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Prefazione. Tra i tornanti dell’analogia

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vi Indice

III. L’analogia di proporzionalità: che cos’è, in quanti modi

si dà e perché essa sola può chiamarsi propriamente analogia 113

IV. In che modo l’analogo si distingue dagli analogati 121

V. L’astrazione dell’analogo dagli analogati 131

VI. In che modo l’analogo si predica dei suoi analogati 145

VII. La definizione degli analogati secondo il nome dell’analogo 155

VIII. La comparazione nell’analogo 163

IX. La divisione e la risoluzione dell’analogo 169

X. In che modo si dà una scienza dell’analogo 175

XI. Precauzioni necessarie alla comprensione

e all’uso dei nomi analoghi 183

De conceptu entis / Il concetto di ente 193

Risposta a due quesiti del frate Francesco da Ferrara

riguardanti il concetto di ente 195

Commentario alla traduzione 202

Bibliografia 229

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Chiamata in causa, nella tradizione filosofica, per spiegare prima la struttu-rale polisemia dell’ente postulata da Aristotele e poi la comunanza dei nomi tra le perfezioni divine e quelle creaturali, l’analogia è un concetto sfuggen-te, a sua volta polisemico, di cui è difficile non solo tracciare le origini, ma anche seguire gli sviluppi. È impossibile – come ormai viene generalmente riconosciuto – ritrovare in Aristotele una dottrina compiuta e coerente di ciò che si è poi inteso come ‘analogia dell’ente’1. E tuttavia, dalla parte opposta,

non si può neppure dire né che l’analogia – intesa come proporzionalità, ov-vero come proporzione a quattro termini o rapporto di rapporti – non svolga comunque un ruolo fondamentale nella metafisica aristotelica, né che il modo in cui Aristotele intende la pluralità dei significati dell’ente non debba essere interpretato come qualcosa di intermedio tra la pura sinonimia o univocità e la pura omonimia o equivocità. In effetti, da un certo punto di vista (che non è quello della successiva storia dell’analogia) si potrebbe perfino sostenere che l’intero progetto della Metafisica aristotelica si fonda sulla convinzione che i principî della realtà siano analogicamente comuni, e non realmente gli 1 Cfr. in particolare P. Aubenque, Les origines de la doctrine de l’analogie de l’être. Sur l’histoire d’un contresens, in Les Études philosophiques, 1978, pp. 3-12; id., Sur la naissance de la doctrine pseudo-aristotélicienne de l’analogie de l’être, in Les Études philosophiques, 1989, pp. 221-304;

poi entrambi ripresi in id., Problèmes aristotéliciens. I: Philosophie théorique, Vrin, Paris 2009,

rispettivamente pp. 239-250 e pp. 251-265. Ma cfr. anche E. berti, L’analogia dell’essere nella tradizione aristotelico-tomista, in AA.vv., Metafore dell’invisibile, Morcelliana, Brescia 1984, pp.

13-33; id., L’analogia in Aristotele. Interpretazioni recenti e possibili sviluppi, in G. CAsettA (a cura

di), Origini e sviluppi dell’analogia. Da Parmenide a S. Tommaso, Edizioni Vallombrosa, Roma 1987, pp. 94-115, poi in E. berti, Nuovi studi aristotelici. II: Fisica, antropologia e metafisica,

Morcelliana, Brescia 2005, pp. 319-332; Id., Aristotele: analogia dell’essere o dei princìpi?, in Archivio di filosofia, 84 (2016), pp. 65-73.

Prefazione

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viii Prefazione stessi, in tutte le cose2. L’analogia sembra così riguardare, in Aristotele, le

