,n e almeno un xjixki.

In questo modo dalla matrice di valutazione si eliminano le eventuali alternative dominate e il resto dell’analisi si esegue sulle alternative rimanenti.

2.3.3 Normalizzazione della matrice di valutazione

Avendo nella matrice di valutazione un insieme di informazioni miste sia qualitative che quantitative con unità di misura differenti in base al criterio considerato, il processo di normalizzazione è necessario per rendere omogenei e operabili questi dati trasformandoli in valori adimensionali attraverso funzioni logico-matematiche, che possono essere raggruppate in due grandi classi: le funzioni di normalizzazione lineare e le funzioni di valore e utilità.

2.3.4 Assegnazione dei pesi ai criteri

L’attribuzione dei pesi è un’operazione di gerarchizzazione che permette di definire un ordine di importanza tra i vari criteri e/o sotto-criteri per cui è possibile costruire una

matrice delle priorità.

Esistono moltissime tecniche di assegnazione dei pesi, ma si riportano solo alcune si elencano le seguenti:.

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I pesi vengono assegnati direttamente sulla base di una scala di punteggio prestabilita, per esempio da 1 a 100, oppure ridistribuendo tra tutti i criteri il punteggio totale, cioè in modo tale che la somma dei pesi di tutti i criteri sia pari a 100.

b - Confronto a coppie

I pesi vengono assegnati ad ogni criterio confrontandolo con tutti gli altri, costruendo così una matrice dei confronti a coppie quadrata e simmetrica rispetto alla diagonale principale. Costruendo questa matrice dei confronti a coppie, si può vedere che gli elementi sulla diagonale principale hanno tutti valori pari all’unità e gli elementi al di sotto della stessa sono reciproci di quelli sopra (cij = 1/cji). Ne risulta che il numero di

confronti necessari è pari all’area del triangolo superiore destro della matrice, esclusa la c - Paired comparison tecnique

Questa tecnica è sempre basata sul confronto a coppie, ma, invece di avvalersi della scala fondamentale di Saaty, utilizza solo tre giudizi espressi da tre valori numerici:

 “1” quando si vuole esprimere l’importanza maggiore di un criterio rispetto a un altro;

 “0” nel caso si voglia esprimere l’importanza minore di un criterio rispetto a un altro;

 “0,5” se si considera uguale importanza tra due criteri.

Il peso di ogni singolo criterio sarà pari al rapporto tra la somma dei punteggi attribuiti a quel criterio (somma degli elementi di ogni riga) e la somma totale dei punteggi, in modo tale che sommando i pesi finali di tutti i criteri si ottenga un valore unitario.

e - Metodi basati solo su un ordine Questi metodi sono principalmente tre: 1) Valore estremo;

2) Pesi casuali.

Il metodo del valore estremo considera solo i pesi estremi (valori più grandi o più piccoli di una distribuzione) e in base a questi si calcolano gli ordinamenti.

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Tutti i pesi, e i relativi ordinamenti, compresi tra questi estremi rispettano l’ordine di priorità imposto.

Nell’ultimo metodo si realizza un numero elevato di ordinamenti casuali e si calcolano tutte le possibili combinazioni di pesi che rispettano le assunzioni iniziali. Poiché il numero degli ordinamenti è alto, è possibile calcolare la conseguente graduatoria delle alternative per ognuno di essi e ricavarne la probabilità.

2.3.5 Ordinamento delle alternative

Le tecniche necessarie per definire un ordinamento delle alternative si possono distinguere in quelle che assumono pesi tutti eguali tra loro e quelle che fanno uso di pesi differenziati. La tabella che segue le riassume

Figura 2.5: Tecniche di ordinamento delle alternative

2.3.6 Analisi di sensitività

L’analisi multicriteri è fortemente influenzata da incertezza e soggettività: ogni aspetto dell’analisi viene valutato in modo differente dai decisori, spesso perché questi ultimi hanno interessi o punti di vista diversi.

Per verificare la stabilità della soluzione trovata è necessaria un’analisi di sensitività, la quale consiste in un’indagine sui risultati del processo decisionale per valutare quali variazioni nel modello possono generare differenze sostanziali nella scala di priorità delle alternative progettuali.

