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Il fenomeno espressivo a partire da E. Cassirer. Implicazioni gnoseologiche ed estetiche.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

in

Filosofia Teoretica

Il fenomeno espressivo a partire da E. Cassirer.

Implicazioni gnoseologiche ed estetiche

RELATORE CANDIDATO

Dott. Danilo Manca Riccardo Maria Vicari

CORRELATORE

Prof. Alfredo Ferrarin

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1

A chi lotta ogni giorno per esprimere se stesso ed essere libero

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2

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO PRIMO Divenire, fenomeno espressivo e concetto 8

1. Divenire 8

1.1. Divenire eracliteo 9

1.2. Il divenire eracliteo in Cassirer 14

1.3. Divenire goethiano 17

1.4. Prospettiva cassireriana 20

2. Il fenomeno espressivo nel pensiero di Ernst Cassirer 25

2.1. Presupposti teorici del fenomeno espressivo 25

2.2. Analisi del concetto di fenomeno 28

2.3. Analisi del concetto di espressione, fra spirito e vita 33 2.4. Il fenomeno espressivo e la posizione dell’Io 38

2.5. Il fenomeno espressivo e le forme simboliche 46

2.6. Obiettivi di indagine e metodologie di ricerca 51

3. Funzione della concettualizzazione 56

3.1. Concettualizzazione nell’opera di Ernst Cassirer 56

3.2. Concetto come prodotto formale 57

3.3. Rapporto con la percezione 59

3.4. Consapevolezza del rapporto dialettico soggetto-oggetto 64

3.5. Concetto-funzione 68

CAPITOLO SECONDO L’opera d’arte come messa in forma del fenomeno espressivo.

Il caso particolare della musica 72

1. La portata conoscitiva dell’arte 73

1.1. La teoria estetica di Cassirer 74

1.2. L’arte come esperienza in Dewey 81

1.3. La questione estesiologica di Plessner 90

2. Arte, mito e conoscenza 97

2.1. Istituzione della realtà mitica ed estetica 98

2.2. Istituzione mitica di una realtà sonora 108

3. Il caso particolare della musica 120

3.1. Suono, ritmo e melodia 121

3.2. Pensiero e pensiero musicale 140

CONCLUSIONE 153

BIBLIOGRAFIA 157

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3 INTRODUZIONE

Questo elaborato ha come obiettivo l’approfondimento di una tematica poco chiara, ma estremamente importante all’interno del sistema filosofico di Ernst Cassirer: il fenomeno

espressivo. Nel corso della ricerca mi sono reso conto della difficoltà nella circoscrizione

dell’oggetto e della vastità delle implicazioni storiche, estetiche e gnoseologiche che questo dispositivo teorico si trascina. Nel terzo volume della Filosofia delle forme

simboliche. Fenomenologia della conoscenza (1929) il problema è esposto come il

fenomeno che sta alla base di ogni prestazione del pensiero. Ciononostante la brevità della caratterizzazione del fenomeno espressivo da parte di Cassirer ci porta ad approfondire l’origine, le conseguenze e le relazioni con altri autori che come Cassirer hanno sollevato il problema dell’espressività come sostrato conoscitivo e della creazione di strumenti derivati dall’interazione tra la nostra struttura naturale e spirituale, tra la nostra coscienza e il nostro pensiero.

Le prime domande cui cercherà di dare risposta questa tesi riguardano l’origine e le influenze che hanno portato Cassirer all’elaborazione della teoria del fenomeno espressivo.

L’elemento principale che fa da sfondo teorico e fenomenologico è il divenire inteso nella concezione eraclitea che Cassirer, attraverso la sua conoscenza e influenza goethiana, cerca di applicare alle categorie gnoseologiche e scientifiche a lui contemporanee come nel caso de Sulla teoria della relatività di Einstein del 1920. Il divenire viene affrontato come il procedere naturale della materia che determina l’emergere di ogni fenomeno; esso risulta anche come la qualità stessa dei fenomeni che continuamente mutano portando il pensiero alla necessità di circoscrivere questa metamorfosi per conoscerla e vivere all’interno del mondo. Nel processo conoscitivo il divenire viene però perduto in favore di funzionalità e oggettività, da questo problema sorge il bisogno da parte di Cassirer di esplorare quel momento all’interno dello sviluppo del pensiero in cui divenire e pensiero si trovano in una relazione dialettica non ancora risolta ma aperta ed effettiva.

Se pensiero oggettivante e divenire sono opposti dialettici, come in Eraclito, l’analisi dell’apertura del divenire alla nostra struttura conoscitiva passa attraverso la coscienza, un momento astratto dello sviluppo del pensiero in cui non vi è oggettivazione, in cui l’accadere viene considerato nel suo manifestarsi.

Dall’analisi del momento della coscienza possiamo comprendere la caratteristica mediana del fenomeno espressivo poiché entrambi emergono dalla collisione tra la nostra struttura fisiologica e il mondo.

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4 Il fenomeno espressivo in quanto tale è il risultato dell’operazione di pensiero che circoscrive il manifestarsi dell’accaduto, in quanto espressione è invece caratterizzato da immediatezza e mutamento vitale. A livello gnoseologico il fenomeno espressivo sta a metà tra uno stadio conoscitivo espressivo non riconducibile in concetti, uno stadio di mutevolezza e pienezza del divenire e uno stadio conoscitivo oggettivante poiché fa da stimolo per il processo di delimitazione del fenomeno in oggetto.

Queste caratteristiche lo rendono affascinante dal punto di vista della ricerca poiché è apparentemente difficile rendersi conto nella quotidianità dell’esistenza e dell’utilizzo di un fenomeno espressivo; ogni volta che cerchiamo di definire un momento di espressività per metterlo di fronte al nostro pensiero usciamo dalla mutevolezza e dalla processualità di cui è portatore.

La perdita dell’immediatezza è ciò che tenta di risolvere il pensiero attraverso la concettualizzazione che per Cassirer, nella sfumatura del concetto-funzione, cerca sia di circoscrivere il fenomeno che mantenere viva almeno quell’indicazione espressiva fornita dal fenomeno espressivo, il tono espressivo, che dà funzionalità al concetto. Un concetto del genere non può basarsi su criteri di sostanzialità poiché l’obiettivo non è la semplice sintesi di una molteplicità o la determinazione a priori di possibilità fenomeniche quanto piuttosto il delineare il percorso della strada aperta dal fenomeno espressivo, restituire al pensiero le linee guida per rivivere con distanza un’esperienza espressiva irrecuperabile. Le teorie di funzionalità e sostanzialità sono presenti in opere precedenti all’elaborazione teorica del fenomeno espressivo, ciononostante riusciamo a comprenderle solo grazie ad esso. Il valore aggiunto dal fenomeno espressivo sta nel restituire a ciò che appare più astratto, come un concetto, un’origine vitale, espressiva e umana e nel mantenere viva l’esperienza dialettica tra divenire e coscienza da cui deriva ogni costruzione del pensiero. Il fenomeno espressivo è anche molto importante per comprendere il carattere antropologico del pensiero cassireriano in quanto ogni produzione del pensiero dipende da una specifica reazione al divenire che genera anche una particolare modalità costruttiva e conoscitiva del pensiero che prende il nome di forma. Ogni forma e ogni produzione del pensiero restituiscono all’essere umano uno specifico punto di vista sul mondo. La forma che cerca di restituire il fenomeno espressivo nella sua relazione con la coscienza è quella artistica ed estetica. Come vedremo Cassirer non sviluppa una vera e propria filosofia dell’arte se non all’interno di una delle sue ultime opere Saggio

sull’uomo del 1944. Questo testo ci permette di ricostruire la frammentarietà del discorso

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5 conoscitiva fondamentale per la comprensione del nostro rapporto con il divenire e della libertà formatrice che caratterizza la costruttività del nostro agire nel mondo.

Attraverso l’arte l’essere umano è in grado di rendere disponibile al pensiero, grazie alla manipolazione della materia, una tensione derivata dal proprio stare al mondo mantenendo vivo il mutamento e la processualità che caratterizza la dialettica espressiva. L’arte sussiste, come il fenomeno espressivo, in una posizione mediana tra divenire e oggettualità, non ha come obiettivo il farci conoscere il fenomeno nelle sue caratteristiche quanto il mostrarci i molteplici punti di vista attraverso cui è possibile avere una considerazione espressiva di esso: non circoscrive x, ce lo mostra per come appare alla coscienza dell’artista, non amplia la nostra conoscenza ma la intensifica, ci permette di ascoltare e vedere le cose in maniera diversa dal quotidiano sguardo oggettivo del pensiero.