cause e i principî dell’ente, più che l’ente in quanto tale: dunque più la sfera dei principî – per stare alla distinzione degli Analitici Secondi – che quella del soggetto della nuova scienza cercata. Per quel che riguarda poi i molte-plici significati dell’ente, è Aristotele stesso a precisare che essi non sono del tutto disparati e privi di connessione, ma fanno comunque riferimento a un significato principale che è – com’è ben noto – la sostanza. Le diverse classificazioni delle “cose che si dicono in più sensi” che si ritrovano, più o meno esplicitamente, nell’Etica Nicomachea, nella Fisica e nella Metafisica sembrano suggerire che l’ente rappresenti per Aristotele un caso di omonimia debole o relativa, che si colloca appunto in uno spazio più o meno a metà strada tra la sinonimia e l’omonimia assoluta o “casuale”. Già a partire da Alessandro di Afrodisia, i commentatori cercheranno di precisare meglio i li-miti e la natura di questo caso intermedio, dando così vita alla progressiva co-stituzione (prima a livello di contenuto, e poi di denominazione) della dottrina dell’analogia dell’ente3. Ma questa vicenda riguarda soltanto la questione dei

rapporti tra sostanza e accidente, ovvero quella che si potrebbe definire – co-me abbiamo fatto in altre circostanze – l’analogia dell’ente in senso “orizzon-tale” o transcategoriale. L’altro possibile modo di intendere l’analogia, e cioè il rapporto “verticale” tra l’essere della causa (e in particolare della Causa Prima, dell’Uno o di Dio) e l’essere degli effetti, sembra invece trovare la sua origine all’interno della tradizione neoplatonica: in prima istanza, nella disputa a distanza tra Dexippo e Plotino intorno alla possibilità di pervenire a conoscere la sostanza intelligibile a partire da quella sensibile4, e poi ancor

più nei teoremi dell’Elementatio theologica procliana intorno alla causalità circolare e alla presenza reciproca – sia pure secondo gradi ontologici ben diversi – delle cause negli effetti e degli effetti nelle cause.

2 Arist., Metaph., XII, 4, 1070 b 16-20.

3 Nell’ambito della copiosa letteratura sulla progressiva genesi dell’analogia nella tradizione

aristotelica cfr. soprattutto A. de LiberA, Les sources gréco-arabes de la théorie médiévale de l’ana-logie de l’être, in Les Études philosophiques, 1989, pp. 319-345; J. LonfAt, Archéologie de la notion d’analogie d’Aristote à saint Thomas d’Aquin, in Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge, 71 (2004), pp. 35-107; P. vALLAt, Fa-ra-bı- et l’École d’Alexandrie. Des prémisses de la connais-sance à la philosophie politique, Vrin, Paris 2004; J.-F. Courtine, Inventio analogiae. Métaphysique et ontothéologie, Vrin, Paris 2005; E.J. Ashworth, Les théories de l’analogie du XIIe au XVIe siècle,

Vrin, Paris 2008 (Conférences Pierre Abélard).

4 Cfr. in proposito R. ChiArAdonnA, Sostanza movimento analogia. Plotino critico di Aristotele,

Bibliopolis, Napoli 2002 (Elenchos, 27), in part. il c. 3; Id., Plotino critico dell’analogia, in Archivio di filosofia, 84 (2016), pp. 75-86.

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Tra i tornanti dell’analogia ix Questo duplice processo costitutivo dell’analogia si sarebbe compiuto, e sovrapposto, nel Medioevo latino. Tradizionalmente, l’analogia viene in effetti considerata come uno dei tratti distintivi del pensiero di Tommaso d’Aquino. Ma in verità Tommaso non sembra avere una posizione perfettamente lineare né a proposito del rapporto analogico che si dà tra la sostanza e gli altri generi sommi dell’essere, ovvero gli altri predicamenti, né a proposito di quello che si dà tra i nomi divini e le perfezioni creaturali. Per quanto riguarda il primo aspetto, Tommaso sembra dapprima adottare una concezione di ispirazione fondamentalmente averroista, che emerge in quello che è forse il primissimo scritto di Tommaso, il De principiis naturae (composto tra il 1252 e il 1256, presumibilmente nel 1252-53): la sostanza è considerata in senso stretto come soggetto e causa materiale degli accidenti, e l’analogia viene pertanto interpre-tata come attribuzione uni subiecto5. Nello Scriptum sulle Sentenze, che risale

per altro agli stessi anni (essendo stato completato e diffuso prima del 1256), Tommaso insiste invece soprattutto sul fatto che tanto la sostanza quanto gli accidenti partecipano della ragione comune di ‘ente’ secondo un ordine di anteriorità e posteriorità, ovvero secondo gradi diversi di perfezione: l’analogia sembra in questo caso designare la partecipazione o almeno la relazione di due nature a una terza (duorum ad tertium)6. Nel Commento alla Metafisica, che è

ben più tardo (tra la seconda reggenza parigina e l’ultimo periodo napoletano), Tommaso ripropone l’interpretazione averroista, affermando che tra sostanza e accidenti si dà un rapporto analogico solo in quanto la prima è soggetto (e dun-que, in senso lato, causa materiale) dei secondi: viene esplicitamente esclusa ogni forma di causalità efficiente o finale (ab uno e ad unum)7.