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Esistono tre principali tipi di analisi di sensitività:

1) Sensitività sul metodo: si applica un diverso metodo di standardizzazione dei dati;

questo tipo di analisi serve a controllare la dipendenza dei risultati dal metodo di calcolo; 2) Sensitività sui criteri: si aggiungono o si eliminano alcuni criteri di decisione; questa

analisi garantisce la validità dello schema adottato, perché è possibile riscontrare se la gerarchia contiene criteri superflui o se mancano criteri fondamentali;

3) Sensitività sui pesi (la più applicata): facendo variare i pesi dei criteri si può valutare

il grado di influenza di ogni criterio sulla decisione finale.

Tuttavia questo tipo di analisi ha lo svantaggio di essere molto complessa da impostare e implementare; Per questo motivo le analisi multicriteri vengono svolte con l’ausilio di adeguati supporti informatici, allo scopo di velocizzare i calcoli e rendere più immediata l’analisi di sensitività operando con un semplice “click di mouse” per aggiungere criteri o far variare i pesi.

2.3.7 Check-list

A causa della complessità metodologica e del procedimento alquanto articolato delle classiche analisi multicriteri, nel settore dei Lavori Pubblici spesso si preferisce utilizzare procedure semplificate.

La tecnica più comunemente usata è quella della check-list o lista di controllo. Come tutte le analisi multicriteri, anche questa prevede, come fase iniziale, la costruzione della matrice di valutazione, quindi la definizione degli obiettivi, dei criteri,sotto-criteri e delle alternative.

Tuttavia, a differenza delle altre tecniche, la check-list salta la fase di normalizzazione della matrice di valutazione, infatti alle alternative vengono attribuiti punteggi adimensionali di natura qualitativa. È proprio il salto di tale passaggio che rende la check-list un metodo alquanto più semplice rispetto agli altri.

Per ciò che riguarda l’attribuzione dei giudizi di valore alle alternative esistono due tipologie di punteggi:

- punteggi che rappresentano la posizione delle alternative nella graduatoria relativa a ogni criterio considerato; a ogni alternativa viene quindi assegnato un numero ordinale

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per ogni criterio e infine si sommano i punteggi di ogni alternativa. Il progetto migliore sarà quello per il quale tale somma è minima:

A1 A2 A3

C1 1° 3° 2°

C2 3° 1° 2°

C3 1° 2° 3°

TOT 5 6 7

Tabella 2.6: Matrice di valutazione con punteggi ordinali

- punteggi di natura qualitativa che esprimono il livello di raggiungimento di un determinato criterio da parte di ogni alternativa; tali punteggi possono essere rappresentati da numeri o da segni positivi e negativi a cui sono associati giudizi di valutazione ad esempio:

- 2 (- -) valutazione pessima - 1 (-) valutazione cattiva

0 (0) valutazione neutra o indifferente 1 (+) valutazione buona

2 (+ +) valutazione ottima

A questo punto il metodo prosegue, come le altre metodologie multicriteri, con l’assegnazione dei pesi, l’ordinamento delle alternative e l’analisi di sensitività.

Per quanto riguarda l’assegnazione dei pesi, questa viene svolta in modo semplicistico stabilendo dei coefficienti (es. 1, 2, 3) da assegnare ai criteri.

Questo procedimento è quello che sarà utilizzato nel presente lavoro, infatti, si seguiranno le check list della regione Toscana pubblicate nelle linee guida dei

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QUADERNI DELLA VALUTAZIONE DI IMPATTO AMBIENTALE editi dalla stessa Giunta regionale, nel 4° fascicolo” Valutazione di Impatto Ambientale: un approccio generale”

Il capitolo che segue, ci occuperemo dello studio ambientale vero e proprio, come defini to dagli allegati normativi defini ti in precedenza, dividendo e analizzando i vari quadri, programmatico, progettuale e ambientale.