L’arte come forma conoscitiva dell’espressività ci dà la possibilità di ampliare la trattazione volgendo lo sguardo a due autori contemporanei a Cassirer: Dewey e Plessner. La relazione principale che lega Cassirer a Dewey sussiste nella considerazione dell’arte come forma che determina esperienza e conoscenza di ciò che accade all’interno della coscienza. Ciò è possibile grazie all’opera d’arte che restituisce l’impulso del divenire incarnato nella materia, essa è estrinsecazione di una molteplicità in continuo sviluppo e grazie alla materialità ne permette la percezione in quanto oggetto veicolo di espressione. La forma artistica che maggiormente ci restituisce il mutare dell’espressione attraverso una materia in continuo sviluppo è la musica. La scelta di analizzare solo questa forma deriva sia dalle sue caratteristiche fenomenologiche, che la rendono adatta ad un’applicazione del fenomeno espressivo, sia dalla mia formazione accademica musicale che mi ha permesso uno sguardo interno sul problema.

Per un’analisi fenomenologica della musica risulta rilevante confrontarsi con Plessner e Schutz che hanno cercato di restituire un ruolo centrale all’esperienza musicale per la conoscenza espressiva dal punto di vista del compositore, dell’esecutore e del fruitore dell’opera. Plessner si focalizza soprattutto sull’analisi della materia sonora, sulle sue caratteristiche fisiche che la rendono espressione materiale del divenire: il suono nella sua continua mutevolezza è la materia migliore attraverso cui dare forma all’espressività, ci fa sentire parte integrante del suo sviluppo data la sua pervasività, a differenza di altri materiali plastici che cristallizzano l’espressione e ce la restituiscono ad una distanza fissa. La musica e il suono non stanno di fronte a noi come un quadro, siamo noi al suo interno e nel suo manifestarsi, pervadono il nostro corpo come struttura fisiologica e

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6 permettono il sorgere della consapevolezza della nostra corporeità poiché siamo in grado con il nostro stesso corpo di produrre e manipolare la materia sonora. Grazie alla forma artistica musicale l’essere umano è in grado di costruire opere che gli restituiscono il fenomeno espressivo oltre che la sua stessa capacità di dargli forma. In quanto prodotto del pensiero svolge un importante ruolo culturale e antropologico poiché dà vita e rende disponibile la nostra posizione particolare attiva e passiva di fronte al mondo.

La valenza antropologica dell’arte e della musica viene qui approfondita attraverso un confronto tra la forma mitica cassireriana e la naturalità e ritualità della forma musicale analizzata da Schneider in Il significato della musica del 1970 caposaldo dell’etnomusicologia. L’obiettivo di questo confronto è mostrare come l’arte e la musica rendano vive e percepibili delle tensioni che fanno da punto di partenza per una comprensione espressiva del mondo. La musica svolge un ruolo di presentazione effettiva del fenomeno, soprattutto all’interno di un contesto mitico in cui non esiste distanza tra fenomeno, forma musicale e valenza divina. L’esperienza rituale della musica e dell’arte pone l’essere umano di fronte alle sue facoltà creatrici dandogli la possibilità di sperimentare e istituire categorie fondamentali della conoscenza come ad esempio la temporalità, l’Io e la libertà formatrice.

La musica apre l’essere umano al mondo e alla consapevolezza di sé e degli altri Io che partecipano al processo di messa in opera dell’opera d’arte. La funzione dell’intersoggettività generata dalla musica viene qui analizzata attraverso il breve saggio di Schutz Fare musica insieme (1951) che pone l’accento sulle numerose stratificazioni temporali implicate nel processo musicale e la relazione comunicativa espressiva dei diversi soggetti in gioco. Un’analisi particolare viene qui svolta in riferimento alla figura dell’esecutore, Io in grado di ripercorrere fenomenologicamente e attivamente tutto il processo di messa in forma dell’opera musicale scomponendo e ricomponendo la materia sonora, il tempo, il ritmo interiorizzando e rendendo vivo il fenomeno espressivo da estrinsecare nel suo sviluppo e nella sua processualità.

Entrando più nello specifico all’interno della messa in forma del fenomeno musicale esso verrà analizzato dal punto di vista del suono come materia del divenire, del ritmo come espressione della temporalità e della melodia come estrinsecazione dello sviluppo del fenomeno espressivo.

Infine parlando di arte e di musica è importante tenere in considerazione il pensiero dei protagonisti interni al mondo dell’arte. A questo fine è utile gettare uno sguardo alle teorie compositive e formali di Schönberg e Webern che, oltre all’intenso lavoro compositivo e

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7 artistico, si sono occupati della sistematizzazione teorica e teoretica della forma dodecafonica. La scelta di approfondire questi due compositori deriva dall’estrema vicinanza anagrafica e teorica con gli altri autori affrontati nella trattazione. Come vedremo espressionismo e dodecafonia possono essere posti in relazione alle teorie gnoseologiche e fenomenologiche di Cassirer e Plessner soprattutto per quanto riguarda la non oggettività della forma estetica musicale. Questa particolare forma dello spirito viene determinata non da un pensiero oggettivante ma da un pensiero musicale che lavora direttamente per mezzo di suoni e ritmi, non per mezzo di concetti o formule, per restituire l’originario tono espressivo indicato dal fenomeno espressivo in tutta la sua mutevolezza. Dal punto di vista filosofico e musicale la conseguenza principale è la non rappresentatività dell’opera, l’inesistenza di un contenuto esterno di cui l’opera vuole essere estrinsecazione; l’opera d’arte musicale ha sempre un contenuto espressivo e ciò si ripercuote nella materia sonora che, grazie alla sua natura, lo veicola in tutto il suo sviluppo.

Dodecafonia, espressionismo e gnoseologia cassireriana sembrano essere rami dello stesso albero, forme diverse del più generale manifestarsi dello spirito che si intrecciano e implicano in maniera necessaria. La prospettiva gnoseologica e la prospettiva estetica sono solo due finestre che si affacciano sul fenomeno espressivo fra le molteplici possibilità che il nostro pensiero è in grado di determinare per porre dinnanzi a se stesso il divenire.

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8 CAPITOLO PRIMO

Divenire, fenomeno espressivo e concetto 1. Divenire

All’interno delle opere di Ernst Cassirer e in tutto lo sviluppo del suo pensiero emerge la tematica eraclitea del divenire. La lettura e lo studio dell’opera e del pensiero di Goethe è determinante per la maturazione di questa tematica e la sua inclusione nell’impianto teorico cassireriano. L’apice di questa duplice influenza la ritroviamo in particolar modo in Libertà e Forma (1916), nella raccolta di saggi Goethe e il mondo storico (1932), ma anche in Sostanza e Funzione (1910), oltre che nella maggior parte di tutti i suoi scritti. La presenza del divenire in questo ultimo testo è particolare poiché l’impostazione dell’opera è principalmente logico scientifica; nonostante il divenire venga espresso in maniera velata e quasi timidamente, da un Cassirer che voleva imporsi all’interno del panorama neo-critico, ad una più attenta analisi questa tematica sembrerebbe essere la chiave di volta per la comprensione della prospettiva gnoseologica, concettuale e fenomenologica di tutta la sua produzione filosofica.

Un aspetto molto interessante, che richiederebbe uno studio a sé, è la presenza costante di un riferimento al divenire eracliteo nella filosofia della prima metà del Novecento elaborato in maniera differente in base ai vari sistemi teorici. Solo per fare due esempi lo ritroviamo in Heidegger e in Gentile, oltre che nel paradigma scientifico inaugurato dalla Teoria della Relatività e successivamente dalla teoria dei quanti. L’idea dell’incessante mutamento della materia, dei fenomeni, dello stesso essere umano che a questi si rapporta e di tutte le produzioni teoriche e pratiche volte ad arrestare il corso impercettibile del divenire, ha affascinato e affascina tutt’ora gran parte del panorama filosofico, artistico e scientifico.

Il divenire tematizzato nel Novecento, ed in particolare quello elaborato da Cassirer, viene concepito in maniera differente dalla forza sovra-divina, inarrestabile anche per la divinità del sole, plasmata da Eraclito. Nella filosofia contemporanea il divenire può essere considerato la caratteristica spaziotemporale di tutta la materia, ogni cosa, dalla più piccola e veloce all’inimmaginabile grandezza dell’universo che ai sensi appare immobile, è in movimento.