Ancora più delicato e complesso è il caso del rapporto tra l’essere divino 5 thomAsde Aquino, De principiis naturae, § 6, cura et studio Fratrum Praedicatorum, Editori

di San Tommaso, Roma 1976 (Sancti Thomae de Aquino Opera Omnia, 43), pp. 46-47, ll. 19-62, in part. pp. 46-47, ll. 33-55. Cfr. Averroes, Commentarium Magnum in Metaphysicam Aristotelis,

apud Iunctas, Venetiis 1562, rist. anast. Minerva, Frankfurt a.M. 1962 (Aristotelis Opera cum Averrois Commentariis, VIII), IV, t.c. 2, f. 65vH-I: «Et intendebat per hoc declarare, quod attributa ei, aut attribuuntur eidem fini, aut eidem agenti, aut eidem subiecto, sicut novem praedicamenta substantiae. [...] Praedicamenta enim attribuuntur substantiae, non quia est agens aut finis eorum, sed quia constituuntur per illam, et subiectum est eorum».

6 Cfr. thomAsde Aquino, Scriptum super libros Sententiarum, Prologus, art. 2, ad 2, ed. A. oLivA

in Les débuts de l’enseignement de Thomas d’Aquin et sa conceptions de la sacra doctrina. Avec l’édition du prologue de son Commentaire des Sentences (Bibliothèque thomiste, 58), Vrin, Paris 2006, pp. 316-317, ll. 45-52; Scriptum super libros Sententiarum, I, dist. 19, q. 5, art. 2, ad 1, ed. P. Mandonnet, Lethielleux, Paris 1929, p. 492.

7 thomAsde Aquino, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, IV, lect. 1, ed.

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x Prefazione e quello creaturale. Nel Commento alle Sentenze Tommaso sembra esitare tra due modi diversi di intendere l’analogia di attribuzione: o come dipendenza diretta di una cosa dall’altra (unius ad alterum; è il modello che nella tradi-zione tomista sarà chiamato analogia di proportradi-zione diretta o di imitatradi-zione)8,

o come partecipazione di due termini a una stessa natura, secondo il modello adoperato appunto nello stesso scritto per descrivere anche il rapporto tra la sostanza e gli accidenti (rapporto di due cose a una terza – duorum ad tertium – o analogia di convenienza). In quest’ultimo senso, Dio e le creatu-re partecipecreatu-rebbero, secondo un ordine gerarchico diverso, della natura di una data perfezione, e anche – come sembra potersi intendere – dell’ente: la convenienza scongiurerebbe in questo caso la totale equivocità dell’ente, mentre il diverso grado di perfezione eliminerebbe il rischio di una piena univocità tra l’essere divino e quello creaturale. Nelle questioni De veritate (1256-59), e in particolare nell’art. 11 della q. 29, Tommaso sembra cambiare

completamente impostazione, abbandonando tanto l’analogia di imitazione quanto quella di convenienza, e adottando assai più risolutamente quella di proporzionalità, ovvero di un rapporto a quattro termini: Dio sta al suo essere come la creatura sta al proprio essere (Tommaso si riferisce in realtà al caso della “scienza”, ma anche in questo caso il modello proposto sembra potersi applicare ugualmente all’ente). Questa soluzione ha in effetti il vantaggio di escludere sia che Dio e le creature convengano in una natura ‘terza’ (analogia di convenienza) sia che tra essi si dia una proporzione finita, determinata (che è il rischio implicito dell’analogia di proporzione diretta o imitazione). La proporzionalità esclude che ci sia qualcosa di veramente comune tra Dio e le creature, limitandosi a considerare l’uguaglianza estrinseca dei rapporti (quello di Dio con il proprio essere, e quello della creatura con il proprio essere). Ma non è difficile scorgere anche l’inconveniente di questa nuova sistemazione: il rapporto che intercorre tra l’essenza divina assolutamente semplice e le sue perfezioni (che non si distinguono in alcun modo realmen-te da essa), o tra l’essenza divina e il suo essere, è evidenrealmen-temenrealmen-te del tutto diverso da quello che intercorre tra l’uomo (o qualsiasi sostanza finita) e il suo essere e le sue perfezioni, che non sono identiche alla sua essenza. In effetti, nei principali scritti successivi (Summa contra Gentiles, Quaestiones 8 Cfr. anche thomAsde Aquino, Scriptum super libros Sententiarum, I, dist. 35, q. 1, art. 4, ed.