3 QUADRO PROGRAMMATICO

3.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO-STORICO DELL’INTERVENTO

La pianura di Grosseto fa parte del complesso Bacino dell’ Ombrone (4.768 km²) suddiviso in quattro sottobacini, relativi ai fiumi dell’ Ombrone, del Bruna, dell’Albegna e dell’ Osa. Il fiume Bruna nasce dal Lago dell’Accesa nel territorio di Massa Marittima e segna il confine fra il territorio comunale di Grosseto e quello dei comuni di Gavorrano e Castiglione della Pescaia, dove in questo ultimo sfocia. Canalizzato per quasi tutto il suo corso, il Bruna, prima di raggiungere il mare,si divide in due corsi, dei quali il primo crea un’ ansa chiusa, che nei periodi più piovosi si ricollega al mare, mentre il secondo lo raggiunge direttamente: questo è Il Fiume Bruna .

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In quello che oggi dì è il territorio del Comune di Gavorrano, la zona di Castel di Pietra ha da secoli attirato l’attenzione circa la propensione all’espansione del fiume degli amministratori e dominatori di quei terreni e le testimonianze che sia hanno risalgono addirittura fin dal 1400. Lla sua naturale vocazione all’espansione era già stata individuata dalla Repubblica di Siena, la quale pensò di realizzare sul fiume Bruna un ampio invaso artificiale destinato all’ allevamento di pesce d’acqua dolce. I lavori per la costruzione dello sbarramento in muratura iniziarono nel 1468, ma dopo appena 22 anni (nel 1492), in seguito a rovinose piene, lo sbarramento crollò e non venne mai più riparato.

L’immagine che segue qui sotto mostra quello che rimane delle rovine dello sbarramento costruito dai senesi nel XV secolo nell’area di Castel di pietra, una infrastruttura decisamente di avanguardia per quei tempi.

Figura 3.2 : Rovine senesi bacino del fiume Bruna

L’area a valle, nel secondo tratto del Fiume verso la foce, nel XIX e XX secolo è stata interessato da un intervento antropico in seguito al complesso e progressivo intervento di bonifica intervenuti sia ad opera del Granducato dei Lorena nel XIX secolo , sia più recentemente nell’epoca mussoliniana, mentre il tratto a monte, quello in Loc.Castel di Pietra essenzialmente, risulta ancora un tratto alquanto naturale del Fiume, poco interessato dall’intervento dell’uomo, almeno per quanto riguarda la classificazione

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idraulica e gli interventi di regimazione del corpo idrico. Nel corso degli anni, sovente, il corso del Fiume Bruna, è stato interessato da fenomeni di piene ed esondazioni più o meno intensi, talvolta estremamente dannosi, con frequenze sempre più alte. Negli ultimi anni poi, anche probabilmente a seguito del progressivo e generale cambiamento climatico sempre più numerosi ed intensi sono stati gli episodi alluvionali che hanno interessato il tratto fluviale in questione l’ultimo dei quali in termini temporali, ma non ultimo in termini sia di intensità che di danni arrecati, si è avuto nel novembre 2012. Ora a margine di queste eventi, giova notare che, data la vetustà della realizzazione, e della relativa progettazione delle opere idrauliche realizzate nei secoli scorsi, non risulta che tali opere siano collaudate per le piene duecentennali.

Per le considerazioni fatte in precedenza sulle mutate frequenze degli eventi di piena oltre che il cambiamento delle portate degli annali idraulici, nasce sempre più l’esigenza di rivedere complessivamente l’asta del corso d’acqua, delle opere in essere, degli affluenti e di quali e quante costruzioni idrauliche da realizzare e degli interventi migliori da intraprendere.

3.2 INQUADRAMENTO STORICO NORMATIVO: LA PIANIFICAZIONE

La regione in Primis, ma anche la A.T.O con la Provincia e Consorzi di Bonifica, costituiscono la rete di enti cui è devoluta normativamente ed esecutivamente la tutela e la sicurezza del territorio con particolare in questo caso attenzione a quegli aspetti di sicurezza idraulica dei corsi d’acqua e della loro manutenzione. Alla Regione quindi si fa capo per la redazione di Piani sistemici ed operativi in merito alla analisi dei bacini imbriferi e idrografici ed alla loro tutela, specialmente dopo la riforma del Titolo v della Costituzione in cui al combinato disposto dell’art.117 in merito alla legislazione in ambito di governo del territorio unitamente alla protezione civile, la tutela della salute e la valorizzazione dei beni ambientali esiste sia legislazione concorrente che esclusiva. Alle regioni spetta e compete la possibilità di delegare all’ente provincia, ente costituzionalmente riconosciuto di area vasta, alcune delle attribuzioni sia in merito alla tutela del territorio che della protezione civilee per questo si crea quello che viene definito l'ambito territoriale ottimale (ATO).