Al fine di una quanto più possibile coerente analisi del divenire nel pensiero cassireriano è importante comprendere quali tematiche vengono estrapolate da Eraclito e quali tra

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9 queste si ripercuotono in Goethe, figura mediana storicamente e teoreticamente che connette Eraclito e Cassirer.

1.1. Divenire eracliteo

Eraclito di Efeso (c.a 535 a.C – 475 a.C) fu uno dei più citati, imitati e criticati filosofi del suo tempo. Il pensatore melanconico, come viene rappresentato nelle raffigurazioni artistiche, è il primo a porre all’interno dell’essere umano la possibilità di comprendere il

Logos, il quale, pur essendo il principio regolatore di tutte le cose, può essere conosciuto

solo dall’individuo. Molti critici1 hanno inteso l’interpretazione da parte di Eraclito della sentenza delfica del «conosci te stesso» in chiave soggettivistica, sottolineando la necessità di interrogare non tanto le cose o se stessi quanto il rapporto conoscitivo che si instaura tra l’essere umano e il mondo all’interno del pensiero.

Il Logos è il principio di unità che regola i fenomeni e il pensiero che nella prospettiva greca assolve un ruolo ontologico come unico elemento nascosto dietro le cose; solo conoscendo l’unità del Logos è possibile riconoscere la continuità e la costanza delle cose. Questo principio può essere conosciuto attraverso la ragione che raccoglie i dati empirici e riconosce nella loro molteplicità un ordine che ai sensi non è possibile percepire. La totalità delle cose non è un semplice insieme derivato dalla somma delle parti, già in Eraclito, come in Cassirer, la totalità è l’insieme dei rapporti instaurati dalla ragione nel suo approccio al reale espresso attraverso una serie di funzioni orientate all’interno di un sistema, anche se in Cassirer questo rapporto non sussiste all’interno delle cose ma nelle forme che noi diamo e nelle funzioni nelle quali riconduciamo il rapporto con il mondo. Per Eraclito il Logos è verità, nonostante questa si nasconda dietro le cose, lapidaria fu appunto l’interpretazione heideggeriana del frammento 8 (123 DK; 10B):

La reale costituzione di ciascuna cosa ha abitudine a nascondersi2

Ciò che ha abitudine a nascondersi è proprio l’unità sottostante al divenire delle cose, il principio comune delle relazioni, il serbatoio che connette le leggi che prendono forma dal lavoro del pensiero. La ricerca del Logos è un processo che passa attraverso l’elaborazione della ragione umana di forme e funzioni messe in relazione per individuarne i rapporti, ciononostante è una ricerca infinita, in continuo sviluppo e

1 Jäger, Paideia (1964), vol. I, p. 334 o altri critici e filologi come Kirk-Raven, Gigon, Wiese;

2 I frammenti di Eraclito citati nel testo fanno riferimento alla numerazione e all’edizione a cura di M.

Marcovich, R. Mondolfo e L. Tarán, Eraclito. Testimonianze, imitazioni e frammenti, con testi greci a fronte e introduzione di G. Reale, Bompiani, Firenze-Milano 2017;

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10 mutamento dato che il principio ordinatore si nasconde. Data l’infinità del processo l’essere umano deve porre e orientare la conoscenza del divenire attraverso i suoi prodotti; ciò comporta la necessità di interrogare se stessi, nel senso di ricercare all’interno delle forme istituite dal pensiero l’ordine che attribuiamo alle cose. Posto il fatto che la verità è accessibile come Logos, e che il Logos sia la totalità delle relazioni, solo la consapevolezza della nostra posizione di soggetti permette la comprensione delle dinamiche del reale.

La funzione creata dal pensiero viene colta grazie al principio degli opposti che esprime la costante tensione e contrapposizione dei fenomeni; ogni cosa sussiste solo grazie alla tensione instaurata con ciò che gli si oppone, la cosa stessa emerge dal divenire nel momento in cui viene a manifestarsi la collisione tra gli opposti, la sintesi dialettica. Nella sintesi dialettica gli opposti mantengono la loro particolarità, per questo motivo viene considerata da Eraclito come tensione retrograda. L’indipendenza e la singolarità degli elementi in tensione possono essere considerate come l’opposto dialettico necessario per la sintesi; all’interno della tensione dialettica vediamo quindi una duplice opposizione, cosa contro cosa e indipendenza della cosa contro sintesi. Se la sintesi esprime in un certo senso la verità della data opposizione, l’indipendenza dei singoli elementi e l’osservazione della generazione della sintesi derivata dalla tensione di entrambi può essere osservata solo attraverso il principio di separazione, il quale deriva dallo spostamento del punto di vista con cui si indaga quello specifico processo.

Ad un primo approccio nulla ci appare derivato da una tensione dialettica, nel momento in cui integriamo questa tensione con l’azione del nostro pensiero sorge il significato della cosa, espresso dal nome e dalla funzione. Ciononostante ciò che noi vediamo e nominiamo rimane lontano dalla sua vera natura, caratterizzata da tensione e divenire; pur volendo integrare più punti di vista possibili, più funzioni possibili, la verità non sta mai nel fenomeno in sé quanto nel Logos, nel sistema in cui riferiamo la funzione, in ciò che garantisce l’unità dell’opposizione.

Per Cassirer il Logos in Eraclito svolge una funzione di condensazione e ordinamento del divenire in grado di domarlo e di dominare il cosmo, una funzione accessibile all’essere umano attraverso il pensiero che fissa, dà forma e istituisce funzioni in modo da limitare e vincolare il mutare dei fenomeni. La forma determinata dal pensiero ha un contenuto derivato dal reale, il quale però viene perso nella costruzione della forma. Dal punto di vista della forma, il contenuto, che mantiene le caratteristiche dell’incontro tra pensiero e divenire, rimane oscuro pur essendo il punto di riferimento verso cui si svolge tutto il

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11 processo conoscitivo. Ciò che noi consideriamo oggetto vuole riferirsi al divenire ma non lo rappresenta davvero, sorge così una tensione dialettica tra le nostre produzioni che tentano di condensare il divenire e il divenire stesso.

Per Eraclito il logos diviene “ciò che guida tutto”. Simile al cosmo che esso domina, nessun dio e nessun uomo l’ha creato, ma esso sempre era e sempre sarà. Ma nel linguaggio mitico che Eraclito ancora continua a parlare, è dato di percepire un tono assolutamente nuovo. Alla concezione mitica si contrappone per la prima volta in piena consapevolezza e chiarezza il fondamentale concetto filosofico-speculativo dell’unitaria e inscindibile legge del tutto. Il mondo non è più in balìa delle potenze demoniache che lo governano ad arbitrio e capriccio, ma è soggetto ad una regola puramente universale che vincola ogni singolo essere e ogni singolo accadimento, a cui indica la sua misura fissata3.

L’opposto dialettico del Logos, nonché tematica principale del pensiero eracliteo, è il divenire. Esso viene identificato come la perenne mobilità delle cose che sono, di tutti i fenomeni naturali, del cosmo e dell’essere umano stesso; se il Logos è unità il divenire è eterna molteplicità, la condizione a cui ogni forma e tutta la materia sono soggette. Il divenire sfugge alla nostra percezione; nonostante sia la caratteristica principale di ciò che abbiamo intorno esso sopraggiunge, accade e si dilegua costantemente, noi stessi ne siamo soggetti e mutiamo insieme a tutto il resto.

Il divenire è l’unico elemento che in realtà permane, muta ogni cosa, ma non il mutare in sé. Ogni fenomeno nel suo divenire, non è percepibile nella sua interezza, ciononostante possiamo dire che esso esista soltanto se ne consideriamo il mutamento; la fissità è non esistenza, o meglio, l’assenza di movimento non è vita. Movimento e fissità sono in ogni caso degli opposti necessari per il rapporto dialettico e permettono la considerazione dei fenomeni. Solo nella sintesi tra movimento e fissità, nell’istante che coagula, possiamo percepire i fenomeni, la sintesi dei rapporti tra i fenomeni è l’unico elemento che riusciamo a percepire. Una cosa è reale nel momento in cui emerge dal divenire, in questo suo emergere è caratterizzata dalla sintesi dei suoi opposti la quale è l’opposto del divenire, anche se viene messa in gioco da elementi sottoposti al divenire. Questo movimento incessante è la struttura di tutto ciò che accade e che esiste, ogni elemento ne è parte indistintamente, è la natura delle cose a cui anche le divinità sono soggette, ciò porta un’uscita dalla dipendenza dell’essere umano dalla verità istituita dalla forza divina.