Mandonnet, pp. 818-821, in part. p. 820.

9 Cfr. thomAsde Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, q. 2, art. 11, cura et studio Fratrum

Praedicatorum, Ad Sanctae Sabinae, Roma 1970 (Sancti Thomae de Aquino Opera Omnia, 22), pp. 77-80, in part. p. 79, ll. 135-177.

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Tra i tornanti dell’analogia xi de potentia e Summa theologiae), Tommaso decide di tornare sui suoi passi, preoccupandosi tuttavia anche di sciogliere l’ambiguità presente nel Com -mento alle Sentenze: l’analogia tra l’essere divino e quello creaturale deve essere intesa esclusivamente come rapporto unius ad alterum, e non come rapporto duorum ad tertium. Il rapporto tra Dio e le creature viene inoltre considerato sia dal punto di vista della causalità formale che da quello della causalità efficiente, attraverso una piena integrazione dei due aspetti: Dio, producendo le creature, imprime in esse qualcosa delle sue perfezioni (in base al principio per cui omne agens agit sibi simile, ogni agente produce qualcosa di simile a sé)10.

Se c’è una cosa che merita di essere sottolineata, in questo percorso piut-tosto accidentato e segnato da non pochi scarti, è che per Tommaso l’analogia si declina comunque in modi diversi, e che alcuni di essi coesistono talvol-ta in parallelo: un modello determinato può essere adottalvol-tato per il rapporto sostanza-accidenti, e un altro – nello stesso periodo o nello stesso contesto – per il rapporto tra essere divino ed essere creaturale. Una conferma signi-ficativa a questo proposito è offerta dal fatto che in molti testi egli distin-gue accuratamente il caso dell’ente da quello degli altri esempi proposti da Aristotele (‘sano’ o ‘salutare’ e ‘medico’), mentre in alcuni (come nell’art. 11 della q. 2 delle Quaestiones de veritate) non sembra avere problemi a collocarli sotto lo stesso tipo o modo di analogia.

Non è così del tutto sorprendente che quando Giovanni Duns Scoto muove la sua offensiva nei confronti della dottrina analogica e a favore dell’univo-cità dell’ente (un’offensiva che – come conviene precisare – non comporta tuttavia affatto la rinuncia a qualsiasi uso dell’analogia dell’ente, a dispetto delle contrapposizioni stereotipate di una lunga consuetudine storiografica), egli scelga di confrontarsi non con Tommaso d’Aquino, ma con Enrico di Gand: è dunque quest’ultimo – pace Gilson – il più autorevole candidato a essere considerato, all’interno della tradizione latina, come il vero e pro-pio campro-pione, se non il vero e proprio padre, della dottrina dell’analogia dell’ente11. Non è evidentemente il caso di tornare qui sul confronto a

di-10 Cfr. thomAsde Aquino, Summa contra Gentiles, I, c. 34, cura et studio Fratrum

Praedicato-rum, Typis Riccardi Garroni, Romae 1918 (Sancti Thomae de Aquino Opera Omnia, 13), p. 103;

Quaestiones disputatae de potentia, q. 7, art. 7, ed P.M. Pession in Thomas de Aquino, Quaestiones disputatae. II, Marietti, Torino-Roma 196510, p. 204; Summa theologiae, Iª, q. 13, art. 5, Edizioni

San Paolo, Cinisello Balsamo 19883 (testo dell’edizione leonina emendato con le correzioni

appor-tate successivamente dalla stessa Commissio Leonina), p. 64.