Questo è un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati, ad esempio quello idrico o quello dei rifiuti, vedi Codice dell'Ambiente, D. Lgs 152/2006 e successive modifiche, che ha abrogato la L.36/94 . Tali ambiti sono individuati dalla regione con apposita legge , nel caso del Servizio idrico integrato con riferimento ai bacini idrografici,

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e su di essi agiscono le Autorità d'ambito, strutture dotate di personalità giuridica che organizzano, affidano e controllano la gestione del servizio integrato.

Gli ATO Acqua sono stati originariamente istituiti come accennato, a seguito della legge 5 gennaio 1994 n. 36 "Disposizioni in materia di risorse idriche" che ha riorganizzato i servizi idrici aggregando sotto un'unica autorità , l'Autorità d'ambito appunto, i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione in tutte le loro fasi.

L'Autorità d'Ambito che opera nel territorio di ciascun ATO ha lo scopo di garantire un ottimale approvvigionamento d'acqua potabile, privilegiando la qualità ma anche salvaguardando le risorse idriche nel rispetto dell'ambiente, inoltre tutela il consumatore, stante il regime di monopolio in cui operano i gestori del "Servizio idrico integrato": captazione, adduzione e distribuzione dell'acqua, collettamento e depurazione delle acque reflue.

Il Legislatore, con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale", definisce le Autorità d'ambito come segue (articolo 148):

1. L'Autorità d'ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'articolo 143, comma 1.

Le competenze degli enti locali ricompresi nel territorio ATO ,definito con apposita legge regionale sono ad esempio quelle di ” organizzazione del servizio idrico integrato, scelta della forma di gestione, determinazione e modulazione delle tariffe all'utenza...” Con la Legge 26 marzo 2010, n. 42 recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni vengono abolite le Autorità d'Ambito entro 1 anno dalla entrata in vigore, e le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n.152 del 2006 sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della predetta legge regionale. De facto in Toscana si è arrivati ad un riordino ed accorpamento anziché alla abolizione anche in virtù della abrogazione della norma che abrogava le ATO stesse prorogandone la decadenza nell’anno successivo.Il Consorzio di bonifica è un ente di diritto pubblico che cura l'esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica e controlla l'attività dei privati, sul territorio di competenza (comprensorio di bonifica). Opere di questo genere riguardano, ad esempio, la sicurezza idraulica tipo impianti idrovori, canali di

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bonifica ecc., la gestione delle acque destinate all'irrigazione come impianti e reti irrigue, la partecipazione ad opere urbanistiche, ma anche la tutela del patrimonio ambientale e agricolo.

Essendo un consorzio, questo ente è amministrato da consorziati che sono i proprietari dei terreni, abitazioni e fabbricati in genere, compresi nella zona di competenza dell'ente, che sostengono la spesa per la manutenzione e l'esercizio delle opere di bonifica secondo specifiche leggi regionali. Ai Consorzi di bonifica è demandata la realizzazione anche nuove opere di bonifica, in genere con fondi statali o regionali.

I consorzi di bonifica già previsti nel Regio Decreto 8 maggio 1904, n. 368 di approvazione del regolamento sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi, tuttora in vigore in alcune parti (polizia di bonifica). Il Regio Decreto 13 febbraio 1933 n. 215 che reca nuove norme per la bonifica integrale e approva il testo unico, contiene le norme statali di riferimento per le Regioni alle quali oggi come detto compete la disciplina normativa della materia.