Questo ordinamento del mondo, il medesimo per tutti gli uomini nessuno degli dei o degli uomini lo ha fatto

3 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. Il linguaggio (1923), PIGRECO Edizioni, Milano 2015, p.

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ma è sempre stato e sempre sarà

un fuoco sempre vivo, che di misura si accende e di misura si spegne4 51 (30DK; 20B)

Il fuoco sempre vivo di cui parla Eraclito ci riporta in un certo senso con i piedi per terra, come citato prima Cassirer sottolinea il fatto che Eraclito continui a camminare nel terreno del linguaggio mitico. Questa affermazione trova riscontro in quanto la dottrina del fuoco esposta da Eraclito esplicita la natura divina dell’elemento igneo e lo pone alla base di ogni determinazione dell’universo. È importante limitare la trasposizione in chiave contemporanea del pensiero antico e soprattutto pre-socratico, possiamo considerare l’enorme significato metaforologico della dottrina del fuoco, ma non dobbiamo dimenticare che, proprio come nella forma mitica, l’istituzione di un simbolo è effettiva, il soggetto vive nel simbolo mitico costituito, per Eraclito il fuoco è tanto divino quanto il sole abbia le dimensioni di un piede. Dobbiamo considerare le conquiste e le intuizioni poste in campo da Eraclito che hanno permesso lo sviluppo storico del pensiero, come appunto la dinamicità costante dei fenomeni, l’inarrestabile mutamento, la partecipazione dell’essere umano a questa condizione insieme a tutte le sue produzioni, la possibilità di conoscere le funzioni e le relazioni che generano i fenomeni le quali ci permettono di osservarli attraverso principi razionali comprensibili.

L’essere umano cerca di rendere costante ciò che diviene attraverso la riproduzione formale dei dati che riesce a ricavare dall’esperienza, dando la possibilità di vedere e sentire ciò che sembra permanere, ciò che a noi appare tale. È il pensiero che deve ricercare la logica, il Logos, la funzione costante che deriva dall’eterno mutamento dei fenomeni, ed estrinsecarla attraverso forme che permettono la riattivazione della funzione e il suo utilizzo.

Il cambiamento è l’unico fattore che rimane costante, il pensiero ricerca in esso la logica che sta dietro la costanza del mutamento, ricerca l’opposto, il Logos; la fissità che deduce il pensiero è data dal valore e dal significato che attribuisce alla funzione costruita per ordinare una precisa serie di fenomeni. Essendo che tutto muta vengono meno le forze trascendenti o immanenti che garantiscono la verità. Per Eraclito la verità è il Logos conosciuto e compreso dall’essere umano attraverso forme del pensiero anch’esse in mutamento; da ciò non possiamo che affermare il mutamento della stessa verità. La verità possiamo intenderla come stabilità temporanea di un sistema logico determinato dalla riflessione dell’essere umano sull’accadere dei fenomeni.

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13 L’essere umano per Eraclito vive questa contraddizione, ha la possibilità di comprendere la logica che sta dietro al mutamento ma allo stesso tempo ne è soggetto. Il Logos e la verità possono essere compresi attraverso la ragione, facoltà dell’anima, la quale in Eraclito prende forma materiale, è localizzata nel sangue ed ha come elemento costitutivo il fuoco che eternamente muta come tutto ciò che è materiale. Possiamo anche comprendere il Logos come principio di ordine dell’accadere, come principio individuale in tensione con il principio della molteplicità, ma rimaniamo pur sempre materia in divenire, sia nella nostra struttura fisiologica sia nella nostra struttura psichica. Il divenire è la trasmutazione del cosmo secondo una necessità fatale, possiamo afferrare questa necessità attraverso strutture formali e logiche che arrestano l’accadere ma nulla mai è, sempre tutto diviene5.

L’obiettivo della conoscenza è di riuscire a mantenere stabile ciò che riesce a dedurre dal contatto con il divenire, così da creare delle strutture in cui potersi orientare. Anche la conoscenza è in divenire, il pensiero è in Cassirer in continuo sviluppo così come tutte le forme che riesce a creare «Così tutta la conoscenza sottostà alla legge eraclitea del divenire»6. Dietro ad ogni produzione del pensiero riposa un legame con il divenire dal quale deriva l’origine e il tono che orientano la formazione dell’oggetto.

Anche in Cassirer il reale si configura come divenire, come un flusso continuo di elementi che nel loro mescolarsi vengono intuiti dalla coscienza. L’osservazione dei fenomeni del cosmo, del cielo sopra di noi, è uno dei primi momenti che portano l’essere umano a comprendere la sua immersione e posizione all’interno del divenire. L’oscurità e la grandezza infinita, o anche la nitida molteplicità della natura sono i primi stimoli che fanno emergere il desiderio di conoscenza, il desiderio di scrutare e far proprio ciò che ad un primo sguardo appare confuso o che davamo per scontato e si ripresenta sotto una nuova luce. Agli albori dello sviluppo del pensiero emerge la presa di posizione nei confronti della natura, la considerazione di se stessi come agenti al suo interno e come costruttori di recinti che ci permettono di orientarci all’interno del mutevole.

La conoscenza può essere considerata come la capacità di ordinare il molteplice e interagire con esso, tutto ciò è possibile soltanto se riusciamo a porci a distanza dalla molteplicità della natura in modo tale da elaborarla con il pensiero. La conoscenza non è

5 Cfr. Platone, Teeteto, tr. it. M. Valgimigli, a cura di A.M. Ioppolo, Editori Laterza, Bari 2002, 152 de, p.

31;

6 E. Cassirer, Il concetto di forma simbolica nelle scienze dello spirito (1923), in Mito e concetto, Ernst

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14 relativa al dato ma all’elaborazione che noi diamo del dato, è sempre un prodotto del pensiero.

Eraclito vede il mondo in maniera radicalmente dinamica dietro al quale è il pensiero che determina un ordine per il pensiero stesso. Egli era consapevole che la percezione, nei cui confini si era mossa fino ad allora la filosofia della natura, non era più in grado di fornire risposte. La risposta ci può essere data solo dal pensiero, perché in esso soltanto l’uomo si libera dai limiti della propria individualità7.

L’obiettivo del pensiero è trasformare l’eterno movimento che è sempre passato ed inafferrabile in un qui ed ora domabile, osservabile, presente. Ogni forma costruita dal pensiero è il culmine di un processo di condensazione e semplificazione delle molteplici singolarità che percepiamo dal divenire dalle quali ci allontaniamo per poter calcolarne la distanza e osservarle da un punto di vista differente. La nostra struttura conoscitiva esige una semplicità e fissità che non rispecchia la dinamicità dei fenomeni, per questo motivo ogni conquista del pensiero è anche un allontanamento dalla reale molteplicità e complessità delle cose. Allo stesso tempo ogni singola forma viene elaborata da ognuno che vi si approccia in maniera differente e a distanza di tempo, con il progredire del pensiero, ogni forma può trovare una collocazione differente in relazione alle altre, può essere reificata, modificata. Ciò che veniva posto come stabile in realtà è tale solo per un periodo limitato di tempo e solo per un determinato contesto; il pensiero e suoi strumenti sono incapaci di rappresentare effettivamente ciò che si mostra alla coscienza, dei fenomeni riescono a conservare soltanto dei ricordi sbiaditi.

1.2. Il divenire eracliteo in Cassirer

Il problema principale del pensiero sta nel risolvere l’immediatezza degli elementi che emergono dal divenire i quali, una volta scomparsi nel loro processo di sviluppo, ci privano della possibilità di comprenderne l’essenza, intendendo per essenza l’originario rapporto che instaura il fenomeno nel momento in cui entra in contatto con la coscienza.

L’istante della percezione immediata si allarga per il pensiero alla totalità del corso del tempo, il quale viene ora abbracciato nel suo insieme in un unico sguardo. Solo questa funzione logica conferisce ad ogni esperimento il suo particolare valore dimostrativo. Ogni affermazione scientifica da noi giustificata con un esperimento si fonda sul tacito presupposto che ciò che viene trovato valido qui ed ora rimanga anche valido per tutti i luoghi e per tutti i tempi finché rimangono invariate le altre condizioni dell’esperimento. […] Da un nuovo punto di vista viene confermato che – come afferma Goethe – ogni fatto è già teoria, giacché

7 E. Cassirer, Sulla logica delle scienze della cultura. Cinque studi (1942), La nuova Italia Editrice, Firenze

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solo il pensiero della necessaria determinatezza dell’accadere conduce a ridurre, per così dire, all’immobilità una singola passeggera osservazione a «stabilirla» come fatto8.