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xii Prefazione stanza tra Scoto ed Enrico12, e tuttavia almeno due aspetti della posizione

enrichiana meritano di essere richiamati: (i) anche per Enrico il rapporto analogico che sussiste tra l’essere divino e quello creaturale non coincide con quello, ugualmente analogico, che sussiste tra la sostanza e le altre ca-tegorie: mentre quest’ultimo si fonda – secondo il modello averroista – sul fatto che tutti gli accidenti possono essere ricondotti alla sostanza come al loro soggetto (cioè alla loro causa materiale), il rapporto tra Dio e le creature si fonda sul fatto che Dio è causa formale ed efficiente delle creature stesse; (ii) nonostante l’essere divino e quello creaturale non abbiano tra loro nulla di realmente (e positivamente) comune, resta vero che è possibile avere accesso all’essere divino a partire dall’ente colto nella sua indeterminatezza massimamente generale, attraverso un processo di purificazione (astrazione/ separazione) che permetta di isolare, alla fine, la nozione di un essere puro necessariamente esistente.

Quest’ultimo aspetto è uno di quelli che destano le maggiori perplessità da parte di Scoto: se si nega una qualsiasi forma di comunanza (anche solo ‘logica’) tra l’essere creaturale e l’essere divino, come si può passare dall’uno all’altro? Ovvero: se non esiste un concetto ‘terzo’, in qualche modo univoco, che include tanto l’essere divino quanto quello creaturale, ma si danno solo due concetti analoghi realmente distinti, come si può evitare di incorrere in una fallacia aequivocationis tutte le volte che si pretende di conoscere qual-cosa di Dio a partire dalle creature?13 E la stessa obiezione vale ovviamente

per quel che riguarda la possibilità di conoscere la sostanza (che di per sé non cade nell’ambito dell’esperienza sensibile) a partire dagli accidenti che possiamo cogliere con i sensi14.

of Ghent on Analogy. Critical Reflections on Jean Paulus’ Interpretation, in W. vAnhAmeL (ed.), Hen-ry of Ghent. Proceedings of the International Colloquium on the Occasion of the 700th Anniversary

of His Death (1293), Leuven University Press, Leuven 1996 (Ancient and Medieval Philosophy, I/15), pp. 71-105. Cfr. anche M. PiCkAvé, Henry of Ghent on Metaphysics, in G.A. wiLson (ed.), A Companion to Henry of Ghent, Brill, Leiden-Boston 2011 (Brill’s Companions to the Christian

Tradition, 23), pp. 153-179, in part. pp. 159-166.

12 Mi permetto di rimandare a P. Porro, Contro e dentro l’univocità. Le trasformazioni dell’analo-gia tra Tommaso d’Aquino, Enrico di Gand e Giovanni Duns Scoto, in R. sALis (a cura di), La dottrina dell’analogia dell’essere nella «Metafisica» di Aristotele e i suoi sviluppi nel pensiero tardo-antico e medievale, Il Poligrafo, Padova 2019, pp. 247-286.

13 Cfr. ioAnnes duns sCotus, Ordinatio, I, dist. 3, pars 1, qq. 1-2, studio et cura Commissionis

Scotisticae, Typis Polyglottis Vaticanis, Civitas Vaticana 1954 (Ioannis Duns Scoti Opera Omnia, 3), p. 18, § 26 e pp. 21-22, § 35.

14 Cfr. ioAnnes duns sCotus, Lectura, I, dist. 3, pars 1, qq. 1-2, studio et cura Commissionis

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Tra i tornanti dell’analogia xiii Questa (doppia) radicale obiezione di Scoto costituisce di fatto il punto nevralgico intorno a cui comincia a coagularsi una tradizione tomista intorno all’analogia – una tradizione che si costituisce paradossalmente a partire dal tentativo di difendere Tommaso dalle accuse che Scoto aveva in realtà rivolto a Enrico. Non si tratta ovviamente di un puro equivoco: già a partire dai primi anni del XIV secolo, i tomisti si mostrano perfettamente consapevoli del fatto che gli argomenti di Scoto colpivano comunque una delle dottrine elaborate – sia pure nel modo tortuoso che si è detto – dal loro caposcuola.