3.3 IL PIANO ASSETTO DEL TERRITORIO

I territori ricompresi nella nostra zona di analisi ricadono come già detto nei bacini di rilievo regionale dell’ Ombrone istituiti con la legge regionale11 dicembre 1998 n. 91

(Norme per la difesa del suolo). Il Piano per l'assetto idrogeologico (PAI) dei bacini

Toscana Nord, Toscana Costa e Ombrone è redatto, adottato e approvato ai sensi dell'art. 17 comma 6-ter della legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo

e funzionale della difesa del suolo) , quale piano stralcio del piano di bacino. Esso ha

valore di piano territoriale di settore e integra gli strumenti di governo del territorio di cui alla legge regionale 16 gennaio 1995 n. 5 e costituisce atto di pianificazione ai sensi dell’art. 18 comma 2 della Legge 11 febbraio 1994 n. 109.

Il PAI, attraverso le sue disposizioni, persegue l’obiettivo generale di assicurare l’incolumità della popolazione nei territori dei bacini di rilievo regionale e garantire livelli di sicurezza adeguati rispetto ai fenomeni di dissesto idraulico e geomorfologico in atto o potenziali.

Più in particolare, il Piano, nel rispetto delle finalità generali indicate all’art. 17 della legge 18 maggio 1989 n. 183 per il piano di bacino, ed in attuazione delle disposizioni della L.R. 5/95 e del Piano di indirizzo territoriale (D.C.R. n. 12/2000), si pone i seguenti obiettivi:

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· la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione, di bonifica, di consolidamento e messa in sicurezza;

· la difesa ed il consolidamento dei versanti e delle aree instabili nonché la difesa degli abitati e delle infrastrutture contro i fenomeni franosi e altri fenomeni di dissesto;

· la difesa, la sistemazione e la regolazione dei corsi d’acqua;

· la moderazione delle piene, anche mediante serbatoi d’invaso, vasche di laminazione, casse di espansione, scaricatori, scolmatori, diversivi o altro, per la difesa dalle inondazioni e dagli allagamenti;

· la riduzione del rischio idrogeologico, il riequilibrio del territorio ed il suo utilizzo nel rispetto del suo stato, della sua tendenza evolutiva e delle sue potenzialità d'uso; · la riduzione del rischio idraulico ed il raggiungimento di livelli di rischio socialmente accettabili.

Nella pagina che segue, si riporta una stralcio della carta di tutela del territorio per la zona dell’Ombrone che interessa la nostra analisi; si evidenziano le Aree a Pericolosità Idraulica Molto Elevata (P.I.M.E.), le Aree a Pericolosità Idraulica Elevata (P.I.E), Aree a rischio, Aree non perimetrale, Aree di pertinenza fluviale, Aree Strategiche per Interventi di Prevenzione (A.S.I.P.).

Nelle analisi del PAI, la zona più a rischio è a sud di Castel di Pietra, ma è altresì evidente che la zona immediatamente successiva alla confluenza fra il Bruna ed il Carsia sia indicata come area strategica per un intervento a protezione e quindi di regimazione del flusso delle acque.

Questo piano deve necessariamente essere integrato, per avere uanvisione più chiara e di insieme con la normativa Alluvioni attualizzata dalla Regione con un piano ad hoc, che di seguito verrà esaminato più in dettaglio.

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3.4 PIANO DI GESTIONE DEL RISCHIO DI ALLUVIONI

Come già accennato in precedenza è l’organo regionale che è preposto alla tutela ed alla predisposizione di quelle politiche di programma e pianificazione circa la tutela del suolo e dell’ambiente. Proprio in questo senso, la Regione Toscana ha elaborato il piano di gestione degli alluvioni, proprio al fine anche di attuare la disciplina che regola i rischi alluvionali, in attuazione della direttiva comunitaria 2007/60/CE e recepita dallo stato con il D.Lgs n°49 del 23/2/10, che pone l'obiettivo, agli enti competenti in materia di difesa del suolo, di ridurre le conseguenze negative, derivanti dalle alluvioni, per la salute umana, per il territorio, per i beni, per l'ambiente, per il patrimonio culturale e per le attività economiche e sociali. La calendarizzazione era prevista in fasi così descritte: · Fase 1- Valutazione preliminare del rischio di alluvioni (entro il 22 settembre 2011);

· Fase 2 - Elaborazione di mappe della pericolosità e del rischio di alluvione (entro il

22 giugno 2013);

· Fase 3 - Predisposizione ed attuazione di piani di gestione del rischio di alluvioni

(entro il 22 giugno 2015);

· Fasi successive - Aggiornamenti del Piano di gestione (2018, 2019, 2021).