L’indeterminatezza che caratterizza il processo di conoscenza non causa l’abbandono dell’indagine sul reale anzi, è proprio l’indeterminatezza e la mutevolezza delle costruzioni del pensiero che rende la conoscenza un lavoro infinito, che si rinnova costantemente alla ricerca di una sempre maggiore adesione al divenire. Ogni mutamento delle forme porta ad un cambiamento dell’orizzonte, cioè del contesto in cui siamo inseriti dando la possibilità di acquisire un diverso punto di vista da cui osservare il mondo. Questa prospettiva possiamo riscontrarla anche nel pensiero eracliteo leggendo ciò che ci rimane del suo pensiero in chiave gnoseologica. Il pensiero lavora necessariamente scindendo e settorializzando la molteplicità del divenire; ciò è causato da un lato dalla limitatezza dei sensi, dall’altro dal fatto che Logos e divenire si celano dietro ai fenomeni, solo attraverso la riflessione l’essere umano è in grado di dare forma all’espressione generata dalla tensione con il divenire. In Eraclito come per Cassirer dalla tensione tra noi e il reale emerge un’espressione originaria, la quale fa da base per la costruzione delle forme. L’espressione è la linea guida della costruzione del pensiero e custodisce la tensione con il divenire che non viene percepita dai sensi. Il pensiero cerca di utilizzare i dati della percezione, i quali ci restituiscono un mondo isolato e scisso, per determinare una forma che si riferisca alla tensione espressiva la quale però, essendo legata alle dinamiche del divenire, sfugge.

Ogni forma creata è un tassello che aumenta la possibilità di comprendere il Logos come principio di ordine; le differenti forme hanno validità individuale, come oggetti del pensiero, e una validità funzionale, come parte del tutto, in relazione al sistema conoscitivo costruito dall’essere umano. Anche in Eraclito tutto ciò acquista importanza soltanto se viene considerato soggettivamente, come costruito dall’essere umano per l’essere umano perché di per sé la natura delle cose ama nascondersi.

Sorge così una nuova natura, ad uso e misura dell’essere umano, da esso creata per poter conservare le forme delle espressioni che sorgono dalla dialettica con il divenire.

L’insoddisfazione rilevata nei confronti di una conoscenza, per quanto inferiore, dell’essenza individuale, e derivante dalla dispersione in una realtà frantumata e cristallizzata in isolamenti, verrebbe qui placata da questo nuovo γιγνώσκειν, non più interiore ma rappresentativo, che unifica e connette le realtà disperse9.

8 E. Cassirer, Sostanza e funzione (1910), a cura di G Preti, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1973, p. 323; 9 G. Colli, La natura ama nascondersi (1939-1949), a cura di E. Colli, Adelphi, Milano 1988, p. 202;

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16 Se la realtà, il divenire e il Logos si nascondono dietro le cose, davanti ad esse viene costruito un mondo di forme posto come ciò che è conoscibile.

All’interno del mondo delle forme non si ricerca più l’origine delle cose, ma l’origine del rapporto che noi abbiamo con il molteplice e ciò che da esso è emerso come espressione che ha indicato la via al pensiero. In questo orizzonte il pensiero si muove attraverso dei sistemi da esso stesso creati per recuperare la tensione espressiva che aveva dato origine all’intero processo.

Per conoscere se stesso, cioè il rapporto che ha con il reale e la sua posizione in esso, l’essere umano deve interrogarsi come colui il quale è in grado di dare forma e nell’indagine ricercare le cause che vengono dal divenire e gli effetti espressivi che ne permettono la costruzione. L’interrogazione sull’origine costitutiva delle forme è il primo passo verso l’interrogazione di se stessi come soggetti che hanno determinato le forme e successivamente a ciò si apre la strada verso conoscenza di se stessi come Io.

Non vi è alcun atto del conoscere che non sia diretto verso un certo stabile contenuto di relazioni come al suo vero oggetto; come d’altro lato, questo contenuto non si può manifestare e farsi comprendere se non negli atti del conoscere10.

Ciò a cui ci riferiamo nell’interrogazione del reale non sono le cose stesse ma le relazioni che fissiamo come rapporto tra la nostra posizione e i fenomeni. L’oggetto non ha una proprietà in sé, ciò che consideriamo di esso rappresenta il lavoro che il pensiero ha svolto nell’elaborazione formale secondo le proprie necessità. La verità sta nella coerenza che attribuiamo ai diversi rapporti secondo regole costruite per poter ritrovare in esse la costanza logica che il divenire porta via con il suo eterno distruggere. Anche in Cassirer la verità è Logos, se intendiamo questo Logos come sistema generale dei rapporti funzionali derivati dalla riflessione sui fenomeni. Nella prospettiva cassireriana però Logos e verità non sono opposto del divenire, caratterizzati da fissità, ma mutano anch’essi al variare della consapevolezza del pensiero in relazione ai suoi prodotti. La molteplicità del divenire, la costruzione di prodotti volti ad arrestarlo e la prospettiva soggettivistica delle forme che permettono la conoscenza sono i principali punti in cui si incrociano le direttrici filosofiche di Cassirer ed Eraclito. Questi elementi risultano fondamentali e frequenti in tutta la produzione cassireriana e di tutto il suo sistema filosofico all’interno del quale acquistano trame e sfumature sempre differenti, dalla struttura fisica e concettuale del mondo alla tematica gnoseologica e antropologica delle

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17 forme simboliche, per arrivare alle ultime elaborazioni della filosofia della cultura e della metafisica delle forme simboliche. Proprio all’interno degli ultimi frammenti che confluiscono ne La metafisica delle forme simboliche emerge una definizione pregnante dell’idea cassireriana del rapporto tra divenire e forma:

Se ci si mantiene all’interno del puro livello dell’accadere, in effetti non compare mai un “salto”, una rottura della continuità del divenire. Tutte le fasi del divenire, in quanto tali, sprofondano impercettibilmente l’una nell’altra. Ma questo temporale intrecciarsi-l’una-all’altra delle fasi dell’accadere non esclude in alcun modo la radicale differenza, l’opposizione dei contenuti ideali che si presentano nel divenire. Indipendentemente da come si possa sempre rispondere alla questione del divenire delle forme della natura, nel campo del divenire spirituale non domina la legge della mutazione quanto piuttosto la legge della mutazione. Qui un’onda non segue semplicemente un’altra onda in un flusso uniforme, che scorre costantemente, ma una forma si contrappone all’altra in modo chiaro e determinato11. Il divenire fenomenico si ripercuote anche nella struttura del pensiero rendendo il mondo naturale in tensione dialettica con il mondo delle forme. È nella frizione tra queste due sfere che sorge l’infinita capacità costruttiva del pensiero il quale costantemente crea e costantemente si riferisce alle sue creazioni per comprendere il mondo e se stesso fino a riconoscere la posizione che occupa rispetto ad entrambi, una posizione sopraelevata grazie alle forme ma continuamente immersa nel divenire della natura.

1.3. Divenire goethiano

La fonte più importante e imponente per la tematica del divenire in Cassirer è Goethe. Il rapporto che Cassirer ebbe con gli scritti di Goethe e con la sua figura si ripercuote in ogni suo testo e si sviluppa in un dialogo non solo accademico ma anche personale, come se Cassirer ci stesse parlando attraverso Goethe. Lo studio di questo autore è forse la costante maggiore nella vita di Cassirer tanto che l’opera omnia dell’edizione di Weimar di Goethe, in 143 volumi, fu una delle pochissime opere che Cassirer decise di portare con se nell’esilio che lo costrinse in America dal 194112.

Cassirer cerca di rivalutare la figura di Goethe a livello estetico, filosofico e soprattutto scientifico. La tematica del divenire viene ripresa ad esempio analizzando le opere di Goethe di intenzione scientifica, come ad esempio gli scritti riguardanti la generazione delle piante e le sue osservazioni naturalistiche.