All’interno di questa tradizione, Tommaso de Vio, il cardinal Gaetano, rappresenta uno snodo fondamentale, come la storiografia del XX secolo aveva per altro già ampiamente riconosciuto. Come ha osservato Domenic D’Ettore in una delle più recenti ricostruzioni delle differenti interpretazioni dell’analogia nella storia del tomismo, «the majority of the Thomists [...] are either direct influences on Cajetan or directly influenced by him» – una po-sizione ‘centrale’ che consolida l’immagine già consolidata che fa del Gaeta-no «the most influential contributor on these disputed questions»15. Il lavoro

di Annalisa Cappiello – che include, insieme a un ampio saggio introduttivo, le traduzioni commentate del De nominum analogia e del De conceptu entis – colma così una lacuna non proprio secondaria o irrilevante nel panorama italiano degli studi su questa tradizione. Annalisa Cappiello ricostruisce allo stesso tempo con finezza e sobrietà sia le principali vicende attraverso cui la problematica dell’analogia perviene al Gaetano, sia il modo in cui egli stesso la rielabora (confrontandosi non solo con Scoto e gli scotisti, ma anche se non soprattutto con i suoi predecessori all’interno della tradizione tomista), sia infine le principali interpretazioni da parte degli interpreti più recenti – non sempre propriamente benevole – della sua peculiare rielaborazione/fissazio-ne di una dottrina che in Tommaso d’Aquino, come detto, era in definitiva rimasta piuttosto fluida.

Al Gaetano è stata spesso addossata la colpa di aver frainteso Tommaso, attribuendo a quest’ultimo tesi che non avrebbe di fatto sostenuto. Senza voler entrare qui nell’annosa, e in definitiva sterile, questione della fedeltà o infedeltà del Gaetano nei confronti del suo caposcuola, resta fuor di dubbio p. 265, § 110. Cfr. in proposito G. Pini, Scotus on Doing Metaphysics in statu isto, in M.B. inghAm

/ o. byChkov (eds), John Duns Scotus, Philosopher. Proceedings of “The Quadruple Congress” on

John Duns Scotus. Part 1, Aschendorff, Münster / The Franciscan Institute, St. Bonaventure, NY 2010 (Archa Verbi. Subsidia, 3), pp. 29-55, in part. p. 29.

15 D. d’ettore, Analogy after Aquinas. Logical Problems, Thomistic Answers, The Catholic

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xiv Prefazione che le sue interpretazioni non sono quasi mai banali, ripetitive o puramente ‘di scuola’: il tomismo del Gaetano nasce da una riconsiderazione avvertita e consapevole dei problemi affrontati da Tommaso, e non dalla semplice volontà di riproporne le soluzioni, o le presunte soluzioni – il che spiega il giudizio ambivalente o anche la vera e propria diffidenza che i neoscolastici hanno talora avuto nei suoi confronti. Il Gaetano è così un tomista controcor-rente, se non proprio ‘dissidente’, per riprendere l’espressione che compare nel titolo di questo volume, e che costituisce forse la cifra più significativa, oltre che il filo conduttore, del lavoro ricostruttivo di Annalisa Cappiello. La pubblicazione di questo volume rientra nel progetto PRIN Averroism. History, Developments and Implications of a Cross-cultural Tradition (PRIN 2017, Unità di Torino, 2017H8MWHR_1), un programma di ricerca che si propone non solo di esaminare filologicamente l’influsso di Averroè sul pen-siero latino ed ebraico del Medioevo, ma anche di esplorare la persistenza nel lungo periodo di alcuni temi di matrice averroista. E l’analogia dell’ente, come si è detto, è uno di quei punti – finora sostanzialmente inesplorati – in cui, a dispetto di numerosi e consolidati luoghi comuni storiografici, Tomma-so d’Aquino sembra far propria un’interpretazione genuinamente averroista, trasmettendola così (sia pure in forma non dichiarata, e dunque non ricono-scibile) a una tradizione di pensiero che avrebbe invece fatto di Tommaso il paladino a tutto tondo dell’antiaverroismo.

Pasquale Porro Università degli Studi di Torino

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