Il Piano Alluvioni, consultabile al momento tramite SIT della Regione Toscana, e riportato schematicamente per la zona di nostro interesse nella pagina seguente, evidenzia visivamente le criticità e la loro gradazione, della zona in oggetto del l’intervento sia in termini di rischio alluvionale (fig1), sia in termini di pericolosità (fig2), figure che avvalorano la importanza funzionale dell’opera.

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Figura 3.4 : Piano rishio alluvioni bacino idrografico del fiume Bruna

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3.5 L’USO DEL SUOLO

Attraerso l’utilizzo di un software GIS utilizzando il servizio cartografico territoriale della Regione Toscana, siamo riusciti a ricavare la carta dell’uso del suolo della zona in questione.

Figura 3.6 : Ortofoto 10K castel di pietra

Come mostrano le immagini si può notare sia orto foto 10K del 2013 cui si danno i colori RGB per il riconoscimento della vegetazione a conifere, e la carta in scala a 15000 con la toponomastica del bacino ATO Ombrone, e i riferimenti dei fogli del quadro d’unione.

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Nelle tre immagini successive, passando a una scala a 7500 le tre immagini che seguono ci forniscono la carta di uso del suolo evidenziandone i codice CORINE land cover che si riportano integralmente per completezza nella tabella a seguire.

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1. SUPERFICI ARTIFICIALI

1.1. Zone urbanizzate di tipo residenziale 1.1.1. Zone residenziali a tessuto continuo 1.1.2. Zone residenziali a tessuto discontinuo e rado 1.2. Zone industriali, commerciali ed infrastrutturali

1.2.1. Aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati 1.2.2. Reti stradali, ferroviarie e infrastrutture tecniche

1.2.3. Aree portuali 1.2.4. Aeroporti

1.3. Zone estrattive, cantieri, discariche e terreni artefatti e abbandonati 1.3.1. Aree estrattive

1.3.2. Discariche 1.3.3. Cantieri

1.4. Zone verdi artificiali non agricole 1.4.1. Aree verdi urbane

1.4.2. Aree ricreative e sportive 2. SUPERFICI AGRICOLE UTILIZZATE

2.1. Seminativi

2.1.1. Seminativi in aree non irrigue 2.1.2. Seminativi in aree irrigue 2.1.3. Risaie

2.2. Colture permanenti 2.2.1. Vigneti

2.2.2. Frutteti e frutti minori 2.2.3. Oliveti

2.3. Prati stabili (foraggere permanenti) 2.3.1. Prati stabili (foraggere permanenti) 2.4. Zone agricole eterogenee

2.4.1. Colture temporanee associate a colture permanenti 2.4.2. Sistemi colturali e particellari complessi

2.4.3. Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali importanti 2.4.4. Aree agroforestali

3. TERRITORI BOSCATI E AMBIENTI SEMI-NATURALI 3.1. Zone boscate

3.1.1. Boschi di latifoglie 3.1.2. Boschi di conifere

3.1.3. Boschi misti di conifere e latifoglie

3.2. Zone caratterizzate da vegetazione arbustiva e/o erbacea 3.2.1. Aree a pascolo naturale e praterie

3.2.2. Brughiere e cespuglieti

3.2.3. Aree a vegetazione sclerofilla 3.2.4. Aree a vegetazione boschiva ed arbustiva in evoluzione 3.3. Zone aperte con vegetazione rada o assente

3.3.1. Spiagge, dune e sabbie

3.3.2. Rocce nude, falesie, rupi, affioramenti 3.3.3. Aree con vegetazione rada

3.3.4. Aree percorse da incendi 3.3.5. Ghiacciai e nevi perenni 4. ZONE UMIDE

4.1. Zone umide interne 4.1.1. Paludi interne 4.1.2. Torbiere

4.2. Zone umide marittime 4.2.1. Paludi salmastre 4.2.2. Saline 4.2.3. Zone intertidali 5. CORPI IDRICI

5.1. Acque continentali

5.1.1. Corsi d'acqua, canali e idrovie 5.1.2. Bacini d'acqua

5.2. Acque marittime 5.2.1. Lagune 5.2.2. Estuari 5.2.3. Mari e oceani

Figura 3.9 : Legenda carta uso suolo CORINE land cover

La analisi delle stesse evidenzia che l ‘uso del suolo nella parte interessata all’intervento si caratterizza come una grossa percentuale di oltre l’80% a seminativo oltre al restante diviso tra infrastrutturale e bosco a latifoglia e questo deve essere considerato ai fini della

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valutazione di quale intervento scegliere. Questo ci introduce quindi all’argomento successivo e lagato all’uso del suolo, ossia i vincoli che da questo discendono.