11 E. Cassirer, Metafisica delle forme simboliche (1995), a cura di Felix Meiner Verlag, tr. it a cura di G.

Raio, RCS Libri S.p.A., Milano 2003, pp. 48-49;

12 Cfr, E. Cassirer, Goethe e il mondo storico (1932), a cura di R. Pettoello, Editrici Morcelliana, Roma

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18 La maturazione del concetto di divenire sorge dalla riflessione sul mutamento della prospettiva gnoseologica dello spirito tedesco esposta all’interno di Libertà e Forma (1916). Nell’introduzione al testo Cassirer evidenzia che nell’epoca a cavallo tra XVI e XVII secolo si manifesta una sorta di liberazione dalla statica prigionia che caratterizzava la cosmologia e più in generale il pensiero medievale. Le personalità simbolo di questa nuova prospettiva, o vecchia se teniamo in considerazione le riflessioni di Eraclito e Democrito, sono Bruno, per quanto riguarda le sue riflessioni sulla molteplice infinità della natura e le sue teorie gnoseologiche, Copernico e Keplero per quanto riguarda invece l’osservazione e la formalizzazione in formule e concetti dei movimenti del cosmo e di conseguenza della natura.

Questa rinnovata tendenza al divenire rifiuta la perfetta staticità con cui il sistema scientifico aristotelico si rapportava alla natura e si muove in favore dell’affermazione del continuo mutamento. L’inclinazione alla sistematizzazione e all’ordine tipica del periodo rinascimentale affiancata al divenire permette il sorgere di uno dei più importanti principi di tutto il pensiero occidentale, cioè che l’armonia o la molteplicità osservata nella natura può essere compresa attraverso i prodotti concettuali e formali del pensiero. Il pensiero, e poi in Kant la potenza della ragione, è in grado di trovare le costanti in cui si articola e legge il mondo, allo stesso modo in cui è l’essere umano in grado di comprendere il Logos che si nasconde nel divenire che abbiamo osservato in Eraclito. È solo attraverso le sue opere che il pensiero può comprendere il reale e ordinare la molteplicità, anche se, all’interno di questa prospettiva, la forma istituita dal pensiero è considerata verità; non è ancora matura la comprensione del mutamento e dello sviluppo di forme e pensiero, intraprendendo così la via del determinismo. Emerge comunque una tendenza operativa e formalizzante dell’uomo in ogni ambito della cultura e del pensiero come principio ordinatore in relazione ad una garanzia di tipo divino, è appunto Dio che garantisce l’oggettività delle considerazioni che l’essere umano svolge del creato. Nel procedere storico dello sviluppo del pensiero verso la via della messa in forma del mondo da parte dell’essere umano, Goethe riflette sul rapporto originario tra divenire e pensiero. L’essere umano, il soggetto e l’Io non sono al di sopra o al centro del mondo, ma immersi in esso e a causa di ciò soggetti al mutamento; la possibilità di dare forma emerge nel momento in cui l’Io è in grado di tenere fermo se stesso e pensarsi come catalizzatore del divenire. Solo nella riflessione interiore e nel pensiero ci si può considerare punti fermi che interrompono il flusso del divenire, nella realtà dei fatti ogni cosa muta e muore.

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19 Pur avendo la possibilità e il potere di costruire strumenti per conoscere il mondo quest’ultimo è caratterizzato da fluidità e movimento; di conseguenza all’essere umano non è richiesta l’opposizione dialettica della fissità, bensì la consapevolezza della mobilità a cui è anch’egli soggetto. Le forme create non devono arrestare il divenire ma esporne la fluidità, solo in questo modo può essere mantenuto un rapporto con il mondo della natura pur all’interno del mondo delle forme del pensiero.

La vita dell’essere umano è caratterizzata da un lato dallo scorrere incessante dall’altro dall’eterno porre limiti per arrestarlo. In un certo senso il divenire della natura non fa lo stesso effetto a tutte le forme di vita in esso presenti, nell’essere umano sorge l’esigenza della scoperta, del fissare le osservazioni e le riflessioni in forme riutilizzabili, di ricercarne le relazioni e la regola che sta dietro l’unione in un sistema delle diversità che riscontriamo, ma di tutto ciò al resto della molteplicità non interessa, anzi, molto spesso crea danni irreparabili al procedere naturale delle cose.

Natura! Ne siamo circondati e avvolti, incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più addentro in lei. Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci sciogliamo dalle sue braccia.

Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna – tutto è nuovo, eppur sempre antico.

Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra aver puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli individui. Costruire sempre e sempre distruggere: la sua fucina è inaccessibile. […]

C’è in lei una vita eterna, un eterno divenire, un moto perenne; eppure non fa un passo avanti. Si trasforma di continuo. […]

Avvolge l’uomo nella tenebra e lo sprona continuamente alla luce. […]

A ciascuno appare in forma diversa. Si nasconde sotto mille nomi, ma è sempre la stessa13. La natura conserva la sua necessità, il suo Logos, e si nasconde dietro se stessa e ciò all’essere umano appare arbitrio, caos, inarrestabile fluire.

Il pensiero cerca di liberarsi dalle correnti costruendo imbarcazioni per non esserne travolto e risalire alla fonte originaria di ciò che vincola la sua immersione, ricerca la logica che si nasconde dietro le cose e dietro il suo rapporto con esse.

Il pensiero ha bisogno della continuità delle forme, una catena di cui è possibile riconoscere l’intreccio delle maglie, egli non riesce se non in questo modo a conoscere.

13 J.W. Goethe, La natura, in La metamorfosi delle piante e altri scritti sulla scienza della natura, a cura

di S. Zecchi, Guanda, Parma, 1992, pp. 152 sgg. Cfr. in E. Cassirer, Libertà e Forma. Studi sulla storia

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20 Il pensiero interiorizza il divenire in un divenire soggettivo, un divenire controllato, armonico, costituito da infiniti tasselli che solo da lontano mostrano, come in un mosaico, la figura, la necessità logica, il sistema conoscitivo; il soggetto può posizionarsi in numerosi punti di osservazione e con differenti intenzioni e direzioni e ogni soggetto a sua volta si pone in una prospettiva differente rispetto allo stesso oggetto.

In questo contesto possiamo definire la verità soltanto come chiarezza e ordine dei nostri prodotti, non c’è verità della natura o nella natura ma verità del pensiero e nel suo sviluppo. Essendo che ogni forma che consideriamo è costruita dal pensiero, ciò che guida ogni conoscenza è l’azione; azione è generazione di forme, conoscenza e riflessione sulle forme, azione è ritorno cosciente alle forme, è pensiero che riflette sui suoi prodotti e sulle sue capacità, azione è pensiero che ritrova il suo rapporto con il divenire all’interno dei prodotti generati per conservare il momento di contatto con il divenire e mantenerne viva l’espressione. L’agire è il fenomeno originario che genera il suo stesso limite.

L’esperienza non ci insegna certo in maniera diretta la continuità dei fenomeni: noi però, dobbiamo ricercare e presupporre questa continuità anche là dove sembra che essa si nasconda davanti a noi, o, persino, che il suo contrario emerga dalla natura. Si dimostra qui nuovamente che soltanto nell’agire è possibile dominare e portare a conclusione i problemi e i contrasti davanti ai quali la realtà ci pone14.

L’obiettivo della costruzione delle forme è lasciar emergere da esse la molteplicità che si manifesta nel fenomeno che vogliamo arrestare, consci del fatto che anche la forma si dissolve nello sviluppo. Ciò che si cerca di mantenere vivo è il fenomeno espressivo, l’energia formatrice derivata dal contatto tra coscienza e divenire, e la condizione di soggettività creatrice.

1.4. Prospettiva cassireriana

Dalla contrapposizione tra divenire e pensiero sorge la capacità di dare forma, nella riflessione riguardo alla capacità di dare forma la comprensione dell’azione e dalla consapevolezza dell’agire operante forme la libertà del soggetto. Solo interrogando se stesso, come in Eraclito, l’essere umano è in grado di muoversi all’interno dei suoi prodotti, considerarli davvero propri e considerarsi come centro immerso nel divenire. Il procedere del pensiero è in movimento, non vi è mai un arresto definitivo o stabile, il mutamento che si cercava di arrestare è proprietà dello stesso impulso alla forma, rendendo così inarrestabile il divenire, né per gli esseri umani, né, come in Eraclito, per

14 E. Cassirer, Libertà e Forma. Studi sulla storia spirituale della Germania (1916), tr. it. di G. Spada, Casa

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21 gli dei. Invano cerchiamo di fissare la costanza di ciò che scorre, poiché la sorgente può essere pensata soltanto finché scorre15, la stabilità è solo un’operazione interna al pensiero, limitare è il nostro unico strumento, ma tutto ciò che è separato non esiste propriamente. Diciamo che una cosa esiste soltanto se siamo in grado di inserirla all’interno di un sistema di relazioni, in modo da integrarne la funzione con altri elementi e tentare di ricreare il darsi della molteplicità della natura e renderla leggibile, ma non c’è nulla che sia immobile o esente dal mutamento.

È forse un pathos filosofico l’attrazione verso l’enigma? Chi tenta di interpretare il mondo come un enigma è mosso da un istinto serio, ferreo, profondo, violento, quasi per il presentimento che in fondo alle cose vi sia un filo conduttore, scoperto il quale sia possibile tracciare il disegno per uscire dal labirinto della vita e, insieme, da un istinto giocoso, lieve, avido di imprevisto, dall’ebbrezza di chi toglie con mediata lentezza i veli dall’ignoto16.

In conclusione al problema del divenire all’interno del pensiero di Cassirer, dopo aver analizzato le influenze esercitate da Eraclito e Goethe, possiamo tracciare una breve direttrice che rappresenta il processo conoscitivo alla luce del mutamento della natura, dell’essere umano e dei suoi prodotti.

Il primo elemento in cui possiamo osservare il divenire è il mondo naturale dei fenomeni. Esso ci si presenta in quanto ne siamo immersi, la natura viene percepita in modo immediato proprio come mutamento dalle esperienze visive più semplici e veloci, come l’osservazione del mutare delle forme delle nuvole nel cielo, alle più complesse e lente, come la lenta erosione delle rocce, lo sviluppo del proprio corpo, o il trascorrere delle stagioni. Nonostante l’istintività di queste osservazioni, l’essere umano ha sempre cercato una spiegazione plausibile o verosimile riguardo alla causa del movimento e alle concatenazioni che si determinano fra i diversi fenomeni.

La ricerca di uno schema in cui inserire le osservazioni dipende principalmente dal fatto che i nostri sensi non ci danno la possibilità di mantenere stabile la percezione del divenire. I segnali dei movimenti del nostro sistema percettivo di cui riusciamo ad avere consapevolezza sono il culmine di un lungo e impercettibile movimento neurologico; ogni percezione, intesa come ciò di cui noi possiamo avere una considerazione, è già mediata dalle nostre infrastrutture fisiologiche. La percezione, per quanto immediata possa essere considerata, è un processo di settorializzazione e sintetizzazione dei segnali che pervengono dalla natura e dunque non ci permette di comprendere il divenire. La percezione stessa è caratterizzata da mutamento e sviluppo, non percepiamo mai

15 Cfr, E. Cassirer, Goethe e il mondo storico (1932), cit., p. 59;

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22 egualmente lo stesso fenomeno come anche la nostra struttura recettiva muta, si sviluppa e si degrada nel tempo, rendendo diversa la qualità o la quantità delle percezioni.

L’osservazione del mutare delle percezioni, delle nostre capacità percettive e, soprattutto, l’osservazione dei mutamenti del nostro corpo, permette di considerarci immersi all’interno dei processi di divenire della natura.

Per poter conservare e riutilizzare i prodotti che sorgono dalla relazione con il mondo esterno, l’essere umano ha la capacità di integrare gli stimoli all’interno del pensiero, il quale ci permette di elaborare in maniera mediata i fenomeni. Gli stimoli che cerchiamo di arrestare e che stanno alla base di questo processo costruttivo, sono inizialmente derivati dallo scaricamento immediato della tensione dinamica dell’opposizione tra la nostra struttura e il divenire come ad esempio il fonema.

Il fonema sembra mantenersi da principio ancora del tutto nella fase dell’espressione. Esso non “indica” un qualche singolo tratto della realtà “oggettiva”; è invece piuttosto una semplice effusione degli stati d’animo di chi parla ed uno scaricarsi immediato della loro interna tensione dinamica. Tutto ciò che si suole chiamare “linguaggio animale” sembra trovarsi sempre in questa fase17.

Questo scaricamento è la manifestazione di un originario fenomeno espressivo che fa da guida nel processo di messa in forma. L’obiettivo del pensiero è quello di arrestare il movimento attraverso delle produzioni che ci permettano di osservare a distanza ciò che nell’immediatezza della percezione non è possibile comprendere e di conseguenza ogni forma creata permette di costruire progressivamente le ragioni che stanno dietro al mutamento nel tentativo di stabilirne un ordine comprensibile.

Ciononostante anche i prodotti di questo lavoro sono soggetti al divenire. Per riuscire in qualche modo a mantenere stabile la forma e conservare il movimento espressivo originario il pensiero sviluppa delle forme sempre più complesse in grado di esprimere questa duplice necessità. In queste forme si cerca di rendere stabile la procedura di creazione, le modalità formalizzanti che in un certo senso ci assicurano che il prodotto del pensiero rispecchierà determinate caratteristiche funzionali. Questo è l’obiettivo delle forme simboliche, cioè le principali modalità di elaborazione del pensiero nel suo sviluppo.

Le forme simboliche, più che dei prodotti del pensiero, sono la manifestazione delle procedure attraverso cui si svolge l’operato del pensiero. Ognuna di queste forme rispecchia una particolare tendenza del pensiero nel tentativo di costruire forme

17 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. Fenomenologia della conoscenza (1929), PIGRECO

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23 conoscitive che abbiano una diversa caratteristica in base alle esigenze conoscitive in una particolare fase dello sviluppo del pensiero. Le principali forme simboliche, che trovano anche una trattazione specifica all’interno della produzione cassireriana, sono linguaggio, mito e conoscenza teoretica; dalla lista delle trattazioni rimane esclusa l’arte, nonostante questa forma sia indicata in diversi punti delle varie opere come forma che in un certo senso fa sue le istanze della forma linguistica e della forma mitica e le opere determinate dal pensiero in base alle sue funzioni svolgono un ruolo conoscitivo determinante grazie alla maggior dinamicità con cui riescono a mantenere aperto il fenomeno espressivo di cui vogliono essere simbolo.

Nonostante l’alto livello di astrazione che il pensiero raggiunge grazie alle forme simboliche nemmeno queste ultime sono esenti dal mutamento, la forma mitica ad esempio è destinata a maturare fino a confluire all’interno della conoscenza teoretica e da essa venire reificata. Ogni mutamento, ogni reificazione e ogni fase dello sviluppo del pensiero non viene dimenticata. Il divenire del pensiero è caratterizzato da uno sviluppo che potremmo definire conservativo a differenza del divenire della materia che potremmo definire distruttivo. È proprio a causa del mutamento distruttivo della natura che il pensiero sviluppa delle strategie e delle che forme che, pur essendo soggette al divenire, siano in grado di mantenere un certo grado di conservazione in modo da permettere l’elaborazione del fenomeno e del nostro rapporto con esso.

Il lavoro del pensiero cerca di porsi come opposto dialettico al divenire, così come in Eraclito il Logos compreso dall’essere umano è l’opposto del divenire di tutte le cose, così come in Goethe la libertà formatrice è in grado di resistere all’incombenza della natura. In Cassirer anche lo sviluppo del pensiero è soggetto al divenire, da un lato questa caratteristica può apparire estremamente negativa e condurre la riflessione ad un nichilismo gnoseologico essendo impossibile trovare per l’essere umano una vera e propria stabilità nel flusso del divenire rendendo il processo conoscitivo infinito; dall’altro lato possiamo però considerare il mutamento del pensiero e dei suoi prodotti come una garanzia di apertura dell’essere umano al divenire, il pensiero non avendo forme stabili e immutabili può sempre integrare e aumentare, o eliminare e diminuire, la rosa delle possibili funzioni con cui si approccia al mondo, in questo modo l’infinità del processo conoscitivo apre l’essere umano alla ricerca del mondo nella sua infinita molteplicità in divenire.

Ogni progresso del concetto e della pura “teoria” consiste però proprio nel superare progressivamente questa prima immediatezza sensibile. L’oggetto della conoscenza si

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allontana sempre più, tanto che la consapevolezza critica che il sapere acquista di se stesso può sembrare alla fine addirittura il “punto infinitamente lontano”, il compito infinito del sapere. Al tempo stesso, però, solo in questo apparente allontanamento esso acquista la sua vera determinatezza ideale18.

18 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. Il linguaggio (1923), PIGRECO Edizioni, Milano 2015, p.