3.6 VINCOLI

La zona peraltro non è scevra da particolari vincoli; o meglio esiste ovviamente il vincolo idrogeologico sulla pertinenza arginale e di sponda dell’asta fluviale, mentre esiste in destra idrografica un vincolo paesaggistico che comunque era già stato valutato nella stesura del P.A.I., ai sensi degli art 136 e 142 del codice dei beni ambientali. La stessa , infatti, fa parte delle aree censite e cartografate, in collaborazione con le Soprintendenze Territoriali e la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana -Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Esse sono quelle tutelate ai sensi della ex legge 1497 del 29 giugno 1939 "Protezione delle bellezze naturali" , anche se in alcuni casi è stato possibile recuperare anche provvedimenti emanati ai sensi della ex legge 778 dell' 11 giugno 1922 "Tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare

interesse storico", poi abrogata e sostituita prima dal D.Lgs. N.490 del 29 ottobre 1999 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali",

successivamente dal D.Lgs n.42 del 22 gennaio 2004 "Codice dei beni culturali e del

paesaggio".

Nello specifico già nel 1977 la zona in oggetto di Castel di Pietra (fig 4 nella pagina successiva) a CODICE REGIONALE: 9053263 CODICE MINISTERIALE: 90452 veniva inserita dal Ministero in GAZZETTA UFFICIALE (N. 64 DEL 8 MARZO 1977) e vincolata con la seguente motivazione: “la zona predetta ha notevole interesse pubblico

perché presenta rilevanti caratteristiche paesistiche e naturali sotto il profilo panoramico e ambientale, per i movimenti del suolo, gli aspetti boschivi ed agresti, interessati spesso da stupendi viali di cipressi e dalla presenza di testimonianze monumentali del passato tra cui Castel di Pietra e l’antica diga senese dei Muracci che determinano ambienti singolari e quadri panoramici di altissimo valore estetico”.

Qui sotto si evidenzia (fonte servizio sit regione toscana) il perimetro dell’area interessata da tale vincolo che cade totalmente sulla destra idrografica del Fiume Bruna.

(38)

SEGMENTAZIONE DEL PERIMETRO

A a partire dall’incrocio tra il confine comunale di Roccastrada-Gavorrano sul Fiume

Bruna e la strada provinciale per Ribolla, segue verso sud detto fiume, fino ad incontrare la retta est-ovest passante per il C. Belvedere a quota 95

B si segue detta retta verso ovest fino al Podere Predetto

C di qui si prosegue in linea retta fino al punto di intersezione strada campestre Lasconi -Fatt. Vaticano-Fosso Pozzolino

D si risale detto fosso fino ad intersecare la retta congiungente il punto di quota 92, in prossimità di C. Poggio Moscatello e la vetta del Poggio Moscatello a quota 250

E si segue detta retta fino alla vetta predetta

F proseguendo poi lungo la retta nord-sud in direzione nord fino all’intersezione con il Fiume Bruna

G si discende il fiume fino alla confluenza con il Torrente Carsia quota 39

H da detto punto si prosegue in linea retta fino al podere C. Sodomagri a quota 64

I di qui si segue la retta ovest-est verso est fino ad intersecare il confine comunale di Rocca- Strada-Gavorrano

L si prosegue lungo detto confine verso sud-est fino al ricongiungimento con il primo caposaldo in riferimento

Figura

Figura 2.1: Il metodo di valutazione a supporto di un progetto
Figura 2.2: Le tecniche di valutazione a supporto di un problema decisionale
Figura 2.3: Fasi dell’analisi multicriteri
Figura 2.4: Matrice di valutazione
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