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25 2. Il fenomeno espressivo nel pensiero di Ernst Cassirer

2.1. Presupposti teorici del fenomeno espressivo

Il fenomeno espressivo è una funzione conoscitiva dell’essere umano che permette di dare inizio al processo di messa in forma del divenire. Ernst Cassirer, trattando questa funzione all’interno del terzo volume della Filosofia delle forme simboliche (1923-1929),

fenomenologia della conoscenza (1929), vi condensa due temi centrali della sua

formazione filosofica e del suo sistema filosofico: il dare forma al mondo e il divenire eracliteo. Il primo Cassirer lo trae dal suo studio di Goethe e non smetterà mai di dedicarvisi nel corso della sua vita. Oltre che nei lavori su Goethe, il secondo spicca fortemente all’interno de Sulla teoria della relatività di Einstein (1920).

Il concetto di forma viene elaborato da Cassirer soprattutto all’interno del testo Libertà e

Forma. Studi sulla storia spirituale della Germania (1916); per forma intendiamo ciò che

appare ordinato dal pensiero per mostrarci quel frammento di mondo a cui vuole riferirsi. È un prodotto del pensiero che cerca di far fronte al mutamento della natura, non si determina dunque come Gestalt, come una forma fissata e immutabile, quanto come

Bildung, un prodotto producentesi, che cercando di condensare il mutevole è mutevole

anch’esso. Il lavoro del pensiero che dà forma cerca di mostrare al pensiero stesso un oggetto che rispecchi, seppur circoscritto, la molteplicità a cui si riferisce come un oggetto.

La facoltà conoscitiva che qui emerge come agente formalizzante è la fantasia, essa permette di colmare i vuoti tra un fenomeno e l’altro, di colmare la distanza tra il fenomeno e il pensiero e dare organicità a ciò che appare frammentato. L’utilizzo della fantasia è dovuto al fatto che il divenire della natura va oltre le possibilità dell’intuizione, la quale segmenta i fenomeni senza darne organicità. La fantasia permette di comprendere la natura come antitesi in movimento al fine di poterla comprendere e utilizzare per la nostra vita. Inoltre, cerca di esprimere la naturale metamorfosi dei fenomeni e dare organicità alla singolarità della sensazione, afferma, arresta ma non riduce a fissità il cambiamento, cerca di circoscrivere il movimento e mostrarlo riferendosi ad un singolo aspetto del mondo. La fantasia rimane all’altezza della natura; pur essendo uno strumento del pensiero ha un rapporto più diretto con il divenire, per questo ciò che generiamo attraverso essa è caratterizzato dal continuo trasformarsi.

La pura produttività dell’uomo, la produttività dell’artista e del naturalista, non è mai sentita da Goethe come lontana e ad essa contrapposta, ma è la prosecuzione e il perfezionamento della produttività della natura medesima. In quanto è posto al vertice della natura, l’uomo si

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considera ancora come un’intera natura, che deve produrre in sé di nuovo un vortice. Anche qui sono valide le parole del Faust, secondo cui, per chi è abile questo mondo non è muto: nel principio del suo agire egli comprende infatti il principio fondamentale del mondo19.

Nella prospettiva goethiana l’essere umano è in grado di dare ordine al mondo, può comprenderlo attraverso la ragione, la facoltà conoscitiva in grado di abbracciare il divenire e l’essere, visto come estrema illusione scaturita dalla libertà di dar forma, come se nella forma possa trovarsi una verità. La forma non è depositaria di un’essenza ma di una produzione libera del pensiero, il quale cerca di dare una direzione alla sua esistenza all’interno della natura comprensibile soltanto attraverso forme soggettive, create dal soggetto per il soggetto.

La costruzione ideale che cerca di mantenersi immersa nel divenire per dare uno strumento utile alla vita è per Goethe il fenomeno originario, il quale emerge dalla superficie dei fenomeni cercando di penetrare il divenire della vita e dello spirito.

Per quanto riguarda il presupposto teorico riferito alla Teoria della relatività, Cassirer si pone come obiettivo di leggere in chiave gnoseologica la teoria che maggiormente ha scardinato l’orizzonte concettuale del Novecento, generando un vero e proprio cambiamento di prospettiva attraverso cui osservare l’universo. Tra i vari argomenti trattati all’interno del saggio del 1920, come ad esempio la costruzione concettuale delle diverse materie scientifiche, o la relazione tra le concezioni kantiane di spazio e di tempo con i nuovi modelli derivati dalla relatività generale, emerge molto nitidamente una concezione gnoseologica che vede l’universo e, più in generale la natura, come un caos in divenire. Il ruolo dell’essere umano e del pensiero è quello di dar forma alla natura, attraverso funzioni, simboli, opere, che cercano di tradurre, con un linguaggio comprensibile al pensiero stesso, l’apparire costante e infintamente mutevole dei fenomeni. Ciononostante le forme stesse, e il pensiero che le produce, sono soggette a sviluppo e a mutamento, anche all’interno di uno stesso orizzonte culturale. È molto interessante notare come la figura di Goethe ritorni anche all’interno della trattazione del problema della realtà in relazione alla teoria della relatività come visione fondamentale del rapporto tra essere umano e natura:

Nel che torna a confermarsi quell’ «antropomorfismo» di tutti i nostri concetti di natura, a cui amava alludere la saggezza senile di Goethe. «Ogni filosofia sulla natura resta nondimeno soltanto antropomorfismo, cioè l’uomo, uno con se stesso, comunica questa unità a tutto ciò che egli non è, lo tira dentro la propria unità, ne fa tutt’uno con se stesso… Nella natura noi possiamo osservare, misurare, calcolare, pensare quanto vogliamo, ma si tratta pur sempre

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solo di una nostra misura e di un nostro peso, nello stesso senso in cui l’uomo è la misura di tutte le cose»20.

Il maggiore insegnamento che Cassirer trae dalla teoria di Einstein, indipendentemente dall’analisi approfondita che ne fa all’interno di tutta l’opera, è la presa di coscienza, da parte della scienza e da parte del pensiero in generale, della distanza che c’è tra i fenomeni nel loro accadere e la nostra posizione di osservatori immersi nel divenire. L’oggetto che il pensiero costruisce non coincide con il fenomeno che cerca di circoscrivere. Ogni fenomeno può essere osservato da punti di vista differenti, all’interno di sistemi differenti, in tempi e luoghi differenti, con presupposti e obiettivi di ricerca differenti, in base alle inclinazioni che il pensiero prende nella costruzione formale dell’oggetto. Non esiste nessuna verità, nessuna realtà effettiva, in base al sentiero che percorre il pensiero, l’essere umano costruisce una particolare forma dell’accadere. L’obiettivo della conoscenza critica, e della gnoseologia, sta nel considerare ognuna di queste forme come necessarie per la comprensione, come espressione della mutevolezza della natura che si manifesta nella mutevolezza dei prodotti del pensiero.

Deve emergere all’interno della scienza e della filosofia la consapevolezza della distanza tra accadere e produzioni del pensiero, e analizzare come questi due elementi della vita entrano in contatto, con quali modi, con quali tempi, e sondarne i risultati; sottolineare l’esigenza di fissare qualcosa che scorre malgrado il nostro operare, la ricerca della continuità nel divenire. All’interno della nostra esperienza abbiamo soltanto singolarità, o singolarità congiunte in sistemi ordinati; per il pensiero il divenire è perso, lo possiamo percepire soltanto all’interno della coscienza.

L’esperienza non ci insegna certo in maniera diretta la continuità dei fenomeni: noi però, dobbiamo ricercare e presupporre questa continuità anche là dove sembra che essa si nasconda davanti a noi, o persino, che il suo contrario emerga dalla natura. Si dimostra qui nuovamente che soltanto nell’agire è possibile dominare e portare a conclusione i problemi e i contrasti davanti ai quali la realtà ci pone21.

È molto interessante notare come questi temi rimangano costanti nella produzione cassireriana almeno fino agli anni trenta, prima del suo focalizzarsi su tematiche prettamente antropologiche e culturali. La stessa immagine vista poco sopra, risalente al 1916, in riferimento ad un lungo capitolo su Goethe la ritroviamo nel 1920 all’interno del capitolo finale del testo sulla teoria della relatività:

20 E. Cassirer, Sulla teoria della relatività di Einstein (1920), a cura di G. Preti, La Nuova Italia Editrice,

Firenze 1973, p. 597;

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